[RPF] And if I had one wish

Dec 03, 2011 21:55

Titolo: And if I had one wish
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Daniele De Rossi/Nicolás Burdisso/Marco Borriello
Rating: R
Conteggio Parole: 3686 (fidipu)
Avvertimenti: AU, threesome, linguaggio, PWP, spin-off
Prompt: Una threesome @ Kyalendario (♥
el_defe)
- Una donna scarlatta & una threesome con Daniele, pure questi di el_defe, stavolta per il kinkmarco.
Note: *fischietta amenamente* Dopo questa, qualsiasi pretesa di-- di-- ok, no, non ce la faccio XD
- Spin-off, spin-off, spin-off! Spin-off di Walk, Walk, Fashion Baby (Work It I'm A Free Bitch), che, nel caso qualcuno non lo sapesse, è di, volete provare a indovinare? ESATTO, DEF. OMG, Sherlock. E, uhm. Se ancora non l'avete letta, LEGGETELA, CHE ASPETTATE. Non capirete niente qui, altrimenti. *annuisce*
- Lo so che spiega tante cose, la nota di cui sopra. Per esempio, il pairing quantomai inusuale. O il fatto che il titolo e la strofa d'introduzione li ho sapientemente trafugati a Lady Gaga, per rimanere in tema. <3
- :*
- Ridi con me, Def, della bellezza del mondo. Avevo googlato ‘poltrona di Fantozzi’ per vedere se c’è un modo più dignitoso di chiamare quelle cose, e Google mi ha benedetta con la scoperta di questo (NSFW!!) e, te lo giuro, per poco non l’ho messa nella fic. Per poco.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.

~ And if I had one wish.
(Yeah, you'd be it)

When you're 'round / I lose myself inside your mouth
You've got brown eyes / Like no one else
Baby make it to me / Again and again
Again, again, again, again / Never stop again and again
Lady Gaga, Again Again

Daniele esita ancora un momento prima di spalancare la portiera e scivolare fuori dall’auto con aria circospetta; ha visto troppi film di spionaggio, nella sua vita, perciò gli viene naturale mettersi a controllare tutti i tetti e i balconi, cercando un lampo di luce riflessa che tradisca l’obiettivo di una macchina fotografica acquattata dietro un vaso di gerani.
Nicolás lo guarda, da sopra il tettuccio della macchina, e si mette a ridere.
«Dai, Dani,» lo blandisce, un attimo dopo. «Piantala, stai esagerando.»
Daniele inforca gli occhiali da sole, se li spinge su per il naso con due dita e brontola, sottovoce, che quando finiranno sulle copertine di tutte le maledette riviste scandalistiche d’Italia, allora sarà meglio che Nico non venga a piangersela da lui, perché, chiaramente, se la sta tirando addosso di propria volontà. Per quanto abbia tentato di essere cauto, comunque, Nicolás lo sente, e ride di nuovo, stavolta persino più forte, giusto perché Daniele, quando è irritato, fa delle smorfie buffissime.
Nicolás fa il giro dell’auto, quindi, e gli piazza tra le braccia il grosso, relativamente pesante pacco che ha tirato fuori dal bagagliaio. È una scatola come quelle per i traslochi, marrone pallido, ma non c’è uno straccio di scritta, né un marchio, né un indirizzo, e ha gli angoli tutti ammaccati, ma probabilmente quello è per via della guida non esattamente fluida di Nico.
Daniele s’imbroncia.
«Mi vuoi dire che cavolo c’è, qui dentro?» chiede.
Nicolás s’infila le chiavi in tasca, si sistema la giacca sulle spalle e, Dio santo, gli fa l’occhiolino. Daniele quasi lascia cadere lo scatolo.
«È una sorpresa,» dice Nicolás, enigmatico, e senza aggiungere altro si avvia verso l’imponente cancellata di ferro tre metri più in là. Sta trattenendo molto a stento una risata, comunque, perché, sul serio, le facce che riesce a fare Daniele.

*
Anche questa volta, Marco è vestito. Daniele - che, nei due minuti che lui e Nico hanno trascorso sullo zerbino di casa Borriello ad aspettare che la porta si aprisse, ha continuato a lanciarsi guardinghe occhiate dietro le spalle, quasi le molto brutte begonie di Marco potessero mettersi a scattare foto compromettenti, - se ne sorprende sempre un po’, perché, d’accordo, lui magari Marco non lo conosce più di tanto, per cui non dovrebbe permettersi di giudicare, ma è che sembra emanare quel genere di vibrazioni da tamarro per cui uno automaticamente si aspetta di vederlo girare per casa in mutande, se non addirittura nudo, fischiettando motivetti stonati e nutrendosi esclusivamente di barrette energetiche.
Invece, Marco non solo è più che incline a tenere al coperto le proprie grazie - non che Daniele si sia mai fermato a pensare al suo corpo in termini di grazie, naturalmente, - ma è anche abbastanza capace di agghindarsi e, quel che è peggio, cucina da Dio. Che poi è il motivo per cui, sebbene lui e Nicolás si siano ampiamente sdebitati per quel piccolo favoretto con Leonardo, tre mesi dopo continuano a presentarsi da Marco come se, beh, come se fossero amici.
Accidenti a Nico e a quel suo insano debole per la pizza, davvero.
Marco sorride, magari un po’ troppo gioviale, un po’ troppo contento di averli lì sulla soglia di casa sua. E poi c’è sempre qualcosa, nel modo in cui si fa da parte per lasciarli entrare, qualcosa forse nel fatto che li guarda da sotto le ciglia e poi allarga un pochino il sorriso, per cui Daniele rabbrividisce; è come se fosse sorpreso, Marco, di vederli, anche se Nico l’avrà chiamato almeno tre volte, durante la settimana, per confermare e riconfermare e poi per essere sicuro di aver capito bene l’appuntamento.
Ma Daniele non ci vuole pensare, al fatto che Marco magari si sente solo - perché non è possibile, giusto? Hanno incrociato Claudio, le prime due volte che sono stati qui, e quando pure hanno trovato la casa vuota, c’era sempre qualche macchinone coi vetri oscurati a schizzare via dalla strada, o qualche ragazza troppo bella e troppo magra e troppo alta per essere del quartiere che si allontanava su tacchi vertiginosi. Daniele tenta di scrollarsi via dalla testa il dubbio ricorrente che fosse la macchina di Fabio - Fabietto!, - quella che hanno visto andar via la settimana scorsa, e si concentra su Nicolás che, Dio solo sa perché, sta abbracciando Marco con familiarità inaudita.
«Niente ospiti, oggi?» lo sente ridacchiare, e Marco sorride, per nulla impressionato dall’allusione. Si prende la sua giacca, la sistema su un appendiabiti di design o forse di antiquariato, un pezzo di legno intagliato per sembrare una mano. Il pacco tra le braccia di Daniele, peraltro, comincia a pesare un po’.
«Niente ospiti,» dice Marco, e poi fa per aggiungere qualcos’altro, ma finalmente - e Daniele non ha idea del perché gli sia venuto in testa un pensiero del genere, ma finalmente, - guarda Daniele e si accorge che, ehi, gli hanno portato qualcosa! «Nico! Non dovevi.»
Nicolás ridacchia - Daniele tenta di non sentirsi offeso dal fatto che Marco abbia dato per scontato che lui non c’entra niente con qualsiasi cosa stia tanto stoicamente reggendo, - e agita una mano per aria.
«È una sciocchezza, veramente,» minimizza, e Marco lo guarda e Daniele potrebbe giurare che gli stanno brillando gli occhi.
«Che cos’è?» chiede, ma non gli dà il tempo di rispondere, perché di nuovo si volta verso Daniele - lo guarda da sotto in su, per un attimo, con un sorriso un po’ più piccolo e un po’ più intimo e Daniele è improvvisamente molto interessato alla credenza alla sua sinistra, - e gli frega lo scatolone dalle mani, ridendo quando quello si rivela più pesante di quanto credesse, e poi andando ad appoggiarlo sul tavolo poco più in là.
«È una sciocchezza,» ripete Nicolás, come se davvero avesse comprato una cosa stupidissima e volesse giustificarsi - oppure ha preso qualcosa di estremamente costoso e vuole fare il modesto, Daniele non riesce a capirlo. «Solo che l’ho vista mentre cercavo un orologio per la cucina e ti ho pensato, e non ho potuto fare a meno di comprarla.»
Daniele rimane un po’ in disparte, mentre quei due ridacchiano di chissà che battuta che lui non ha sentito e si danno da fare per spacchettare lo scatolo. Si sfila la giacca di pelle, la appende su quella di Nico - suppone che non sia un gesto poi tanto maleducato, considerando che il padrone di casa lo sta bellamente ignorando, - e si ficca le mani nelle tasche dei jeans, guardandosi attorno, evitando accuratamente di notare come il pantalone di Marco sembri decisamente di sartoria, misurato al millimetro sulle sue gambe chilometriche per stringersi, poi, fin troppo graziosamente attorno a - ehi, Daniele non sta guardando. E comunque, chi è che si mette un pantalone su misura per un pranzo informale tra amici?
Gli hanno portato una sedia, alla fine. Una poltrona, dice Nico, d’accordo; una poltrona-sacco arancione brillante, e Marco fa un verso di gioia molto soddisfacente e la abbraccia, strizzandola forte.
«Ma è fantastica,» dice, piazzandola sul tavolo per guardarla meglio e sprimacciandola dove l’ha un po’ sgualcita. Nicolás al suo fianco sorride, tutto fiero di sé. «Nico, la prossima volta che vai a comprare orologi portami con te.»
Daniele trema al pensiero di Nicolás e Marco in giro per negozi insieme, da soli, ma decide di starsene zitto e buono in un angolo, nella speranza che si dimentichino di lui fino a ora di pranzo.

*

Prima di uscire di casa, Nicolás gli ha fatto promettere che avrebbe cercato di essere carino e gentile, e siccome gliel’aveva fatto promettere anche tutte le altre volte, oggi ha specificato che Daniele avrebbe dovuto sforzarsi di più, perché glielo deve e bla bla bla, e lui, pur di evitare di sorbirsi una filippica infinita su quanto è buono e gentile e fantastico Marco, ha annuito e ha promesso, solennemente, persino.
Il punto è che non ci arrivano neppure, al pranzo.
Stanno chiacchierando in soggiorno, Nico e Marco sul divano e Daniele in poltrona - e non sta chiacchierando molto, lui; più che altro, fa fuori uno dopo l’altro i piccoli tramezzini che Marco ha portato come antipasto, e maledizione, è un bravo cuoco davvero, - quando, di punto in bianco, Nicolás si sporge in avanti e Daniele rimane col tramezzino a mezz’aria, una goccia di maionese che drammaticamente gli scivola lungo il palmo della mano, mentre guarda il suo - beh - il suo fidanzato baciare Marco Borriello.
Non è esattamente il genere di cose che gli concilia l’appetito, per cui Daniele mette giù il bocconcino e si schiarisce rumorosamente la gola - Marco, da sopra la spalla di Nicolás, ha sgranato gli occhi, sorpreso, e sta guardando lui, piuttosto che rispondere al bacio, ed è già qualcosa.
Nico, comunque, ignora l’oltraggiata protesta di Daniele, e prende il viso di Marco tra le mani, lo costringe a venirgli incontro, a schiudere le labbra e approfondire il contatto. Daniele è paonazzo e scatta in piedi, perché così non riesce a vedere la lingua di Nicolás che guizza contro la bocca carnosa, già arrossata di Marco.
«Nico,» gracchia, e probabilmente dovrebbe prendere a calci qualcosa, spaccare un mobile, ma riesce solo a star lì in piedi a riempirsi le orecchie del gemito umido che Nicolás soffia nel bacio. Dio santo. «Nico, me ne sto andando.»
Questo sembra funzionare. Nicolás indugia ancora un momento, poi si allontana da Marco - che rimane lì con gli occhi chiusi e la fronte un po’ corrugata, come se si aspettasse di ricevere un cazzotto sulla mascella e Daniele non è sicuro del perché non ha ancora accettato un tanto cortese invito, - e lo guarda. Lo guarda e gli fa quel sorriso per cui Daniele è capitolato già una volta, e grandiosamente, e anche adesso sente le ginocchia cedergli un po’.
«No che non te ne vai,» dice Nicolás, e allunga una mano, aggancia un dito ad un passante dei suoi jeans e lo tira avanti, lo tira giù. Daniele si ritrova sbilanciato in un attimo, e crolla in avanti a baciarlo, a sbattere contro la sua bocca, più che altro; Nico sorride, schiude le labbra con uno schiocco morbido e Daniele deve appoggiarsi ad una spalla di Marco per non cadere.
Il bacio diventa ruvido, aggressivo, dopo un momento; appena Daniele trova l’equilibrio giusto - con un ginocchio puntato sul divano e una mano che è paurosamente sicuro sia di Marco a toccargli un fianco, - si spinge contro il viso di Nicolás con rabbia, con irruenza. Gli morde il labbro inferiore con troppa forza e lo sente ridacchiare, lo sente intrecciare le dita di una mano - l’altra dov’è? Cristo, - ai capelli più corti sulla sua nuca e tirarlo giù, invitandolo a gettarglisi addosso.
Daniele si solleva con uno scatto, senza preavviso; ha il fiato corto, e fissa Nicolás che lo guarda tranquillo, gli angoli delle labbra appena appena incurvati.
«Nico,» tenta, pianissimo, perché vuole capire se sia definitivamente impazzito. Ha la distinta, terrificante sensazione che, no, Nico non ha perso nessuna rotella lungo la strada tra casa e qui. Ed è ancora peggio, il pensiero che, Dio, ci abbia pensato - che Nicolás, il suo Nicolás, voglia una cosa del genere.
È già abbastanza brutto il fatto che Daniele si sia accorto, per esempio, che le labbra di Marco sono impossibilmente carnose. E adesso Nicolás si volta a guardarlo, e Daniele segue il suo movimento e Marco sta fissando lui. Lo sta proprio fissando, con la mascella contratta e gli occhi scuri, scurissimi.
Daniele sente lo stomaco fare un’acrobazia strana. La mano di Marco sul suo fianco è immobile e calda; Nicolás, invece, gli accarezza la nuca, piano piano, per calmarlo. Fa pressione, poi, appena percettibilmente, e Daniele sgrana gli occhi.
«Nico,» ripete, un briciolo di tensione chiaramente percepibile nella voce, un avvertimento. Nicolás capisce, alza gli occhi al soffitto.
«Marco, a te sta bene, no?» domanda. Daniele ha bisogno di dargli una testata perché, Dio, ma gli sembra normale, chiedere una cosa del genere?
Marco - Daniele lo vede con la coda dell’occhio, è vicino abbastanza, - fa un minuscolo cenno di assenso, e non schioda lo sguardo da lui.
Nicolás sogghigna, compiaciuto.
«Vedi?» dice, a Daniele. «Dai.»
Quando Daniele non fa il minimo movimento, quando Daniele neanche respira, Nicolás sbuffa, arriccia le dita attorno al viso di Marco e lo bacia. Daniele li fissa, stavolta, e non riesce ad incazzarsi come prima - Nicolás apre la bocca in un modo praticamente osceno, e va incontro alla lingua di Marco e poi, oddio, Marco riapre gli occhi e, mentre accenna a mordicchiare le labbra di Nico, guarda Daniele.
La gola di Daniele si secca in un batter d’occhio, e lui sente distintamente il battere furioso del proprio cuore nei polsi, dietro le orecchie. Marco lo guarda, mentre bacia Nicolás, lo guarda con quegli occhi morbidi e scuri e Daniele si sente soffocare, si sente in trappola.
Marco, poi, sposta entrambe le mani sulle spalle di Nico, lo spinge giù, a sdraiarsi sul divano, senza curarsi del ginocchio di Daniele che è ancora lì ad ingombrare. Nicolás getta indietro la testa, ride, contento; circonda ancora il viso di Marco e gli stampa un bacio asciutto sulle labbra, prima di spingerlo giù, verso il proprio collo. Marco si nasconde lì e Nico alza gli occhi su Daniele, si lecca le labbra.
Daniele è ancora in tempo per andarsene.
È scomodo, tremendamente scomodo, perché il divano è un divano e di conseguenza è stretto, ma Daniele si arrampica al di sopra di Marco e si allunga come può per baciare Nicolás, facendo del proprio meglio per ignorare il sorrisino di vittoria che quello stronzo gli fa contro le labbra.
Si scioglie in fretta nel bacio, perché si tratta di Nico e baciare Nico è facile e buono, e poi Marco s’inarca sotto di lui, premendosi contro il suo bassoventre e Daniele si sente mancare. Marco gli si struscia contro, mentre la sua lingua cerca quella di Nicolás. Marco mugola qualcosa d’incomprensibile, che si riverbera dentro il petto di Daniele come un brivido caldo da dove il suo corpo tocca quello di Marco.
Nicolás gli accarezza la barba, il collo; quando Daniele si solleva un po’ per riprendere fiato, i suoi occhi che scintillano sembrano dirgli, dai, Daniele.
«Vaffanculo, va’,» brontola lui, baciandogli l’angolo delle labbra. Nico ride di nuovo, e poi mugola, perché qualsiasi cosa stia facendo Marco, laggiù, dev’essere piacevole. Daniele sente la gelosia dargli un morso bollente allo stomaco, e poi geme, quando Marco spinge con più insistenza i fianchi all’insù. «Cazzo, Borrie’,» sbotta, chinando la testa perché vorrebbe nascondersi contro il collo di Nico ma c’è Marco, in mezzo, che glielo impedisce.
Lo sente ridacchiare, e poi stiracchiarsi con pigrizia, e dopo un momento Marco sta scivolando su di nuovo, strappando un sospiro a Nicolás e a Daniele, invece, un ringhio un po’ offeso.
«Non che mi dispiaccia, questa posizione,» ridacchia Marco, e ondeggia un po’ e Daniele è sicuro, è sicuro che l’abbia fatto per torturare lui e allora gli afferra un fianco per tenerlo fermo, con abbastanza forza da lasciargli i segni. Marco gli dà un’occhiata da sopra la propria spalla, sembra immensamente divertito. «Ma posso suggerire di spostarci a letto?»
Nicolás fa un sorriso pigro, gli accarezza una guancia e intrufola le dita tra i suoi capelli.
«Sono d’accordo,» mormora, e poi guarda Daniele, con una punta appena di incertezza, finalmente; lui scrolla le spalle. Due contro uno, non c’è molto che possa fare se non districarsi dalle gambe di Marco.
Sta cominciando, in tutta onestà, ad avere fame.

*

Il letto di Marco è talmente grande che Daniele lo guarda e pensa che, beh, non ha senso. Poi, quando si volta e Nicolás si sta già spogliando e Marco sta guardando lui, ancora con quell’espressione assorta e morbida e affamata, gli pare che l’intera stanza gli si stia richiudendo addosso, e ritrovarsi spinto sul materasso e poter allargare le braccia senza riuscire a toccarne i margini è un sollievo infinito, e serve a calmarlo un po’.
E, ancora, mentre Nicolás gli gattona addosso, piano piano, leccandosi le labbra e Daniele non riesce a non stringergli i fianchi e con la coda dell’occhio vede Marco che siede tranquillo sul letto, guardandoli da una certa distanza, beh, allora Daniele comincia ad essere assurdamente grato per le dimensioni sensazionali del materasso.
Nicolás gli sfila il maglioncino, gli sbottona pigramente la camicia, baciandolo piano. Daniele gli accarezza la schiena nuda, le dita che scivolano sul rilievo familiare dei suoi muscoli affusolati e poi seguono il profilo appena percepibile delle costole. Nicolás rabbrividisce, sorride nel bacio, e Daniele quasi sobbalza quando sente le mani di Marco sfiorargli le nocche, per attirare la sua attenzione.
Schiude un occhio, rispondendo con un morso alla lingua impertinente di Nicolás, e Marco, al di là della sua spalla, gli sorride, e poi lo prende per i polsi e si piazza le sue mani sui fianchi, abbastanza in basso che Daniele sente, poco più giù, l’orlo dei suoi pantaloni.
Marco accarezza la base della schiena di Nicolás, e Nicolás si scosta un po’, quasi appoggiandosi su un fianco, costringendo Daniele a piegare di lato la testa per seguire il movimento del bacio - espone la gola, e non se ne rende conto finché non sente il bacio morbido di Marco, la carezza quasi incerta della sua lingua.
Porca puttana.
Nico ridacchia, guardandolo divertito, e si sbottona i pantaloni. Daniele chiude gli occhi e fa finta che Marco non gli stia mordicchiando un capezzolo, fa finta che non gli stia toccando il petto con le mani bene aperte, fa finta, oh, che non abbia impiegato quattro secondi netti a scovare quell’angolo di pelle, sotto la curva dei fianchi, dove è così fottutamente sensibile.
Quando Marco risale, un attimo dopo, lungo il suo sterno, in una lentissima tortura di baci piccoli e umidi e neanche lontanamente abbastanza, Daniele è veloce ad afferrarlo da sotto le cosce ancora costrette nel pantalone e sistemarselo contro. Marco dà un mugolio compiaciuto, ma Daniele è distratto dal verso che è appena sfuggito dalle labbra di Nicolás, lì accanto alle sue.
«Nico?» mormora, curioso, più che preoccupato; Nico geme di nuovo, gli occhi chiusi, la fronte corrucciata. Daniele si sporge quel poco che basta a vedere la mano di Marco persa tra le sue gambe, e, di nuovo, sa che dovrebbe volerlo scalciare via ma, santiddio, tutto quello che gli riesce è guardarlo, e non è neanche sicuro di avere una faccia incazzata.
Marco gli fa un sorriso minuscolo, e a Daniele trema un po’ il respiro.
Non ci vuole pensare, Cristo, che è domenica, che è ora di pranzo e lui sta per - beh, non ci vuole pensare. La bocca di Marco che si schiude attorno al rilievo del suo sesso ancora soffocato dai jeans, e la pelle morbida delle cosce di Nicolás sotto le sue dita, di certo lo aiutano a distrarsi.

*

Nico è sotto la doccia, e Daniele se ne sta semisdraiato sul letto, la schiena appoggiata ad una pila di cuscini più grossa di lui, le mani incrociate sul petto e lo sguardo un po’ perso. Marco è in piedi accanto ad un’enorme cassettiera, sono già cinque minuti che smanetta col cellulare e Daniele non è geloso di chiunque sia la persona con cui sta messaggiando, è curioso, c’è una bella differenza.
Magari dà un mezzo sospiro di sollievo, quando finalmente Marco mette via il telefono, ma è una cosa piccola e stupida e può dare la colpa allo shock, davvero.
Marco lo guarda - Daniele si è quasi abituato ad avere addosso i suoi occhi scuri, - e si stropiccia i capelli; se non fosse assurdo, potrebbe sembrare quasi a disagio. Daniele si sente in dovere di fare conversazione.
«Ne avevate parlato?» chiede, perché non è che abbia avuto granché modo di pensare, nelle ultime, ah, due ore e mezza, secondo la sveglia sul comodino, ma comunque, è un dubbio che gli è venuto.
Marco, d’improvviso, sembra trovare molto interessante il pavimento, e ridacchia.
«Nico mi aveva... accennato qualcosa,» dice, evasivo, nervoso. Daniele non riesce a mordere via un gemito esasperato, e Marco sorride, un po’ più tranquillo. «Oh, non è stato poi tanto terribile, no?»
Daniele grugnisce, si pigia i palmi delle mani sugli occhi; gliel’avrà chiesto un miliardo di volte, da che lo conosce, da che lo frequenta, di evitare di trattare questo genere di cose in maniera così clinica, ma figurarsi se lo stronzo gli abbia mai fatto il santo piacere di dargli retta.
Quando torna a guardarlo, comunque, si accorge che Marco si sta arrampicando sul letto. D’istinto, Daniele s’irrigidisce, teso, anche se ormai il modo in cui Marco trova spazio, a calcioni delle sue gambe, comincia a sembrargli quasi familiare. Cristo, Daniele.
Marco tiene gli occhi bassi, fissi sulla sua bocca, e Daniele, di punto in bianco - solleva una mano a circondargli il viso, accarezzando una guancia col pollice, - si rende conto di non averlo baciato. L’ha morso, ha assaggiato il sapore della sua pelle e ne conosce il profumo ma non l’ha ancora baciato sulle labbra, neanche mezza volta. Marco deve star pensando la stessa cosa; azzarda un’occhiata quasi timida all’insù, e qualcosa, nello sguardo di Daniele, gli impedisce di guardare altrove. Arrossisce, Dio santo, Daniele lo sente scaldarsi sotto il palmo della sua mano, e si sporge in avanti, pianissimo.
Daniele è uno stupido, per cui trattiene il fiato, aspettando il bacio, tremando, quasi, per la voglia di sentirlo. Marco si ferma un momento troppo presto, però, e preme le labbra contro l’angolo della sua mascella, strofinando il naso contro il suo collo per un momento, prima di ritrarsi. Gli sorride, quasi a chiedergli scusa. Daniele non sa se sentirsi deluso o sollevato o solo infinitamente cretino; sposta un po’ in avanti la carezza, traccia col pollice le sue labbra carnose.
Marco, perlomeno, non la smette di fissarlo, e rimane lì finché non diventa un po’ troppo imbarazzante. Dà una risatina nervosa, quindi, e Daniele lascia ricadere il braccio sul materasso. Marco gli si stiracchia sotto il naso, inarcando la schiena con un mugolio.
«Vado a farmi una doccia,» dice, scavalcandolo e balzando giù dal letto.
Daniele aggrotta le sopracciglia.
«Ma c’è Nico,» dice, perplesso. Marco è già in piedi, è già a metà strada verso il bagno - è nudo, e Daniele proprio non lo sta guardando, - ma si ferma, lo guarda, da sopra una spalla, con le sopracciglia inarcate.
Oh.
Daniele quasi ruzzola giù dal materasso per la fretta con cui tenta di alzarsi.

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