Ispirata al mio personaggio
Macha u.u
Se volete dare la colpa a qualcuno per il titolo... Beh, datela a Kero >.>
«Non se ne parla!»
Brandon Ingvalt, o meglio lord Brandon Ingvalt, come amava farsi chiamare dai suoi sottoposti, sbatté i pugni sul tavolo con fare molto poco nobiliare. Il sigaro spento che spuntava dai baffi tremò e minacciò di cadere, ma l’anziano riuscì a tenerlo saldo tra i denti. Il segretario si riparò d’istinto dietro la cartelletta piena di rapporti da approvare.
«Tu non vai da nessuna parte se prima non ti diplomi all'accademia!» ruggì di nuovo, rivolto ad una minuta ragazza dai capelli rosso fuoco che stazionava a pochi metri da lui. Lei alzò gli occhi al soffitto, apparentemente più interessata agli intarsi che alla discussione che stava portando avanti. La mossa non sfuggì all'uomo, che sbuffò stizzito dall'irriverenza della nipote.
«Davvero, se avessi preso il buonsenso dalla tua povera nonna, pace all'anima sua...» mormorò tra sé e sé, ma a voce abbastanza alta da essere udito. Non era la prima volta che si verificava quella scena, e Macha sapeva bene che prima o poi il nonno avrebbe ceduto, solo che il suo orgoglio gli impediva di accogliere subito la richiesta della sua unica e amatissima nipote. Non era cosa di tutti i giorni che lei gli chiedesse di raccomandarla per l'ingresso in un Garden, nella fattispecie un Garden di recente fondazione come quello dell'Anziana Rinoa, il cui nome veniva mentalmente associato a quello di un'altra, ben più famosa, Rinoa: la galbadiana Heartilly. Galbadiani! Nei suoi pensieri, lord Brandon caricò di disprezzo quella parola: odiava Galbadia in tutto ciò che la rappresentava, che fossero notizie sui giornali o l'ultimo grido in fatto di moda. Non dimenticava facilmente ciò che Galbadia aveva fatto non molto tempo prima a Esthar.
Macha attese ancora qualche istante in silenzio prima di prendere la parola: «Per la verità, nonno, io credo che al Garden imparerei molto di più che stando all'accademia di Esthar. Tra l'altro l'ambiente lì non mi piace» concluse, incrociando le dita dietro la schiena: forse quella era la volta buona.
Lord Brandon sbuffò ancora una volta prima di prendere carta e penna e cominciare a scrivere una lettera di presentazione. Però, prima che Macha potesse cominciare ad esultare, aggiunse: «Speravo proprio che un giorno potessi prendere il mio posto. Sono troppo vecchio per comandare la base spaziale, ormai». A quella frase Macha alzò nuovamente gli occhi al cielo, per niente convinta. Con i suoi settant'anni suonati, portati oltretutto bene, lord Brandon non aveva affatto bisogno di cedere la carica che ricopriva, non nell'immediato futuro almeno. Ad occuparsi delle ispezioni ci pensava il suo secondo, e il suo ruolo era soprattutto approvare i lanci dal Lunagate, ormai sempre più rari. Da quando il sigillo di Adele era stato rimosso e la strega sconfitta, la base veniva usata per gli studi sui mostri e sulla calamità denominata “Pianto lunare”, ma era quasi certo che presto la missione sarebbe stata revocata, ed agli impiegati militari, lord Brandon compreso, sarebbe stata garantita un'occupazione di pari rango in un altro settore dell'esercito.
L'uomo terminò finalmente la lettera e la firmò con un ultimo svolazzo. Consegnò la busta alla nipote, che la ripiegò in tasca con cura, soprattutto per evitare di mettersi a saltellare per la contentezza davanti al nonno. In fin dei conti era una signorina di buona famiglia, le buone maniere prima di tutto.
«Ecco fatto. Vedi di impegnarti almeno» borbottò lord Brandon, prima di congedare Macha e tornare alle sue occupazioni lavorative - firmare rapporti e accendere il dannato sigaro, ora che la nipote era uscita. Una mezz'ora prima era in procinto di accostare la fiamma alla punta, quando era piombato un tornado rosso a chiedergli di nuovo una lettera di presentazione per il Garden in cui intendeva trasferirsi, e quindi era stato costretto a spegnere l'accendino per non incorrere nei rimproveri della nipote. Macha mal sopportava le persone che fumavano, e aveva avviato una personale campagna tra i domestici, non sempre ben accolta dagli stessi, per abolire sigarette e affini sul luogo di lavoro.
Intanto, fuori dalla porta, Macha aveva un sorrisone a quarantadue denti stampato in faccia, lo stesso di un bambino a cui avessero appena regalato un lecca lecca gigante. Il suo 'lecca lecca' dopotutto era più importante e più agognato di un comune dolce, e finalmente avrebbe potuto mollare l'accademia militare di Esthar per un ambiente più elitario, e forse più pacifico, quale quello di un Garden. A Esthar un ruolo di supporto come il suo non era molto rispettato, e perciò ardeva dalla voglia di combinare qualcosa che non fosse solo l'essere relegata nei campi medici a trasportare pacchi di flaconi.
Cancellando questi sconfortanti ricordi dalla mente, Macha corse verso la propria stanza, a dire il vero posta ad una notevole distanza dallo studio del nonno, e cominciò a prepararsi per la partenza. Coccolò a lungo i suoi gatti - due femmine e un maschio - che stavano pigramente acciambellati sul letto, com'era loro costume quando faceva troppo caldo. Da parte sua, Macha aveva già inoltrato domanda di trasferimento ai suoi superiori, e loro, forse felici di liberarsi di un soldato neanche tanto utile, l'avevano prontamente accettata. Mancava solo la lettera di lord Brandon, e ora che l'aveva, niente poteva ritardare ulteriormente la sua partenza.
Anzi, forse qualcosa c'era: il treno. Aveva studiato gli orari, ma se non si fosse sbrigata, non sarebbe giunta in tempo a comprare il biglietto e prendere la prima corsa disponibile per F.H., dove pareva che l'accademia del Garden di Rinoa fosse attraccata. A dire il vero non capiva bene perché la struttura studentesca fosse separata dal corpo principale del Garden, ma senza dubbio era una delle cose innovative che ne caratterizzavano la gestione.
Lasciò la residenza paterna scortata da due ali di domestici, radunatisi per salutare la padroncina prima che lasciasse Esthar per quello che sarebbe stato un lungo periodo di tempo. Già, chissà quando sarebbe tornata...
Una lieve brezza marina la accompagnò mentre saliva sul treno e si voltava per l'ultima volta, fissando l'azzurro abbagliante che Esthar emetteva sotto la luce del giorno come se volesse imprimerselo nelle pupille. Dopodiché la porta si richiuse, e il treno, sferragliando, abbandonò lentamente la stazione.
Di fronte a lei un lungo ponte, infinito come le possibilità.