Harry Potter: And God Comes Rushing Back

Jan 18, 2014 21:50

Titolo: And God Comes Rushing Back
Autrice: Vany (vedova_nera)
Beta: eowie
Fandom: Harry Potter
Personaggi: Bill Weasley, Charlie Weasley, nominati personaggi vari non rilevanti.
Pairing: Bill Weasley/Charlie Weasley
Rating: Pg15
Conteggio Parole: 5841 (W)
Avvertenze: Il solito, ovvero slash e incest. Sono molto imprevedibile, lo so, non c’è bisogno di farmelo notare.
Disclaimer: I personaggi appartengono a J.K. Rowling, e a coloro che ne hanno acquistato i diritti. Io non traggo vantaggi dall'uso di essi e non li reclamo come miei.
Note:• LINDOSAAAAAAAAAAAAAA, AUGURI AUGURI AUGURI! ♥♥♥ QUESTA FIC E’ TUTTA PER TE E SPERO TI PIACCIA. Volevo essere più originale ma il destino mi è avverso. ù_ù
• Comunque, vorrei far notare che i miei piani per le fanfic da scrivere sono come i buoni propositi dell’anno nuovo: vanno irrimediabilmente in vacca nonostante l’impegno che ci metto. Quindi basta, visto che avere ben quattro trame plottate nel dettaglio non basta a farmene scrivere almeno una, vuol dire che non ci proverò più. Sì, mi sto lamentando di ciò che ho scritto.
• In tutto ciò ho lottato strenuamente contro Word che mi va in errore per le ragioni più oscure, e mi sono accorta incollandola nel post che c’erano ancora i commenti di Ale. °_°
• La fic si dipana su un lasso di tempo di diversi decenni. In base alle informazioni fornite da J.K. Rowling, i nati dopo la data utile del 31 Agosto vanno a scuola l’anno successivo (come succede a Hermione), perché per iniziare Hogwarts bisogna aver compiuto undici anni. Di conseguenza, essendo Bill e Charlie nati rispettivamente a Novembre e Dicembre, iniziano la scuola un anno dopo e ciò li porta ad avere un anno in più degli altri.
• Scritta per il Vanda Project, dopo millemila secoli di attesa.
• Naturalmente un enorme grazie ad Ale che ha attraversato oceani bui durante la betazione. ♥
• Citazione e titolo presi da The Borgias.
• Boh, basta, vi lascio alla lettura.


And God Comes Rushing Back

When we're together, God seems to sit in the room with us.
And when you're away, I manage to forget you.
And then... one touch of your hand and God comes rushing back.

1983

I campi attorno alla Tana risuonano del cicalio animato dei grilli nascosti nell’erba alta.
L’estate è quasi giunta al termine e Bill si gode gli ultimi giorni di Agosto prima di ricominciare la scuola. Quella mattina, accompagnato dal padre, è stato a Diagon Alley a comprare i libri per il suo secondo anno ad Hogwarts; ora, seduto sulla panchina sotto alla finestra della cucina, leggiucchia qua e là un libro di pozioni consunto, appiccicando dove serve un po’ di scotch magico per tenerlo insieme, sfogliandone svogliatamente le pagine ingiallite.

“Mamma sta spostando la mia roba nella tua stanza”, bisbiglia Charlie con un ghigno, la testa che fa capolino fuori alla finestra.
“E cosa l’ha convinta a metterci insieme?”, domanda Bill, volgendo il capo verso il fratello.
“Dice che Ginny ha bisogno di una stanza sua.”
“Ginny ha tre anni.”
“Donne”, replica il più piccolo scuotendo la testa, e Bill sorride divertito.

Poi il ragazzino scompare, rapido com’è arrivato, al richiamo della madre, e lascia il maggiore solo col suo libro, ad ammirare le grosse pesche appese agli alberi da frutto, pronte per essere colte.
Appoggia il capo contro il muro e chiude gli occhi.
Non ha voglia di partire, tornare ad Hogwarts e separarsi da quel luogo, dalla routine armoniosa che si è ricreata tanto facilmente nonostante il periodo di lontananza, dal cullare familiare dell’estate - e da Charlie, che è ancora troppo piccolo per seguirlo a scuola.
Eppure, nonostante la giovinezza appena sbocciata, sa già che al corso naturale delle cose è impossibile opporsi.

1987

In procinto di partire per Hogwarts, sua madre, trattenendolo con incredibile forza per impedirgli di salire sul treno, gli aveva fatto promettere che avrebbe scritto ogni settimana, anche per Charlie che sapeva sarebbe stato troppo distratto da nuove amicizie, troppo entusiasta delle novità per ricordarsene.
In realtà non serviva estorcergli una promessa, lo avrebbe fatto comunque - non così di frequente, ma almeno una volta al mese.
Si era ben presto reso conto, infatti, che non era la mancanza della propria famiglia a imporglielo quanto l’amore che sentiva per loro. Quell’urgenza si è affievolita con la presenza del fratello a scuola perché, averlo lì, immagina, è come avere sempre con sè una fetta dell’atmosfera di casa, ma non proprio - a volte, racimolando la voglia di mettere insieme una lettera, ha intuito che il bisogno di tenersi in contatto che provava all’inizio era dettato quasi interamente da quello di sapere di lui.

Due anni dopo quel fatto si trova impegnato nello stesso gesto, seppure a spingerlo non è l’abituale interesse verso di loro quanto un bisogno personale di conforto, la necessità di non sentirsi sbagliato, ma concedendo alla pergamena solo delle verità parziali, incapace di spiegare il tumulto che sente dentro con parole che non suonino tremende persino a se stesso.
Stava tornando dalla biblioteca più tardi del solito, dopo aver passato le ultime ore fruibili della serata a studiare per i M.A.G.O. quando, nel buio del corridoio deserto che porta alla scala della Sala Comune, voltando l’angolo aveva trovato Charlie abbracciato a una ragazza - non era riuscito a discernerne il viso, nascosto dai riccioli scuri e dalla spalla del fratello. C’era stato un momento di assoluta immobilità in cui tutto ciò che era stato in grado di percepire era il proprio cuore martellargli nel petto e nelle orecchie, quasi stesse riempiendo il silenzio del castello.
Il giovane si era voltato per un attimo nella sua direzione, dopo averla lasciata andare che stringeva ancora la sua mano, lo aveva fissato e nel suo sguardo reso scuro dalla penombra del corridoio aveva visto solo il riflesso di una fiaccola appesa al muro. E aveva avuto paura, paura della profondità dei propri sentimenti, della sua indipendenza così simile alla sua, e anche di perderlo, di vedersi costretto ad allentare la presa. Allora aveva stretto i pugni e aveva ripreso a camminare senza voltarsi indietro, salendo le scale e oltrepassando il ritratto appeso alla parete.
Poi il dolore era dilagato, come se l’aria gli fosse mancata all’improvviso.

Seduto alla scrivania, sa che scrivere a sua madre mentendole non servirà a molto, ma è altresì conscio che nelle sue parole lei individuerà un problema e saprà rassicurarlo.
Per ora non può far altro che questo, questo e andare avanti. Chiudere tutto da qualche parte e abbandonarlo per sempre.

1988

Sta uscendo con calma dalla lezione di Trasfigurazione quando vede Bill schizzare fuori dall’aula accanto, distanziando i propri compagni, e passargli davanti a una certa velocità senza degnarlo di uno sguardo.

“Era tuo fratello quello?” chiede Timothy, portandosi a fianco di Charlie, che si limita a fare un cenno col capo e a sistemare meglio le pergamene sotto il braccio, procedendo lentamente per i corridoi sempre più affollati insieme all’amico.
Sa benissimo dove sta correndo: al bagno dei prefetti del quinto piano o alla torre di astronomia, dove Jennifer Lovelace lo sta aspettando da una buona decina di minuti. Se lo immagina, a scapicollarsi su per le scale e a scusarsi con lei perché Snape è riuscito a trattenerli ancora una volta oltre l’orario.
Il loro è un appuntamento regolare da settimane, ormai. Quasi tutti i giorni, al termine delle lezioni, si rifugiano in uno di quei due luoghi poco frequentati e passano del tempo insieme - e l’immagine di loro due persi a ridere e a baciarsi gli compare chiara davanti agli occhi.
Di questi incontri è l’unico a esserne a conoscenza, Bill gli ha chiesto di non farne parola con nessuno e Charlie ha mantenuto il segreto, sapendo cosa sarebbe successo se la notizia fosse giunta alle orecchie di Percy - e, di conseguenza, a quelle di loro madre.
Però, nonostante il suo essersi mostrato complice, ricorda fin troppo bene come si è sentito quando gliel’ha confessato, una sera dopo cena. Ricorda quanto ha fatto male saperlo innamorato di qualcuno, qualcuno che non è lui e che non lo sarà mai, nel vederlo così sereno nel solo nominare un’altra persona.
È stato come se non avesse abbastanza aria nei polmoni per respirare, come se qualcuno lo avesse colpito dritto al diaframma e lo avesse lasciato agonizzante a terra, piegato in due dal dolore. Ha biascicato un “va bene”, sussurrandolo appena, ritrovando un ultimo granello di forza da qualche parte dentro di sé.

“Andiamo in biblioteca?”, domanda Tim, strattonandolo per una manica della divisa nel tentativo di destarlo dai suoi pensieri. “La McGonagall ci ha lasciato un mucchio di compiti per la preparazione ai G.U.F.O., anche se sono solo tra un intero anno scolastico”, aggiunge poi, scherzando.
“Oggi ci sono gli allenamenti di quidditch e la selezione del nuovo capitano”, risponde Charlie con un sorriso di scusa, grato di non dover inventare una bugia per evitare di perdere ore intere a studiare una materia che non proseguirà l’anno prossimo.

*

Ha gettato i libri nel suo baule e, con un certo anticipo, sta già infilandosi la divisa quando si ricorda di aver chiesto a Bill di presenziare agli allenamenti, quel giorno, nel caso venisse scelto per il ruolo.
L’immagine del ragazzo e di Jennifer avvinghiati in un bacio senza fine gli riaffiora alla mente e qualcosa gli scatta dentro, quando pensava di averci ormai messo una pietra sopra, quando credeva di essere riuscito a controllare i propri sentimenti, di aver imparato a metterli da parte. Una furia feroce si impossessa di lui e, senza rendersene conto, si ritrova ad allungare il giro verso il campo, passando dal quinto piano e arrivando fino all’ala sud, per poi risalire l’interminabile scala a chiocciola che porta alla torre di astronomia.
Ed è lì che lo sente, un gemito sommesso. Blocca il passo a metà della rampa, mentre ogni traccia della rabbia che provava scema via e un ansito più forte gli arriva alle orecchie. Poi la risata di Bill che si spande nell’aria, echeggiante tra le pareti di pietra, che sembra sbriciolare quel che resta del cuore di Charlie.
All’improvviso gli sembra che questo stia per scoppiargli, mentre un’altra ondata di risolini e gemiti lo raggiunge. Gli ci vuole del tempo per riuscire a rimettere aria nei polmoni, per riuscire a compiere un’azione tanto semplice e naturale come respirare.
C’era da aspettarselo, poteva immaginarselo, lo sapeva, prova a dirsi, mentre il petto sembra sul punto di esplodere e ripercorre a perdifiato la strada verso il basso, allontanandosi più rapidamente possibile da quei suoni, da quel sospetto divenuto improvvisamente così reale.
La verità è che non credeva che quel momento avrebbe fatto così male.

Resta seduto per quelle che sembrano ore sulla scalinata all’entrata, fino a che Oliver arriva a cercarlo per dirgli che lo stanno aspettando. È così frastornato e addolorato che venire eletto capitano non gli importa più granché.

*

Quando Bill passa attraverso il ritratto della Signora Grassa mano nella mano con Jenny, la Sala Comune di Grifondoro è in fermento.
“Hanno eletto il capitano?” chiede a un primino un po’ discosto dalla massa festante, ma non ricevendo risposta cerca di farsi largo tra gli studenti accalcati, strattonando alcuni ragazzi che non li lasciano spazio per avanzare. Riconosce Oliver Wood mentre grida qualcosa rivolto alla folla, tenendo per le spalle Charlie, ed entrambi mettersi a ridere, gettando le teste ricciute all’indietro.
A un certo punto, mentre le mani gli scivolavano sotto la camicia di Jenny e lei emetteva un gridolino, gli era tornata in mente della promessa fatta a Charlie, in un lampo improvviso di coscienza in mezzo al piacere dei loro corpi che sfregavano l’uno contro l’altro attraverso le divise scolastiche, ma era stato risucchiato via in un battibaleno dal calore della pelle di Jenny sotto le dita, dal suo fiato sul proprio collo e dall’odore della sua pelle.

È solo quando si accorge che è Charlie a essere al centro del tumulto che capisce.

*

Riesce ad avvicinare il fratello solo dopo che i festeggiamenti sono finiti da un pezzo e Charlie è troppo stanco per prestargli davvero attenzione. E poi c’è qualcos’altro, qualcosa che non dice e che nemmeno le congratulazioni per essere diventato capitano riescono a scacciare. Come una chiusura, una freddezza che non credeva avrebbe mai potuto trovare in lui.

“Mi spiace di non esserci stato, ero…” ma non finisce la frase, sa che una menzogna avrebbe vita breve. Charlie sa leggerlo come nessun altro.
Le sue scuse si scontrano contro un muro di silenzio, di schiene voltate, di vestiti piegati con cura da mani pratiche e riposti nel baule.

“Ho detto che mi spiace, si può sapere cos’altro c’è?” sbotta allora, ritrovandosi per le mani un perdono negato, la pazienza già al limite e il senso di colpa che prude sottopelle.
“C’è che sono diventato il capitano della squadra di quidditch, ma tu non sei venuto alle selezioni perché ti stavi sbattendo quella là nella torre di astronomia. E lo hai scoperto ora, per ultimo, quando saresti dovuto essere il primo.”
Poi torna a girargli le spalle, gettando gli indumenti sul letto e dirigendosi a passo spedito verso le scale a chiocciola che portano di sotto, abbandonando il campo prima di non riuscire più a contenere la rabbia.
E Bill può vederla, la sua gelosia, chiaramente come mai prima d’ora. Ed è quasi una benedizione.

*

Dopo quell’avvenimento non si parlano per più di un mese e, nonostante tutti i tentativi, Bill sa che suo fratello è abbastanza testardo da non cedere fino a che non sarà stanco di avercela con lui. Sa anche non è una questione di orgoglio, quanto di trovare la forza di perdonarlo.
Saprebbe cosa dire, come porre fine a tutto, semplicemente permettendo a se stesso di essere ciò che è, senza paura e senza indugi, ma anni prima aveva messo dei confini che, quando Charlie non gli è attorno, gli è quasi facile non valicare.
Si è imposto un diverso giro di amicizie, ore trascorse in biblioteca e Jenny, che gli occupa la mente e il cuore quel tanto che basta da fargli dimenticare quanto entrambi gli organi pensino a un’altra persona.

A fine Novembre, Charlie sceglie di ignorare il suo compleanno, nonostante gli sbatta contro uscendo da Incantesimi e ricordi più che bene il giorno della sua nascita. Non può negare di rimanerci male, ma continua a percorrere le tappe prestabilite: amici, biblioteca, Jennifer, che riescono a tenerlo impegnato, anche se mille pensieri gli assillano la mente.
Due settimane dopo è il turno di Charlie di compiere gli anni e Bill lo raggiunge al campo da quidditch.

“Non ho bisogno dei tuoi auguri” risponde il minore, prendendo la scopa sottobraccio e dirigendosi verso gli spogliatoi dopo aver decretato la fine degli allenamenti.
“Beh, allora scusa se te li ho fatti, Charlotte” ribatte il più grande, voltandosi e superandolo diretto verso il castello.

Il più piccolo è conscio di comportarsi immaturamente, ma non gli importa. È più semplice tenerlo a distanza, in questo momento, che dover fingere un sorriso mentre tutto ciò su cui aveva sempre fatto affidamento si sgretola attorno a lui.

*

Il ritorno a casa per le vacanze rende tutto più difficile.
Convivere nello stesso spazio annienta le difese che Hogwarts invece concedeva; lo sfinisce cercare continuamente di evitarlo mentre Bill gli gironzola attorno provando a riappacificarsi.

“Cosa diavolo è successo tra voi due, si può sapere?” sente loro madre chiedergli, girellando per la cucina preparando la colazione.
“Ho scordato di andare agli allenamenti di quidditch, quando è stato eletto capitano” risponde il fratello, la voce mesta. Se lo immagina, seduto su uno degli sgabelli della cucina a osservare la donna stendere la tovaglia sulla tavola.
“Oh Bill, e perché lo hai scordato?” chiede lei, con un certo rimprovero nel tono, ma non ottiene replica.

La risposta la sa Charlie che, nonostante si renda conto di quanto sia insensata la sua gelosia, non riesce a domarla. Così decide di non regalargli comunque nulla, nonostante le pressioni di Molly e anche se aveva già comprato un pesante tomo sulla magia vodoo praticata in Africa che sa per certo avrebbe interessato il fratello.
Però, trovare sul proprio letto, la mattina di Natale, il pacchetto contenente il libro che desiderava tanto sui Chudley Cannons con un biglietto in cui gli rinnova le sue scuse lo fa sentire anche peggio.
Improvvisamente si rende conto che le cose tra loro sono rimaste così sospese grazie alla sua testardaggine da non aver prestato assolutamente attenzione alla vita del fratello. È solo quando dopo il pranzo prende in prestito il gufo per scrivere a Timothy che realizza che durante il periodo trascorso a casa Bill non ha mai scritto a Jenny, nemmeno una volta.
All’improvviso ricorda di averla vista mano nella mano con Mellory di Corvonero pochi giorni prima delle feste, ma era così preso dalla sua rabbia nei confronti di Bill che non aveva nemmeno registrato l’informazione.
Lei, in fondo, non è mai stata importante.

Due giorni dopo torna a parlargli, lo saluta entrando in bagno con un asciugamano in mano.
Bill lascia cadere il suo nel lavandino e gli regala un pallido sorriso nel riflesso dello specchio, abbassando lo sguardo, poi si volta e lo abbraccia come se non lo vedesse da anni.

“Mi dispiace” sussurra stringendolo, il suo mento sembra perforargli la carne da tanto è premuto contro la propria spalla.
“Non fa niente” e il più piccolo ricambia l’abbraccio con altrettanta forza.

1989

Hogwarts può facilmente diventare un inferno - troppo affollata, rumorosa, piena di vita, troppo sempre, troppo ovunque.
A Charlie non importa: in mezzo alla gente sta bene, non ha mai sentito il bisogno di isolarsi, ma sa che per Bill è diverso. A volte, quando l’urgenza di stare solo cresce in lui e persino il vociare degli amici riesce a infastidirlo, il fratello si rifugia nella propria stanza, su nei dormitori, si rintana là sopra per leggere o semplicemente pensare. Gli è capitato di trovarlo con lo sguardo perso nel vuoto, a vagare nel labirinto di qualche ragionamento che non condividerà con nessuno.

Allora, di tanto in tanto, lo raggiunge in quel luogo di solitudine, si ritaglia dei minuti per stare insieme, e Bill lo lascia entrare, gli lascia spazio, come se la sua presenza non lo disturbasse. Charlie si è convinto che ormai hanno poco più di questo e vuole sfruttare il tempo che rimane il più possibile - stanno prendendo direzioni così differenti che a breve si troveranno a vivere vite separate, lontani l’uno dall’altro, e forse finiranno col perdere quella familiarità serena che permette loro di godere della compagnia reciproca senza bisogno di scambiare una parola.

C’è stato un momento in cui si è illuso che quel suo accoglierlo significasse qualcosa di più, quando l’altro chiudeva fuori il mondo intero tranne lui, ma ormai ha abbandonato quei pensieri sciocchi. Col senno di poi non sa nemmeno bene cosa si fosse aspettato - gli sono serviti anni per comprendere che quello che provava nei confronti del fratello andasse ben al di là di ciò che avrebbe dovuto sentire, ma la coscienza di quanto fossero sbagliati e irrealizzabili i suoi desideri lo aveva colpito subito, con una durezza tranquilla, come se non ci fosse fin dall’inizio alcun tipo di speranza.

Qualche mese dopo, Bill termina la scuola con dodici M.A.G.O., congratulazioni da parte di tutti i professori, e dice addio a Hogwarts definitivamente.
Dice addio anche a Charlie, ai loro incontri quieti e, prima della fine di Luglio, parte per l’Egitto senza voltarsi indietro.
Ed è un po’ come se da lì in poi si ritrovasse a vivere una nuova vita.

1991

Il lavoro alla riserva di draghi in Romania è una delle opzioni che il Ministero gli offre, una possibilità concreta per una carriera sicura, e anche per ricominciare da capo.
La decisione di Bill riguardo all’Egitto è ciò che ha segnato il loro presente, che ha definito il loro allontanarsi, messo un punto a qualsiasi cosa credeva di aver visto nei suoi occhi quella sera ormai lontana nei corridoi di Hogwarts. Che ha dato il via a una ricerca estenuante di se stesso, dando voce e corpo a domande interminabili e a nodi che forse non saprà sciogliere con le sue sole forze.

È stato il periodo che più lo ha cambiato, che lo ha reso più cauto, accorto, incline a sviscerare i problemi, e gli ha permesso di realizzare che rimane ben poco a cui aggrapparsi, che i suoi sentimenti fanno di lui un estraneo agli occhi dell’altro.
Non avrebbe mai considerato l’idea di un lavoro all’estero se Bill non fosse stato il primo ad andarsene, a lasciarlo indietro.

Charlie l’ha vissuto come il tradimento finale, un punto di non ritorno, sebbene sia assurdo parlare di tradimento in questa circostanza - non sa ancora a cosa imputare la nascita di quell’amore possessivo verso Bill, se sia stato l’essere messi in camera insieme ad azionare il meccanismo, a dare vita alla semplicità con cui condividevano tutto, alla familiarità con cui poteva osservare il suo corpo cambiare nell’adolescenza e scoprirsi improvvisamente a desiderarlo. O se a innescare la miccia sia stato qualcosa di più viscerale, qualcosa di inarrestabile scritto nel suo codice genetico, che non avrebbe potuto combattere in alcun modo.
Quindi, parlare di tradimento è azzardato, eppure è così che si sente. Ha vissuto di complicità innocenti e abbracci rubati così a lungo che scoprirsi affamato di amore lo coglie alla sprovvista, gli impone di dettare un ritmo diverso alla propria vita.

E così la Romania, che è più fuga che altro.

1993

Sighişoara brucia nel sole del tardo pomeriggio, tutta guglie, tetti rossi e piccole case colorate.
Aspetta Bill riparato in uno dei vicoli ombrosi della città, la schiena appoggiata contro il muro fresco e umido, il capo reclino all’indietro e gli occhi socchiusi.

Ha atteso quell’incontro vivendo nell’ansia di ricevere in ogni momento una lettera in cui il fratello maggiore si scusava di non poterlo raggiungere neanche per questa volta, inventando un contrattempo banale come aveva fatto sino ad ora, in modo che non si incrociassero mai, nemmeno negli scarni e sporadici periodi trascorsi alla Tana. Così, aspettarlo ora, nel suo ritardo poco elegante non gli sembra nulla, non quando sa che sarà lì per metà dell’estate dopo due anni trascorsi senza vederlo.

Sta osservandosi le scarpe quando compare dall’altro lato della strada, e senza voltare il capo nella sua direzione sa che è la sua figura quella che si sta muovendo nella sua direzione.
Poi lo guarda e lui gli regala un sorriso, come se per tutto quel tempo non gli fosse sfuggito, come se non avesse mai fatto in modo di non trovarsi nello stesso posto; e a Charlie viene il dubbio che forse è stato troppo ansioso, paranoico, folle a pensare che Bill lo stesse evitando.

Scaccia quei pensieri e lo osserva avvicinarsi, con il sole alle spalle e il viso in mezz’ombra.

Lo saluta e si abbracciano, come a cancellare con l’ennesimo gesto quel periodo di continue fughe; poi Bill appoggia le labbra fresche contro la pelle accaldata del collo del fratello e un brivido percorre la schiena del ragazzo più giovane: improvvisamente, quell’abbraccio fraterno si è trasformato in altro senza aver davvero mutato la sua forma.
Bill lo lascia andare pochi secondi più tardi, come se si fosse riscosso tutto d’un tratto. In realtà ha solo ricacciato indietro il bisogno di sentire il corpo di Charlie contro il proprio, il suo sapore sulle labbra; quel contatto lo ha acquietato ancora un poco, come invece quei due anni di lontananza non avevano saputo fare.
Per troppo tempo aveva creduto che la risposta sarebbe stata eliminare Charlie dalla propria vita, mettere spazio e persone tra loro due, quando invece avrebbe già dovuto capire che non c’è niente che possa cancellare l’amore e il desiderio che nutre nei suoi confronti.

Guarda il fratello adocchiare i suoi capelli lunghi, l’orecchino al lobo sinistro e sorridere.

“A mamma verrà un infarto, “ dice, e poi si scosta da lui e gli fa strada verso il piccolo appartamento in cui vive, appena fuori città.

Quello è il mese che ricostruisce interamente il loro rapporto, che ricrea la dinamica complice che hanno sempre avuto; eppure, a Charlie, Bill appare una persona diversa quando si scopre a osservarlo compiere anche il gesto più banale.

“Mi sei mancato da morire,” gli dice Bill una sera, dopo aver messo via qualche bicchiere di troppo. E lui non può far altro che esserne felice.

1994

La Coppa del Mondo di Quidditch li riunisce nuovamente nell’arco di breve tempo, prima che possano scordarsi nuovamente le sensazioni che la presenza reciproca crea.
Ritrovarsi insieme nella stanza che hanno condiviso per una vita intera, però, mette Charlie leggermente a disagio. È da tanto che non spartisce uno spazio così piccolo col fratello - essere stati per un mese sotto lo stesso tetto l’estate scorsa non è nemmeno lontanamente paragonabile a dormire a un metro di distanza l’uno dall’altro.
Ed è la realizzazione dell’esistenza di questo disagio che gli fa capire con una concretezza spaventosa come, in tutti quegli anni, non sia ancora riuscito a dimenticare Bill, a mettere via l’amore che nutre nei suoi confronti. Niente è finito e probabilmente non lo sarà mai, prima imparerà ad accettarlo e prima sarà meglio per tutti.

Si infila sotto le coperte, lasciando scemare via la stanchezza della giornata.

“Mai sembrata così piccola, eh?” domanda Bill con un sorriso, entrando e infilandosi il pigiama poggiato sul proprio letto. Poi vi si siede e osserva le pareti dalla vernice azzurro pallido leggermente rovinata negli angoli in basso, ricoperte di poster di giocatori di quidditch e di cartine di ogni parte del mondo.
Passa rapidamente gli occhi sull’armadio che non si è mai chiuso bene; da una delle sue antine Ludo Bagman, nella sua divisa a righe gialle e nere, saluta felice verso di loro a cavallo della propria scopa, mentre Eunice Murray, appiccicata al suo fianco, continua a fare capriole nell’aria.

“Dio, quanto mi era mancata,” aggiunge poco dopo, mentre il sorriso di prima si intristisce un poco e assume una nota di stanchezza. “Beh, sarà meglio dormire, anche se domani non ci tocca una levataccia come agli altri sarà comunque una giornata pesante.”
“Già, con tutta probabilità mamma ci butterà giù dal letto ugualmente,” replica Charlie, “e se non lo farà lei sarà la finezza da ballerina di Ron.”

Il maggiore getta la testa indietro ridendo, e poi si corica anche lui, spegnendo con un colpo di bacchetta la luce.

*

Charlie ha appena finito di lavarsi i denti e ora sta ascoltando le grida provenire dall’altra parte della tenda, indeciso se uscire e affrontare quel chiasso, quando Bill compare alle sue spalle.

“I gemelli e Ron sotto lo stesso tetto sono una combo malefica che non dovrebbe esistere,” mormora, appoggiandosi contro il lavello.
Il minore dei due scoppia a ridere e questo distende il fastidio di Bill che si mette a ridacchiare di rimando.

“Allora, come va in Romania?” gli chiede poi, mentre con un ghigno tira fuori la fiaschetta che era stata di loro zio Gideon e che Bill aveva ricevuto in regalo, all’insaputa di Molly, per i suoi diciassette anni. Come sempre, sin da quando erano ragazzi, è piena di Whiskey Incendiario Odgen Stravecchio. Quella bottiglina, e implicitamente Bill, sono stati la causa della sua prima sbronza coi fiocchi a quattordici anni.
Dà un fiato e poi la passa a Charlie.
Continuano così per un po’, fino a quando il contenitore non è vuoto e loro due ridono per un nonnulla e si reggono a malapena in piedi.

“Qualche ragazza all’orizzonte?” domanda poi con nonchalance Bill, e a Charlie sembra che fosse la domanda che voleva porgli da quando si sono visti. “Quella Petroska della riserva, ad esempio.”
“Petra,” lo corregge Charlie, cercando di darsi un contegno mentre rimette insieme le sue cose. “E no, nessuna ragazza all’orizzonte.”

Poi accade così rapidamente, di trovare le labbra di Bill premute contro le proprie, che non è nemmeno sicuro stia succedendo davvero, che ci fosse sin da principio quell’intenzione dietro la più banale delle domande.
Ma è facile ricambiare, gettare il dentifricio nel lavandino liberando le mani per abbracciare l’altro, farle passare sulla sua schiena ampia. È un bacio affamato, così a lungo negato e represso che è solo uno scontro di denti e disperazione; ma poi si quietano, ben lontani dall’essere sazi ma meno voraci, e il bacio si approfondisce, facendo scoppiare una bolla di calore nel petto di Charlie, la sente espandersi invadendo il suo corpo.

È Bill il primo a porvi fine, come se avesse riconquistato un barlume di sanità mentale all’improvviso. Lo guarda sconvolto, tenendolo ancora per le spalle, il fiato corto.

“Che state facendo lì dentro?” arriva la voce sospettosa di Fred all’improvviso da dietro la porta. “Non starete bevendo insieme alla faccia nostra?”
“Non dire scemenze,” risponde Bill con una prontezza che il minore potrebbe solo sognarsi in questo istante. Ed esce, occupandosi di Fred, portandolo verso il salotto.

Charlie getta un’occhiata al dentifricio, allo spazzolino scivolato a terra nella foga del momento, e al suo riflesso nello specchio, al rossore del suo viso e alle lentiggini rese ancora più evidenti da questo.
Poi tirando un lungo sospiro esce anche lui, dirigendosi direttamente a letto dove, stranamente, si addormenta subito.

*

Il mattino dopo alzarsi è una fatica come non credeva possibile. Il cerchio alla testa lo rende scorbutico e, mentre cerca di ricordare esattamente ciò che è successo la sera prima, rimettere insieme i fatti, dare un ordine agli avvenimenti, osserva Bill fare colazione tranquillamente seduto al fianco di Harry.
Si domanda se non si sia immaginato tutto, se il tasso alcolico nel suo sangue fosse così alto da aver creduto che fosse vero un sogno a occhi aperti, poi Bill incrocia il suo sguardo e tutto ritorna al proprio posto, perché è lo sguardo stesso di ieri.

Da quel punto in poi fermarsi è difficile, e ogni volta si scoprono a volere di più l’uno dall’altro.
Ma i sogni finiscono sempre.

1997

Bill si sposa in un giorno d’estate, il sole splende alto nel cielo e l’aria profuma di fiori di campo ed erba alta.
Anche se sa cosa ha perso, Charlie non potrebbe essere più felice per lui perché, in fondo, ciò che avevano è sempre stato impossibile.

2001

Hanno provato seriamente a darci un taglio. Prima delle nozze si sono fatti l’un l’altro un discorso sul futuro e i doveri verso Fleur in cui il punto focale non era soltanto quanto fosse sbagliato amarsi, ma il concedersi degli attimi di debolezza in proposito. È stato Charlie ad iniziare la discussione, e Bill glien’è stato grato - anche se lasciarlo andare è stato uno sforzo immenso che non avrebbe voluto compiere.

Poi è bastato passare un Natale insieme, dopo anni di lettere e tentativi maldestri di non incrociarsi, e tutto è ricominciato, come se non avessero posto una fine, come se non avessero deciso di andare avanti con le loro vite percorrendo una strada differente dalla precedente. Senza che ci potessero fare niente.

È stato Bill a cedere per primo - di solito è lui a non riuscire a fare a meno di Charlie; hanno perso così tanto tempo, si vedono così di rado, che ogni volta non riesce a trovare in sé la forza di frenarsi. La sua incostanza e irrequietezza non sembrano scemare, vanno e vengono come un’onda che arriva e si ritira leggera, fin negli abissi del mare.
A volte il minore dei due crede che l’altro sia fatto per il tradimento, perché non vede un briciolo di senso di colpa nei suoi occhi, trasparenti o scuri a seconda di come ricade la luce sul suo viso.
Ma trova sempre il modo di vincere le sue resistenze, sempre.

2008

Dopo il matrimonio, i figli, la lontananza, è stato inevitabile perdersi di vista. Se prima delle gravidanze di Fleur era difficile vedersi, dopo è divenuto quasi impossibile.
La loro è una relazione discontinua, che si basa su attimi rubati, bugie senza fine, scuse accampate durante l’estate o la notte di Natale per poter passare insieme qualche ora.
Le occasioni sono così rare che, una mattina, Bill si è svegliato e ha preso un giorno di permesso dal lavoro, senza che Fleur ne sapesse nulla, ed è partito per la Romania solo per vederlo, ritornando a casa in tempo per cena.

“Dove le hai detto che saresti andato?” domanda Charlie, il capo appoggiato contro la sua spalla.
“Non gliel’ho detto, crede che sia in ufficio,” risponde l’altro, e il più piccolo se lo riesce a immaginare mentre finge di prepararsi come in qualsiasi altro giorno, facendo colazione insieme a Louis e Dominique prima di lasciare il cottage con un bacio sulla guancia di Fleur. Riesce a immaginarsi quella famiglia modello.
“Dovremo fermarci, prima o poi,” replica allora perché, sebbene una parte di lui sia incapace di rinunciare a Bill, si sente sempre in colpa verso Fleur, per questi espedienti squallidi, quegli incontri fugaci.
“Dovremmo? Lo diciamo ogni volta e ogni volta riprende, sono stanco di far finta che possiamo porvi una fine. Non m’importa, voglio solo… questo.”

Le sue parole suonano spietate, ma Charlie non riesce ad amarlo meno, e allora la storia va avanti, inarrestabile.

2013

È strano come la vita scelga da sé in certe occasioni. Come ti metta sulla strada da imboccare, quasi per caso, semplicemente prendendo una decisione con leggerezza su una faccenda che sembra di poca importanza.

“Ti hanno offerto un posto in sede e hai rifiutato?” la voce di Bill è asciutta, taglia l’aria come un coltello. Charlie può sentire la sua rabbia crescere, ribollire sottopelle, ma sa che il fratello non perderà la calma, non con Fleur seduta al suo fianco.
“No, Baiout mi ha chiesto se mi piacesse il lavoro su campo o se preferissi quello d’ufficio,” replica allora con cautela, “non avevo idea ci fosse la possibilità di una promozione e di tornare a Londra.”

Il suo lavoro è una di quelle questioni spinose che li hanno sempre fatti litigare, affrontate con regolarità durante ogni visita; ogni incontro è stato macchiato dal pensiero di un suo eventuale avvicinamento, dalla conseguente possibilità di vedersi più spesso.

“Quindi ti hanno spostato? Non fai più parte della stazione di Sighişoara?” chiede poi, fissandolo negli occhi e sapendo già la risposta.
“Mi hanno messo a capo della riserva a sud,” ed è inutile aggiungere altro, sottolineare che è la più lontana, quella più difficilmente raggiungibile, con meno città, meno punti di appoggio - ma con maggiori misure di sicurezza a causa della presenza dei draghi più pericolosi.
Nessuna possibilità di incontri improvvisi nell’arco dell’anno senza il permesso del Ministero.

Fleur sembra avvertire la collera del marito, allora si alza e senza dire una parola inizia a mettere sul vassoio il servizio da tè, scomparendo poco dopo oltre la porta della cucina.
Charlie osserva il volto di Bill e, per la prima volta dopo anni, sembra vederlo chiaramente nella luce chiara che filtra dalla finestra, nella concretezza di quel luogo. Nota l’avanzamento del tempo sul suo viso, che ha scalfito pure lui, anche se conserva i contorni intatti della giovinezza, la solita compattezza, ma c’è una nuova stanchezza nei suoi occhi verdemare, nella piega amara delle labbra.
Da ragazzo avrebbe faticato a mantenere la calma, ora sembra solo rassegnato, sconfitto.

“Non mi sono mai aspettato niente,” inizia a bassa voce, con un sospiro. “Non ti ho mai imposto nulla per quanto me ne sia lamentato, non ero nella posizione per farlo,” getta uno sguardo alla porta dietro la quale è svanita sua moglie pochi minuti prima e Charlie sa che si sta riferendo al suo matrimonio, all’aver cercato stabilità attraverso un legame possibile, “ma avremmo potuto avere di più. Invece abbiamo collezionato solo miseria, anni passati senza vederci e decine su decine di lettere. E ora questo.”
“E pensi che se avessi avuto il posto a Londra sarebbe stato diverso?” domanda allora il minore, “ci sarebbe comunque stata Fleur, i tuoi figli e questa cosa di mezzo,” replica, riempiendo con un gesto della mano lo spazio tra i loro corpi. “Saremmo sempre stati noi due.”
“Quindi quando ci rivedremo?”

La domanda cade nel vuoto, perché una risposta ancora non esiste nello stato delle cose; suona come un addio quel silenzio stanco, anche se non lo è, entrambi sanno che non potrà mai essere un addio.

*

Il cottage di Bill profuma di sale e sabbia, ed è questo che vuole ricordare mentre si mette in spalla la sacca da viaggio e il fratello lo stringe in un abbraccio. Questo, il calore del suo tocco, la distesa blu del mare sotto di loro, e quanto è strano come tutto all’interno e all’esterno della casa sembri familiare ed estraneo allo stesso tempo: il soffitto intonacato di bianco, riconoscere qua e là gli oggetti che sa appartenere a Fleur senza averli mai visti, pergamene con i compiti dei figli sparse sul tavolo del salotto, il cielo che inizia a imbrunire a est, il freddo della sera che solletica le sue braccia scoperte.

“Prometti che farai di tutto per tornare appena puoi. Se non a Natale almeno l’estate prossima. Promettilo.”
“Promesso.”

Si lasciano con un sorriso e quell’impegno sottile, mentre l’oscurità cala lenta attorno a loro.

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