Hitachi series [raccolta]

Jan 05, 2012 21:02

Titolo: Hitachi series
Rating: vario (per lo più alto)
Pairing: vari
Genere: raccolta
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone nè di offenderle in alcun modo.
Nota: Come dice il titolo, questa sarà una raccolta di one-shot basate sulle pubblicità degli elettrodomestici Hitachi. Al momento ne ho scritte... due XD Ho le idee piuttosto chiare per almeno altre due, ma poi hanno iniziato a mettere pairing su cui trovo parecchio difficile inventarmi qualcosa.
Diciamo che dovrebbero essere un mucchio di storielle senza nessun valore, che non pretendono essere niente di profondo o di aulico. Davvero davvero.
Però mi sono davvero divertita a scrivere le prime due!

04 - E' un bel nome, per un cane
Pairing: Junba
Rating: PG-13
Note: liberamente ispirata alla pubblicità dell’Hitachi in cui Jun trova un cagnolino per strada e decide di portarselo a casa. E... dopo la prima storia di questa serie (la Sakuraiba) questa è quella che ho scritto più facilmente. Non so, questi due insieme mi piacciono e riesco a farli muovere come voglio io.
Dedico questo post a ichigo_85, perché per colpa della mia febbre durante queste vacanze non ci siamo potute incontrare, e mi è dispiaciuto davvero tanto :( E anche perché per Natale mi ha scritto una Junba tenerissima! So che non è il tuo pairing preferito, ma spero ti piacerà comunque!

“Può lasciarmi qui” dice all’autista, sporgendosi in avanti.
Il suo manager, seduto sul sedile del passeggero, si gira di scatto.
“Ma Matsumoto-kun, siamo quasi arrivati!”
“Appunto” risponde “E poi, ho voglia di fare quattro passi”
“Ma sta piovendo!”
Jun agita davanti a sé un ombrello chiuso, sorridendo al sospiro del manager, segno della sua resa.
Una volta fuori, fa un ultimo inchino rivolto all’auto che si allontana. Apre l’ombrello e inizia a camminare, lentamente, senza alcuna fretta, diretto verso il suo appartamento.
Non ha mai amato particolarmente la pioggia, e soprattutto camminarci sotto, ma, per qualche ragione, ha desiderato farlo in quel momento. Ha voglia di un piccolo istante di pace: una volta arrivato a casa ci saranno panni da lavare, posta da leggere, la vasca da riempire, la cena da preparare... Dopo mesi in cui non si è fermato un attimo, ha proprio bisogno di quei cinque minuti di tranquillità assoluta, in cui l’unica preoccupazione è quella di non mettere i piedi nelle pozzanghere.
Non fosse per il freddo pungente -e per il fatto che sta camminando- potrebbe addirittura addormentarsi lì, in piedi, cullato dal rumore delle gocce di pioggia che ticchettano sull’ombrello. Rilassato com’è, la palazzina in cui abita gli compare davanti un po’ troppo presto, per i suoi gusti; preso a cercare le chiavi nella borsa, si accorge solo dopo un po’ della scatola di cartone lasciata davanti al portoncino, sotto la pioggia.
Sorride, piuttosto divertito “Kimi wa Petto - Il ritorno?” sussurra, per poi ridacchiare: non è un tipo che fa molte battute, ma quando le fa...
Domani lo racconterò agli altri
E in effetti quella situazione ricorda un po’ il drama in cui ha recitato tanti anni fa, con l’unica differenza -se si esclude il fatto che lui non è certo Sumire-chan- che nella scatola non c’è un ragazzino adorabile con i capelli lunghi e permanentati, ma un piccolo, minuscolo cucciolo di labrador, completamente zuppo per via della pioggia.
Istintivamente si inchina, spostando l’ombrello in modo da coprire anche in cagnolino, mentre decide sul da farsi. Normalmente procederebbe dritto, sentendosi sì un po’ in colpa, forse, ma consapevole di non poter fare altrimenti: prima di tutto non può certo portare a casa tutti i cuccioli abbandonati di Tokyo, e poi non importa quanto gli piacciano gli animali, lui non piace a loro, e ha già abbandonato da tempo l’idea di prenderne uno.
Però... questo è proprio carino. E completamente zuppo e tremante. E lo sta fissando con i suoi adorabili occhietti -che gli ricordano qualcuno, ma non sa chi- da dieci minuti. Per essere un po’ più materialista, le ginocchia iniziano a fargli male, a stare così chinato.
Insomma, lasciarlo a passare la notte lì sarebbe un crimine.
Domani lo porto al canile, pensa, risoluto, mentre infila la porta di casa, lo scatolone fra le mani.
Non fa troppo caso al silenzio glaciale che, come ogni giorno, accoglie il suo abituale “Sono tornato”, ma entra subito nella sua stanza, dove, dopo aver posato la scatola in terra, accendo il condizionatore; sia benedetto il giorno in cui l’ha comprato, perché durante quel gelido inverno si è rivelato uno degli acquisti migliori di sempre.
Stende un telo per terra, nello spazio compreso fra il letto e l’armadio, e, armato di asciugamano, va a recuperare il cucciolo dalla scatola.
Si siede sul telo e inizia a strofinarlo con l’asciugamano, mentre nella stanza si diffonde un piacevolissimo tepore. Ed è sorpreso, perché inizialmente si aspettava che il cagnolino cercasse di morderlo o che si ribellasse in qualche modo a lui, così come era successo tutte le volta in cui aveva provato ad avvicinare altri animali (e, paradossalmente, i più feroci nei suoi riguardi sono proprio gli animali cosiddetti ‘domestici’); invece quello sta lì, sopra le sue gambe, che si lascia asciugare tranquillo. Non solo: una volta smesso di tremare dal freddo inizia a leccargli le mani, a strofinarvi contro il nasino. E Jun ci prende gusto, e continua a fargli le coccole anche dopo averlo asciugato completamente.
Quando si ritrova sdraiato per terra, il cucciolo che gli lecca allegramente una guancia, gli è ormai chiaro che NON può portare quel cagnetto al canile, né separarsi in alcun modo da lui: non può proprio farlo, dal momento che quello è il primo animale che abbia mostrato un minimo di amore nei suoi riguardi.
Si sdraia a pancia in terra, continuando ad accarezzare il cucciolo e ripetendosi, con fervore crescente, che loro due sono destinati a stare insieme.
“Ti devo dare un nome, quindi” afferma; il cagnolino lo osserva, con quegli occhioni che continuano a ricordargli qualcosa...
“Masaki”
È il primo nome che gli esce dalla bocca, e senza passare per il cervello; perché, se fosse passato da lì, di certo lui non l’avrebbe MAI detto a voce alta.
Però, riflette, quegli occhi sono proprio identici a quelli del suo collega, tondi e castani; e lo stesso Aiba spesso ricorda un cagnolino, specialmente quando era più giovane.
Ripetendo a se stesso che “Non c’è nulla di male”, ‘Masaki dopotutto è un nome carino, per un cane” e che “Tanto Aiba non lo saprà mai... anzi, non lo saprà mai nessuno”, decide che il cucciolo si chiamerà Masaki. Ma-chan all’occorrenza.
Si sta lavando le mani e il viso -Ma-chan l’ha leccato praticamente ovunque, e lui deve prepararsi da mangiare- quando suonano alla porta; sbuffando -perché non ha proprio voglia di ricevere ospiti- si asciuga e va ad aprire.
E non sa se scoppiare a ridere o far finta di non essere in casa quando, dallo spioncino, vede Aina, in attesa. Quando decide di aprire, il ragazzo gli sorride caloroso e allunga le braccia verso di lui.
“Ti ho portato una piantina”
Jun si passa una mano sul volto, di nuovo indeciso se ridere o mandarlo via. È molto carino che Aiba si sia ricordato di quella volta in cui ha detto di voler aggiungere un tocco di verde al suo appartamento, ma è stupito dal fatto che il ragazzo pensi che la sua piantina gli possa aprire tutte le porte, compresa quella di casa sua.
“Entra” dice alla fine, prendendo il dono e posandolo da una parte. Aiba si sta togliendo il giaccone quando, in lontananza, si sente abbaiare. E, Jun lo vede chiaramente, in quel momento gli occhi del ragazzo si illuminano. Questo butta la giacca su un divano e corre verso la fonte del rumore; subito, Jun scatta al suo inseguimento, e riesce ad arrivare nella sua stanza proprio quando il Masaki umano ha le braccia tese verso il Masaki cane.
“No! Fermo!!”
Deve sembrare piuttosto disperato, perché il cucciolo fa un salto e Aiba lo guarda con aria spaventate. Meglio così: non può permettere che Aiba, l’amico degli animali, approcci il suo Ma-chan. Sarebbe la fine.
Aiba lo sta ancora guardando, probabilmente in attesa di una spiegazione.
“Non voglio che ti conosca” dice, convinto “Altrimenti farà il paragone fra noi e non mi vorrà più”
Aiba spalanca gli occhi, ma non dice nulla: si limita ad allontanarsi un po’ e a sedersi per terra.
Lieto di aver scongiurato il pericolo, Jun sta per chiedere al ragazzo se ha voglia di cenare, ma Aiba lo precede “Però è fantastico, no?” dice, con aria svagata.
“... che cosa?”
“Hai detto ‘non mi vorrà più’. Questo significa che è il primo animale che ti accetta. E’ fantastico”
Lo dice sorridendo e guardando il cucciolo, sempre mantenendosi a una debita distanza, e in quell’istante Jun realizza che c’è un’altra somiglianza, fra i due Masaki. Uno è stato il primo animale ad averlo accettato, l’altro è stato il primo essere umano, escludendo la sua famiglia.
Masaki è stato una presenza ingombrante nella sua vita durante la fine dell’infanzia, l’adolescenza, e durante il percorso per diventare uomo, per decidere il tipo di persone che voleva essere. E in tutto quel tempo Aiba non ha mai visto la sua bellezza, la sua sicurezza, il suo essere fiero e glaciale; ha sempre visto le sue sopracciglia troppo spesse, la sua insicurezza e la sua timidezza. Non si è mai preoccupato della ‘star’, ma solo di ‘Jun-pon’.
Per quanto anche gli altri membri degli Arashi e i suoi amici più stretti sappiano che lui non è affatto glaciale come può sembrare, solo con Aiba riesce ad aprirsi, ad essere completamente se stesso.
Dimentico della cena, si siede per terra con un sospiro “L’ho chiamato Masaki” mormora.
Aiba non gli chiede il perché, non dice nulla, ma sorride.
Ed è in momenti come quelli che Jun si rende conto di essere il più giovane dei due. Normalmente sembra l’opposto: lui così serio sul lavoro, ordinato, maniaco della perfezione, e Aiba così spensierato, disordinato, naturale. Eppure, quando Masaki gli sorride in quel modo, non può fare a meno di sentirla, la differenza d’età.
E vorrebbe sciogliersi in quel sorriso, o fagocitarlo per averlo sempre con sé a rassicurarlo, a dirgli che lui va bene così com’è, che non c’è bisogno di sforzarsi tanto per sembrare più forte, più sicuro, più adulto.
Inconsciamente allunga una mano fino a poggiarla su quella di Aiba, stringendola; non lo guarda in viso, perché se ne vergogna, ma sa che l’altro non ha smesso di sorridere, anzi: forse il suo sorriso si è anche allargato. Solleva lo sguardo solo quando il volto di Aiba è quasi incollato al suo; non fa in tempo ad aprire la bocca per dirgli di allontanarsi immediatamente -che poi, vuole davvero che lo faccia?- che l’altro ha le labbra premute contro le sue.
Dura qualche istante, forse due secondi scarso, e Aiba si allontana un po’; e. come da riflesso, Jun allunga il collo andando a rincorrerlo, baciandolo, questa volta, di sua iniziativa. Sente l’altro sorridere contro la sua bocca -tanto che, a un certo punto, si ritrova a baciargli i denti, anzi che le labbra- ma, piuttosto che cacciarlo fuori di casa a calci, gli mette una mano sulla nuca e lo avvicina di più a sé.
Senza sapere come, in breve si ritrova lungo disteso per terra, preso a baciare ogni centimetro del viso di Masaki, una mano già sotto il suo maglione; si blocca solo quando sente Masaki -l’altro- guaire.
Apre gli occhi, tornando padrone di sé, e vede la faccia rossissima di Aiba, il quale lo guarda ad occhi socchiusi “In questa casa si cuoce, Jun-pon...” rantola, la voce roca.
Jun annuisce e si sposta da sopra di lui per andare ad abbassare la temperatura del riscaldamento; nel mentre Aiba è rimasto sdraiato per terra in modo scomposto, così come l’ha lasciato. Jun gli si siede accanto a gambe incrociate “Non mi hai chiesto perché gli ho dato il tuo nome” borbotta.
Aiba distoglie l’attenzione dal soffitto e poggia gli occhi -spalancati, tondi, come quelli di Ma-chan- su di lui “Perché siamo entrambi carini?”
Rotea gli occhi “Perché Masaki è proprio il nome più adatto per un animale” ribatte, l’altro ride e torna a guardare in alto, le mani sotto la nuca.
“Non volevo metterti in difficoltà: so quanto Ju-pon si imbarazza quando deve parlare di sé e non di Jun Matsumoto”
Non sa se abbracciarlo commosso od offendersi perché non vuole sentire la ragione dietro la sua scelta; s asolo che Aiba è riuscito comunque a metterlo in difficoltà, anche senza volerlo. Non sapendo che reazione mostrare, afferra il cucciolo e riprende a coccolarlo, evitando di guardare il ragazzo disteso accanto a lui. Questo, dopo una decina di minuti si alza con un colpo di reni, esclamando: “Aaaah! E io che pensavo che la mia piantina ci avrebbe portati dritti a letto! E invece...”
“Cosa??” esclama Jun, guardandolo oltraggiato “Dunque erano queste le tue intenzioni!”
Aiba digrigna i denti con aria scaltra -così simile a Nino che fa un po’ paura.
“Naturalmente!”
“Beh, puoi scordartelo” dichiara, tornando a dedicare le sue attenzioni al suo Ma-chan -quello carino, innocente e senza doppi fini. Ma sa di essere arrossito violentemente perché, in effetti, non gli dispiacerebbe per niente, considerando che sono secoli che lui e Aiba non stanno un po’ da soli. Ma questo il diretto interessato non lo saprà mai, ovviamente. Non ora, almeno; più tardi, forse...
“Bene, che ne dici allora se ti preparo qualcosa da mangiare? Sto morendo di fame” esclama uscendo dalla stanza.
Jun scatta in piedi, seguendolo “No, grazie: vorrei poter usare la cucina anche nei prossimi giorni”
“Crudele!”
Mentre preparano la cena -lui cucina, Aiba fa l’elenco delle cose che deve comprare per prendersi cure di Ma-chan, e in generale dà fastidio- Jun realizza , per l’ennesima volta, che Aiba gli piace. Non lo dirà mai, né al diretto interessato né ad altri, ma gli piace da morire. Gli piace in un modo egoista, perché lo vorrebbe tenere solo per sé. Non perché è bello, nemmeno perché è simpatico, divertente, spontaneo e gentile con tutti. Gli piace perché con lui può essere pienamente se stesso, smettere di controllarsi, smettere di preoccuparsi, perché sa che l’altro lo accetterà e gli resterà accanto, come fa da più di quindici anni.
Con lui può essere, semplicemente, Jun-pon -il che, in fondo, non gli dispiace affatto.
“AIBA! Fuori da questa casa, subito!!!”
“No!! Perdonami!” grida Aiba tra le risate, chino cercando di raccogliere i cocci del piatto che ha appena rotto. Dalla sua stanza, Ma-chan prende ad abbaiare.
Poche ore prima, uscendo dalla macchina, Jun si stava pregustando una serata di assoluto relax. Ora, invece, si ritrova in casa due animali rumorosi.
Non proprio quello che aveva in mente.
Ma, pensa, va bene anche così. Anzi, è anche meglio.

pair: junba, people: matsumoto jun, people: aiba masaki, r: pg-13, ff: italian

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