Titolo: The Empty Room - La stanza vuota
Autore:
germanjjGenere: RPS, Angst (tanto, tantissimo angst), Drama, hurt/comfort
Pairing e personaggi: Jensen/Jared (J2), Mrs Morta, Mackenzie Ackles, Steve Carlson, Michael Rosenbaum in questo capitolo.
Rating: NC17
Warning: slash, bottom!Jared, un Jensen so perfect it hurts.
precedente Un paio di giorni dopo, Jared stava lentamente scivolando di nuovo nella realtà, tornando da un altro sogno.
Fu la voce di Steve che finalmente si fece strada verso di lui.
Jared non sapeva cosa stava dicendo Chris dall’altro capo del telefono, ma basandosi sulla voce di Steve, stavano litigando. O dibattendo, al limite.
«Sì, sta…bene.»
«Non lo so. Non stiamo facendo passi avanti.»
«No.»
«È che…ho dubbi a volte, amico. Che stiamo credendo a qualcosa che non è veramente lì.»
«Sì, lo sento. Davvero.»
«Sì, Chris, ma sono solo spaventato. E se non lo trovassimo? Se non lo riportassimo indietro? Non possiamo passare le nostre vite inseguendo qualcosa che semplicemente non c’è.»
La conversazione finì poco dopo quella frase.
Jared li sentì scambiarsi sussurrati ‘ti amo’ e poi Steve camminò da qualche altra parte in casa.
Jared si sentì stupido. Desiderò che Jensen fosse lì. Jensen l’avrebbe confortato. Jensen gli avrebbe detto che non era pazzo. Jensen gli avrebbe creduto.
Ma Jensen non era lì e quello era ciò che aveva fatto fermare il mondo.
Camminando con le gambe come gelatina, Jared uscì dal letto e si mise qualcosa addosso. Si sentiva come se stesse sognando. Come se stesse avendo questi terribili incubi dove voleva solo scappare e tutto quello che poteva fare era spostare i piedi, uno dopo l’altro, a rallentatore, senza fare alcun progresso.
La casa era silenziosa quando arrivò al piano di sotto. Non il silenzio a cui era così abituato, ma tuttavia silenzio. Come se dovesse succedere qualcosa da un momento all’altro. Come se qualcuno avesse potuto schioccare le dita da un momento all’altro.
Trovò Steve e Mike nel soggiorno. Steve al computer, l’espressione concentrata. E Mike che guardava la tv, chiaramente annoiato a morte. Entrambi alzarono lo sguardo quando Jared entrò nella stanza, la preoccupazione scritta sulle loro facce.
«Come hai dormito?» chiese Mike come se non conoscesse la risposta.
«Sognando.» rispose Jared, come se non avessero fatto questa routine nell’ultimo paio di giorno.
La giornata passò lenta e senza eventi particolari. Jared non si sentiva abbastanza in forma per tornare sul set, non gli importava abbastanza per farlo da solo. Mike era fuori città per un giorno, doveva incontrare il suo agente e Steve aveva portato Harley e Sadie a fare una lunga passeggiata.
Jared li invidiava. Lui non era l’unico a cui pesava questa situazione, in tutti i sensi. Quando riusciva per un attimo a ragionare, poteva vedere i cerchi scuri sui volti dei suoi amici, poteva vedere come tutto affliggesse anche loro. Ma Jared non riusciva a rilassarsi abbastanza da tornare a questa vita, questa finta vita, anche se l’avrebbe aiutato. Gli mancava correre con i suoi cani, gli mancava fare esercizio fisico in garage e fare tutto quello che era sempre stato così importante per lui.
Niente importava più.
E soprattutto, la sua mente gli giocava scherzi. Mescolava sogni, momenti di realtà e ricordi come un enorme, irrisolto puzzle. E ogni minuto doveva lottare per tenere tutto insieme.
Era in momenti come questi, quando vagava giù dalle scale in casa e guardava assente la foto sua e di sua sorella sul muro, quando all’improvviso qualcosa lo colpì e ricordò cosa doveva esserci appeso là.
Una foto di Jensen e sua sorella. Cose che non avrebbe mai saputo se tutto fosse rimasto normale - quale foto era appesa in corridoio vicino alla porta della cucina, se la porta di Jensen si apriva da destra o da sinistra - tutte queste cose gli frullavano in testa ora, come i fatti cruciali, più importanti di una vita persa.
Come il numero di telefono della sorella di Jensen.
Le mani di Jared tremavano quando trovò una penna e un pezzo di carta per scrivere quel numero.
Nella sua vita reale, aveva il numero nella rubrica del cellulare, certamente, ma non era mai riuscito a sapere il numero a memoria. Ma il ricordo di quella foto sul muro, quella vera, quella con Jensen e Mackenzie in posa per la loro mamma dopo una piccola riunione di famiglia, doveva aver mosso qualcosa dentro di lui.
Jared sapeva che avrebbe chiamato anche quando continuò a raccogliere nella sua testa tutte le ragioni per cui non avrebbe dovuto. Ma la voce di Chris gli risuonò nella testa, con quello che aveva detto riguardo alla famiglia Ackles.
Che stavano cercando Jensen. Che gli era scomparso un figlio.
L’attesa in linea e poi il suono del telefono che squillava dall’altro capo sembrarono infiniti, prima di sentire il click finale e una giovane voce femminile gli rispose.
«Sì?»
«Mac.» Ogni altra parole gli morì in gola quando le sensazioni lo invasero.
Sentire la sua voce, sapere che lei era là fuori, reale. Jared deglutì e prese un respiro.
«Chi…chi parla?»
«Jared.»
Ci fu un lungo silenzio dall’altra parte prima che lei dicesse finalmente qualcosa.
«Io…io ti conosco, giusto?» La sua era prudente e scossa e Jared poté quasi vedere i suoi occhi spalancati, le lentiggini che condivideva col fratello che spiccavano sulla pelle pallida.
«Sì. In un’altra vita, mi conosci.» rispose Jared. «Ascolta io…Ho chiamato per dirti che lo riporterò indietro. Riporterò indietro Jensen.»
Il singhiozzo che fece subito eco dall’altro lato fece rabbrividire Jared.
«Dio, ti prego. Ti prego.» fu tutto quello che riuscì a capire.
«Farò tutto…tutto quello che posso per riportarlo indietro.» le promise, promise a se stesso. La sua voce era scossa dalle emozioni, entrambe le mani afferravano il telefono.
Il singhiozzo morì lentamente dall’altro lato e l’ultima cosa che Jared sentì fu un sussurrato ‘grazie’ prima di riattaccare.
Un’incredibile agitazione aveva pervaso Jared dalla telefonata. Voleva fare qualcosa, doveva fare qualcosa. I ragazzi non erano ancora tornati il che significava che era libero di sgattaiolare fuori di casa senza che i loro occhi preoccupati lo squadrassero.
Quella fu la ragione per cui fermò la macchina davanti alla casa della signora Morta nemmeno un’ora dopo aver parlato con Mackenzie.
Il cortile era deserto e nessuno rispose al campanello, ma Jared non si arrese, girò attorno alla casa. Vide l’anziana donna vicino ad una piccola baracca da giardino, che tirava fuori qualcosa da un enorme cestino e lo raggruppava in una pila composta.
«Jared! È bello vederti ragazzo!» urlò da lontano quando vide Jared, salutandolo con le sue mani coperte da guanti verdi.
«Signora Morta» la salutò Jared, avvicinandosi.
«Perciò, come ti senti figliolo? So che hai avuto delle giornate difficili, eh? Ero un po’ delusa che Christian o Chad Michael non si fossero presentati alla mia porta minacciando di uccidermi.» ridacchiò e Jared si unì, pensando che forse era più vicina alla verità di quanto pensasse.
Lei gettò un grosso paio di cesoie dentro il cestino a terra e alzò lo sguardo «Perciò, sei qui per qualcosa ragazzo, dico bene?»
«Sì, io…io volevo parlare. Chiederle di…» gesticolò eccessivamente «di ogni cosa, credo.»
La signora Morta annuì e sorrise «Oh, certo tesoro. Solo, aiutami con quello, ti dispiace?»
Jared afferrò il cesto dal terreno e la seguì attraverso il giardino verso uno dei cespugli di rose. Alcune rose apparivano bellissime e forti, altre sembravano scure e appassite.
«È un peccato davvero.» disse la signora Morta e indicò a Jared di appoggiare il cesto. «Tutto ciò che tocco sembra morire». Sorrise, nascondeva qualche segreto nello sguardo. «Ma posso comunque provare, no?»
«Sì, suppongo.»
«Perciò, come ti senti?» Questa volta sapeva che lei voleva una vera risposta.
«Sto…sto bene…considerato tutto.» Si lasciò andare ad una risata, passandosi la mano fra i capelli.
«Già.» annuì. «Mi dispiace davvero che tu debba passare tutto questo. Devi credermi, mi dispiace.» Sembrava voler aggiungere qualcosa, ma poi sorrise e si voltò, concentrandosi sul cespuglio di rose.
«Okay, figliolo, se hai qualche domanda, chiedi pure.» Senza aspettare la risposta di Jared, prese le cesoie e tornò al lavoro.
«Io..uhm. Okay, prima cosa, mi chiedevo…quella volta che ero in ospedale, lo sa no?»
La signora Morta lo guardò «Certo che lo so.»
«Uhm, è stato…quello è stato il giorno in cui è stato preso, giusto?»
«Sì, caro. È stato preso quel giorno. Cosa ricordi?»
«Non molto» ammise Jared. «Ricordo di essermi svegliato in ospedale tre giorni dopo, sentendomi…sentendomi perso. I dottori non mi dissero mai cosa fu, mi fecero solo vedere una strizzacervelli. I miei amici me lo hanno detto, quando stavano passando vicino a casa mia quel giorno, sentirono i miei cani abbaiare come matti. Bussarono e suonarono il campanello, ma quando io non andai ad aprire, buttarono giù la porta. Mi trovarono seduto nel soggiorno, che fissavo…fissavo una porta. Mi portarono in ospedale.»
La signora Morta non disse nulla, si limitò ad annuire in risposta alle parole di Jared, mostrandogli che stava ascoltando.
«Fu davvero dura per la mia famiglia. Per Chad. Io…gliene ho fatte passare tante, eh?»
Questo le fece voltare la testa e lo guardò con occhi preoccupati «Oh, tesoro. Pensi sia colpa tua?»
«Lei ha detto che riguarda me, giusto?» chiese Jared, la voce che si alzava. «Sono io quello che ha i sogni più intensi, sono io quello che deve ricordarlo di nuovo. Riguarda me! È colpa mia, qualcosa che ho fatto, no?»
La signora Morta non rispose, guardò Jared con un’espressione indecifrabile.
«Lei conosce i motivi, giusto?»
Lei rimase in silenzio.
«Mi risponda!» urlò Jared, la rabbia che gli pulsava nelle vene. Non sapeva quanto importante fosse per lui? Non capiva?
Quando non arrivo nessuna risposta, nessuna reazione, Jared sentì la rabbia svanire, cambiare in una profonda tristezza, poté sentire la propria voce rompersi mentre chiedeva: «Sa qual è la parte difficile? Ricordo tutto. Ricordo come Jensen fece una gran confusione per il mio ultimo compleanno. Spendendo decisamente troppi soldi per i miei regali e facendo venire tutti i miei amici. Ma ricordo anche di averlo passato con Chad. Da solo. Quando non c’era Jensen. Stanno svanendo. Sono sfocati come lo sono a volte i sogni. Ma i ricordi sbagliati sono ancora lì e qualche volta è così dannatamente difficile tenerli separati.»
Lo sguardo sul volto della donna si riempì di compassione.
«Ogni volta che ricordo che ero seduto da solo in questa casa dopo la rottura con Sandy, sentendomi triste e solo, devo ricordare a me stesso che non è mai andata così. Che Jensen era lì per me. Sempre. Mi ha trascinato nel ristorante più costoso per offrirmi la più grande bistecca che avevano.» Jared sorrise al ricordo, il vero ricordo.
«Sa dov’è? Jensen?» Jared la guardò, facendo finalmente l’unica domanda che importava davvero.
«Probabilmente a lavorare sul set ora.» rispose subito la signora Morta.
«Con te.» Sospirò. «Solo non in questa realtà.»
Jared seppellì il viso nelle mani. «Dio, la mia…la testa mi esplode con ‘sta roba!» disse, il tono disperato. «Non capisco. È reale questo? O è il posto in cui si trova Jensen la realtà? Le cose che accadono nei sogni sono reali? Sono…sono realmente accadute? Lì, dove è Jensen?»
La signora Morta si alzò, lasciò scivolare le cesoie sul terreno. Sorrise a Jared, appoggiò la mano al suo braccio. «Penso di potertelo spiegare. Vieni.»
Lo condusse attraverso il giardino, verso il lato nord di casa.
«Vedi quell’albero laggiù? Quello col tronco diviso?» iniziò a parlare, indicando un piccolo albero che era cresciuto circa un metro e mezzo prima che il tronco si dividesse in due, sembrando così ora due enormi alberi nati dalle radici di uno.
«Immagina la realtà come un albero solido come questo.» spiegò lei, avvicinandosi all’albero «Finché qualcuno non arriva e lo divide. Una realtà con Jensen, dove tutto rimane uguale.» lasciò la sua mano scivolare lungo uno dei tronchi «e una senza di lui. Tutte le cose che sarebbero accadute se lui non fosse mai esistito.»
Fece una pausa, cercando nel volto di Jared un segno che indicasse che stava capendo quello che diceva.
«Quando sognavi, la tua mente scivolava nell’altra realtà, l’altro tronco, e ti dava uno scorcio di quello che succedeva lì.»
Il cuore di Jared prese a battere più veloce. «Quindi quando sogno, io…io sono realmente lì.»
«Sì.» annuì lei, regalando a Jared un sorriso rassicurante.
Jared la fissò, le cose che aveva appreso gli vorticavano in testa. «Come sa così tante cose? Come? Chi è lei?» chiese.
«Ho paura di non poterti dire così tanto, caro.» sorrise di nuovo, parlandogli come se fosse solo un ragazzino che non poteva sapere quello che sanno i grandi. «Sono solo un’anziana donna che vede più di quanto non vedano gli altri.»
Jared era impaziente. Si allontanò, alzando le mani, regalandole uno sguardo implorante. «Ma cosa faccio? Devo essere in grado di fare qualcosa!»
Lei scosse la testa «Temo di no. Tutto quello che puoi fare è aspettare. Tutto quello che puoi fare è capire cosa vuoi. Cosa realmente vuoi. E per cosa sei pronto a combattere con tutto ciò che hai, tutto ciò che sei.»
Un singhiozzo scappò dalla gola di Jared. «Non capisco!»
«Non devi tesoro. Ma ora vai. Vai a casa. Torna dove ti senti vicino a lui.»
«Harley, no. Torna indietro. No, non è per te! Harley!»
Mi sveglio nel sogno al suono di Jensen che sgrida piano Harley in cucina. Vedo uno scorcio di lui che si china per accarezzare il mio bambino e vedo che non è davvero arrabbiato, e come non riesce a combattere il sorriso nel vedere Harley che cerca di guardare cosa c’è sul bancone della cucina.
Mi siedo sul divano dove ero sdraiato e vedo come le orecchie di Sadie si alzano al mio movimento.
Si alza da vicino al tavolino dove stava dormendo e abbaia una volta.
«No, Sadie.» sibila Jensen dalla cucina e irrompe nella stanza, chiaramente provando a farla calmare.
Lentamente sul mio volto si apre un sorriso e sento una sensazione di calore nello stomaco, ma quando sento un rumore di là e vedo Jensen saltare e correre verso la cucina per fermare Harley dal mangiare qualsiasi cosa lui stesse provando a cucinare, non riesco a fermarmi e rido forte.
«Sei sveglio.»
Un lieve sorriso appare sul viso di Jensen quando mi guarda e non riesco a trattenermi dal ricambiarlo.
«Stai meglio.» dice Jensen e gira la testa.«Stavo per fare qualcosa per cena, ma ora non sono così sicuro che ci sia rimasto qualcosa che Harley non abbia toccato.» Ride lievemente e io sento quella sensazione crescere più forte, diventare più profonda.
«Ti amo.» butto fuori, all’improvviso, e guardo il rossore che appare sul viso di Jensen mentre sorride, profondo e felice, e abbassa la testa come se volesse nascondere ciò che significa per lui che io l’abbia detto.
Dio, questo è Jensen. Jensen. Quell’uomo con cui ho trascorso gli ultimi anni della mia vita. L’uomo che è sempre lì quando rido, quando piango, e in ogni singolo secondo.
Sento il cuore battere e lo stomaco sobbalzare quando penso alle cose che sono successe fra noi. Quando non sapevo che stavo sognando. Quando poi lo sapevo. E ora che so chi è.
«Vieni qui.» dico dolcemente, alzando le braccia, cercandolo.
Lui esita un secondo, poi alza gli occhi verso di me e sorride. «Che c’è?» scherza ma lascia che lo stringa, non si sposta o ride di me quando lo circondo con le braccia, nascondendo la testa contro la sua pancia.
«Ti amo così tanto.» sussurro contro la sua maglietta, sentendo il tessuto morbido contro le guance.
«Jared» sussurra lui e la voce è piena d’emozione. Sposta le braccia intorno a me e lascia che le sue mani si muovano nei miei capelli, iniziando una carezza delicata. Il mio naso sfrega delicato la sua maglietta e respiro il suo profumo, sento il calore e l’amore che si espandono dentro di me.
Sono felice. Sono davvero felice, perché questa è la mia vita. Questo, qui. Con Jensen. Devo solo riaverla indietro.
È più che altro istinto quando lascio cadere le mie braccia da intorno a Jensen, e alzo la sua maglietta che rivela la pelle liscia e leggermente abbronzata.
«Oh Dio.» sussurra Jensen sopra di me quando le mie labbra toccano la sua pelle, scivolando delicatamente sul suo stomaco teso.
I miei sensi sono annebbiati dal profumo di Jensen, il suo sapore, la sensazione di lui sotto le mie mani. Poso baci delicati sul suo addome, gustando ogni centimetro.
Posso sentirmi gemere quando la mia lingua raggiunge l’inizio della linea del suo basso ventre.
«Gesù.» Jensen sobbalza e mi spinge delicatamente via, solo per tirare la mia testa verso di lui, sigillando le mie labbra con un bacio.
Posso sentire come sta provando ad essere delicato, provando ad essere lento, ma non glielo lascio fare. Lo tiro a me verso il basso mentre mi sdraio sul divano.
Posso ancora sentire la sua lingua contro la mia, quando i colpi dalla cucina ci fanno sobbalzare e perdo Jensen dal sogno mentre scivolo di nuovo nella realtà.
successivo