Titolo: The scars of your love they leave me breathless
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Takaki Yuya x Chinen Yuri, Takaki Yuuki (OC)
Rating: SAFE
Avvertenze: Slash, AU! ('verse yakuza. vai a *
questo* link per ulteriori informazioni)
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Raccolta di ficlet incentrate su Chinen Yuri e sul suo rapporto con Yuya e Yuuki.
Note: Scritta per il Sillabario di
maridichallenge. Ogni ficlet è di 131 parole.
WordCount: 3406
fiumidiparole **
Aiuto
Chinen aveva pensato mille volte di chiedere aiuto, di tentare di scappare, di fare qualunque cosa per sfuggire alle torture di Yuya.
Le aveva pensate tutte, ma messa in atto nessuna.
Suo malgrado, era terrorizzato da Yuya.
Ogni volta che uscivano incrociava gli occhi degli sconosciuti e si chiedeva se loro riuscissero a leggere nel suo sguardo la disperazione che provava
Forse sì, forse no.
Nessuno comunque gli aveva mai dato quell’aiuto di cui aveva bisogno.
Yuri sospirò, seduto nella macchina di Yuya, diretti a Yokohama. Avrebbe dovuto rassegnarsi, dopo un anno. Ma non ci riusciva.
Non si sarebbe spezzato sotto Yuya, mai.
Avrebbe continuato a sopravvivere, giorno dopo giorno, ingoino il dolore e la rabbia.
Sarebbe tutto finito, lo sapeva. Doveva pazientare solo un altro po’.
Solo un altro po’.
Ballo
A Yuri piaceva ballare, anche se non lo faceva spesso. Non era intenzionato a dare a Yuya l’ennesimo motivo per sfotterlo.
Grazie, ma no grazie.
Eppure gli capitava, in solitudine, di accennare passi di danza e di guardare avidamente i programmi televisivi.
Quando lo faceva si sentiva un po’ di più attaccato alla realtà, un po’ più vivo. Gli sembrava di poter andare avanti così, di poter dire di essere qualcosa di più di un relitto umano abbandonato dalla propria famiglia.
Gli piaceva sentirsi libero, anche se quella sensazione durava poco. Quando Yuya tornava a casa, aveva l’impressione di scivolare nuovamente nel proprio baratro oscuro.
Ma stava imparando a conviverci, con Yuya.
Piano piano, passo dopo passo.
Era solo questione di tempo, si diceva.
Doveva solo provare ancora.
Passo dopo passo.
Cicatrici
In albergo Yuri non ebbe nemmeno il tempo di chiudersi la porta alle spalle che Yuya prese a baciarlo, stringendolo a sé.
Le mani di Yuya avevano già iniziato a toccarlo e il più piccolo represse un gemito nella bocca dello yakuza. Erano settimane che non si lasciavano andare e nel giro di un momento erano già nudi, stesi sul letto, a toccarsi, gemere, baciarsi, fare sesso come due animali.
Quando ripresero il controllo, Yuya lo strinse a sé.
«Quello che hai fatto oggi, toglierti la maglietta di fronte a tutti, mostrare apertamente le tue cicatrici… deve essere stato difficile.» mormorò.
Yuri alzò la testa, baciandolo.
«Questo sono io. Non mi vergogno di ciò che ho passato. Sono un sopravvissuto.» sussurrò «Te e Yuuki siete tutto ciò di cui ho bisogno.»
Devozione
Ogni volta che osservava Kota e Kei, Yuri aveva sempre sentito una specie di groppo in gola, come se fosse un’invidia malcelata.
Conosceva bene la storia dei due amici e l’unica parola che gli veniva in mente era “devozione”
Nuda e cruda.
Kota aveva letteralmente sacrificato sé stesso per Kei, lo aveva accudito e amato come nessuno al suo posto avrebbe fatto.
Chiunque lo aveva abbandonato a Kei. Era più semplice lasciarlo indietro, che prendersene cura.
Aveva sopportato tutto Kota, a testa alta, senza mai lamentarsi.
Devozione mista ad un amore semplicemente incrollabile.
Yuya una volta invece l’aveva definitiva “stupidità”. Forse aveva ragione, Yuri non avrebbe saputo dirlo, ma qualunque cosa spingesse Kota ogni giorno ad andare avanti, sapeva che lo ammirava.
Forse, in fondo, devozione e stupidità erano solo sinonimi.
Etichetta
Yuri non era mai stato un tipo che pretendeva delle “definizioni” o delle “etichette”. Yuya lo amava. Sapeva che era così. Lo aveva mostrato, a modo suo. Gli aveva fatto capire cosa provava, aveva fatto dei sacrifici per lui, reprimendo un lato di sé che nessuno credeva sarebbe riuscito a domare.
Ma lo aveva fatto per lui. Perché lo amava. Perché teneva a lui.
Perché voleva renderlo felice, tentare di redimersi per tutti quegl’anni in cui lo aveva torturato e schiavizzato.
Era difficile e lo sarebbe stato sempre, ne erano consapevoli. Non sarebbe stato facile tentare di far convivere quel passato scomodo e quel futuro incerto, ma ci avrebbero provato.
Yuri non necessitava nulla che definisse quel rapporto morboso che li legava, ormai a vita.
Nessuna etichetta.
Solo Yuya e Yuri.
Figlio
La prima volta che aveva posato gli occhi su quel piccolo fagotto addormentato, Yuri aveva subito provato una stretta al cuore.
Sembrava così piccolo e indifeso fra le braccia di Yuya che Yuri non riusciva a fare a meno di chiedersi come quelle enormi mani riuscissero ad essere così tremendamente delicate.
Yuya si avvicinò al fidanzato, senza staccare gli occhi dal neonato.
«Yuya, dove lo hai preso?» mormorò in un soffio, allungando un dito per sfiorare la guancia del bambino.
«Era al capannone. Ho pensato che meritasse una vita migliore. Con te.»
Aveva smesso di chiedersi perché genitori vendessero figli, ma lo stomaco di Yuri si contrasse ugualmente.
Poi sorrise.
«Non solo con me Yuya. Anche con te.»
Yuya ricambiò il sorriso, stringendo a sé il bambino.
«Benvenuto a casa Yuuki.»
Gelosia
Yuri non si definiva una persona gelosa. Aveva fiducia in Yuya, sapeva che non lo avrebbe tradito.
Yuya aveva molte sfaccettature, ma non era un bugiardo.
Eppure, fermo in mezzo alla strada, qualcosa gli fece stringere il cuore.
Yuya e una donna, seduti in un cafè, che parlavano con aria complice e Yuri strinse nella propria la piccola mano di Yuuki.
Yuya lo notò, gli sorrise e gli fece cenno di entrare, di raggiungerlo. Lentamente Yuri obbedì, prendendo Yuuki in braccio, avvicinandosi al tavolo.
Notò subito fogli, mappe, appunti, grafici e la stretta sul suo cuore si allentò.
«Yuri, lei è i miei occhi oltre Shibuya, Kaori Takimura. Kaori-san, loro sono Yuri e Yuuki.» spiegò orgoglioso.
Yuya sorrise nuovamente, il gelo nel petto di Yuri si dissolse.
Stupida e inutile gelosia.
Incontro
Yabu Kota era il braccio destro di Yuya, quasi una figura mitologica. Da quando abitava con Yuya non lo aveva ancora incontrato. E in quanto braccio destro, Yuri si immaginava qualcuno di… molto più terrificante.
Stile Yuya.
Invece gli era sembrato un normale ragazzo, come uno di quelli che avresti potuto incontrare al conbini, come commesso.
Il loro primo incontro era stato disastroso. Kota aveva le chiavi di casa di Yuya e quel giorno era entrato senza avvisare.
Yuri era steso sul divano, mentre Yuya in doccia.
Kota lo aveva visto nudo e sanguinante e singhiozzante e ferito (anima e corpo) e Yuri non aveva mai provato così tanta umiliazione in vita sua.
Ancora non sapeva Yuri che nel giro di qualche anno, Kota sarebbe diventato per lui, come un fratello.
Jounetsu (Passione)
Se c’era una cosa che Yuri amava da quando la sua vita era cambiata (post Yamada e post Sendai), era fare sesso con Yuya.
Si era accorto del cambiamento dell’altro, del proprio. Il loro modo di approcciarsi era diventato completamente diverso.
C’era passione e voglia, di sentire i loro corpi che si uniscono, pelle contro pelle, respiro dentro respiro.
Yuri non aveva più paura delle mani di Yuya quando si avvicinavano, ma le bramava. Voleva sentire il tocco ruvido e impaziente delle sue mani contro di lui. Gravitava intorno a Yuya, ne necessitava.
Continuava a marchiarlo, ma in maniera diversa. Lo possedeva come si possiede un fidanzato, non come un oggetto.
E Yuri sperava che quella passione, quella voglia non abbandonassero mai gli occhi di Yuya ogni volta che lo guardava.
Hikaru
Lo shatei si muoveva dentro i lui come se avesse intenzione di godersi ogni istante con lui.
Yuri gemeva stringendogli le mani sulle spalle. Avrebbe voluto ansimagli di muoversi, che Yuya avrebbe potuto tornare da un momento all’altro.
Ma non lo avrebbe fatto. Quella situazione gli piaceva.
Realtà, sogno, rischio e pericolo che si mischiavano.
Quando Hikaru venne dentro di lui Yuri lasciò ricadere la testa all’indietro, aprendo gli occhi mentre il terrore gli attanagliava lo stomaco.
Yuya li fissava e già si immaginava morto, ma l’altro non fece nulla. Semplicemente se ne andò, abbandonandolo.
Yuri rimase in silenzio a fissare oltre Hikaru. Yuya non aveva fatto nulla e Yuri non capiva il perché, ma avrebbe desiderato il contrario.
Una qualunque prova del fatto che Yuya tenesse a lui.
Invece niente.
Kyohei
A volte Yuri si chiedeva come fosse possibile che dei bambini senza alcune legame di sangue con i genitori potessero invece assomigliargli così tanto.
Come Kyohei.
Aveva solo sedici anni, ma già la consapevolezza di come potesse essere facile far cadere ai propri piedi un uomo, esattamente come Kei.
E gli faceva quasi tenerezza vedere come Yuuki, così sorprendentemente simile a Yuya, ci fosse caduto con tutte le scarpe.
E Yuri non poteva impedirsi di sorridere.
Dietro ogni gesto e attenzione di Kyohei per Yuuki si nascondeva un amore così solido profondo e unico per quell’età che quasi lo spaventava.
Qualcosa di spiegabile, come se quel filo rosso esistesse davvero.
Erano anime gemelle. Erano destinati.
Un po’ come, a modo proprio, anche Yuri e Yuya lo erano.
Nonostante tutto, era felice.
Lacrime
Yuri aveva pianto qualche volta. Ma mai in quel modo. Yuya, sul pavimento sudicio del magazzino era immobile. Quando lo aveva visto qualcosa nel suo corpo aveva smesso di funzionare. Non riusciva a respirare, a pensare, a mantenere il controllo di sé stesso.
Piangeva e tremava, accanto a Yuya, scuotendolo, prendendogli a pugni il petto, tentando di controllarsi.
Poi, quasi all’improvviso, gli parve di sentire Yuya muoversi.
Erano solo piccoli movimenti, quasi impercettibili e temette di esserseli immaginati, ma poi, mentre le lacrime si asciugavano, la udì.
La voce di Yuya.
«Ma guarda…» rantolò schiudendo gli occhi «Dovevo quasi morire per vederti piangere?»
Yuri annaspò qualche secondo prima di scivolare a terra, senza parole.
Poi gli prese la mano, stringendola debolmente, chinandosi sul petto ascoltandogli il cuore battere.
«Sei un’idiota.» sorrise
Morire
Non poteva essere così male, morire. Ci aveva pensato più e più volte. Non era sicuro di quanto ancora avrebbe ancora sopportato Yuya e le sue torture.
Magari uccidersi era più dignitoso, risparmiandosi sofferenze e pianti.
In fondo, cosa lo legava a Yuya? Cosa lo legava alla vita? Chi o cosa stava aspettando ancora?
Ma era troppo orgoglioso, anche per uccidersi.
Yuri si lasciò ricadere sul letto, nascondendo i sonniferi dentro il comodino.
Si passò le mani sul volto, irritato dalla propria codardia.
Alla fine si trattava solo di quello. Non aveva il coraggio e si chiese se Yuya si sarebbe sentito responsabile ma probabilmente no.
Era abituato ad avere coscienza e mani sporche di sangue, lui.
Forse Yuya aveva ragione, come sempre.
Non aveva nemmeno il coraggio di morire dignitosamente.
Nulla
C’era un vuoto nel suo petto. Yuri lo sapeva. Emozioni e sentimenti sotterrate dalla costante violenza di Yuya.
Il nulla si allargava, giorno dopo giorno, inglobandolo. Come Yuya però, anche lui era diventato un assassino.
Con le mani sporche di sangue dei propri genitori, aveva ucciso shatei rivali.
Per salvare Yuya, ferito.
Voleva fare qualcosa, ma la consapevolezza di ciò che era diventato lo aveva destabilizzato.
Avrebbe dovuto provare qualcosa.
Disgusto, orrore.
Invece nulla. Vuoto.
La mano che impugnava la pistola tramava leggermente, ma non riusciva a fermarla.
Era diventato assassino e mosto crudele, senza cuore, rinchiuso in un vortice di violenza che culminava con Yuya.
Aguzzino, droga e salvezza nello stesso momento.
Quel nulla che aleggiava intorno a Yuya lo aveva carpito, uccidendolo lentamente.
Ma sarebbe sopravvissuto.
A qualunque costo.
Odio
Era stato un sentimento facile da provare per Yuri.
Odio per i suoi genitori.
Odio per la Yakuza, per Yuya.
Odio per sé stesso.
Odio. Puro e semplice.
Yuri sapeva che era proprio quell’odio a mantenerlo in vita.
Non speranza o fiducia.
Odio. Nudo e crudo.
Non era qualcosa che poteva spiegare a parole. Era un sentimento che gli partiva dallo stomaco, che cresceva e cresceva senza sosta.
E Yuri lo aveva alimentato, senza nemmeno vergognarsi di come fosse disumano il modo in cui si trattava.
A volte si tagliava, proprio come avrebbe fatto Yuya.
Lui non se ne era accorto.
Ad ogni taglio, l’odio cresceva, la rabbia si moltiplicava. Socchiuse gli occhi, sentendo la soluzione scivolare via, con il sangue.
Era intrappolato nel proprio odio, in attesa di essere consumato.
Papà
Yuri rimase sulla soglia, ascoltando Yuuki parlare a Yuya, dopo tanti anni. Socchiuse gli occhi.
Il rapimento di Yuuki, la corsa in ospedale per Yuya. Lo aveva creduto morto.
Altre cicatrici invisibili che non lo avrebbero abbandonato.
Yuuki parlava piano, Yuya rimaneva in silenzio, in attesa del verdetto finale.
«Ti ho odiato. Per quello che hai fatto a Papa, per quello che fai per vivere. Per anni ho pensato che fosse solo un piano di Papa per sopravvivere alle tue torture. Poi sei stato ferito… L'ho visto piangere per te. Non era una finzione.»
Yuya abbozzò un sorriso triste.
«Ho una partita del campionato giovedì. Puoi venire se vuoi. Papà.»
Yuri aveva visto piangere Yuya solo una volta, ma adesso era diverso.
Erano lacrime di gioia.
La sua famiglia era tornata.
Quiete
Yuri frequentava l’ambiente della Yakuza da abbastanza anni per poter riconoscere la famosa “quiete prima delle tempesta”.
Camminava per le strade di Kabuki-cho e percepiva che c’era qualcosa di strano.
Una sottile tensione nell’aria, di quelle infide, che scivola sotto pelle.
Yuya era nervoso e passava intere ore chiuso nel suo studio, spesso nemmeno mangiava.
Quella sera Yuuki si era addormentato presto e Yuya lo aveva raggiunto sul divano, rimanendo in silenzio. Yuri socchiuse gli occhi.
«Hai problemi con l’Akai-chou.» affermò.
Yuya annuì. Dopo tutti quegli anni avrebbe dovuto smetterla di stupirsi della perspicacia di Yuri.
«Ci sarà una guerra per il possesso di Meguro. Hanno sconfinato.» decretò.
«Prometti di fare attenzione?» mormorò piano.
«Nessuno può sconfiggere Takaki Yuya.»
«Tranne me.» replicò Yuri sorridendogli.
«Va bene così.» sussurrò sulle sue labbra.
Rimpianto
Yuri si era chiesto solo una volta come avrebbe potuto essere la sua vita se quel giorno avesse scelto Hikaru.
Se fosse scappato via. Una vita normale, un fidanzato normale, la possibilità di lasciarsi definitivamente il passato alla spalle.
Poter uscire senza sentire il peso di quelle cicatrici, affondarlo, lentamente.
Eppure, per quanto ci pensasse intensamente, non riusciva a figurarselo. Dentro i sé sapeva che era irrealizzabile.
«Pà!» urlò Yuuki, scuotendolo dai suoi pensieri «Dov’è la mia divisa? Ho la partita!»
«Al suo posto nell’armadio.» replicò con uno sbuffo divertito.
Yuri allungò sovrappensiero la giacca verso Yuya e quest’ultimo lo baciò.
«Ti amo.» mormorò spontaneamente «Prima… sembravi depresso, quindi…» concluse imbarazzato.
Yuri ricambiò il sorriso.
Non aveva rimpianti per aver scelto Yuya, perché sapeva ciò che non avrebbe avuto.
Una famiglia.
Scuola
A Yuri piaceva andare a scuola. Gli era sempre piaciuto studiare, scoprire cose nuove.
Era sempre stato curioso i sapere tutto di quello che lo circondava.
Poi i suoi genitori lo avevano venduto, Yuya lo aveva comprato e lo studio era passato decisamente in secondo piano.
Tornare a scuola era stato come tornare a respirare dopo tanto tempo liberatorio e pacifico.
Si trovava bene a scuola.
Là quasi nessuno gli prestava attenzione. Nessuno, o quasi, parlava di lui come la puttana di Takaki Yuya
Un ragazzo si sedette accanto a lui in biblioteca. Sembrava timido e gli ispirò subito fiducia.
«Sono Chinen Yuri. Quello nuovo.» si presentò.
L’altro abbozzò un sorriso imbarazzato.
«Okamoto Keito.» mormorò arrossendo.
Chinen sorrise come una ragazzina .
Yuya lo avrebbe preso in giro fino alla morte.
Tatuaggio
Quando era piccolo a Yuri non piaceva i tatuaggio di Yuya. Non ne aveva mai trovato un vera e propria utilità, anzi, a volte da piccolo ne era terrorizzato.
La prima volta che si era trovato faccia a faccia con quel tatuaggio aveva tredici anni, quando Yuya si era spogliato.
La leggenda del Nishikigoi, gli avrebbe raccontato tempo dopo.
Un’intera storia racchiusa in un unico disegno sulla schiena di un uomo.
Ora, nel presente, in piena tranquillità, Yuya gli dava nuovamente la schiena e Yuri osservò come al tendersi del muscoli, il dragone sembrasse muoversi, i fiori scuotersi, l’acqua scorrere.
Si era semplicemente incantato.
Linee dritte, colori decisi, senza compromessi, come Yuya.
Improvvisamente non ebbe più paura e riuscì a guardarlo per quello che era realmente.
Un’opera d’arte, niente di più.
Ubriaco
Yuri era abituato a Yuya ubriaco. Erano già sei anni che stavano insieme e gli era anche capitato di dover andare a recuperare i resti della sua dignità ai bar fuori da Kabuki-cho.
Raramente però era capitato che avesse scatti violenti, come in quel momento.
Non era un bello spettacolo Yuya fuori controllo.
Si portò una mano alla bocca, ingoiando il sangue. Il primo schiaffo era arrivato all’improvviso, ma riuscì ad evitare il secondo. Sentiva il respiro pesante e spezzato in gola, osservava Yuya come un animale braccato.
Si lanciò da un lato, evitando un pugno e fuggì dalla cucina, scappando in salotto. Ma Yuya era sempre veloce e lo buttò contro il muro, stringendogli debolmente la mano intorno alla gola.
Osservò Yuya negli occhi. Li aveva lucidi.
«Amavi Hikaru?» biascicò.
Vacanza
Okinawa era bella proprio come se la ricordava. Yuri e Yuya c’erano stati prima dell’arrivo di Yuuki, poi negli anni a seguire non si erano spostati più di tanto.
C’era stato il lavoro di Yuri, le guerre fra yakuza di Yuya, l’allontanamento di Yuuki.
Finalmente erano tornati una famiglia e si erano ritagliati del tempo per riassestarsi.
La spiaggia era piena di gente e Yuri scoppiò a ridere nel vedere figlio e fidanzato, già in mare, che giocavano come due bambini.
Poi Yuya si fermò e allunò una mano verso di lui, invitandolo ad entrare. Yuri osservò la maglietta a maniche lunghe che indossava poi la folla intorno a lui.
Infine decise di abbandonare ogni paura. Si tolse la maglietta, tuffandosi con loro.
Non aveva paura del passato.
Lo aveva sconfitto.
Wana (Trappola)
«Amavi Hikaru?»
La voce di Yuya era debole, come la stretta sulla sua gola.
Era in trappola. Doveva rispondere, ma aveva paura. Di Yuya, di sé stesso.
«…Yuya…»
«Rispondimi!» urlò l’altro.
«Davvero, non…»
La stretta di Yuya si fece improvvisamente più forte, spezzandogli il fiato, spaventandolo ancora di più.
Yuri si aggrappò al suo braccio, tentando di liberarsi.
«Rispondimi!» ringhiò.
«Sì!» esclamò a voce alta «Lo amavo però era buono e gentile. E mi amava mentre io l’ho ucciso!» sibilò alla fine, con il respiro strozzato dal dolore di quei ricordi.
Yuya si allontanò all’improvviso, come se scottasse. Poi gli diede le spalle, sconvolto, uscendo di casa sbattendo la porta.
Yuri rimase immobile, portandosi una mano alla gola.
Era in trappola. Lo era sempre stato.
E lo sarebbe stato per sempre.
X-Man
Yuri si sedette sul letto di Yuuki. Yuya se ne era appena andato, per proseguire le ricerche e lui aveva appena finito di sistemare la stanza del figlio per l’ennesima volta.
L’occhio si cadde sulla distesa di fumetti americani del figlio. Allungò la mano, afferrandone uno. Parlava di mutanti, persone con poteri fuori dall’ordinario. .
In fondo, che cosa poteva fare per ritrovare il figlio?
Non aveva il gene “X”, non aveva superpoteri, non leggeva nel pensiero, non creava tempeste, non gli uscivano artigli dalle nocche.
Non aveva e non era niente.
Mai, mai in tutta la sua vita si era sentito così inutile.
E mai, mai in tutta la sua vita, aveva voluto sentire così intensamente la voce di Yuya che, semplicemente, gli diceva “Yuuki è qua, sano e salvo.”
Yamada
Yuri osservava fuori dalla finestra con sguardo vacuo. Non riusciva a pensare a nulla, la testa completamente vuota. Era abbandonato, come un giocattolo rotto, lasciato a morire. Era destinato a marcire.
Aveva sempre creduto che nulla potesse superare il senso di solitudine e di continua angoscia che aveva provava i primi mesi di convivenza con Yuya.
Si era dovuto ricredere.
Cosa poteva esserci peggiore di un mostro?
Colui che veniva creato dal mostro stesso.
Yamada era stato plasmato ad immagine e somiglianza di Yuya, e come tale si era comportato.
Come Yuya, lo aveva calpestato senza pietà, riuscendo perà dove l'altro aveva fallito.
E ogni volta si svegliava, chiedendosi se quello non fosse solo l’ennesimo incubo. Invece no, era la realtà.
Yuya non c’era e non ci sarebbe stato, mai più.
Zoo
C’erano poche cose che tranquillizzavano Yuri come una giornata di relax con Yuya e Yuuki. Gli piaceva staccarsi dalla realtà di Kabuki-cho, dalla Yakuza, dalla violenza, dalla prospettiva di essere comunque destinato ad una vita che, di normale, aveva ben poco.
E quella domenica, nonostante Yuya e Yuuki russassero ancora nelle tazze della colazione, decise di impuntarsi.
Voleva andare allo zoo e solo dopo svariati minuti di lamentele riuscì a convincere Yuya ad alzarsi dal tavolo.
Quindi si trovavano là. Yuri ascoltava le risate di Yuuki, si beava ella felicità che traspariva dal volto di Yuya, scattava mille foto.
Si sedette su una panchina, aspettandoli di fronte all'uscita del rettilario, fumando una sigaretta.
Yuri non sapeva se quella fosse davvero “felicità”, ma se non lo era, decisamente ci andava molto vicino.