Magno,beo e tifo ceo!! :-)

Nov 25, 2003 17:00

...parzialmente rinfrancato nell'animo dopo aver visto, in tribuna centrale al Bentegodi, il mio Milan papparsi in un boccone gli asinelli volanti del Chievo e dopo aver sentito che il mio Messina aveva colorato il sedere dei giocatori della Fiorentina in tinta unica con la loro maglia, passo al secondo doveroso tributo....

Death-Symbolic (1995)
Alla fine non si potrà dire che Chuck Schuldiner sia morto da solo. All'affetto di parenti ed amici si è unito solido, durante il suo lungo calvario, quello del mondo Heavy Metal (colleghi musicisti ed appassionati), sottobosco musicale al quale si potrà muovere ogni tipo di critica (di essere passatista ed autoreferenziale, tra le uniche che abbiano un qualche fondamento di verità), ma non quella di dimenticare in fretta e furia i suoi artisti. Numerose collette erano state indette al fine di raccogliere denaro sufficiente ad un'ultima -inutile- operazione, per salvare l'ennesima stella indigente del firmamento H.M. dal male con cui da anni stava combattendo.
D'altronde Chuck Schuldiner, titolare unico del progetto "Death", non era un artista di poco peso. Se avete mai sentito qualche amico metallaro accennare ad un sottogenere dall'inquietante nome "Death Metal", ora sapete dove questa definizione ha origine (per completezza affermo che la paternità va anche ad un omonimo pezzo firmato dai Possessed nell'album "Seven Churces"); una formula, apparentemente suicida, che, partendo dal thrash imperante all'epoca, operava un brusco rallentamento del ritmo (non più una combinazione di riffs alla velocità della luce, ma un concatenarsi di mid-tempos con improvvise accelerazioni, per valorizzare meglio quest'ultime) ed una netta brutalizzazione del suono (che veniva denudato di ogni aspetto melodico- almeno nella struttura- per creare un'atmosfera cupa e claustrofobica), senza considerare il cantato, ma sarebbe meglio definirlo "ringhio", dei due padrini del genere, Schuldiner, appunto, e Jeff Bescerra dei già citati Possesed: di tutte le definizioni possibili, la vecchia "topo-in-gola" è quella che rende meglio l'idea- anche se siamo lontani dalle forme più gutturali, che avrebbero imperato durante gli anni '90 (ma il Death Metal si sposa tranquillamente con un cantato pulito- vedi ad esempio Ron Rineheart dei Dark Angel, nel loro monumentale "Time does not heal").
Il progetto Death esordisce nel 1987 (un anno incredibile per l'H.M. estremo: ad ovest dell'Atlantico esordivano i D. e i Testament, ad est "Under the sign of the black mark" dei Bathory ed il primo E.P. dei Mayhem iniziavano a codificare quello che poi sarebbe divenuto il black-death scandinavo; persino in Italia veniva generata una perla di nera bellezza come "Into the macabre" dei genovesi Necrodeath; in terra d'Albione, invece, i Napalm Death mettevano finalmente d'accordo la critica metal con quella "colta": nel senso che tutti concordavano che il loro esordio "Scum" fosse un'emerita cagata! Come sempre accade, il tempo darà ragione ai musicanti e torto ai critici). Il primo album "Scream bloody gore" è un campionario di atrocità da horror di serie Z, ma, già l'anno successivo, i nostri cominciavano a volare alto con il bellissimo (mai concetto fu più relativo!) "Leprosy", il loro capolavoro del primo periodo. Dopo il disco di transizione "Spiritual healing", Schuldiner impone una brusca virata alla sua creatura: le trame musicali si fanno sempre più complesse, il cantato gutturale lascia il posto ad una sorta di "recitato", che non rinuncia ad esprimersi tramite urla roche, ma che abbandona ogni brutalità gratuita per poter accompagnare più degnamente i testi del nuovo corso- vere e proprie orazioni sullo sfacello della società sulle difficoltà del singolo dotato di un minimo di sensibilità e personalità di adattarvisi-, si moltiplicavano le aperture melodiche, pur lasciando intatta la potenza e l'osticità del sound. Nascono così "Human" e, soprattutto, lo splendido "Individual through patterns" che vanta un cast a dir poco stellare (Gene Hoglan alla batteria, Steve Di Giorgio al basso e Andy LaRoque alla chitarra). Quest'ultimo è un lavoro che con il concetto classico di H.M. ha ben poco da spartire: di fatto è studiato e, soprattutto, suonato come un disco jazz, seppur coperto da strati di distorsioni.
Nel successivo "Symbolic", Schuldiner compie un leggerissimo passo indietro (o "aggiusta la mira", dipende dai gusti!), e, pur non perdendo un'oncia della classe e della complessità del disco precedente, realizza un'opera decisamente più potabile e metal- i riffs hanno un respiro più epico ed, in alcuni passaggi, avviene un'intelligente rivisitazione delle sonorità thrash. Gene Hoglan ci regala la sua performance migliore, dimostrando di meritare la palma di miglior batterista metal di sempre- alla pari con Dave Lombardo, un millimetro sopra Mike Portnoy, a chilometri di distanza da un mediocre sopravvalutato come Lars Urlich. I nuovi innesti di Bobby Koelbe e Kelly Conlon, alla chitarra e basso, sono funzionali alla realizzazione di un'opera più "classica" (leggi: meno virtuosismi, tanta sostanza). Schuldiner spadroneggia intessendo trame oblique ed ubriacanti (si', proprio come i dribbling, il fine è quello di spiazzare!) con la chitarra e predica, quasi sempre contro tempo, con una rabbia ed una passione mai viste. Ma soprattutto il disco è impreziosito da una serie di trovate, più o meno originali, ma sempre azzaccatissime: i riffs meravigliosamente retrò di "1000 Eyes" e "Misantrophe", il ritornello di "Sacred Serenity", il break melodico di "Without Judgment"- che vanta anche un incipit da antologia-, la chitarra classica nel finale dell'incredibile "Cristal Mountain" (il miglior brano del disco). Una delle tante perle disseminate nell'intensa carriera di un artista scomparso al top della sua creatività.
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