TITOLO: Nel tuo letto, il tuo ricordo
AUTRICE: Vahly
FANDOM: Originale
PERSONAGGIO: Jess, lo stesso di
questa oneshot RAITING: pg13
GENERE: introspettivo, malinconico
AVVERTIMENTI: one-shot, death
NOTE: scritta per la GEN WEEK su
fanfic italia NOTE2: oramai mi vengono in mente solo titoli di cacca, lo so.
Nel tuo letto, il tuo ricordo.
Era strano trovarsi lì.
Ci era già stato decine, centinaia di volte, certo. Ma sempre con lui, e sempre in quelle lunghe giornate in cui la calura estiva gli faceva abbassare le palpebre ed annebbiare i sensi, in cui immergere una mano nelle fresche acque del lago era l’unica cosa che lo facesse sentire sollevato.
Si strinse nelle coperte, mentre ricordava quei pomeriggi passati a pescare con Max, per poi tornare in quella stanza a ridere e scherzare. E poi la sera si addormentavano, lasciando che dalla finestra aperta entrassero i versi dei grilli e delle cicale ed il fruscio delle foglie mosse dal vento.
Era una sensazione strana, sì, ma non era sicuro di poterla classificare come gradevole o sgradevole.
Affondò il volto nel cuscino, mentre ripensava alla telefonata ricevuta quel pomeriggio, ricevuta dall’ultima persona che mai si sarebbe aspettato: la madre di Max.
Era tanto tempo che non parlava più con la donna, esattamente da quando un anno prima suo figlio era morto. Ovviamente, lei non aveva motivo per evitarlo, ma Jess non riusciva a guardarla negli occhi senza ricordare la morte del suo migliore amico. Ed ogni volta era peggio di una pugnalata in pieno petto.
La madre di Max aveva trovato dei quaderni, oggetti di scuola e libri che da giovane Jess aveva prestato all’amico, videogame comprati mettendo in comune i risparmi, e vecchie cose che il ragazzo non avrebbe mai voluto rivedere. Cose a cui teneva, ma di cui non era pronto a sostenere la vista. Durante la telefonata, si era domandato se sarebbe stato in grado di tenerle in mano.
Eppure, non aveva potuto rifiutarsi, ed era partito per raccogliere ciò che di suo vi era in quei cassetti, rimasti chiusi per così tanto tempo.
L’impatto fu quasi devastante, ma non del tutto. Così, era riuscito a fingere di star bene, di non aver gli occhi lucidi per il rimpianto e i ricordi, di non aver fatto cadere quella rivista perché gli ricordava i momenti durante la ricreazione in cui potevano scherzare sulle modelle e fare scommesse su quale calciatore avrebbe segnato più goal. Aveva potuto fingere di essere stanco, ed i genitori del suo vecchio migliore amico gli avevano proposto di restare a dormire.
Jess quasi si sentì mancare all’idea di passare la nottata in quel letto.
Il letto che Max avrebbe voluto cedergli, senza mai riuscire a farlo. Il letto in cui vedeva l’altro socchiudere gli occhi sorridente, per poi addormentarsi raggomitolato su un fianco, in cui quelle rare volte in cui dormiva supino aveva potuto vedere il suo torace alzarsi ed abbassarsi regolarmente.
E si era sorpreso di se stesso, quando aveva infine ceduto alle insistenze ed aveva accettato di fermarsi per la notte, sapendo già che non avrebbe dormito.
Doveva essere un’illusione, perché di sicuro le lenzuola dovevano essere state sostituite da allora, ma aveva quasi l’impressione di poter sentire il suo odore. Lì, in quello stesso punto, Max si era abbandonato al sonno ed aveva lasciato che il suo corpo si abbandonasse alla stanchezza.
E lui aveva quasi l’impressione di profanarlo, quel letto, con la sua immonda presenza.
Aveva un senso sentirsi ancora vicino a lui, in quel frangente?
Il suo migliore amico era morto, doveva accettarlo. Ed anche se a volte si illudeva che sarebbe stato così, quelle onde che lo avevano inghiottito, non l’avrebbero riportato indietro. Nessuno glielo avrebbe restituito.
E nessuno avrebbe potuto dargli modo di ascoltare ancora la sua voce, di rivedere il suo sorriso né il suo broncio.
Le cicale non cantavano più, in quella fredda notte di dicembre, mentre lui si stringeva al cuscino come un bambino spaventato. Erano morte anche loro.
Sospirò, incapace di accettare tutto quel che era successo, ma sforzandosi di vedere oltre l’ineluttabilità del destino. Forse un giorno si sarebbero rincontrati, riabbracciati. In un’altra vita, chissà. In un altro tempo, in cui sarebbero stati felici, in cui avrebbero trovato delle graziose donne da sposare, ed avrebbero messo su famiglia. E nessuno sarebbe dovuto morire giovane.
O forse sarebbe accaduto ugualmente?
Sospirò, rendendosi conto che tutto ciò non aveva senso, e che oramai doveva trovare il coraggio di dirgli addio.
E per la prima volta da quando era morto, steso su quel giaciglio che sapeva di melanconia e di ricordi, pianse. Pianse, come avrebbe sempre voluto fare me non aveva fatto.
E capì che doveva andare avanti.