Titolo: The aftermath
Capitoli: 1/?
Fandom: My time at Portia
Coppia/Personaggio: Aadit/Female Builder
Rating: rosso
Parole: 5000
Generi: Drammatico, introspettivo, sentimentale
Warning: Violenza, Spoiler!
Note dell'autore: Scritta per la decima edizione del COT-W. Ambientata in late game, occhio agli spoiler!
La guerra contro il Cavaliere Corrotto è finita e, nonostante la vittoria, nessuno dei cittadini di Portia è in vena di festeggiamenti.
Eryn si guarda intorno, trovando la città in sfacelo. Ci sono danni consistenti alla piazza centrale, alla chiesa e al centro di ricerca. Colonne di fumo si levano dai tetti degli edifici, soffocando con il loro intenso odore di bruciato i tipici profumi di pane cotto, legno fresco e fiori della città. Eryn aiuta Phyllis a soccorrere ogni abitante nelle vicinanze sebbene sia ancora provata dal combattimento; non se ne lamenta sapendo che c'è chi ha subito ferite peggiori delle sue, come Albert a cui in quel momento tiene ben strette le spalle al suolo mentre urla di dolore. Eryn vorrebbe chiudere gli occhi, ma sa che è necessaria tutta la concentrazione e forza di volontà per quel compito. Scruta dispiaciuta il viso del ragazzo sudato e sbiancato, contratto da un'espressione disperata e sofferente.
“Resisti,” riesce solo a dire Eryn in un filo di voce mentre scorge Phyllis prendere il polpaccio di lui. La carpentiera evita con lo sguardo la gamba del ragazzo che si piega in maniera innaturale e intensifica la presa sulle spalle di Albert mentre Phyllis, con un cenno, l'avvisa che avrebbe fatto la manovra. Con uno scatto veloce e studiato, la bionda rimette l'osso a posto e il ragazzo urla di dolore, poi sviene. Eryn gli tocca la fronte calda e guarda con apprensione Phyllis, che le sorride debolmente.
“Questa è una misura provvisoria. Dobbiamo portarlo in clinica il prima possibile... ma non preoccuparti, da svenuto soffrirà di meno,” spiega ad Eryn. La carpentiera guarda il ragazzo, gli asciuga la fronte e gli sistema i capelli.
“Vado a vedere come stanno gli altri,” avvisa, e Phyllis annuisce.
“Io rimango qui. Se ci fosse bisogno d'aiuto vieni a chiamarmi.”
Eryn si alza. La gamba le fa un po' male e il lividi sulla schiena e il collo le pulsano ancora tanto, ma cerca di mascherarlo. Corre per la strada che porta alla gilda e trova Arlo insieme ad un copioso gruppo di persone. Eryn sa che lui e Sam hanno raggruppato tutto il paese per accettarsi che non ci siano morti o dispersi. Quando il capo del corpo civile la nota arrivare, non riesce a non contenere un sorriso.
“Buone notizie,” le dice con un tono addolcito che poche volte gli ha sentito, “abbiamo fatto la conta di tutti coloro che vivono all'interno delle mura e stanno bene. Alcuni hanno subito delle ferite lievi o delle fratture, ma nulla di grave o irrimediabile.”
Eryn sorride grata, lasciandosi andare in un pianto debole e liberatorio, sfogando tutta la tensione e la paura che aveva accumulato durante e dopo il combattimento. “Meno male,” dice a voce bassa.
“Vai da Aadit, non c'è più bisogno che ci aiuti qui.”
“D'accordo... Ci troviamo tra qualche ora al centro della piazza,” mormora Eryn con gratitudine prima di correre all'ingresso della città dove ha lasciato il suo cavallo. Slega le redini dal corrimano sul muro, sale in sella e galoppa verso l'azienda di Dawa. La strada è fangosa, colpita la notte precedente da una pioggia incessante che presagiva la giornata terribile che tutta Portia avrebbe vissuto. Eryn dà dei colpetti con le gambe sui fianchi del cavallo per velocizzare il galoppo e alza il fondoschiena per rimanere in equilibrio.
Affiancando la staccionata di legno della piantagione di alberi, scorge in lontananza Dawa per strada guardare smarrito le colonne di fumo nella città. Eryn si ferma con un'impennata di fianco a lui e scende da cavallo.
“Eryn, dio mio, cos'è successo in città?”
“Stai tranquillo, il peggio è passato. Il cavaliere ha attaccato la città con le sue armi ancestrali, ma l'abbiamo vinto sottraendogli il potere dell'All Source AI e nessuno è rimasto seriamente ferito.”
“Avevo intuito che stava succedendo qualcosa e infatti mi sono chiuso in casa spaventato... non sono riuscito a fare altro...”
“È stato un bene, almeno sei rimasto al sicuro insieme ad Aadit.”
Dawa la guarda con un'espressione confusa e al contempo dispiaciuta. “C'ero solo io in azienda.”
“Ma... stamani Aadit mi ha detto che avrebbe lavorato da te.”
“Non è passato, infatti oggi sono uscito a cercarlo, ma i boati che si sentivano dalla città mi hanno fatto cambiare idea...”
Eryn riflette cercando di mantenere la calma. Potrebbe essere successo qualcosa durante il tragitto che l'ha portato a nascondersi in qualche cavità rocciosa, oppure si è rifugiato a casa. Dawa la guarda con preoccupazione al prolungato silenzio.
“Dirigiti al paese. Potrebbero aver bisogno di materiali per le riparazioni dalla tua azienda... io, nel frattempo, perlustro la zona fino a casa per cercare Aadit.”
Dawa annuisce e si avvia correndo in città. Eryn sale sul cavallo e ispeziona il tragitto verso casa, osservando ogni anfratto delle mura e aggirando ogni roccia e albero che trova sui fianchi della strada, fino ad arrivare a casa sua. Scende da cavallo senza premurarsi di legarlo e corre alla porta d'ingresso. La gamba le fa malissimo, ma la preoccupazione è tale che non se ne avvede.
“Aadit!” esclama Eryn entrata in salone, ma non sente risposta. Cerca in ogni stanza, esce in giardino, si reca in fabbrica, e quando neppure in quello stabile trova suo marito va in strada e si avvicina al proprio destriero, carezzandolo debolmente sulle guance.
“Mi spiace di averti fatto sforzare così tanto oggi, è stato egoista e inutile...” gli mormora. Sospira e si avvia in città a passo veloce portando con sé il cavallo per le redini. Arrivata in piazza, tutti i presenti si girano a guardarla. Emily è la prima a raggiungerla, le prende le mani tra le sue e la guarda con apprensione.
“Dawa ci ha detto tutto... hai trovato Aadit?”
Eryn scuote debolmente la testa.
“Cittadini, a me l'attenzione!” urla a gran voce Arlo. “Vorrei che chiunque non abbia subito ferite venisse assieme al corpo civile a perlustrare tutta la zona est fuori dalle mura. Chi ha delle fiaccole le porti con sé, visto che tra meno di due ore il sole tramonterà. Più siamo e più avremo possibilità di ritrovare Aadit!”
Le persone tutte attorno rispondono all'ordine, si avvicinano, alcuni prendono fiaccole e le prestano a chi sta vicino. Durante quel trambusto, Arlo raggiunge Eryn e le mette una mano sulla spalla.
“Lo troveremo, stanne certa,” le promette, e la carpentiera annuisce.
“Grazie, Arlo... grazie a tutti voi.”
Escono dalla città e si dividono in gruppo da tre persone, poi si sparpagliano in direzioni diverse.
La sera è calata da un pezzo ed Eryn, nonostante cammini lungo il sentiero illuminato dalla torcia, fa fatica a non incespicare sul terreno irregolare della piana ad est. Vede in lontananza altre fiammelle aggirarsi vicino al fiume e sente le voci degli abitanti che chiamano suo marito. Alcuni gruppi usano dei bastoni per setacciare il terreno. Dei brividi le salgono lungo la schiena al pensiero che quel metodo viene usato per cercare un cadavere in mezzo alle steppe. Cercando di cacciare quelle inquietanti fantasie, torna a chiamare Aadit a perdifiato, e alla terza volta Remington la ferma per un braccio.
“Si sta facendo molto tardi e questo buio non aiuta... credo sia meglio aspettare domattina. Con la luce, le nostre ricerche daranno senz'altro i proprio frutti.”
Eryn gli rivolge un'occhiata supplicante, ma non sa in che modo controbattere. Razionalmente è consapevole che quella proposta dal ragazzo è la soluzione migliore e che la stanchezza collettiva può solo nuocere alla loro ricerca.
“È già successo che Aadit sparisse per uno o due giorni,” le ricorda Remington per tranquillizzarla. “Approfitta di questa notte per dormire e riprendere le forze per domani.”
Eryn annuisce e Remington le accarezza fraternamente e velocemente la schiena, dopodiché dà ordine al gruppo di tornare a casa e che avrebbero continuato le ricerche l'indomani mattina.
Aperta la porta d'ingresso, Eryn riflette su quanto quella casa sembri grande e silenziosa. Non che non lo fosse quando, appena trasferita a Portia, aveva dormito molte notti con poco più che un letto, una scrivania e un armadio, ma al tempo non aveva ancora conosciuto lui. Non aveva ancora progettato assieme ad Aadit una vita coniugale e una ristrutturazione che ne ampliasse le mura. Avevano scelto assieme la carta da parati e talvolta lui l'aveva aiutata a costruire il mobilio, anche se non era il suo mestiere. Eryn aveva chiuso un occhio a tutte le imperfezioni strutturali, ritenendo che le creazioni per quanto sgangherate erano belle, un po' rustiche e uniche, come lui.
Eryn non riesce a fare a meno di accarezzare il comodino di betulla ai piedi del letto costruito da Aadit. Si toglie i vestiti, si stende sul materasso indossando la biancheria e una canottiera e guarda il soffitto. Dapprima si sente completamente svuotata, come se un'improvvisa apatia l'avesse pervasa, poi ripensa ai bastoni che alcuni cittadini quella sera usavano durante la ricerca, e si figura mentalmente il corpo freddo e bianco di Aadit sdraiato innaturalmente sul terreno, gli occhi sbarrati che guardano verso l'alto e la bocca aperta. Eryn si alza col busto invasa da una nausea fortissima. Gli occhi cominciano a pizzicarle e il cuore a batterle veloce. Stringe i pugni sulle lenzuola cercando di placare il fiatone, ma non riesce a trattenere le lacrime. Si pulisce gli occhi e accende il lume sul comodino. Il vento, quella notte, è forte e violento; Eryn sente indistintamente le fronde degli alberi dietro casa venir scosse impetuosamente. Guarda la porta d'ingresso in attesa di una apparizione improvvisa, come se fissandola intensamente qualche forza sovrannaturale potesse riuscire a riportare Aadit da lei. Drizza le orecchie in cerca di qualsiasi rumore esterno che possa avvisarla di un arrivo: il cigolio del cancello che volutamente non ha chiuso con il catenaccio, dei passi sulla ghiaia vicino alla stalla, lo strofinare delle suole sullo zerbino. Per quanto senta da un po' la stanchezza sui muscoli indolenziti dalla battaglia contro il Cavaliere Corrotto e sugli occhi appesantiti, la tensione che prova in quel momento non le favorisce il sonno, tutt'altro. Eryn si alza dal letto e si avvia alla porta. Con i palmi delle mani e la fronte si appoggia all'anta di legno, poi si abbandona in ginocchio, in una posa simile a quelle viste distrattamente in chiesa dai fedeli durante una funzione religiosa di Lee. Non crede ad alcuna divinità, ma spera lo stesso che le preghiere che sta facendo arrivino a qualcuno, chiunque possa essere, e che possa esaudirle.
Un rumore attira la sua attenzione e la sveglia dallo stato catartico in cui si trovava. Appoggia l'orecchio all'anta della porta, assicurandosi che non sia il desiderio di ritrovare suo marito a farle credere di sentire quei suoni di passi sulla ghiaia. È un calpestio cadenzato che riconosce subito. Eryn spalanca la porta, non curandosi della ventata di aria fredda notturna che invade il suo corpo per metà scoperto, e sorride ad Aadit. Un'ombra dalle spalle larghe e alta si staglia di fronte a lei. L'uomo alza la testa, e guardando meglio la ragazza scorge una fisionomia diversa da quella che si aspettava: gli zigomi alti e il volto glabro, ad esempio, non coincidono col viso più dolce e mascolino di Aadit, e i capelli castano chiari non hanno nulla a che vedere con la sua chioma nera. Eryn lo studia perplessa per qualche secondo, notando che indossa una qualche uniforme a lei sconosciuta.
“E tu chi sei?”
L'uomo sorride. “Ti ringrazio in anticipo per rendere le cose così facili.”
Le dà uno schiaffo inaspettato che la fa cadere di lato. Eryn si tocca la guancia e la bocca coperta di sangue, incredula. Prima di capacitarsi di ciò che le è successo, arriva un altro schiaffo che la fa capitombolare completamente a terra. L'uomo le si mette sopra a cavalcioni tenendola per il collo.
“Callum, Giona,” dice con voce fredda ed Eryn sente il pavimento di legno a pochi centimetri dalle orecchie scricchiolare, poi dei passi che si fermano ai suoi fianchi. Atterrita e con la testa bloccata in avanti, cerca con lo sguardo le persone che la stanno accerchiando. Sono tre in tutto, compreso l'uomo che l'ha attaccata e bloccata al suolo. L'adrenalina le scuote tutto il corpo e la paura la porta ad agire prima ancora di chiedersi cosa stia accadendo. Dà un calcio al busto della persona che la sta tenendo forzatamente a terra facendolo barcollare, poi fa una capriola all'indietro e si mette in piedi. Uno dei due nuovi arrivati l'attacca con un coltello ed Eryn schiva il colpo, ma al secondo viene ferita di striscio sulla spalla. Anche se è lieve, sente la pelle bruciarle e il sangue colarle su tutto il braccio fino al gomito. Si trova in difficoltà: solitamente ha a disposizione delle armi o delle protezioni, ma in quel frangente si trova completamente esposta, con la pelle scoperta e nessun tipo di equipaggiamento con cui possa contrattaccare. Il buio non aiuta ad anticipare le mosse degli avversari.
"Credevo che ci avresti reso più semplice il lavoro," dice il primo che è entrato in casa, l'uomo che in un'impensabile svista aveva creduto essere suo marito.
"Cosa volete?!" chiede Eryn, ma quel che riceve è solo un altro taglio sotto le clavicole. La lama si illumina per una frazione di secondo sotto la luce fioca del comodino e le passa d'improvviso sotto il naso. La ragazza comincia a farsi prendere dalla paura, conscia di non trovarsi nelle migliori delle posizioni. Oltre a questo, il terrore di non capire quel che le sta accadendo, chi siano le persone in casa sua e per quale scopo la stiano attaccando. Eryn sente un groppo alla gola bloccarle il respiro. Prende il lampadario dal comodino, la cosa che ha più vicino nei paraggi, e guarda in cagnesco i tre uomini che non riescono a non trattenere una risata derisoria e bassa.
"Quando il corpo civile scoprirà-"
Un pugno le arriva dritto in faccia prima che finisse la frase e la fa cadere col busto sul letto. Sbatte col naso sul materasso e mentre cerca di rialzarsi facendo leva con le mani sulla struttura del letto, sente i capelli che vengono violentemente tirati. Accompagna il movimento inclinando all'indietro la testa per sentir meno la sofferenza, e nel cercare di liberarsi sbatte con la mano sulla lampada che stava usando facendola cadere dal comodino e rompendone la lampadina. Nel buio non capisce cosa fare, con il nemico alle spalle che la strattona con sé percorrendo tutto il salone fino alla piccola libreria in vetro. Alza la ragazza di peso che fa un verso di dolore e l'addossa al muro, la guancia ben schiacciata sulle assi di legno sotto la carta da parati. Un rivolo di sangue le esce dal naso e le entra nella bocca. Comincia a sentire tutto il viso pulsare di dolore. Non riesce a fare a meno di abbandonarsi in un pianto disperato e spaventato. Uno dei tre uomini alle sue spalle ride, ma ciò non riesce a farla arrabbiare tanto la paura l'ha impossessata. Chiude gli occhi abbandonandosi in una rassegnazione che le fa stendere i muscoli. L'uomo che la tiene per i capelli, accorgendosene, allenta la presa.
"Bene. Se l'avessi fatto prima avremmo evitato tutto questo..." dice, poi la gira e le prende il mento tra le mani, stringendo con le dita e facendole male nei punti dove era stata precedentemente colpita.
"Che ne facciamo?" chiede quello più indietro di tutti.
"Chiudi la porta," ordina il tizio castano. Eryn sente i passi avanzare incerti nel buio, lo scricchiolio dell'anta e il rumore della serratura che scatta. Non può fare a meno di ringraziare quella divagazione per riprendere fiato e chiudere gli occhi, e al contempo maledice quella pausa che fa attendere una risposta domanda dell'uomo alla sua destra.
L'uomo castano le punta il coltello sotto il mento, ed Eryn, in un moto di difesa inevitabile, alza la testa trattenendo il respiro. Scende con la lama fino alla maglietta e gliela strappa. Non si è premurato di fare attenzione, lasciandole un altro graffio tra i seni. Eryn singhiozza, prendendo coscienza di quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Fare ulteriori domande non avrebbe cambiato di fatto le terribili azioni che i tre stavano compiendo. Non le era mai successo niente del genere, e quel che consegue non è nessuna riflessione o invocazione di aiuto come pensava, ma semplicemente allontana la mente per ritrovarsi in un presente che non è quello, un posto diverso, una fantasia lontana. Ripensa ai viaggi fatti con sua zia quando era una bambina, alle spiagge calde di Barnarock e alla sabbia che le scottava i piedi scalzi, al sollievo che provava quando le metteva nell'acqua fredda del mare. Le piaceva nuotare fino a dove non toccava per lasciarsi andare a largo dalla corrente mettendosi a pancia in su e divaricando le braccia e le gambe. Chiude gli occhi per catturare quel ricordo il meglio possibile mentre viene buttata a terra e il freddo del pavimento di legno la costringe a ritornare a quella terribile realtà, solo per un secondo.
L'uomo castano le tasta un seno in una maniera violenta e prepotente che le fa aggrottare la fronte. Vuole tornare a sentire i gabbiani, le onde che la sollevano e si infrangono a riva poco lontano.
Sente un calore invaderle il torace, schizzi bollenti come il sole estivo sporcarle il viso. Apre inevitabilmente gli occhi e trova davanti a sé l'uomo trafitto da parte a parte dalla lama di una spada. Si ritira indietro nella carne, provocando un suono orribile simile a quello che aveva sentito nel ranch di Sophie durante la prima spremitura d'uva che aveva fatto con Emily; l'uomo le cade addosso ed Eryn sente indistintamente il suo sangue bollente bagnarle le gambe scoperte. Si alza col busto e si mette una mano sulla bocca, ma non riesce a trattenere i conati e rigetta tutto sul muro. Si pulisce le labbra e il mento con il braccio e guarda inorridita l'ombra dell'uomo che impugna la spada in piedi di fronte a sé. Quando riconosce i lineamenti di suo marito, sgrana gli occhi incredula. Si alza malamente in piedi puntellandosi con le mani sulla parete, Aadit lascia cadere la spada e l'aiuta tenendola per le spalle.
"Che ti hanno fatto?" le chiede, ed Eryn non capisce se è una visione o cosa, se sta impazzendo perché non riesce ad elaborare quel che le sta accadendo. Osserva l'uomo con gli occhi sgranati, le labbra serrate e una paura primitiva.
"Eryn!" la chiama lui riportandola alla realtà e scuotendola un po'. "Ti hanno costretta a fare cose contro la tua volontà?"
La voce del marito è sconvolta. La ragazza scuote la testa.
“Per fortuna,” le dice e l'abbraccia con una forza che le fa male. Lo sente tremare e percepisce l'odore di erba tra i capelli che tanto le piace, che contrasta in un gioco sadico del destino con la realtà di quel momento.
Eryn si scosta leggermente da lui per guardarlo negli occhi. "Aadit?" riesce poi a mormorare con voce rotta.
Il rumore della lama che struscia per terra attira la loro attenzione. Aadit osserva uno dei due uomini con la spada che prima ha lasciato cadere.
"Sapevi che sarebbe successo, avresti dovuto pensarci prima," dice ed Eryn vede la lama alzarsi sopra di lui. Aadit scatta verso l'uomo, fa una giravolta e gli blocca il braccio libero. Arrivato dietro la schiena, con un movimento rapido e preciso, gli prende l'avambraccio e glielo gira verso l'esterno. Nonostante si trovi lontana una mezza dozzina di metri, Eryn sente indistintamente il rumore di un osso rompersi rimbombare per tutta la casa.
L'uomo urla e lascia cadere la spada che Aadit raccoglie, ed è lì che lo nota, di nuovo, quel passo che piroetta attorno al nemico che lei conosce, che ha già visto, proprio quel pomeriggio mentre cercava di difendere la città. Il cavaliere corrotto aveva il fianco libero e lei si era gettata su di lui con la propria spada, mancando di colpirlo perché era riuscito a girare su se stesso fino a trovarsi dietro di lei, la lama puntata alla sua gola. Eryn si era bloccata, consapevole della posizione che non lasciava scampo, della morte che sarebbe arrivata di lì a poco persino più veloce di quel pensiero. Ma il cavaliere corrotto l'aveva spinta in avanti, lasciandola di stucco. Per un attimo, sotto quella maschera col respiratore e le lenti spesse e scure, le era sembrato che si fosse soffermato a guardarla.
Eryn arriva a capire la verità quando anche l'uomo con il braccio rotto si trova a terra, e nonostante abbia perso la battaglia Aadit non dà il tempo di alcuna resa e lo trafigge alla pancia. La carpentiera guarda con sgomento suo marito mentre si avvicina all'ultimo uomo che chiede pietà. Aadit gli tappa la bocca stringendo con le dita la mascella, lo spinge con la testa sul muro, gli ruba la lama del coltello alla sua cintura e lo sgozza. L'uomo ha delle convulsioni ed Aadit gli alza la testa per lasciar scorrere più facilmente fuori il sangue dalla gola. Dei versi simili a dei singulti lo percuotono, poi rotea le pupille verso l'alto e abbandona gli arti. Quando Aadit lascia la presa facendolo cadere a terra, Eryn comincia a singhiozzare devastata dall'ormai evidente realtà dei fatti.
"Tu sei il cavaliere corrotto..." dice piangendo. Aadit la guarda amareggiato e lascia cadere la spada a terra. Fa un passo verso di lei che retrocede fino a toccare con la schiena l'armadio alle spalle.
"Non ti avvicinare!" urla sconvolta e terrorizzata. Non riesce a controllare le lacrime, i singhiozzi, e piange come una bambina. "Perché...?!"
Aadit rimane a fissarla in silenzio. Non muove un muscolo.
"Hai distrutto la nostra città, ferito la nostra gente... Ti ho cercato per tutto il giorno e tutta la sera con le stesse persone che stavi per vendere all'impero di Duvos!"
Aadit abbassa il viso contratto dal pianto. "Tu non dovevi c'entrare nulla..." dice soltanto.
Eryn non sa cosa dire a quell'affermazione senza senso. Vorrebbe urlargli, picchiarlo e chiedergli perché le ha fatto tutto questo, ma trova solo la forza di piangere, nascondere il viso tumefatto tra le braccia e rannicchiarsi a terra.
"Volevo cominciare un'altra vita con te... tu eri un sogno, una meravigliosa speranza dopo l'incubo che era diventata la mia vita," dice Aadit con voce sofferta. "Ma non si può evitare per lungo tempo i propri demoni."
Eryn si prende i capelli tra le mani stringendo i pugni.
"Addio..." sente dire da suo marito; si pulisce il viso coi palmi e guarda verso Aadit, ma quando lo fa lui è già scomparso.
La mattina seguente ha il cielo terso e un sole caldo che annuncia l'arrivo dell'estate. Eryn guarda oltre le finestre l'alba schiarire le colline e le mura cittadine, annunciando l'inizio di un nuovo giorno con una gioia inappropriata. Le pareti della casa cominciano a illuminarsi, mostrando ciò che all'interno Eryn aveva disperatamente evitato di ignorare per tutta la notte.
Il corpo dell'uomo che l'aveva picchiata per primo è riverso a terra in un lago di sangue diventato scuro e secco. L'intercapedine tra le assi del pavimento ha fatto gocciolare sotto la superficie il sangue in alcuni punti, rendendo la macchia una serie di strane chiazze irregolari e intermittenti. Più lontano da lei, vicino all'ingresso, ci sono i corpi degli altri due uomini: uno è appoggiato al muro con la schiena, seduto e abbandonato con gli arti e la testa che si piega in maniera innaturale dopo aver subito il taglio profondo sulla giugulare; l'altro è a terra a pancia in giù, le braccia divaricate e il volto nascosto dal mantello dell'uniforme che gli è scivolato addosso alla caduta e che in un macabro scherzo ricorda i teli neri usati negli ospedali per coprire i cadaveri.
Eryn osserva rannicchiata all'angolo del letto l'interno della sua casa, stringendosi nelle spalle e sfregandosi le braccia. Alza lo sguardo sull'orologio sopra l'ingresso di casa, realizzando che sono quasi le sei, rammentandosi che tra un'ora avrebbe dovuto incontrarsi con Arlo per continuare assieme ai cittadini la ricerca di suo marito. Si strofina gli occhi e si alza cercando di non guardare i tre cadaveri nel salone, mantenendo forzatamente l'attenzione sull'armadio vicino al comodino da cui prende un pantalone e una maglietta a maniche lunghe. Si avvia all'ingresso e prende dalla scarpiera gli anfibi da lavoro mettendoseli velocemente. Appoggia una mano alla maniglia lasciandola lì, non trovando la forza di stringere le dita e girare il pomello. Un nodo alla gola le fa contrarre il volto in una smorfia amareggiata, e le lacrime ricominciano a solcarle il viso. Credeva che le avesse finite dopo tutte quelle ore di pianto, ma a quanto pare non esiste mai un vero epilogo. Gli occhi sono gonfi e arrossati come non erano mai stati prima.
Appoggia la fronte sull'anta di legno e riflette. Non può nascondere ciò che è successo, ma può evitare che lo venga a sapere l'intera città. Decide quindi di avviarsi dal capitano del corpo civile prima che fosse venuto con gli abitanti e spiegare quel che è accaduto quella notte. Apre la porta e la richiude alle proprie spalle con lentezza. Alla sua destra, vede il cavallo muovere la testa e nitrire. Eryn si avvicina e lo accarezza, decidendo di non salirci ma di andare in paese a piedi. Ha ancora molto tempo e la frescura della mattina l'avrebbe tenuta sveglia con la mente; riflette che potrà approfittare di quel quarto d'ora di passeggiata per ragionare su cosa raccontare o meno ad Arlo, quali parole usare, che tipo di umore sfoggiare, se più distaccato possibile così da non preoccuparlo troppo o devastato come effettivamente è, così da fargli comprendere la gravità della situazione al fine di trovare assieme la soluzione migliore. E quale potrebbe essere?, si domanda tra sé e sé. Non ci sono soluzioni, ma solo piccole operazioni di rattoppo per la veste di ciò che era diventata da quella notte la sua vita.
Entrata in città, si guarda intorno non trovando anima viva in piazza. Scorge delle crepe sui bordi della fontana e sull'asfalto, il tetto dell'hotel vicino alla gilda distrutto; Mint e Ack sono stati trasferiti nelle case di altri, non potendo dormire in albergo e aspettando le riparazioni che probabilmente sarebbero state annunciate quel giorno stesso dal sindaco. Eryn si chiede se dopo tutto quello che è successo la prossima settimana avrà la forza interiore di lavorare nella sua officina. Prende la salita che porta al cimitero e passa sotto il porticato di legno. Le affiora un ricordo, il giorno in cui lei e Aadit hanno cercato di portare l'abete da mettere vicino la scuola per natale. Mentre camminava all'indietro tenendo la punta dell'albero, era caduta all'indietro non aspettandosi una discesa così ripida. Aadit aveva lasciato la presa per aiutarla - era sempre così premuroso e la soccorreva in ogni occasione, persino quando non era davvero necessario - e l'abete, che aveva i rami pressati sul tronco dalle funi, aveva cominciato a rotolare fino alla piazza, investendo quasi Presley che stava risalendo la salita per dirigersi al cimitero.
“Mi dispiace!” aveva urlato Aadit al pover'uomo che per poco non era caduto dallo spavento. “È stata colpa mia.”
Ma non era vero. Era stata lei, con la sua stupida goffaggine e disattenzione, ma lui si era preso tutta la responsabilità. Era estremamente gentile.
Era tutto costruito? Una farsa servita ad allontanare ogni sospetto da lui? Per mostrarsi agli occhi di ogni paesano l'opposto di ciò che davvero era, una spia dell'impero di Duvos e un assassino senza scrupoli?
Eryn si appoggia sulla ringhiera sotto il porticato, serrando le labbra e aggrottando le sopracciglia. Stringe le dita sul ferro battuto, impegnandosi a non lasciarsi andare di nuovo alla disperazione. È importante che prima ragguagli Arlo, il quale può aiutarla a ragionare meglio visto che ogni pensiero avuto quella notte non l'ha portata a niente.
Dopo un'altra salita, si ritrova alla piazza di fronte all'edificio del corpo civile. Prova ad aprire il portone trovandolo chiuso a chiave, ricordandosi che manca più di un'ora all'orario di apertura. Decide quindi di bussare con colpi energici e pugni chiusi. Aspetta una risposta che non arriva, così si siede sulla panchina vicino alla statua, si china in avanti col busto e si regge la testa con le mani. Le sembra tutto talmente assurdo e sbagliato, come in uno di quegli incubi deliranti che si hanno quando si ha la febbre alta.
Sente il rumore del portone del corpo civile aprirsi e vede sotto l'uscio Arlo. Indossa una maglietta bianca e un pantalone di una tuta nera, ha i capelli più spettinati del solito e un'aria fiacca e confusa.
"Eryn? Ho sentito bussare alla porta... eri tu?"
"Devo parlarti. Possiamo andare nella tua stanza?"
Arlo si gratta la guancia ed annuisce con la testa. "Vuoi un caffè?"
"Sì, grazie..." mormora, poi lo guarda con aria risoluta. "No, scusami. E' che... preferirei raccontarti il prima possibile le novità."
Il ragazzo nota le dita di Eryn intrecciarsi l'un l'altra e torturarsi le nocche. "D'accordo. Andiamo, allora."
I due percorrono il corridoio, salgono le scale facendo attenzione a non far rumore mentre passano davanti alla camera chiusa di Sam fino ad arrivare alla stanza di Arlo. Quest'ultimo la fa passare avanti e aspetta che entri prima di chiudere l'anta. Eryn rimane immobile, girata di schiena, a guardare un piccolo punto della parete davanti a sé. Il ragazzo attende pazientemente in silenzio, intuendo che qualcosa di gravoso appesantisce lo spirito allegro ed energico della sua amica. Non sa se prendersi la libertà di appoggiarle una mano sulla spalla o se aspettare semplicemente che lei apra bocca per prima.
"Non serve più che cerchiate Aadit. Se puoi lasciare ai cittadini un avviso alla bacheca davanti all'ingresso mi faresti un favore..."
"Perché?" chiede il ragazzo, e a quell'inevitabile domanda Eryn si zittisce di nuovo. Cerca le parole migliori da usare, ma non sa da dove cominciare.
"Stanotte... tre uomini sono entrati in casa e hanno cercato di uccidermi."