Titolo: The Empty Room - La stanza vuota
Autore:
germanjjGenere: RPS, Angst (tanto, tantissimo angst), Drama, hurt/comfort
Pairing e personaggi: Jensen/Jared (J2) in questo capitolo.
Rating: NC17
Warning: slash, bottom!Jared.
(
precedente)
~ Canto di cose che sono ~
- capitolo due -
Quando mi sveglio nel sogno, tutto è come sempre, e tutto è completamente diverso.
Ricordo me. Ricordo me stesso, la mia vita e ricordo che è solo un sogno.
Ma soprattutto non. ricordo. lui.
Sono in piedi nel corridoio, non sono sicuro dove sono diretto, ma per ora sto solo in piedi, cercando di raccogliere tutto quello che so.
So che sto sognando. Non sembra esattamente così, ma lo so.
So che la dottoressa mi ha detto di prendere decisioni coscienti quando sogno, e lo faccio. Decido di girarmi ed è quello che faccio. Decido di dirigermi alla cucina e i miei piedi si muovono, proprio come dovrebbero, proprio come nella vita reale.
Mi blocco quando sento dei passi sulle scale, passi che diventano più rumorosi quando raggiungono la cucina, raggiungono me.
«Hai visto il mio…» Si ferma a metà frase, fissandomi. «Gesù, Jared, stai bene?»
È con me in una frazione di secondo, le sue mani sulle mie spalle e qui è quando mi rendo conto che sto piangendo. L’ho fatto così tante volte nelle ultime settimane, sullo schermo e fuori, che non lo sento nemmeno più.
Non ricordo lui.
E non importa quanto provo, non importa quanto scavo per ogni ricordo nella mia testa, questa mi da solo le cose che ho visto. Qui, nei miei sogni. Nessuna consapevolezza su chi sia, di cosa lui significasse per me prima, nessuna consapevolezza in assoluto, eccetto per i pochi momenti che i sogni mi hanno dato.
Niente di quello che il Jared dei sogni sapeva, quello che il Jared dei sogni aveva provato. Niente di tutto il profondo e rassicurante capirsi che c’era stato fra noi prima.
E voglio conoscerlo. Lo rivoglio.
«Jared!» Mi scuote e posso vedere la paura nei suoi occhi.
«Non mi ricordo di te» dico in un respiro.
“Ti ho perso”, è l'urlo che sento nella mia testa.
Aggrotta le sopracciglia e non ha ancora lasciato andare le mie braccia, «Cosa?»
«Non mi ricordo di te» ripeto e lo guardo negli occhi, lo guardo in faccia, e voglio conoscerlo così tanto, voglio indietro quello che avevamo prima, rivoglio quel posto felice, anche se fosse solo un sogno e potessi solo stare a guardare, solo sentire. «Sei un sogno. Sei solo un maledetto sogno e nemmeno ti conosco. Non sei neanche reale.»
La sua espressione cambia. Fa un passo indietro, lascia la presa intorno ai miei bicipiti, i suoi occhi che diventano più piccoli e non posso più leggerlo, non posso nemmeno dire cosa significa quando la sua espressione diventa vuota e fredda.
«Non c’è bisogno che fai così.» sussurra e non so se è arrabbiato o ferito. «Avresti potuto semplicemente…dire qualcosa».
Mi guarda, la mascella serrata e l’espressione impenetrabile e non so cosa c’è dietro e questo mi uccide.
Mi asciugo le lacrime, cercando di ricompormi, ma ogni volta che lo guardo, fa un male fottuto. L’ho perso. È in piedi proprio davanti a me e l’ho perso.
«Jared, se non lo volevi…» indica lo spazio fra di noi e mi ci vuole un po’ per capire che sta parlando di ‘noi’.
«Avresti semplicemente potuto dire qualcosa». Scuote debolmente la testa.
«Pensavo davvero…» inizia, la delusione evidente nella sua voce ora. «Pensavo che la nostra amicizia fosse più di questo. Che mi avresti parlato se non avessi voluto tutto ciò. Diavolo, Jared, non lo sai? Una parola e mi sarei fatto indietro!»
«Non capisci.»
«Ma ora tu stai facendo questa stupida…sceneggiata, dicendo cazzate» continua, come se non mi avesse sentito, e alza la voce e si arrabbia di più ad ogni parola. «Non devi uscirtene con tutta ‘sta merda quando vai fuori di testa per questo, avresti potuto parlarmi cazzo!»
«Tu non…» inizio di nuovo, ma lui mi blocca.
«Certo che sì! Certo, capisco!» urla e tutto quello che posso fare è guardarlo, non riuscendo a pralre, non riuscendo a spiegare.
«Non sei l’unico che va fuori qua, Jay! Pensi sia facile per me? Pensi che abbia programmato di innamorarmi di te? Perché non l’ho fatto cazzo e mi spaventa a morte! Sei il mio migliore amico, Jared, e non avrei voluto rischiare la nostra amicizia per niente al mondo e ora l’ho fatto e mi terrorizza cazzo!» Sta ancora urlando e gesticolando, ma la mia mente si semplicemente fermata alla parte dove ha detto che mi ama e non riesce a elaborare niente dopo quello.
«Non sei reale. Sei un sogno.» farfuglio senza riuscire a trattenermi. «Non conosco nemmeno il tuo nome. Non conosco nemmeno il tuo nome.»
I suoi urli si fermano e si limita a fissarmi e la sua espressione non mi dice niente.
«Jensen. Il mio nome è Jensen.» dice finalmente e la sua voce suona distrutta e mi squarcia il cuore.
Jared si svegliò piangendo. Il cuscino sotto di lui era fradicio di lacrime e quando tornò a sentire i rumori, sentì se stesso singhiozzare.
Quando aprì gli occhi il sole era già alto, illuminava il pavimento vuoto, le pareti nude.
Harley e Sadie stavano ritti sulla porta, aspettando pazientemente di uscire, fare colazione e farsi la loro corsa mattutina.
«Jensen.» sussurrò Jared, provando il nome, provando la sensazione che gli dava pronunciarlo.
Seppellendo il viso nel cuscino di nuovo, non si accorse di come i suoi bambini drizzavano le orecchie e iniziavano a scodinzolare eccitati a quel nome.
Sono nel mio trailer. Quando controllo l’orologio sulla parete, posso vedere che è pomeriggio inoltrato e potrei essere durante una piccola pausa dovuta al cambio di set. Vedo il copione per la prossima scena appoggiato sul tavolo e la TV sul muro è accesa, l’audio basso, e sono seduto sul divano troppo piccolo, Sadie al mio fianco, Harley sul pavimento.
Ricordo cosa è successo. Ricordo la litigata e come Jensen è apparso così ferito e deluso. Come mi ha urlato contro. Come ha urlato che mi amava. Ricordo che questo è solo un sogno.
Sento bussare alla porta ma prima ancora che possa reagire si apre e Jensen entra, chiudendo la porta dietro di lui. La sua espressione è seria. Si tortura il labbro, si tocca le mani per la tensione.
«Io…» si schiarisce la voce, non guardandomi direttamente, e posso vederlo deglutire.
‘È così bello’ è quello che penso quando lo guardo e non mi spaventa più ormai il pensare così di lui. È bellissimo. E mi ama. E non è reale.
Lotto contro il groppo che ho in gola e alzo lo sguardo su di lui, aspettando che mi dica ciò per cui è venuto qui.
Prende un ultimo respiro profondo e i suoi occhi si posano su di me.
«Sono innamorato di te, Jared. E questo non… questo non è qualcosa che dovrebbe esserti urlato quindi te lo sto dicendo di nuovo. Sono innamorato di te». Mi regala un piccolo sorriso, incerto e ancora carico di delusione e rabbia. «Fai con questo quello che ti pare.»
Con queste parole e senza darmi la possibilità di rispondere, è fuori dal mio trailer e sparisce.
Jared stava fissando il soffitto, cercando di riaddormentarsi, di ritornare al sogno. Ma i nervi lo tenevano sveglio, il corpo gli stava dicendo che aveva già dormito abbastanza e stare sdraiato gli procurava solo più frustrazione, più disperazione.
Era un momento non preciso della notte. Doveva esserlo perché fuori era buio e silenzioso, nessun rumore proveniva da automobili o persone. Non poteva controllarlo. Non c’erano orologi in questa stanza, il suo e il cellulare erano ancora nella sua camera, appoggiati sulla scrivania.
Sadie e Harley non c’erano. Qualche ora prima, Jared aveva sentito Clif camminare per casa, l’aveva sentito entrare e parlargli.
Jared non riusciva a ricordare cosa aveva detto Clif o se lui aveva risposto. Ma era sicuro che lui aveva preso i suoi bambini e se ne era preso cura.
Il senso di colpa non riuscì ad arrivare alla coscienza di Jared attraverso la profonda tristezza che lo invadeva.
Ma un’idea sì, il ricordo di una piccola confezione di sonniferi che giaceva innocente nel suo cassetto di sopra in camera da letto. Non ebbe bisogno di pensarci due volte, si alzò e andò nella sua stanza, per prendere quella confezione e portarla di sotto.
Aveva bisogno di dormire. Aveva bisogno di sognare.
Sono rannicchiato nel mio letto, gli occhi che fissano il nulla, l’aria, e non mi muovo, non riesco a ricordare quando l’ho fatto l’ultima volta.
So che sto sognando e che Jensen sarà qui mentre sogno. Ma non riesco a prendere la decisione cosciente di alzarmi e vederlo, perché nonostante quanto ne abbia bisogno, quanto fisicamente io abbia bisogno di vederlo, non so se avrò la forza di perderlo di nuovo quando mi sveglierò.
C’è solo tanto così che posso sopportare e ora sto raggiungendo il limite.
Quando sento al sua presenza dietro di me, posso dire quanto è stato lì in piedi senza che me ne accorgessi. Una parte di me non vuole voltarsi, ma l’altra parte vuole stringerlo contro di me e non lasciarlo mai andare. Quell’indecisione mi fa stare dove sono.
«Non hai cenato Jared.» mi dice Jensen, il tono basso e indifferente. «Sono ore che non ti muovi.»
«Non mi ricordo di te.» dico come se questo potesse spiegargli tutto, e la gola mi fa male ad ogni parola. Posso sentire che non si muove, posso avvertire la sua presenza adesso come un insetto può avvertire la luce.
«Veramente non te lo stai inventando, eh?» sussurra.
«No». Mi mordo le labbra e chiudo gli occhi quando sento un singhiozzo strozzato.
«Non ricordo come ci siamo incontrati, o se hai fratelli o meno. Non ricordo se vivi qui da anni o da una settimana». Potrei andare avanti così per giorni dicendogli tutte le cose che non so di lui e che vorrei sapere. «Non so niente di te tranne quello che provo per te».
«Cosa provi per me?» chiede ed è la prima volta che riesco a sentire lo sforzo nella sua voce.
«Ti amo.»
Questo è tutto quello che gli dico. Questo è tutto quello che so.
Per molto tempo, non sento nulla. Poi si muove dietro di me e se ne va, la sensazione di perdita che diventà più profonda e forte finché mi squarcia i polmoni.
Non so quanto tempo è passato, ma finalmente posso sentirlo tornare, e dal rumore capisco che i miei bambini sono con lui. Stanno camminando lenti intorno al letto così che possa vederli e mi spezza il cuore vederli così confusi e incerti.
È lo stesso modo in cui guardano la stanza vuota nella mia vita reale; nei sogni, sono io che li faccio sentire così.
Guaiscono e Sadie mi da una musata alla mano finché non la muovo e le tocco il naso freddo e bagnato, quindi entrambi si accucciano, proprio davanti al letto e se ci fosse qualcosa rimasto dentro di me, urlerei.
Non vedo Jensen ma posso sentirlo dietro di me, che cammina per la stanza, apre una finestra, chiude le tende, e spegne la luce.
Poi sento il materasso sprofondare dietro di me e lui sta strisciando sul letto, il suo braccio mi raggiunge e si avvolge al mio corpo. Subito dopo è schiacciato contro di me, tutto quanto, la sua testa nell’incavo del mio collo e sa di caldo e sapone.
È la cosa migliore e peggiore che avrebbe potuto fare.
«La prima volta che ti ho visto ai provini finali per Dean e Sam ho pensato, ‘hey, che ragazzo carino'» inizia Jensen, il suo respiro che mi solletica l’orecchio, e poi ride tranquillo. «Okay, questa è una bugia. La prima cosa che ho pensato è stata ‘wow, quel tizio è alto’, e poi ho pensato a quanto fossi carino».
È così vicino che le sue guance mi toccano il collo e il bagnato che posso sentire in quel punto, le sue lacrime, mi fanno così male che a malapena riesco a respirare. Posso immaginare come tutto deve sembrargli, quanto pazzo devo sembrargli, quanto malato.
«Mia mamma ti ama. Diamine, la mia intera famiglia già lo fa. Dopo che ti sei lasciato con Sandy e sei andato a quella convention dove non potevo andare, è stata un’idea di mia mamma quella di vederti. Ha semplicemente chiamato l’intera famiglia e non ha nemmeno dovuto forzarli. Sono saltati tutti in macchina per vederti.»
Rabbrividisco quando ricordo cosa realmente è successo. Jim era con me alla convention e tentò del suo meglio per rallegrarmi. Aveva funzionato per un po’. Avrei dato così tanto perché le parole di Jensen fossero vere.
«Non so per certo quando mi sono accorto di essere innamorato di te.» La sua voce è cambiata. Sembra quasi timido ora e io semplicemente mi rannicchio di più nel suo calore.
«Ma ricordo il momento esatto in cui ho saputo di amarti, che eri diventato parte della mia famiglia. Che non ci sarebbe mai stato un giorno in cui non ti avrei voluto nella mia vita.»
Posa un piccolo, morbido bacio sotto il mio orecchio, e il suo braccio mi circonda, stringe.
«È stato quando ho fatto quello spettacolo in Texas un paio d’anni fa. Tu eri impegnato a fare le tue cose e avevi detto che volevi venire a vederlo, ma non credevo che davvero ti saresti presentato. E poi un giorno - » posso sentire il sorriso nelle sue parole e brucia dentro il mio petto.
«- quando ero dietro le quinte durante la pausa, tu mi chiamasti e mi dissi che volevi farmi una sorpresa. Fu il momento in cui sentii la tua voce attraverso quello stupido telefono, che seppi di amarti. Dopo la pausa ti ho visto seduto nel pubblico. Mi stavi sorridendo e ridevi e quando lo spettacolo è finito, tu sei stato il primo ad alzarti. Hai fatto alzare ogni persona dal loro posto e c’è stata una standing ovation grazie a te, quella sera. È stata una delle serate migliori della mia vita.»
Posso sentire le lacrime che mi scorrono sulle guance come posso sentire le sue, di lacrime, che scendono sul mio collo.
«Jen.»
«Shh.» fa lui. «Ti troveremo un aiuto, domani. Andrà tutto bene. Dormi e basta ora, okay? Sono qui. Sono proprio qui, Jared.»
E l’ultimo pensiero che ho prima di andarmene, prima di perderlo di nuovo, è ‘No. Non lo sei.’
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