[STAR WARS TFA] L'ex della porta accanto

Mar 04, 2017 21:48

Fandom: Star Wars TFA
Pairing: Kylo/Hux
Rating: nsfw
Avvertimenti: modern!au, dub-con, accenni a S&M, hate sex
Wordcount: 3147
Cosa sto per leggere: Armitage (UGH) e Ben vincono il premio bitter exes, c'è dell'hate sex e (forse) anche dei sentimenti che nessuno dei due è particolarmente bravo a ignorare



"Porca puttana."
Armitage rimane a contemplare la serratura della porta di casa per un tempo che potrebbe andare dalla manciata di secondi all'eternità - più vicino alla seconda, immagina, dal momento che nel frattempo lo schermo del cellulare che tiene in mano si è oscurato, restituendogli la sensazione nemmeno lontanamente rassicurante di poter prendere le distanze dal messaggio  che ha appena avuto modo di leggere.

Armie, hai lasciato le tue chiavi sul tavolo della mia cucina. Dimmi che hai un altro modo di entrare in casa please?

"Porca puttana!"
Anche se chiude gli occhi le parole continuano a echeggiargli in testa, rendendo quanto mai assordante la pulsazione nervosa che si sente contro le tempie. Vorrebbe scoppiare, sparire, inghiottito dalla sua stessa idiozia come se fosse un buco nero, perché tanto è abbastanza certo ormai che la densità sarebbe la stessa - solo gli dispiacerebbe andarsene da questo mondo lasciando come ultimo gesto l'esser rimasto chiuso fuori di casa alle undici di sera.
Abbassa gli occhi. Alla fine non ha nemmeno comprato lo zerbino che rimanda da mesi, quindi gli toccherebbe dormire per terra. Tanto meglio svanire direttamente a questo punto, almeno si risparmierebbe una nottata accovacciato su un pianerottolo sudicio.
"Porca puttana," ripete per la terza volta, un sibilo esasperato ad occhi chiusi e pugni stretti - pugni che si muovono da soli, sollevandosi a mezz'aria prima di schiantarsi rumorosi - e non senza una fitta improvvisa di dolore - contro la porta serrata. "Cazzo," ritrae immediatamente la mano chiusa, sentendo lacrime salire agli occhi mentre osserva le nocche arrossate, per nulla sicuro di non essersi frantumato qualche osso di cui ha bisogno. È talmente il ritratto della pateticità che quasi gli verrebbe voglia di farselo davvero, un pianto in piena regola. Tanto chi potrebbe vederlo a quest'ora della notte?
"So che è una domanda stupida ma... tutto a posto?"
Alle sue spalle, come un'apparizione decisamente poco angelica e assolutamente non contemplata, la voce che avrebbe voluto sentire meno di qualunque altra.
Si prende un attimo per respirare e raccogliere la propria compostezza, tirando il bordo della giacca con un gesto secco ed aggiustandosi la tracolla sulle spalle. Non si degna di voltarsi, però.
"Torna dentro Ben, non sono nell'umore," soffia, sorpreso della calma con qui è riuscito a rispondergli.
"Quando mai."
Son due parole appena, pronunciate con quella sua solita strafottenza che non è mai riuscito a sopportare, e tutta la pace che era riuscito a raccogliere sfuma in un ronzio fastidioso alle tempie, che decide di mettere a tacere con il "Vaffanculo," più secco e distaccato che riesce a concedersi.
Non si vedono da giorni - tre, precisamente, da quando gli ha detto che era finita fra loro. Di nuovo. Stava andando tutto così bene: l'università, il lavoro, la tesi, gli amici, nessun pensiero su Ben a intrufolarsi nella sua vita, a rendergli tutto più difficile, a fargli sperare in qualcosa di diverso - qualcosa che si è lasciato alle spalle e questa volta non vuole più tornare a rincorrere. Per davvero.
E invece basta la sua voce del cazzo - nemmeno il suo viso, perché non osa voltarsi per paura dei ricordi che lo soffocherebbero se lo facesse - a rimettere tutto in dubbio. Di nuovo.
"Hai mica dimenticato le chiavi?"
"Vaffanculo, Ben!" Deve sforzarsi più di quanto vorrebbe per contenere l'istinto di saltargli al collo con entrambe le mani, quando si volta.
(Si sforza di dar poco peso al nodo al petto che sente quando gli occhi incontrano i suoi, per la prima volta da tre giorni - da quando non hanno più niente in comune - ma tanto, come si aspettava, Ben sembra non battere ciglio, appoggiato allo stipite della porta nella sua stupida tuta da casa con le sue stupide braccia incrociate, e allora Hux decide definitivamente, con il cuore più o meno leggero, che può far finta di niente anche lui, se è questo il gioco a cui l'altro vuole giocare)
"Lo prendo come un sì."
Hux sospira, ed è uno di quei sospiri lunghi e ponderati che servono a mantenere la calma. Evidentemente non funziona come dovrebbe. "Avrai detto sì e no venti parole e già ho la nausea a sentire la tua voce. Torna dentro, ok?"
"Sembri nervoso."
(Ecco un'altra delle cose che non sopporta di lui: questa sua capacità di rimarcare l'ovvio nella maniera più fastidiosa e prepotente possibile, guardandoti con gli occhi di chi non ha una colpa nel mondo)
"Davvero, Ben? Nervoso? Per favore..."
"Puoi dormire da me se vuoi."
Aggiunge mentalmente anche questo punto alla lista dei motivi per cui odiare il suo ex: mancare completamente il punto della questione. Sempre. Con gli occhi di chi non ha una colpa eccetera eccetera.
"Ben, per favore." Si costringe a prendere un sospiro profondo. "Per favore," ripete - ne ha bisogno, sente di essere sul punto di perdere la calma e non vuole farlo. "Ti ho lasciato urlandoti in faccia che non ti volevo più vedere in vita mia. Non farlo."
Ben solleva un sopracciglio (dèi quanto lo odia quando lo squadra con quell'aria di sufficienza) e poi si stacca dallo stipite. Hux per un attimo si lascia cogliere alla sprovvista dal terrore di vederlo avvicinarsi, ma per sua grazie Ben se ne sta al suo posto, sull'entrata dell'appartamento.
"Abiti nell'appartamento accanto al mio, Arm. Devi abituarti all'idea di vedermi in giro."
"È precisamente il motivo per cui ti ho chiesto di tornare in casa."
"E che fai, dormi sul pianerottolo?"
"Se devo."
"Non dire stronzate."
C'è improvvisamente qualcosa nella sua voce che gli fa tremare il petto, richiamando ricordi e pensieri e sensazioni che era sicuro di aver chiuso da qualche parte lontano dalla coscienza. È lo stesso tono con cui gli diceva di non uscire al mattino senza fare colazione, o di portarsi dietro l'ombrello perché avrebbe piovuto anche quando lui insisteva di no. È lo stesso Ben che ha sempre conosciuto, un po' burbero in ogni sua piccola preoccupazione ma in fondo sincero. Hux non si era mai accorto di quanto anche questo gli desse enormemente fastidio.
"Per favore, Ben, non farmi questo," soffia.
Ben sbatte le ciglia. "Non sto facendo niente."
"Stai parlando. Non voglio sentire la tua voce."
Sente il suo sguardo dubbioso su di sé per un attimo, poi Ben sbotta. "Ma che problemi hai?" Ed è una domanda talmente assurda che Hux vorrebbe solo ridergli addosso e poi sbattergli la porta in faccia per lasciarlo da solo con il suo patetico ego smisurato. Se solo avesse una porta da sbattere.
"Tanti," gli dice invece. "Troppi," si corregge. "Ad esempio te."
Ben, nell'ormai evidente intento di farsi strangolare, rotea gli occhi e si lascia sfuggire uno sbuffo rumoroso. "Stai facendo tutto da solo."
Hux rimane a fissarlo per una buona manciata di secondi, con le labbra schiuse, lo sguardo incredulo e miriadi di parole che potrebbe dirgli ma che rimangono incastrate in gola. Decide invece di puntare sull'essenziale. "Cazzo, Ben, torna in casa e lasciami in pace."
L'unico errore di calcolo che compie, mentre sta facendo per voltarsi ed allontanarsi - non sa verso dove, probabilmente verso le scale - è quello di sollevare un braccio per gesticolare esasperato verso la porta di casa sua, nella speranza di enfatizzare un concetto a quanto pare difficilissimo da comprendere. Si maledice nel momento esatto in cui la mano sta indicando la porta e con la coda dell'occhio vede Ben stringere le labbra spazientito, e sa già con precisione inquietante quello che sta per succedere.
Ha appena il tempo di pensare che si sta davvero pentendo di ciascuna delle decisioni che ha preso stasera, senza eccezione, che cinque dita scattano a intercettare il suo polso e, prima che possa accorgersi di qualsiasi altra cosa, le spalle sbattono con un tonfo sordo contro il muro e un paio di labbra si accaniscono sulle sue, tremanti e disperate di averlo.
Gli manca il fiato per i dieci secondi più lunghi della sua vita. Quando riapre gli occhi, con il cuore impazzito contro il petto e le dita strette in un pugno ancora catturato dalla sua mano, vorrebbe dirsi che non ha appena baciato il suo ex come se la sua vita dipendesse da questo unico gesto, ma sarebbe solo l'ennesima patetica menzogna che si racconta per stare meglio.
Il respiro pesante di Ben gli scivola contro il collo. Sente i suoi occhi scuri insistere su di sé ma non ha davvero il coraggio di ricambiare lo sguardo.
"Non male per non volermi più vedere." Glielo soffia addosso con quel suo tono strafottente, e con gli occhi bassi Hux riesce solo a scorgere la curva del suo ghigno farsi pericolosamente affilata.
"Cazzo se ti odio," ringhia fra i denti.
E a quanto pare la notizia lascia Ben deliziato, perché la stretta attorno al suo polso si fa più insistente ed il suo sorriso si distende per un attimo prima che lui decida di sollevarlo di peso e trascinarlo senza troppi complimenti dentro casa. La porta sbatte alle loro spalle prima che Hux abbia persino il tempo di registrare il mondo che gli si capovolge tutt'attorno e le braccia che lo tengono stretto senza lasciargli nessuna via d'uscita.
"Che cazzo fai?"
Ma la voce si perde chissà dove, inghiottita da un paio di labbra avide di contatto, e Hux è talmente intento a restituirgli il suo dannato bacio che si accorge di esser stato appoggiato sul tavolo della cucina solo quando Ben si scosta per un attimo dal suo viso con il sorriso più schifosamente osceno che gli abbia mai visto fare - e allora persino il tavolo della cucina perde importanza di fronte al gesto sfacciato con cui Ben s'intrufola fra le sue cosce e gli si spinge addosso, afferrandolo per il mento e trascinandolo in un secondo bacio ruvido - o forse è il terzo, ha già perso il conto.
Finisce con il torso nudo e i pantaloni strattonati fino alle caviglie e le spalle premute contro la superficie gelida del tavolo, un paio di dita dentro di sé e un corpo bollente e agitato premuto contro il petto. Si aggrappa alle sue spalle e spinge le unghie contro la sua pelle, forte. Si concede un attimo per assaporare il grugnito di dolore a malapena trattenuto fra le labbra di Ben - lo ama così tanto, l'ha sempre amato. È il suo suono preferito che fa la voce di Ben.
Lo vede sollevare gli occhi e cercare i suoi. Sembra una bestia, e almeno questo non è cambiato.
"Sappi che tutto questo non significa niente," gli soffia addosso Hux, arricciando le labbra in una smorfia di disgusto - non è sicuro se per sé o per lui.
"Sta' zitto," grugnisce Ben, premendolo senza garbo contro il tavolo.
"Sto solo scaricando il fottuto nervosismo."
"Arms, chiudi quella cazzo di bocca o ci penso io."
Ma lui la bocca non la chiude - anzi, stringe un pugno attorno ai suoi capelli e lo trascina su di sé, solo per stringere i denti attorno al suo labbro fino a sentirlo tremare sotto la stretta. Un lamento di dolore gorgoglia fra le loro labbra e Hux sorride nel morso, stringendo ancora di più.
"Cazzo!" Ben si libera dalla morsa con un gesto secco, tutt'altro che accorto. Hux lo osserva strofinarsi stizzito una manica sulle labbra gonfie e doloranti, ed è talmente compiaciuto dalla vista che quasi non si accorge della fitta pungente lasciata dal manrovescio che l'altro gli ha piantato sulla guancia.
Ben è infuriato, e Hux non dovrebbe decisamente essere così eccitato al pensiero. Si lascia afferrare i fianchi e trascinare verso il bordo del tavolo con un sussulto soffocato, e quando Ben lo tira per le spalle e lo costringe a sollevare il busto per un attimo si sporge in avanti convinto che le sue labbra vogliano divorarlo - ma si sbaglia. Ha appena il tempo di trasalire prima che due mani lo blocchino e lo rivoltino di peso. Fa male quando si ritrova con i piedi per terra e il bacino spinto bruscamente contro il bordo del tavolo, tanto che un singhiozzo di dolore misto a sgomento gli vibra sulle labbra. Allunga le mani in avanti per reggersi al tavolo, ma il corpo alle sue spalle è più forte - lo è sempre stato. È la sorpresa a tradirlo, assieme alla fretta che ha Ben di ricordargli qual è il suo posto: piegato contro il tavolo, con le mani in cerca di appiglio ed il viso premuto sul legno da cinque dita avvinghiate attorno ai capelli.
"Ti avevo avvertito," la sua voce gli scivola addosso più sottile di un sibilo. Hux non è nemmeno sicuro di averlo sentito davvero o di esserselo solo immaginato, ma non ha il lusso di preoccuparsene: Ben spinge l'erezione dentro di lui con un gesto secco, e tutto ciò che Hux riesce a restituirgli è un lamento strozzato in gola e due mani sbiancate attorno ai bordi del tavolo. Immagina di essersela cercata questa volta, come in fondo se l'è sempre cercata prima d'ora - un po' perché ha sempre covato dentro di sé il bisogno fisico di sentirsi schiacciato e derubato di tutta l'aria che ha in corpo da mani abbastanza forti da spezzarlo, e un po' perché quando è Ben ad annientarlo in questo modo riesce lo stesso a sentirsi al sicuro, anche se lui lo tratta come se fosse una bestia, anche se lo spinge oltre limiti che non sapeva nemmeno di avere, anche se gli fa male come gliene sta facendo adesso (ma sempre nei punti giusti, sempre dove sa che assieme al dolore riuscirà a trovare anche il piacere che ogni volta rincorre con tanta disperazione). Adesso, però, non c'è più niente a tenerli connessi, e per un attimo Hux ha paura. Ha paura che il dolore rimarrà solamente quello che è - lividi e segni e la sensazione di essere rotto - il presentimento che Ben la smetta di cercare i punti migliori, di trattarlo come se fosse il suo tesoro più prezioso anche mentre cerca di strapparlo e divorarlo. Ne ha paura quando un'ennesima spinta lo fa sbattere contro il tavolo, e quando sente le sue dita sbiancare nella stretta attorno ai capelli, quando spalanca la bocca e chiude gli occhi e tutto quello che sente è il tocco gelido del tavolo sotto al corpo e  contro al viso. Si sente soffocare e la paura monta così forte da annullare tutto il resto.
Vuole smettere. Vuole smettere adesso, ma non ha il fiato per urlarglielo né le forze per farglielo capire con il corpo. Tutto quello che può fare è tremare, spalancare le labbra per catturare l'aria a fatica, stringere le dita così forte attorno al bordo del tavolo da farsi male - e dio se ha paura, se vuole sparire, se vorrebbe non aver mai dimenticato quelle dannate chiavi, se potesse tornare indietro a tre giorni fa e non urlargli addosso che lo odia, che non vuole più avere niente a che fare con lui, che lo fa stare male, che non ne può più...
Due mani grosse lo strappano al terrore e lo trascinano su, in piedi. Non riesce a registrare quello che sta succedendo, ma Ben non è più dentro di lui, questo almeno lo sente - come sente il paio di braccia che lo stringono così forte da fargli rimpiangere l'apnea di poco fa, ed il petto caldo e agitato che lo accoglie contro di sé. Per un attimo chiude gli occhi e si convince di poter sparire in questo calore, di volerlo fare, ma non è ancora abbastanza. Non può lasciarglielo fare - ha bisogno di stare lontano da lui, almeno per un po'.
Frappone le braccia fra i loro corpi e costringe l'altro a fare un passo indietro. Ben non si oppone, ma non si allontana più di così.
"Cos'è successo?"
È sicuro che si tratti appena di un soffio di voce, eppure lo sente rimbombare in testa così forte da rimanerne assordato. Getta lo sguardo nella direzione opposta e lascia che le gambe lo trascinino altrove - non gli importa dove, basta che sia lontano da questa cucina e lontano da lui.
"Arms?"
La voce di Ben lo segue per tutto il tempo ma lui non gli risponde. Si ritrova in salotto, e per un attimo si domanda come ci sia arrivato dato che ha solo ricordi ovattati di aver camminato fin qui, ma poi gli torna in mente che questa è stata la sua seconda casa per un tempo così lungo che non sarebbe più nemmeno capace di quantificarlo. Conosce ogni angolo ed ogni odore e ogni imperfezione di questo appartamento come se ci avesse fatto il nido, ormai, e forse è davvero così. Gli viene la nausea.
"Arms, cos'hai? Mi vuoi dire qualcosa?"
C'è una nota preoccupata nella voce di Ben - anzi, a dirla tutta non è una nota, è solo preoccupazione. Questa gli è nuova.
"Qualcosa," sibila secco, e non sta nemmeno scherzando. Solleva gli occhi, ed è sicuro che siano arrossati dallo sforzo con cui si è costretto a ricacciare indietro le lacrime, ma non gli importa. "Ora lasciami in pace."
Ben gli restituisce uno sguardo crucciato che sembra non finire mai. Poi, mordendosi un labbro nervosamente, decide di aprire bocca. "Ti ho fatto ma-"
"No," la voce quasi gli muore in gola, ma non ha intenzione di lasciarlo finire. Si volta e allunga una mano per piantarla contro il petto, allontanandolo da sé - salvo ritrarla immediatamente, come scottato. Tutte le attenzioni sono indirizzate verso il divano, che si affanna quasi ossessivamente ad ordinare. "Rimango solo perché mi hai fatto fare fottutamente tardi e non è il caso di chiamare un ferramenta adesso. Non provare a uscire dalla tua stanza stanotte."
"Arms..."
Eppure Hux ha deciso. Gli dà le spalle, aggiusta i cuscini, trascina una coperta sul divano e non dice più niente. Fa schifosamente male, come un nodo che gli brucia in gola e che vorrebbe solo sputare fuori assieme a tutte le lacrime, ma quando sente  Ben voltarsi ed allontanarsi senza dire una parola si deve costringere a rimanere bloccato sul posto per non corrergli dietro ed urlargli di quanto ha bisogno di lui, che lo rassicuri, che gli dica che non gli avrebbe mai fatto male, che possono smettere di stare assieme senza odiarsi...
Crolla sul divano con la testa sul punto di scoppiare. Si accovaccia contro i cuscini e trascina la coperta fin sopra la testa, senza nemmeno preoccuparsi di togliere le scarpe.
Ben non gli avrebbe mai fatto male. Non ha idea di quale razza di mostro la sua mente abbia deciso di dipingere pur di alleviare il senso di colpa, ma Ben non gli ha mai fatto male davvero, nemmeno quando è stato lui a implorarlo di farlo.
Scivola nel sonno confortato da un pensiero simile, e Ben non gli fa visita nemmeno una volta.

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