[harry potter] La fine della magia, cap 3

Feb 11, 2012 23:04

Titolo: La Fine della Magia
Autore: Slayer87
Beta:  SaraPiton, tata89
Capitolo: Qualcosa sta succedendo (3 di 42)
Pairing: Harry/Draco,
Rating: Nc17
Note:  In questo capitolo ci sono taaanti di quegli indizi!!! Buona lettura.
Un’altra cosa, non c’è bisogno che lasciate recensioni, fatemi anche solo un fischio sulla mia pagina facebook o dove volete per dirmi che ne pensate, se offre spunti per parlare etc. Critiche e altro sono sempre le benvenute, se costruttive.

Link al capitolo 2


Qualcosa sta succedendo. 
Durante la notte Harry si svegliò. Non sapeva come, ma nel sonno gli era venuta un’intuizione sul problema degli elfi, e così decise senza pensarci troppo di andare a verificare subito la sua teoria. Prese il mantello dell’invisibilità, che in guerra l’aveva aiutato più di una volta a salvarsi la vita, e uscì dal ritratto della Signora Grassa, andando direttamente verso le cucine. Aveva preso anche la Mappa del Malandrino, giusto per sicurezza, dato che quella sera il castello sembrava completamente deserto. Lungo la strada non incontrò nessuno, nemmeno un fantasma, ma la cosa non lo preoccupò, la mente era occupata solo dal problema degli elfi.
Il suo istinto continuava a dirgli che era una cosa su cui doveva sprecarci del tempo, e probabilmente era per quello che anche nel sonno il suo cervello aveva continuato a pensarci.

Nelle cucine nemmeno a quell’ora si riposava. Gli elfi, da eccellenti organizzatori qual erano, si erano divisi a metà per affrontare i compiti, e mentre alcuni continuavano ad occuparsi dei soliti compiti, altri erano impegnati con i corpi degli elfi morti. Harry aveva il cuore stretto in una morsa a quella vista, e in quel momento decise che si sarebbe dedicato anima e corpo a quella faccenda, cercando di risolvere il problema, per quanto gli fosse stato possibile.
Qualcosa era scattato dentro di lui, mentre osservava le numerose file di elfi che giacevano senza vita. Lo stesso qualcosa che era scattato il giorno che era passato alla storia come L’Inizio della Seconda Guerra.

Mancavano pochi giorni alla fine del mese di giugno ad Hogwarts, e nonostante i sentori di un nuovo attacco di Voldemort ci fossero tutti, gli studenti della scuola non sembravano particolarmente preoccupati. Specie i più piccoli, ai quali si voleva concedere quei pochi giorni di infanzia che avevano ancora da vivere, poiché la guerra era in agguato. I più grandi erano molto tranquilli, apparentemente, ma a ben vedere più che tranquilli erano ansiosi, ma non lo davano a vedere, uscendo e sorridendo come tutti. Harry era di sicuro quello più teso, e ne aveva anche ragione, mentre i Serpeverde, capitanati come al solito da Malfoy, sembravano quasi eccitati. Forse erano le uniche persone che ancora non si rendevano conto di cosa c’era in gioco, oppure erano veramente dei maghi oscuri in erba, come alcuni sospettavano.
Improvvisamente, senza alcun preavviso o annuncio, un piccolo gruppo di Mangiamorte iniziò a seminare il terrore nel parco della scuola. Si scoprì successivamente - grazie all’inchiesta voluta da Silente - che avevano eluso le difese del castello semplicemente entrando dall’ingresso nel parco in forma di Animagus.
Le vittime furono numerose, specie tra gli studenti dei primi anni, ma avrebbero potuto essere molte di più, se Harry non avesse dato libero sfogo al suo potenziale, spinto dalla cieca furia nei confronti di Voldemort. Quel giorno Harry proclamò che la guerra era iniziata e giurò sul sangue delle vittime che avrebbe ucciso Voldemort. All’incirca un mese più tardi, Harry mantenne la sua promessa.

Come quel giorno, Harry sentì la rabbia crescere dentro di sé, fino ad impadronirsi di ogni cosa. E come allora, pronunciò un giuramento.
Promise che avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per evitare la catastrofe che sembrava essersi posata sugli elfi di Hogwarts. Ma prima doveva scoprirne le cause, per poi risalire al chi e al perché. Ecco il motivo della sua visita.
Potter cercò Dobby, e lo trovò intento ad occuparsi di un elfo che non sembrava stare molto bene. Anche Dobby era pallido, ma non per cause fisiche, sembrava più che altro molto preoccupato, com’era comprensibile, del resto.
Quando l’elfo lo vide, si avvicinò mesto a lui, privo della solita allegria che lo caratterizzava: “Harry Potter Signore,” lasciò la frase in sospeso. Era la prima volta che vedeva Dobby in un tale stato di prostrazione.

“Dobby, non so ancora cosa sta succedendo, ma se vuoi posso stare qui un giorno e vedere con i miei occhi cosa accade. Così poi potrò andare dal Preside e stabilire una linea di azione.”

Hermione aveva detto che doveva andare prima da Silente e poi intervenire, ma Harry non era d’accordo. Dobby aveva detto che il Preside non ne sapeva nulla, ma Harry era certo che non fosse così. Voleva quindi avere qualcosa in mano prima di allarmare gli insegnanti, che sicuramente erano già a conoscenza della situazione e ci stavano lavorando: ormai aveva imparato che presumere di essere l’unico a conoscenza di cosa avvenisse dentro Hogwarts era pura follia.
Il Preside aveva dei sistemi di comunicazione a cui lui non poteva di certo arrivare. Però poteva guardare il problema da un’angolazione diversa, e quella era sempre una buona strategia. L’elfo lo guardò con occhi speranzosi, e Harry sperò di non deluderlo. Si prese una sedia e attese. C’era poco da fare, ma osservare e apprendere era una delle cose che aveva imparato meglio, e mentre pian piano la vita del castello cominciava a movimentarsi, anche gli elfi lavoravano a pieno regime per mandare avanti la scuola e tutto quello che ruotava intorno ad essa. Per la prima volta, Harry si rese veramente conto di quanto lavoro ci fosse dietro alle loro comode vite, e decise che avrebbe fatto più attenzione a Hermione e al suo movimento, perché come sempre la sua amica era dieci passi avanti alla maggior parte dei maghi adulti. Vide i tavoli, opportunamente svuotati dai corpi, riempirsi delle portate che avrebbero costituito la colazione, e i piatti sporchi tornare indietro per essere lavati. Osservò le centinaia di elfi che andavano avanti e indietro, ma soprattutto capì che la sua intuizione era giusta. C’era un motivo preciso per cui Dobby non era toccato da quel qualcosa che stava sterminando gli elfi. Se ne accorse nel momento in cui vide per la prima volta il processo completo. Un elfo, proprio davanti ai suoi occhi, si immobilizzò del tutto per un paio di secondi, poi, si portò le mani alla gola e divenne completamente nero. Non ci furono urla o gemiti, solo quel gesto che poteva significare tutto o niente. Quando l’elfo cadde, ormai morto, Harry credette di sentire anche lui un piccolo strappo in fondo al cuore, o forse era solo la sua suggestione. Quando tutto finì, Harry si alzò, prese l’elfo tra le sue braccia, leggero quanto una piuma, e lo posò sul tavolo, dove erano stati riposizionati i corpi. Un altro elfo da riscattare, si disse, e uscì mesto dalle cucine.

La sua teoria era semplice quanto complicata: una di quelle soluzione ovvie, una volta saputa, ma a cui non era facile giungere.
Secondo lui, Dobby non era in pericolo perché era libero. Lo status dell’elfo gli consentiva di non essere vincolato ad Hogwarts, in quanto la sua magia non era al servizio di nessuno. Era un ottimo modo per spiegare un’eventuale sopravvivenza di Dobby a quel massacro, ed era valido, almeno fino a che non fosse morto anch’egli. Certo, questo apriva nuovi problemi: se, infatti, gli elfi morivano perché legati, allora si poteva essere quasi certi che gli elfi non sarebbero state le uniche creature colpite.
Ora Harry si trovava ad affrontare un altro problema: cosa poteva fare? Andare a dire al Preside quello che aveva scoperto, o tenere tutto per sé e aspettare il corso degli eventi? Era abbastanza sicuro che Silente non avrebbe lasciato morire tutti quegli elfi se avesse avuto modo di fermare la cosa. Ergo, anche Silente stava aspettando. Era una cosa che odiava, aspettare. Gli sembrava di essere inutile e lo faceva solo agitare di più, ma sembrava che questa volta non avesse scelta.

Fu mentre pensava a cosa fare con questo nuovo problema, che Harry Potter andò a sbattere contro qualcuno. Harry non guardò nemmeno di chi si trattava, troppo preso con i suoi pensieri per badare ad altro.
Si tirò su, mormorò uno Scusa che sperò fosse sufficiente, e riprese a camminare. Il qualcuno, che di nome faceva Draco Malfoy, rimase basito per dei lunghi attimi.
Non era per niente abituato a essere ignorato, per di più dallo Sfregiato.
Dopo sei anni di ostilità, Draco sapeva che se Harry lo ignorava era solo per un motivo. Qualcosa stava succedendo, e Potter se ne stava occupando, facendo il Grifondoro come suo solito. Con la guerra Draco era di certo maturato, e aveva abbandonato alcuni pregiudizi che di certo gli avrebbero precluso la possibilità di sedersi al tavolo dei vincitori, ma se c’era qualcosa a cui Malfoy proprio non riusciva a resistere, era quello di scoprire in cosa fosse invischiato Harry Potter. In quel momento Draco doveva andare ad una lezione, ma si ripromise di scoprire cosa preoccupasse così tanto Potter da fargli completamente ignorare qualunque cosa o persona.

Harry non tornò a lezione, anche se ormai aveva deciso di aspettare a parlare. Di certo non sarebbe riuscito a concentrarsi se per la mente aveva mille domande e ancora mille più assurde risposte. Nei mesi precedenti, aveva preso l’abitudine di camminare a lungo per distrarsi dai problemi, e con suo sommo stupore aveva scoperto che quell’attività lo rilassava perfino più del Quidditch. Per fortuna il parco di Hogwarts era enorme, e pur senza addentrarsi nella Foresta Proibita, aveva ettari e ettari di terreno per pensare.
Al ritorno da quella lunga passeggiata, Harry si concesse il primo sorriso della giornata. Il suo Professore di Difesa Contro le Arti Oscure, Remus Lupin, era seduto sotto un albero con delle pergamene in mano. Con tutta probabilità stava correggendo l’ultimo compito fatto in classe. Remus si accorse di lui molto presto: mancavano pochi giorni alla luna piena, e i suoi sensi erano estremamente sensibili. Alzò lo sguardo, gli sorrise in quella sua solita maniera rassicurante, e lo invitò a sedersi di fianco a lui. Harry accettò con gratitudine l’invito. Aveva bisogno di tranquillità, e Remus era uno dei pochi in grado di fornirgliene con la sua sola presenza:

“Harry, va tutto bene?” Come al solito, Remus sapeva vedere laddove altri erano ciechi.
“Troppi pensieri per la testa, tutto qui.” Detestava mentire, ma non poteva dire una parola a nessuno di quello che stava succedendo. Sentiva che c’era troppo in ballo. Però era bello sapere che c’era qualcuno con cui poteva parlare, se ne avesse avuto bisogno.
Remus gli mise un braccio sulla spalla, in un gesto di piena comprensione. Era stanco, e si vedeva: le occhiaie erano più marcate, e il colorito era più pallido del solito.
“Hai preso la Pozione?” chiese improvvisamente Harry: Remus annuì e commentò:
“Quando ti preoccupi sei peggio di Molly, davvero!”
Quella battuta ebbe l’effetto di farli sorridere entrambi, poi, Remus si alzò: “Scusami Harry, ma devo andare a riposare.” Harry capiva benissimo, e si offrì di correggere i compiti, dato che non aveva nulla da fare in quel momento.
Lupin sorrise e gli passò il plico di pergamene insieme alla penna Correggi-Compiti che aveva in mano.
“Ci vediamo domani a lezione, Assistente Potter,” lo salutò, mentre Harry si metteva diligentemente a lavoro.

~LFDM~

Correggere i compiti degli alunni più giovani gli aveva dato modo di rilassare un po’ la mente, affaticata dallo stress a cui era stata sottoposta di recente. Quel lavoro avrebbe dovuto essere la parte più noiosa del suo compito di Assistente, ma Harry la svolgeva di buon grado, non perché li piacesse particolarmente, ma in quanto riusciva a liberarlo, per poche ore, dalle preoccupazioni. Certe volte, quando vedeva uno strafalcione bello grosso, riusciva addirittura a strappargli un sorriso, specie quando si trattava di errori che lui stesso aveva commesso, solo pochi anni prima.

Quando ebbe finito ormai aveva la sua strategia da adottare, e nonostante questa prevedesse il silenzio e la pazienza, gli dava anche modo di rilassarsi un attimo e prendere un momento di respiro, mentre osservava l’evolversi degli eventi.

Aveva deciso di prendere per buone le sue ipotesi, d’altra parte il suo istinto aveva sempre funzionato piuttosto bene e non c’era motivo di dubitarne, e nel frattempo avrebbe chiesto a Hermione di fare alcune ricerche nell’ambito di quella che veniva chiamata “Teoria della Magia”, che era un misto di varie discipline Babbane. Non era una cosa che insegnavano lì ad Hogwarts, anche se lui era più che certo che ci fossero comunque dei libri da cui iniziare. Doveva assolutamente saperne di più sui legami che c’erano tra le creature magiche e i luoghi magici, in primo luogo, e poi doveva scoprire se la sua idea di una falla, per così dire, nel tessuto magico di Hogwarts coinvolgesse solo la scuola o avesse portata più ampia.
A seconda di quello che sarebbe venuto fuori dalle ricerche si poteva pensare a diversi modi in cui risolvere la faccenda, ma senza basi solide su cui costruire teorie le sue restavano solo effimere speculazioni.
Poi si accorse che stava veramente pianificando una strategia e quasi scoppiò a ridere da solo: Moody sarebbe stato fiero di lui.
Rientrò al castello giusto in tempo per la cena. Doveva parlare con Ron e Hermione e poi aveva i propri, di compiti, da fare.
Appena varcata la soglia si accorse che qualcosa non andava. La sua migliore amica gli venne incontro con un’espressione che era tutto meno che felice, e lui pensò che le brutte notizie stavano per arrivare.

“Harry, è tremendo. I fantasmi Harry, anche i fantasmi…”

Non c’era bisogno che lei continuasse. In quel momento uno dei fantasmi di Hogwarts gli passò proprio davanti e Harry non se ne sarebbe nemmeno accorto, se non fosse stato per il leggero riverbero della luce. Evidentemente le cose erano peggiori di quello che pensasse, se i fantasmi stavano iniziando a sparire, perché era chiaro che era quello che stava succedendo.
A quel punto nemmeno i professori avrebbero potuto far passare la cosa sottobanco.
Aveva deciso di aspettare a parlare con il Preside, ma il tempo non era dalla sua parte: forse era meglio passare direttamente all’azione.
Prima di andare da Silente disse a Hermione di iniziare le ricerche. La sua era ancora solo un’idea senza prove, e un aiuto sarebbe stato fondamentale.

~LFDM~

L’incontro con il Preside era andato meglio di quanto previsto.
Non solo gli aveva dato tutto l’appoggio necessario, ma l’aveva anche autorizzato a proseguire con le sue ricerche. Certo, dopo sei anni di infrazione alla regole per salvare il mondo forse anche Silente aveva capito che era inutile tentare di vietargli di fare qualcosa.
Oltretutto, l’essere diventato il Salvatore del Mondo Magico aveva avuto miracoli sulla sua reputazione (anche se gli effetti dello stare troppo a contatto con degli ex-Serpeverde si facevano sentire, ogni tanto), e sapeva benissimo che quasi nessuno si sarebbe azzardato a dargli un no come risposta.
La cosa non gli piaceva, e avrebbe continuato a non piacergli per il resto della sua esistenza, ma era inutile negare che non avesse i suoi vantaggi.
Quella sera tornò in Sala Comune e vide l’ormai familiare presenza di libri di ogni genere ed altezza sparsi per il piccolo spazio che era ormai loro, quello vicino al camino: Hermione era immersa nella lettura di un tomo grande almeno quanto un’enciclopedia britannica in versione tascabile, e Ron era tutto concentrato su delle cartine che, ad una prima occhiata, raffiguravano la scuola.
Per un momento pensò che sarebbe andato tutto bene, perché non c’era problema che non avesse affrontato insieme a loro due e se tutte le altre questione erano state risolte anche questa, alla fine, si sarebbe chiusa con un loro successo.

Si concesse un sorriso prima di accomodarsi sulla sua poltrona preferita insieme ad un libro della pila che aveva di fianco Hermione. Quella sarebbe stata la prima di una lunga notte, ne era sicuro, però un filo di speranza c’era ancora, e finché c’era quella, Harry sentiva che tutto era possibile.

TbC

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