A Song Of Ice And Fire: Your Smile Is Gelignite (Or Just Another Sentimental Aside)

Jun 30, 2012 22:01

Titolo: Your Smile Is Gelignite (Or Just Another Sentimental Aside)
Autrice: Vany (vedova_nera)
Beta: cialy_girl e eowie
Fandom: A Song Of Ice And Fire
Personaggi: Lothor Brune, Lyn Corbray (più un’apparizione fulminea di Petyr Baelish)
Pairing: Lothor Brune/Lyn Corbray
Rating: Pg13
Conteggio Parole: 1.261 (W)
Avvertenze: Slash.
Disclaimer: I personaggi appartengono a George R. R. Martin ed, eventualmente, anche a coloro che ne hanno acquistato i diritti. Io non ci guadagno nulla.
Note: • Non vi sto nemmeno a dire quando l’ho scritta e fatta betare perché dimostrerei ancora una volta di essere pessima - più di un anno fa, comunque, giusto per darvi un’indicazione. *_*”
• Il pairing è… non lo so, guardate, mi ci sono kinkata secoli fa mentre leggevo Asoiaf e poi ho iniziato a parlarne a Linda che ovviamente se n’è uscita con una roba tipo “non ho visto bene la tua spada, Ser Lothor”, che doveva essere il mio prompt. Riuscite a vedere tutti la sua malignità? Insomma, è tutta farina del suo sacco, voglio che lo sappiate. ERA IL PROMPT, SANTI NUMI! *ride*
Comunque sì, siccome sono io l’ho scritta davvero, anche perché era una delle richieste per il Vanda. Che poi mi fa anche ridere, questa coppia. È palese nel libro che Lyn era interessato e boh, è stupendo tutto questo. XDDDDDDDDD E devo troppo rileggere quei libri, tipo rilettura immensa dopo cinque anni, ci sta, per enjoyare nuovamente questi momenti che quel balordo di Martin ha infilato ovunque.
• Forse è il caso che smetto di ciarlare di boiate.
• Come ho detto sopra, è stata scritta per il Vanda Project.
• Titolo, un pochetto modificato, da Bullets dei Tunng.



Your Smile Is Gelignite
(Or Just Another Sentimental Aside)

"Non ho visto bene la tua spada, Ser Lothor", esordisce Lyn Corbray con noncuranza, come se nelle sue parole non ci fosse la benché minima traccia di doppio senso e parlasse invece del tempo, che si ostina ad essere troppo freddo, anche con l’Inverno che incalza. C’è un accenno di sorriso sulle labbra e lo sguardo è puntato sul viso di Brune, gli scuri occhi carichi di qualcosa che l’altro definirebbe quasi sfida, anche se non è la parola giusta per definire le sue intenzioni.

Lothor è di parecchio più vecchio dell’uomo che gli sta di fronte - stimerebbe una differenza di una quindicina d’anni, anche se i loro stili di vita sono certamente diversi e il suo viso è segnato da un’esistenza trascorsa all’aria aperta tanto quanto il volto del suo interlocutore è liscio e pallido, senza nessuna traccia dell’inclemenza del sole e della pioggia su di esso -, ma non può fare a meno di arrossire lievemente per ciò che è nascosto in quella semplice frase, nell’inflessione della voce del giovane, che continua a sorridere con gli angoli della bocca all’insù e una sfacciataggine che non si sarebbe mai aspettato.
Cerca di non darlo a vedere, però, e glielo mostra, questo maledetto ferro, gli mostra la lama lucida e ben tenuta, perfettamente affilata. Ed è una buona spada, fedele, dura, anche se l’elsa è in cuoio e non è impreziosita da gemme rare.

Corbray la osserva, gli occhi che si spostano, impensabilmente mobili, sull’arma. Ne constata con un dito il filo, poi gli fa cenno di passargliela e Brune gliela consegna, tenendola con entrambe le mani come se fosse un premio o un oggetto particolarmente pregiato.
L’altro sembra misurarla, tastarne la solidità, cercare il giusto bilanciamento anche se è visibilmente troppo robusta per la sua corporatura snella, troppo lunga per la sua altezza, troppo pesante.

“È una spada che fa il suo dovere”, sentenzia poco dopo, riaffidandogliela. E non c’è più traccia del sorriso storto di prima, e nemmeno di quell’espressione avida nel suo sguardo.
L’uomo la riprende, abbozzando un cenno col capo e non emettendo alcun suono. L’infila alla cintola, dov’era in precedenza, e attende che l’altro parli ancora o compia una mossa.

Sembra stia per dire qualcosa quando Royce lo raggiunge, sbucando all’improvviso dal corridoio laterale, il solito cipiglio severo sul viso aspro, e tutto ciò che Corbray riesce a pronunciare alla fine è “bene”, in segno di saluto, lasciando Brune, incredulo, ad osservarlo percorrere il lungo e stretto passaggio che dal Nido dell’Aquila porta all’uscita - la schiena estremamente sottile in confronto al fisico massiccio di Lord Yohn che procede al suo fianco.

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Non ha occasione di rivederlo fino a quando Lord Baelish non decide di fare una nuova mossa per portare a compimento i propri piani, qualsiasi essi siano, che gli assicuri un luogo sicuro e dominio incontrollato ancora per qualche tempo sull’intera Valle.

Le giornate, nel frattempo, si sono fatte sempre più corte, sempre più dure. Il gelo della notte ha iniziato a bruciare tutto ciò che incontra sul suo cammino, ma al vecchio cavaliere non è mai importato granché: ha visto molte Estati, ha attraversato l’anno della Falsa Primavera e dopo di esso ha visto molti Inverni, così il freddo non lo spaventa; lo accoglie, invece, come si accolgono i cambiamenti della vita, il trascorrere degli anni.
Lo accoglie perché non c’è altro che possa fare.

Sta affilando la lama con movimenti lenti, precisi, quando Corbray gli si avvicina, coperto da capo a piedi da una pelliccia di pelo di lupo. Folta e morbida e calda solo a guardarla.

“Baelish mi sta aspettando”, afferma, qualche secondo dopo essere rimasto in piedi ad osservarlo lavorare al filo della spada.

Brune alza il viso, allora, abbandonando per un attimo ciò che sta facendo, e fissa il proprio sguardo in quello dell’altro, come se lo notasse in quell’istante, con una leggera sorpresa dipinta sul volto nello scoprirlo inaspettatamente vicino - non si era accorto di quanto si fosse accostato a lui, seppure fosse perfettamente conscio della sua presenza fin dal momento del suo arrivo.

“Vi attende”, risponde semplicemente poco dopo, con una scrollata di spalle che sembra lavare via i propri pensieri e l’immagine dell’altro dalla testa, per poi tornare alle sue faccende.

Il Lord indugia ancora un po’ sui propri passi, restando immobile al suo fianco, come godendo dell’aria gelida che scende da Nord, prima di abbandonarlo per il calore interno dell’edificio.

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“Baelish”, ed è tutto ciò che ha da dire mentre si toglie la pelliccia e si accomoda su una sedia di fronte al camino. Ha l’aria più insolente del solito, più nervosa. “È meglio che sia una cosa veloce”, ordina poco dopo, tradendo completamente il suo cattivo umore.

Il Lord ospite, però, prende a conversare allegro, aggirando il punto cruciale della conversazione, la reale ragione per cui l’ha fatto chiamare, di proposito, con calcolata spudoratezza.
Ci vogliono diversi minuti e una richiesta precisa e minacciosa affinché Petyr si decida a svelare la natura dell’incontro.

Fanciulli. Questo è disposto ad offrirgli se accetterà le sue condizioni. E oro e promesse buone per il vento. Lui vale questo, a quanto pare, una manciata di monete, dei ragazzi e parole.
Ditocorto discute di giovani pallidi come la Luna, verdi come l’Estate, vergini dai capelli tessuti d’oro come quelli dei Lannister; qualsiasi richiesta verrebbe esaudita se accettasse l’accordo, se deponesse il proprio odio e il proprio disprezzo nei suoi confronti.

E Corbray lo farebbe, lo farebbe davvero se solo una di quelle cose gli interessasse ancora tanto quanto lo interessava un anno fa, se tutto non fosse diventato noia e polvere in confronto a ciò che questo uomo di fronte a lui, questo mercante di vite potrebbe garantirgli.
Sa che contrattare con il Protettore della Valle non sarà difficile né problematico: ha bisogno di lui, così qualsiasi richiesta deciderà di proporre non sarà mai troppo alta, troppo impossibile da soddisfare - anche se ottenere ciò che chiede in realtà non sarà facile.

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Circa un’ora dopo il vento si è fatto più impetuoso, selvaggio. Il giovane trova il vecchio cavaliere seduto allo stesso posto, intento a ripulire la lama che ha affilato con tanta dovizia con un panno soffice.

“Gli presti gran cura”, dice, restando fermo alle sue spalle.
“Bisogna farlo affinché resti una buona arma.”
“Già, ha bisogno di cure continue. Tutto ha bisogno di cure continue, a ben vedere.”

E Brune riesce a vederci un pensiero concreto dietro quelle parole così casuali, così di rito. Vorrebbe chiederglielo, sinceramente curioso di questo ragazzo dal carattere tanto irascibile, ma non osa e rimane in silenzio, come sempre.
Lo ascolta, forse prestando fin troppa attenzione, dare ordini ad uno stalliere per farsi riconsegnare il proprio cavallo e non c’è traccia nella sua voce di quella mezza affabilità o cortesia che riserva a lui, sebbene non parlino di niente e siano distanti anni luce.

“È in arrivo una tormenta, sarebbe bene sbrigarsi prima che vi sorprenda a metà strada”, mormora allora, nel tono più burbero che ha.
“Già, grazie del consiglio”, risponde Corbray, porgendogli la mano che l’altro stringe nella sua presa dura e salda. “Ci rivedremo presto”, dice con un sorriso e, per un attimo, Ser Lothor può rivedere nella piega delle sue labbra lo stesso ghigno storto con cui lo aveva accolto il giorno in cui si erano incontrati, e finalmente riesce a vederla con chiarezza, la fame che c’è dietro.

Lo guarda allontanarsi nel principio della tempesta, severo e allo stesso tempo flessuoso, e diventare ben presto poco altro che una figura sbiadita e lontana, ingoiata dai primi fiocchi di neve.

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