[Hey! Say! JUMP] I wish I could play your father

May 09, 2013 10:34

Titolo: “I wish I could play your father”
Fandom: Hey! Say! JUMP
Personaggi: Takaki Yuya, Chinen Yuri
Pairing: Takachii
Warning: One shot, Slash, Fluff
Word count: 3.465 fiumidiparole
Rating: G
Prompt: “Il tuo dolore non farà più male.”; 21. Risorgere dalle ceneri.
NdA: Storia scritta per la 500themes-ita, per la tabella wTunes Fearless della diecielode e per la challenge Collabang di bigbangitalia, partecipante insieme alla storia di simph8.


~ I wish I could play your father ~

Alle volte, Yuri pensava che qualsiasi suo sforzo fosse completamente inutile.
Non poteva farne del tutto una colpa a Yuya, del resto. Non era colpa sua se mancava di notare qualsiasi sfumatura nel suo comportamento, mancava di notare quello che Yuri cercava di fargli cogliere senza parlarne apertamente, e il più piccolo davvero cominciava a chiedersi che cosa ancora potesse fare che non stesse già facendo da giorni per fargli notare che c’era qualcosa di cui avrebbero dovuto parlare.
Quella mattina era uscito di casa più nervoso del solito, prima di spazientirsi al punto tale da montare un litigio sul niente.
Yuya sembrava almeno essersi accorto del fatto che non era sereno, in quel caso, ma non aveva fatto nessuno sforzo particolare per cercare di capire cosa ci fosse che non andava.
Si era rifugiato a casa di Kei, incrociando sulla porta Kota in procinto di andare a prendere Yuya per poi andare a lavoro.
“Sei mattiniero, oggi.” gli fece notare, indossando la giacca e raccogliendo le proprie cose dal tavolino all’ingresso.
Yuri scrollò le spalle, poco convinto.
“Non mi andava di rimanere a casa.” si spiegò soltanto, senza fornirgli alcun dettaglio. “Vai, prima che Yuya se la prenda con te per aver fatto tardi.” lo spronò poi con un cenno della testa, per poi salutarlo e dirigersi verso la cucina.
Trovò Kei chino davanti al seggiolone, un vasetto di omogeneizzato in mano e buona parte del contenuto sparsa fra i capelli e i vestiti. Quando lo vide entrare si voltò verso di lui, sorridendogli.
“Ah, ciao Yuri!” lo salutò, alzandosi in piedi e rivolgendogli un gesto con la mano, tornando poi a guardare il bambino con aria amorevole. “Kyo-chan? Guarda, è venuto Yuri-nii a trovarci. Fa’ ciao-ciao con la manina.” lo spronò, ma il piccolo non sembrò minimamente interessato all’arrivo di Yuri, e preferì sporgere la mano per farla finire direttamente dentro il vasetto di omogeneizzato.
Kei alzò gli occhi al cielo, mentre Chinen parve aver dimenticato qualsiasi nervosismo o cattivo umore, e scoppiò a ridere.
“Vedo che abbiamo ancora qualche problema a capire che mangiare non è un gioco.” constatò, mentre il più grande rinunciava a dare qualcos’altro al bambino e si dirigeva verso il lavello, cercando di ripulirsi alla bell’e meglio.
“Così pare.” disse, risciacquandosi e prendendo Kyohei in braccio, pulendogli il viso con il bavaglino. “Però quando è con il suo altro papà fa il bravo, non è vero?” fece per prenderlo in giro, avvicinando il viso al suo e facendogli una smorfia, facendo scoppiare a ridere il bambino.
Alzò lo sguardo su Yuri, lievemente imbarazzato, facendogli poi cenno di seguirlo in bagno.
“Come mai sei qui così presto? Credevo avessimo detto che ci saremmo incontrati per pranzo, no?” gli chiese, togliendo la tutina a Kyohei e controllando la temperatura dell’acqua prima di cominciare a lavarlo.
Yuri si morse un labbro, indeciso su cosa dire e cosa invece tacere all’amico.
“Non mi andava molto di rimanere in casa, a dire il vero. E ho pensato che tu saresti comunque rimasto qui insieme a Kyo-chan prima di uscire, per cui ho pensato che non ti avrei disturbato.”
Kei gli sorrise, annuendo vigorosamente prima di rivolgere nuovamente l’attenzione al figlio.
“Tu non disturbi mai. E poi, soprattutto quando Kota è a lavoro, due braccia in più fanno sempre comodo.”
E Yuri mostrò quanto in effetti avesse ragione, e gli diede più aiuto possibile nel fare il bagno al bambino, il quale sembrava essersi svegliato fin troppo allegro quella mattina, e con il chiaro intento di farli impazzire entrambi nel tentativo di tenerlo fermo.
Ma se Yuri aveva sperato che quello bastasse a tenergli occupata la mente, si era sbagliato di grosso.
Era per ben più di una ragione che si trovava lì in quel momento, ma non si sentiva ancora pronto per svelarne nessuna all'amico.
C’era la voglia di uscire da quella casa e di non vedere Yuya, certo. E c’era la voglia di passare del tempo con Kei e con Kyohei, ma per quanto ci si sforzasse non riusciva a sentirsi completamente felice in quel frangente.
Non era mai stato un tipo invidioso, Yuri. Con tutto quello che gli era capitato nella propria esistenza, mai gli era passato per la mente di volerla scambiare con quella di qualcun altro. Men che meno con quella di Kei, che solo adesso pareva essersi stabilizzata dopo anni di calvario.
Eppure lo invidiava, adesso. Lo invidiava per quello che aveva ottenuto, lo invidiava per quanto era semplice la sua felicità, lo invidiava perché lui non aveva bisogno di chiedere, perché Kota era divenuto fin troppo bravo, con il tempo, a comprendere qualsiasi sua necessità.
Scosse la testa, sospirando e tornando ad aiutarlo a finire di lavare il bambino, per poi asciugarlo e rivestirlo, portandolo con loro in salotto dove Kei lo tenne saldamente in braccio, sedendosi sul divano di fronte al più piccolo.
“Allora? Cosa c’è davvero che non va?” gli chiese a quel punto, rivolgendogli un’occhiata consapevole, come a volergli dimostrare che non avrebbe creduto a scuse inventate lì sul momento.
Yuri si morse un labbro, alzando le spalle.
“Non c’è niente che non vada, Kei. È solo...” sbuffò, facendo come per riprendere a parlare prima che l’altro lo interrompesse.
“Che cosa ti ha fatto Yuya?” domandò, sospettoso, e Yuri a quel punto non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
“Non mi ha fatto niente.” assicurò. “Voglio dire... non è prettamente colpa sua se sto così. È soltanto che io mi aspetto sempre che lui capisca quello che voglio dirgli anche se non glielo chiedo a chiare lettere, e...” s’interruppe, notando l’espressione confusa sul volto di Kei e scegliendo allora di essere più diretto. “È da quando tu e Kota avete preso Kyohei che io ho cominciato a pensare a che futuro potremmo mai avere io e Yuya insieme. Ho cercato di mandargli dei segnali, ma ormai sono giunto alla conclusione che lui non vuole avere una famiglia, che non è minimamente nelle sue intenzioni e che non ci pensa nemmeno.” spiegò, arrossendo improvvisamente e sporgendosi in avanti, allungando una mano verso il bambino perché giocherellasse con le sue dita.
Kei assunse un’espressione pensierosa, corrugando la fronte come se stesse riflettendo su quanto il più piccolo gli aveva appena rivelato.
“Yuri... vuoi un figlio?” gli domandò allora, a bruciapelo.
Chinen arrossì più vistosamente, poi si ritrasse e si alzò in piedi, cominciando a camminare per la stanza.
“Lo so che sono giovane. Lo so che ho solo vent’anni e tutto il resto e, déi, so anche che Yuya ha tredici anni più di me. Però è tutto quello che ho. Lo è Yuya e lo è quella casa, per cui per me non ha senso il pensiero di essere troppo piccolo in una questione del genere, perché non ci sarà mai un momento giusto. Amo Yuya e una famiglia è quello che vorrei avere con lui, è quello che mi manca per potermi sentire davvero in pace con me stesso e per poter finalmente mettere una pietra sul mio passato. Su tutto il mio passato.” sospirò ancora. “Sì, Kei, io voglio un figlio.”

***

Yuya era agitato.
C’erano momenti in cui avrebbe voluto avere accanto a sé qualcuno in grado di comprendere alla perfezione ciò che Yuri gli diceva, perché in frangenti come quello gli sembrava che parlassero due lingue completamente diverse.
Era inutile per il fidanzato recitare la parte dell’incompreso, era inutile sentirlo recriminare e lanciare frecciatine sulla loro vita insieme e sul fatto che non avevano una direzione, che non stavano andando da nessuna parte.
Stronzate.
Lo capiva fin troppo bene cosa volesse Yuri da lui, perché per quanto stupido o insensibile il fidanzato potesse reputarlo, non era così cieco da non capire che cosa volesse.
Ci aveva pensato anche lui, in fondo, ma aveva chiuso la finestra su quella prospettiva prima ancora di potersi abituare all’idea.
Un figlio.
Era qualcosa di semplicemente ridicolo.
Se affrontare l’argomento non gli avesse fatto così male, avrebbe voluto chiedere a Yuri se ricordasse o meno il modo in cui si era trovato lì, se gli bastavano le cicatrici sulla pelle a ricordarglielo, se sapesse davvero tutto del suo passato e del suo lavoro e della persona che era.
Che razza di padre avrebbe mai potuto essere, lui?
Odiava questo pensiero e odiava paragonarsi a Yuri, perché sapeva che invece lui sarebbe stato il migliore dei padri, e lo sapeva solo guardando con quanta semplicità e naturalezza si prendesse cura degli altri.
Lo stava frenando in qualcosa che voleva, ma non avrebbe ceduto come se fosse un capriccio, e non qualcosa che avrebbe cambiato la vita di entrambi.
Quando entrò nella macchina di Kota, poco più tardi quella mattina, non mancò di mostrare tutto il suo disappunto, scegliendo come valvola di sfogo il cruscotto del veicolo.
“Siete entrambi di ottimo umore, vedo.” commentò sarcastico Yabu, immettendosi nel traffico di Kabuki-chou.
Yuya alzò lo sguardo con uno scatto, aggrottando le sopracciglia.
“Che cosa vuoi dire? Yuri è a casa tua?”
Il più piccolo annuì, senza dare troppa importanza alla cosa.
“È arrivato poco prima che io uscissi, e non mi sembrava troppo felice di stare al mondo. Che cosa gli hai fatto? Avete litigato?”
Takaki sbuffò, lasciandosi andare teatralmente contro il sedile.
“Credo che ce l’abbia con me per quella faccenda del bambino. Non che io lo sappia con certezza, ovvio, visto che lui si rifiuta a parlarmi a chiare lettere di quale sia il problema.” si lamentò.
Kota alzò brevemente gli occhi al cielo, sospirando.
“Ma dato che lui non te ne vuole parlare, visto che invece tu per una volta l’hai capito non ti converrebbe dirgli che lo sai cos’è che vuole?”
Yuya fece una pausa, figurandosi alla svelta la piega che avrebbe preso una discussione del genere e poi scuotendo la testa.
“Non avrebbe molto senso. Finirebbe con il prendersela ancora di più con me o con il cercare di convincermi. Poi probabilmente fraintenderebbe il perché del mio rifiuto e litigheremmo, e...” sbuffò, portandosi le mani davanti agli occhi. “È tutta colpa tua, Kota! Se tu non avessi deciso di prendere Kyo-chan a questo punto io sarei ancora stato in santa pace!”
Yabu non se la prese, e scoppiò invece a ridere di fronte alla capacità del suo aniki di incolparlo di qualsiasi cosa andasse storta nella sua esistenza.
“Credevo che volesse bene a Kyohei. E poi lo sappiamo benissimo entrambi che il problema non è il fatto che io e Kei abbiamo un figlio. Prima o poi Yuri avrebbe comunque sentito la necessità di qualcosa di più fra di voi, non credi?”
Yuya fu sul punto di rispondergli male, ma invece si trattenne e scrollò le spalle, sospirando.
“Probabilmente hai ragione. Ma questo non cambia le cose, no?”
“Davvero non vuoi nemmeno prendere in considerazione l’idea di...” provò ad intercedere Kota, prima che il più grande lo interrompesse.
“Kota.” disse, con tono accondiscendente. “Ti sembra davvero che io possa essere un buon padre? Anzi, che io possa davvero essere il padre di qualcuno? Non diciamo sciocchezze, per favore. Sono uno yakuza.”
Yabu scoppiò a ridere, rimanendo concentrato per qualche secondo per parcheggiare la macchina, per poi spegnere il motore e voltarsi verso l’altro.
“Sono uno yakuza anche io, ricordi? E poi non è che tu possa sapere come saresti con un figlio, non è qualcosa che tu possa immaginare.” scrollò le spalle. “Se Yuri vuole avere un figlio con te è perché in qualche modo ha fiducia nel fatto che saresti un buon padre. Dopo tutto quello che ha passato, dopo quello che ha passato con te e visto dove siete arrivati, io avrei più fiducia nel suo giudizio.”
Yuya non gli rispose.
Non avrebbe di certo cambiato idea così facilmente, e di certo non senza parlarne con Yuri.
Ma di certo, quanto gli aveva appena detto Kota gli dava qualcosa a cui pensare.
A quel punto, avrebbe solo voluto che il fidanzato trovasse il coraggio di parlargliene direttamente.

***

Yuri piangeva. Piangeva in silenzio, rannicchiato sotto le coperte, mentre sentiva il peso di Yuya spostarsi sul materasso, come se non riuscisse a smettere di muoversi per il nervosismo.
“Piangere non risolverà le cose, Yu.” gli disse in un sibilo, ma il più piccolo lo conosceva bene abbastanza da riconoscere una nota di disagio nella sua voce.
“E allora? Non c’è niente da risolvere, voglio solo piangere.” gli rispose il più piccolo, cercando di mantenere il proprio tono il più stabile possibile.
Dopo ancora qualche secondo si mise nuovamente a sedere, guardando Yuya con espressione frustrata.
Aveva pensato, nel corso delle settimane, che il più grande semplicemente non volesse una famiglia. E seppur con rammarico, quello era un aspetto di lui che era disposto ad accettare.
Quello che non riusciva ad accettare invece, era quel suo rifiuto netto, quel suo addurre al proprio modo di essere come scusa.
Lo sapeva, Yuri, com’era fatto. Forse era la persona che lo sapeva più di tutti, sapeva di cosa fosse capace e insieme sapeva anche in che modo fosse riuscito a cambiare nel corso degli anni.
Ma Yuya era rimasto attaccato ad un’immagine di sé che non gli apparteneva più, e Chinen non riusciva ad accettare che una cosa del genere gli precludesse la possibilità di costruire una famiglia con lui.
“Yuri...” lo chiamò, il tono più tranquillo. “Per favore, cerca di capire come la penso io. Pensa per un attimo a come sono cresciuto, io... non ho nessun esempio di buona famiglia, né tantomeno di un buon padre. Come pensi che possa esserlo io a mia volta?”
Yuri alzò un sopracciglio, emettendo un verso sarcastico.
“Lo dici alla persona sbagliata, Yuya. Lo dici a qualcuno che è stato venduto dai propri genitori per saldare un debito e...” sospirò, alzando le braccia al cielo. “Io non lo so se sarò in grado di crescere un altro essere umano, Yuu, ma so che proprio per il modo in cui i miei genitori mi hanno trattato, non voglio ripetere quegli stessi errori. E la stessa cosa vale per te. Quando ti ho conosciuto non avevo la minima fiducia nel fatto che le cose potessero cambiare, ma adesso invece so che puoi, so che persona sei e so che voglio avere un figlio con te. Perché non riesci a vederla in questo modo, perché non riesci nemmeno a pensare di poter fare qualcosa di buono?” si morse un labbro, cercando le parole giuste per ciò che ancora aveva da dire. “Io ho visto quello che mi hai fatto, Yuu, amore. E sono ancora qui, no? Sono qui per quello che mi hai mostrato di essere, sono qui perché ti sei fatto amare. Non vedo perché dopo tutto quello che hai ottenuto da te stesso non riesci a credere di poter essere un buon padre per un figlio nostro.”
Vide Yuya sospirare, senza tuttavia rispondergli, e allora tornò a sdraiarsi sotto le coperte, sbuffando lievemente.
“Capisco come la pensi, Yuri. Lo capisco davvero. È solo che...”
“Lascia stare.” lo interruppe il più piccolo. “Mi hai spiegato come la pensi e non c’è altro da aggiungere.”
“Yuri, per favore, cerca di non prenderla sempre così...”
“Buonanotte, Yuya.”
Rimase con gli occhi aperti e trattenne il respiro, ascoltando il rumore di quello del più grande, in attesa che dicesse o facesse qualcosa.
“Buonanotte, Yuri.” gli rispose alla fine, sospirando e raggiungendolo sotto le coperte.
Yuri finalmente chiuse gli occhi, rassegnato.
Era destinato a perderla, quella battaglia.

***

Yuya si sentiva come se avesse dimenticato come si faceva a respirare.
Nella sua mente continuavano a figurarsi gli scenari più disparati di cosa sarebbe accaduto una volta tornato a casa, e non c’era niente che davvero lo soddisfacesse.
Ci aveva pensato a lungo, dopo la sera in cui lui e Yuri avevano parlato.
Erano passate alcune settimane, e le cose sembravano essersi messe a posto da sole, non ne avevano più parlato ed avevano finto entrambi che niente fosse accaduto.
Ma Yuya lo sapeva, sentiva che qualcosa nel modo di fare del fidanzato era cambiato, e non era certo di riuscire a sopportarlo ancora a lungo.
Si morse un labbro, cercando di muoversi il più agilmente possibile per aprire la porta di casa, entrando poi nell’ingresso prestando attenzione a non fare troppo rumore.
“Ciao!” gli urlò Yuri dalla cucina, e nel momento in cui Yuya lo sentì avvicinarsi si guardò velocemente intorno, come alla ricerca di una via di fuga, salvo poi rimanere immobile in mezzo al piccolo corridoio, quando Chinen lo raggiunse.
“Hai fatto tardi, la cena è quasi...” iniziò a dirgli, prima di guardarlo con più attenzione, sbarrando gli occhi.
Yuya sentì il proprio nervosismo aumentare mentre il più piccolo gli si faceva incontro, scrutandolo attentamente, e gli parve che fosse passata un’eternità prima che alzasse gli occhi verso di lui e riprendesse a parlare.
“Yuya... che cos’è?” mormorò, tornando poi a guardare il bambino fra le braccia del più grande, il quale si stava agitando lentamente, gli occhi chiusi e le mani strette a pugno.
“È un neonato. Un bambino.” gli rispose lo yakuza, tendendo in avanti le braccia perché lo prendesse.
“Questo lo vedo anche io. Di chi è? Cosa... cosa ci fa qui?” insistette Yuri, prendendo in braccio il piccolo e stringendoselo contro, non riuscendo a fare a meno di passare delicatamente un dito sul suo viso, meravigliato.
“È di una delle ragazze del bordello. Non voleva tenerlo, Kenta-kun l’ha portato al magazzino, era così carino che ho pensato...” arrossì, prima di aggrottare le sopracciglia e tendere nuovamente le braccia, facendo come per riprenderselo. “Ma probabilmente è stata un’idea stupida. Avrei dovuto consultarti prima di portarlo qui, mi dispiace, lo riporto indietro e...”
“Aspetta!” lo fermò Yuri, rendendosi poi conto di aver parlato a voce troppo alta, dato che il bambino si agitò ancora fra le sue braccia. “Aspetta.” ripeté, più piano. “L’hai... l’hai preso per noi?”
Yuya vide i suoi occhi carichi di aspettativa, e quel gesto compiuto su un’ispirazione momentanea gli parve finalmente una buona idea.
Sorrise, annuendo.
“Yuri, ti presento nostro figlio.” mormorò, mettendogli le braccia intorno ai fianchi e avvicinandosi, in modo da stringerli piano entrambi.
“Nostro figlio.” Yuri ripeté quelle parole come se in realtà non riuscisse a crederci, e alzò lo sguardo verso di lui, come comprendendo solo in quel momento la portata di ciò che Yuya gli stava dicendo. “Ma non abbiamo niente! Non abbiamo una culla, non abbiamo dei vestiti, né pannolini, né niente per dargli da mangiare! Come facciamo? Dove lo mettiamo? Yuya, dobbiamo...”
Il più grande gli mise una mano davanti alla bocca, ridacchiando.
“Mi sono fermato al conbini a prendere le cose strettamente necessarie. Non ero molto sicuro di cosa dovessi fare, per cui mi sono fatto aiutare da Kota.” fece una smorfia. “Inutile dirti quante volte mi abbia ripetuto che avrei dovuto dirtelo e che a parer suo io stessi facendo qualcosa di molto, molto stupido.”
Yuri ridacchiò, e si spostò poi insieme al bambino e al fidanzato in salotto, sedendosi sul divano e lasciando che Yuya lo stringesse per una spalla, mentre entrambi guardavano incantati il piccolo.
“Sai cosa ci serve davvero?” disse allora il più grande, dopo qualche minuto. “Un nome. Avevi pensato a qualcosa?”
Chinen assunse un’espressione pensierosa, risucchiando un labbro fra i denti e fissando il bambino, prima di annuire.
“Yuuki.” rispose, con sicurezza, guardando poi il fidanzato in cerca di conferme.
Yuya gli sorrise, accarezzando la fronte del figlio con delicatezza.
“Ciao, Yuuki.” lo salutò piano, confermando poi che il nome gli piaceva.
Rimasero immobili sul divano per quella che gli parve essere un’eternità. Spostava lo sguardo da Yuuki a Yuri, cercando di mettere ordine a quello che provava, cercando di non lasciarsi sopraffare da quella miriade di sensazioni a lui completamente sconosciute.
Aveva ragione Kota, per quanto detestasse ammetterlo.
Yuri gli sembrava improvvisamente diverso, in qualche modo.
Come se finalmente avesse messo una pietra sopra tutto quello che gli era capitato fino a quel punto, come se quel dolore che aveva provato non facesse più male, e non c’era cosa che Yuya potesse desiderare di più che vederlo finalmente sorridere per una felicità completa, alla quale non mancava nulla.
Poi guardava Yuuki, guardava loro figlio, quello che avrebbero dovuto crescere e amare insieme, e sentiva che poteva farcela, e che sarebbe risorto dalle ceneri di quell’amore famigliare che non aveva mai avuto, formandone uno del tutto nuovo, uno di cui davvero potesse essere felice.
Li strinse contro di sé respirando a fondo e sentendosi finalmente nel giusto.
Non voleva più pensare a che tipo di padre sarebbe stato, perché avrebbe preso tutto per come veniva, avrebbe agito di conseguenza, cercando di essere migliore di quanto si aspettasse da se stesso.
Si sentiva più fiducioso, adesso che guardava Yuuki, fiducioso nel riuscire ad amarlo nel modo in cui meritava.
Era suo figlio. Lui e Yuri, erano la sua famiglia.

challenge: collabang, challenge: 500themes-ita, challenge: diecielode [wtunes fearless], pairing: takachii, group: hey! say! jump, hey! say! jump: takaki yuya, hey! say! jump: chinen yuri

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