OTP- Friedrike/ Ludwig

Oct 10, 2011 22:37

Titolo: L’ultima notte delle Spine
Prompt: 16- "2a.m”.
Fandom: Ludwig
Personaggi: Ludwig, Friedrike
Rating: G
Avvertenze: Missing Moment
Disclaimers: I personaggi di questa storia non mi appartengono, ma sono proprietà d Kaori Yuki
Riassunto : L’unica donna per cui aveva decretato che le unghie rotte non erano un problema. L’unica donna per cui aveva rinunciato alle sue folle pretese sulla forma fisica delle sue pretendenti spose. L’unica donna per cui si fosse mai dimostrato davvero pietoso. L’unica donna per cui si fosse pentito di essere stato meschino. L’unica donna per cui si fosse mai dimostrato innamorato. MA CHE CAZZO!!!!! Te ed i tuoi drammoni della ceppa Kaori Yuki!

“E per la prima volta in tutta la mia vita, ho odiato la crudeltà delle mie spine.”

Era buio. L’aria era fredda ed impregnata dell’odore dell’erba umida. L’enorme figura avvolta dai rovi si  affacciò sulle mura del castello, contraendo da una parte i rovi e dall’altra distendendoli, come se si fosse svegliata  in quel preciso momento, pronta a cacciare un nuovo stupido pretendente.
Molti erano giunti fin lì. Molti erano periti sotto le sue dolorose spine, stritolati dagli enormi rovi, come se fossero fatti d’acciaio. Non era una strega, non lo era mai stata, ma il suo dolore l’aveva trasformata in un mostro, uccidendo chiunque provasse ad entrare nel castello. O nella sua anima, per lei era assolutamente la medesima cosa. Da quanto tempo era ridotta così? L’intero regno era così antico che nemmeno se ne sapeva il nome. Lei stessa era così antica che non aveva un cognome. Ma non aveva assolutamente importanza: aveva vissuto nella menzogna per tutta la vita, e preferiva cancellare il suo nome, quello che era stata, e vivere per sempre in un angolo di folle pace apparente, dove i campi fioriti della sua mente potevano esplodere da un momento all’altro.
Non sapeva nemmeno più quale fosse il suo aspetto o se ne avesse ancora uno concreto, da qualche parte, in quella morta fortezza avvolta dall’odio e dal rancore. (+329342934930909030)
Urlava, nel crepitio dei rovi che si muovevano su per le mura, giù per le merlate, sopra i portoni e dentro le stanze infreddolite dagli inverni passati. E sapeva che tutti, al villaggio, si sarebbero tenuti lontani. L’avrebbero temuta, si sarebbero spaventati di fronte alla sua crudeltà, e non sarebbero mai venuti a salvarla. Eppure lei desiderava che la salvassero. Voleva terminare quell’insensata maledizione che la ricopriva di rampicanti spinati.
Le cicale suonavano la loro melodia sotto un cielo stellato perfetto. La luna illuminava la radura di fronte al castello, mentre le lucciole ciondolavano nei loro movimenti da insetto da una parte all’altra del prato selvatico. Poteva ancora annusare l’aria limpida di quella notte, ma a respirare a pieni polmoni, un senso amaro la pervadeva, come se stesse facendo qualcosa che non le era consentito. Come se assistere alla notte che sbocciava fosse uno spettacolo di cui non poteva gioire, che doveva ignorare, continuando nel suo lavoro di assassina, rintanandosi sempre più fra rovi e spine.
Nessuno sarebbe arrivato a salvarla. Nessuno sicuramente si sarebbe dato pena di capire perché era rinchiusa in quella maledizione. Lei sognava, nel suo giardino fiorito. Sola, fra i petali profumati.
Camminava fra gli steli d’erba. Fino ad incontrare il fiore maciullato dalla pallottola, e poco vicino, il foro del proiettile. L’uomo che aveva disturbato il suo riposo, che l’aveva offesa, segnata nel luogo più protetto.
L’uomo più crudele e meschino che mai avesse calcato il suolo del suo ormai decaduto regno.
E quando lo vide arrivare al castello, al chiaro di luna, una luce strana riluceva nei freddi occhi azzurri. Tremò, e nel fremito tutti i rovi si agitarono, iniziando a saettare con lugubri fischi, pronti a colpire.
Ma non se ne andò.
Per quanto l’avesse offesa, avesse dichiarato la sua superbia e celebrato se stesso come incapace di capirla, era lì, e non volle andarsene.
Ed anche se giunse davanti a lui, in tutta la sua forma maledetta, questi non fece un solo movimento.
Le lucciole danzarono ai loro piedi, come ad unirli in un dialogo fatto apposta per loro e che nessuno avrebbe mai potuto ripetere o comprendere in tutti gli anni a venire.
E le mostrò la verità, sotto le stelle, che ad avere un’anima avrebbero pianto ad assistere a quella scena, mentre i rovi che avevano intrappolato nelle spire centinaia di cadaveri si scioglievano, liberando le ossa e le anime dei caduti. Non era solo frutto di qualche incantesimo. Non era solo un pessimo ingranaggio a cui avevano assemblato una buona macchina.
Lei era vera. Non aveva bisogno di negare se stessa. E lui lo aveva capito.
Egli entrò, e corse subito da lei, per abbracciarla. Le fece vedere l’orologio che lei aveva gettato nel campo di fiori.
“2 A.M.”
“Dormivi?” sussurrò in un ghigno divertito.
“Mi sono appena svegliata, per te.” Rispose, prima di baciarlo la prima e l’unica volta in tutta la sua vita.

fan-fiction

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