To pretend

Sep 01, 2012 21:57

Titolo: To pretend
Rating: Pg13
Personaggi: Lo scoprirete alla fine u.u
Avvertimenti: Post S02E03
Genere: Anywhere but here
Prompt: Rotto
Riassunto: Tornare a casa, non trovare nessuno e sedersi sulla sua poltrona.

Torni a casa sul finire della giornata, la borsa in mano. La poggi a terra e ti guardi intorno. Non sembra nemmeno casa tua. Il buio avvolge ogni mobile, facendoli apparire come fatti di legno bruciato, di carbone. Sbuffi, c’è decisamente troppo silenzio. Cammini per la stanza, sentendo l’odore di polvere da sparo, come se ancora aleggiasse nell’aria.

Ti avvicini alla poltrona, la sua poltrona, l’accarezzi. Ne senti quasi il suo profumo. Sorridi, ripensando a quando quell’ultima volta ti aveva guardato e ti aveva preso senza nemmeno chiederti il permesso, proprio su quella poltrona. Era stato passionale, intenso, come se sapesse cosa sarebbe successo.

Ti era persino venuto mal di testa, ma sicuramente era perché ti aveva stretto una mano intorno al collo, nell’impeto del possederti fino in fondo.

Passi una mano sullo schienale e ti chiedi se quei tagli e quelle increspature non siano colpa tua. Pelle squarciata, rotta, eppure ancora morbida; forse graffia un po’ ai margini di ogni ferita, ma è sempre piacevole al tatto. Forse anche un paio delle molle che la sostengono sono ormai da buttare.

Sorridi, ne avete davvero fatte di porcherie su quella poltrona.

Ti ci siedi sopra, sprofondandoci quasi. Ghigni, sicuramente lui si arrabbierebbe con te. Era molto possessivo con le sue cose, tra le quali ovviamente rientravi tu.

«Quella è la mia poltrona.»

Sorridi, chiudendo gli occhi. Gli chiedi scusa mentalmente, con uno sguardo pentito così finto che non ci cascherebbe nessuno.

Lui ti guarda, sorride, se quello può considerarsi un vero sorriso e si sporge su di te, appoggiando le mani sui braccioli. Ti bacia e tu assapori le sue labbra, pensando a come è impossibile dimenticare quel gusto.

«Fai finta ancora che io non sia morto?»

Tu annuisci, gli spieghi che non potresti farcela altrimenti, non riusciresti ad alzarti ogni mattina, ad uscire, a lavorare, a mangiare. Un cuore rotto, pieno di ferite dai margini graffianti come la pelle della sua poltrona.

Lui ti guarda, i suoi pensieri schermati, come sempre. È lusingato? Deluso?

«Allora facciamo finta.»

Ti tocca il collo, quel punto appena sotto l’orecchio che sa farti impazzire, ti accarezza il viso e ti solleva la maglia per accarezzare il petto e quella cicatrice che amava stuzzicare. Senti ancora il bruciare della polvere da sparo dentro la pelle quando te la sfiora. Ovviamente lui usa la tua mano per toccarti, ma glielo perdoni, in fondo è morto.

E l’altra mano scivola velocemente nei pantaloni, perché lui non ama i preliminari, ama fare in fretta, vederti sporco e insicuro per un attimo subito dopo l’orgasmo, ama sorridere del tuo fiatone.

Hai movimenti precisi, di chi conosce bene il suo corpo e lo ha fatto mille volte in quest’anno di solitudine. Gemi, spingendo col bacino verso la tua stessa mano, verso la sua mano.

Vedi il suo sorriso mentre l’orgasmo sale e ti spezza il fiato. Ti pieghi in avanti, venendo. La sua figura si fa più flebile ora, svanisce affogando nel mare di endorfine che ti scorrono in vena.

«Lui è ancora vivo, mentre io sono morto. Uccidilo Sebastian, vendicami.»

Annuisci, vedendolo sparire.

Prendi il fucile che sta accanto e lo lucidi.

Ancora un po’ di pazienza.
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