[ORIGINALE] L'ultimo treno

Feb 25, 2017 18:02

Fandom: originale
Pairing: Kohaku/Rei
Rating: safe
Avvertimenti: //
Wordcount: 2226
Cosa sto per leggere: la prima volta che Rei e Kohaku si sono incontrati perdendo lo stesso ultimo treno



Rei sta ripensando a quel terzo bicchiere di birra che non avrebbe dovuto permettere ad Aiko di offrirgli mentre i muri della metropolitana sfrecciano via alle estremità del suo campo visivo.
Non è sicuro di aver mai corso così veloce in vita sua, nemmeno alla corsa campestre delle medie a cui si era iscritto solo per impressionare Kimi-chan, la ragazza più carina della classe che non era riuscita a ricordarsi il suo nome nemmeno l'ultimo giorno della consegna dei diplomi. Non è poi così diverso, pensa con il respiro in gola ed una fitta insopportabile all'altezza della milza, correre per amore, con il petto stretto attorno al desiderio di un sorriso, e correre nella speranza di prendere in tempo l'ultimo treno, con il fegato in gola per via di un bicchiere di birra di troppo - il respiro ti manca uguale, e la poesia dell'atto d'amore tende a sfumare quando le gambe iniziano a tremare ed i polmoni sembrano prender fuoco ad ogni falcata che ti costringi ad aggiungere a quella prima, un po' più consapevole che tanto non sarà servito a niente, alla fine. In fondo, allora come oggi, sembra perseguitato da sentimenti che gli altri non sono disposti a restituirgli, con l'unica differenza che un tempo poteva farsi forza con la speranza ingenuamente cieca dell'infanzia, mentre adesso non ha difese che reggano il dolore lancinante ai polpacci e il senso di nausea che inizia a montargli in petto.
Una rampa di scalini sfugge via sotto i suoi piedi e Rei riprende a correre come se da quel treno dipendesse la sua vita. Se ne avesse il tempo probabilmente scoppierebbe a ridere di fronte all'ostinazione con cui il suo corpo si trascina in avanti senza ancora darsi per vinto o cedere ad uno sforzo che ha ormai evidentemente superato il suo limite di sopportazione, eppure il dolore riesce a ovattare tutti i pensieri ingombranti che altrimenti tenterebbero di insinuarglisi sotto pelle - gli stessi che Aiko ha provato a fargli affogare in un bicchiere di birra di troppo quando a lui sarebbe bastata la compagnia della sua voce.
Oggi il suo Kimi-chan si chiama Ryota, e ha deciso di lasciarlo dopo avergli confessato di essersi innamorato di un altro uomo.
Lui e Rei si erano fidanzati un anno e cinque mesi fa, dopo essersi conosciuti in un locale di Shinjuku ni-chome. Ryota aveva tre anni più di lui e stava festeggiando la sua prima promozione in azienda. Con i soldi dell'aumento gli aveva offerto un secondo giro dello stesso drink che Rei stava silenziosamente bevendo in un angolo del bancone, da solo, e il sorriso con cui si era presentato era così brillante e sfacciato che a Rei non era rimasto che annuire, fargli posto e ascoltarlo parlare di sé. Non era stato così difficile chiacchierare con lui, quella sera, e forse per quello Rei si era sentito bene, e aveva desiderato sentirsi bene un po' più a lungo.
Gli torna in mente tutto adesso, cogliendolo un po' di sorpresa, il bene che gli ha voluto per tutto questo tempo, assieme a quello forse un po' meno sincero che Ryota gli ha restituito.
Rei non ha pianto quando Ryota ha deciso di dargli la notizia tre giorni fa, presentandosi sulla sua porta di casa con un sorriso debole che già sapeva di presagio infelice. Non ha pianto nemmeno quando Ryota ha capito che non sarebbe servito a niente cercare di scalfire il suo silenzio pietrificato con le ennesime scuse, né quando si è allontanato con il capo chino, voltandosi per l'ultima volta nella speranza che dicesse qualcosa - qualsiasi cosa, fosse anche solo un addio, e Rei forse avrebbe davvero dovuto farlo, perché adesso se lo sente pesare addosso insopportabile quel silenzio ostinato. Il fatto è che di parole da spendere, allo stesso modo delle lacrime, non è riuscito a trovarne nemmeno una che potesse spezzare un momento tanto surreale. Ora non riesce a scrollarsi di dosso l'impressione che Ryota gli sia passato davanti per un attimo soltanto, inciampando sul suo cammino l'istante di una chiacchierata breve, di un aperitivo, di qualche sorriso strappato con sincerità, per poi sfumare via con l'urgenza di chi ha fretta di andare. Forse è per questo che si sente così vuoto, adesso, senza la persona che era diventata capace di tamponare i suoi vuoti di solitudine, ma non riesce davvero a sentirsi triste o arrabbiato come vorrebbe.
Si spegne ogni traccia di nostalgia quando, a una manciata di scalini che lo dividono dalla banchina, lo sguardo inciampa sullo schermo con gli orari delle corse e poi, con più urgenza, sfugge verso i binari del treno. Sta ancora correndo come un disperato quando i suoi occhi fanno appena in tempo a catturare l'immagine della coda dell'ultimo vagone che sfreccia oltre la galleria, lasciandolo solo con l'eco del boato della partenza. E' più o meno il momento in cui le gambe smettono di agitarsi e in petto sente montare il bisogno fisico di prendere a calci la prima superficie solida che gli capiti a tiro - non fosse che non ha davvero più forze o fiato a sorreggerlo, ormai, quindi decide semplicemente di abbandonarsi alla forza di gravità e scivolare su una delle sedie lungo la banchina.
Il primo pensiero che gli sfiora la mente è che ha bisogno di una sigaretta; il secondo è che ha offerto l'ultima che aveva ad Aiko appena prima che la serata precipitasse. Chiude gli occhi e decide che in fondo può anche accontentarsi di immaginarlo e basta, il fumo che scivola fuori dalle labbra schiuse prima di esser risucchiato di nuovo a inondare il petto. Almeno, esattamente come non ha la forza di respirare, non riesce nemmeno a trovare quella per mettere mano ai pensieri che gli si aggrovigliano in testa, quindi semplicemente distende la schiena, allunga le gambe e lascia il capo a ciondolare oltre allo schienale, immaginando di potersi addormentare qui, come se niente fosse, per risvegliarsi domani mattina, quando la nausea sarà passata ed il brusìo dei passeggerei in coda per il treno sarà l'unico suono ad intercettare ogni pensiero per tenerlo lontano da Ryota.
Adesso, però, nel silenzio un po' ingiusto di una fermata deserta della metropolitana, basta il suono inatteso di una voce a scuoterlo immediatamente dal torpore.
"Non ci posso credere!"
Rei sobbalza sulla sedia. Dove prima non c'era nessuno adesso c'è un ragazzo piegato in due dal fiatone che sta lanciando uno sguardo sconsolato verso l'entrata della galleria da cui è appena sparito il treno.
"C'ero quasi," mormora scuotendo il capo fra un respiro e l'altro, con l'aria di chi si è appena accorto di aver perso una scommessa di poco conto.
Rei si perde per un attimo ad osservare la sua acconciatura bizzarra, dal colore inusualmente biondo dei capelli alle ciocche mosse e disordinate che, a giudicare dall'impeccabilità del suo parka color cachi e dello zainetto di tela color nocciola all'ultima moda, danno l'impressione di esser state spettinate di proposito per seguire qualche strana tendenza giovanile di cui non è sicuramente al corrente. Indugia per qualche istante ancora a sbirciare i suoi gesti, seguendolo con la coda dell'occhio mentre sfila il cellulare dalla tasca del giubbotto e sbuffa piano contro lo schermo. E' un telefono a conchiglia, di quelli che ormai raramente si vedono in mano a persone così giovani, di un colore azzurro lucido che paradossalmente si accompagna così bene alla sua acconciatura stramba - e ancor di più alla manciata di portachiavi tintinnanti e colorati che pendono dall'attacco per le cuffie.
Distoglie lo sguardo e decide che non ha più definitivamente nessun motivo per rimanere. Si fa forza, si alza dalla sedia e raccoglie quel briciolo di equilibrio che gli basta per trascinarsi indenne verso l'uscita della stazione prima che lo chiudano davvero dentro.
E' sul punto di scalare il primo gradino quando la stessa voce di poco fa interrompe un silenzio di cui sta iniziando a sentirsi geloso.
"Aspetta!"
Lo chiama così, con l'urgenza che poco fa, di fronte al treno mancato per un soffio, sembrava mancargli. Quando si volta il ragazzo gli sta venendo incontro con un sorriso debole fra le labbra.
"Hai perso anche tu il treno?"
Rei si concede un attimo per pensare al perché di una domanda simile, restituendogli un sopracciglio sollevato. Si limita ad annuire debolmente.
Il ragazzo, però, sembra illuminarsi.
"Ah, e che pensi di fare?", gli domanda.
Rei corruga un poco di più la fronte. "Cosa dovrei fare? Prima di tutto me ne esco di qui," con un cenno impaziente della testa verso le scale. Inizia a sentire i primi cenni di vertigine pizzicargli la mente, e ha davvero poca voglia di fare conversazione con uno sconosciuto.
"Sì ma, dico, dove abiti?" Incalza l'altro.
Questa volta, non sa bene perché, Rei indietreggia nervosamente di un passo piccolo, poggiando preventivamente un piede sul primo gradino. "Me lo stai chiedendo davvero?" Ha così bisogno di tornare a casa per smaltire la sbronza che inizia a girargli la testa al solo pensiero di doversi trattenere un attimo di più.
Il ragazzo, invece, scuote il capo con uno sbuffo contenuto, come se avesse fretta di farsi capire ma stesse avendo serie difficoltà a riuscire nell'intento. Rei si sente quasi stupido per non afferrare le sue intenzioni, ma è troppo stanco anche solo per provare a dargli retta.
"Se hai intenzione di prendere un taxi, e se siamo sulla stessa strada," gli dice, "perché non dividiamo?"
Rei sospira, con gli occhi sollevati al soffitto. L'idea di assecondarlo non lo sfiora nemmeno per un istante - anzi, a dirla tutta lo mette solamente un po' a disagio. "No, senti, guarda, non mi sembra davvero il caso..." Farfuglia distrattamente, prima di voltarsi ed imboccare definitivamente le scale.
Quando per istante barcolla sul secondo scalino, però, una mano schizza prontamente ad afferrarlo per il gomito, sostenendolo quanto basta ad evitargli di ruzzolare di nuovo sulla banchina.
Rei sente tutto il proprio corpo reagire allontanandosi immediatamente da quel contatto inatteso, senza poterci fare davvero niente. "Grazie," non alza nemmeno gli occhi, e improvvisamente vorrebbe solo trovare la forza di prendere e correre via di qui. "Faccio da solo."
"Come vuoi," sente il ragazzo rispondere, per nulla turbato. "Ma sei sicuro?"
"Sì, ce la faccio." Sale il terzo gradino, e poi un altro ancora, senza fermarsi.
"Intendo per il taxi."
"Sì che sono sicuro."
C'è una pausa, poi il rumore di passi concitati sui gradini gli suggerisce che il ragazzo l'ha rincorso fin quasi all'apice delle scale. Lui, però, si ostina a non voltarsi.
"Mi faresti davvero un gran favore," gli dice la voce alle proprie spalle. "Non penso riuscirei a pagare la corsa completa."
Rei rotea gli occhi. Di nuovo. Sono le persone come queste a metterlo più in difficoltà di chiunque altro - quelle che non si limitano a passarti accanto fingendo che tu non esista, ma che ti capitano davanti con la prepotenza di un incontro inaspettato e poi decidono di prendersi da sé gli spazi sempre più difficili da cedere. Come quelli di una banchina vuota dopo che l'ultimo treno è partito, o quelli di un taxi occupato da uno sconosciuto.
Quando si volta, Rei lo fa con un sospiro che quasi gli pesa sul petto, pensando che prima o poi imparerà davvero a dire di no alle persone - ma evidentemente non stasera. Il ragazzo, però, lo sta implorando con le mani congiunte ed il capo chino, e d'un tratto si dimentica della nausea, del disagio annidato in gola, persino di Ryota e dei soldi che ha in tasca e che non saranno mai abbastanza per tornare a casa. Lo fissa e basta, ed il suo gesto gli sembra così semplice, così sincero, che quasi si sente uno stupido per averlo anche solo pensato. Schiocca la lingua contro il palato, mezzo infastidito - le persone non si possono inquadrare così, solo con un'occhiata.
Sospira piano e si prende un attimo prima di chiedergli: "Dov'è che vai?"
Il ragazzo solleva immediatamente la testa e sbatte le ciglia. In un attimo gli occhi gli si fanno grandi di gratitudine e sollievo e Rei vede il suo viso accendersi, come se in fondo non si aspettasse davvero una risposta simile.
"A Shinkoiwa!" Esclama, saltellando gli ultimi gradini per azzerare la distanza. "Casa mia è a Shinkoiwa," ripete.
Rei stringe le labbra, appena pensieroso. "Si può fare, io sono di Ichikawa, quindi saresti prima di strada tu."
"Mi salveresti la vita," lo sente esclamare raggiante.
Rei annuisce sollevando la mano per premersi le dita contro le tempie, cercando di massaggiare via il mal di testa. "Sì, ho capito, ho capito," borbotta prima di voltarsi e fare per allontanarsi verso i tornelli d'uscita. Non sa ancora come prendere i suoi sorrisi ed il suo assurdo buon umore, però la schiettezza del ragazzo inizia a metterlo un po' meno a disagio, come se in fondo non ci fosse niente di male, per una volta, a dar retta alla voce di uno sconosciuto.
"Andiamo, dai."
Gli dice solamente prima di muoversi. Per un attimo ha come l'istinto di allungare una mano ed afferrarlo per la manica del parka ma poi, con il braccio sospeso a mezz'aria, sente i muscoli bloccarsi, opporsi alla promessa di un contatto. Il ragazzo sembra non accorgersene nemmeno; Rei lo sfiora solamente sulla spalla, ritraendo subito la mano, e assieme si avviano verso l'uscita.

challenge: cowt, pairing: rei/haku (oc), fandom: original, rating: safe, post: fic

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