Titolo: Streetsigns and sidewalks
Autrice: Fae (
faechan)
Challenge/Prompt:
bigbangitalia, AU (
Criticombola @
Criticoni)
Fandom: RPF Fall Out Boy/Panic! at the Disco/Cobra Starship/The Academy Is…/My Chemical Romance
Rating: PG13/R
Personaggi/Pairing:
Pete Wentz/
Patrick Stump,
Brendon Urie/
Ryan Ross,
Jon Walker/
Spencer Smith,
Gabe Saporta/
William Beckett,
Gerard Way/
Frank IeroWarnings: AU, slash
Parole: 10.101
Disclaimer: tutti i personaggi sono realmente esistenti, non si intende dare rappresentazione veritiera di eventi, caratteri od orientamenti sessuali, Pete non possiede un bar mezzo scassato ma ne possiede una catena intera tutti belli nuovi, i Panic non vanno a scuola insieme né sono vicini di casa, Gerard non si mantiene disegnando sui marciapiedi e William, nonostante le credenze popolari, certe cose non le fa. Quindi vedete bene che mi sono inventata tutto :D
Extra:
Streetsigns and sidewalks (cover art), di
el_defe;
Solar eclipse (fanmix), di
el_defe Riassunto: Nel giorno in cui una città intera si prepara a un evento raro e curioso come un'eclissi solare, si intrecciano le storie apparentemente slegate di dieci persone: un artista di strada tallonato da un ammiratore testardo, un ragazzo qualunque che incontra il suo nuovo vicino di casa, due compagni di liceo con più di un segreto da nascondere, un gigolò alle prese con un cliente stravagante, un barista sfaccendato che ritrova una vecchia conoscenza. L'unica cosa che hanno in comune sono i marciapiedi che per una ragione o l'altra tutti si ritroveranno a calcare, in attesa del momento in cui il sole scomparirà e il giorno si farà improvvisamente notte…
Dediche/Ringraziamenti: a
jen_jm, perché questa storia è per lei e perché devo a lei se sono in questo fandom. A
el_defe, per i bellissimi fanworks e i complimenti. A
bigbangitalia per avermi dato l'opportunità di scriverla. A chiunque la leggerà. Vi amo tutti ♥
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More or less, I'm a mess
now that the sun is down
and I'm all locked up in this dusk that you call dawn
pouring down like the day you left
making up like we never did
streetsigns and sidewalks have never looked so dead
since you stole my heart and threw it away
La via principale era insolitamente piena di gente, per quell'ora del pomeriggio. Gente che sfilava avanti e indietro, totalmente assorbita dai propri pensieri, e gente ferma con il naso rivolto verso il cielo e gli occhi curiosi in attesa di qualcosa.
Il ragazzo aveva lo sguardo chino sul marciapiede, una frangia di capelli scurissimi che gli ricadeva sulla fronte e la stessa espressione concentrata che Frank aveva notato fin dalla prima volta. Poteva vederlo solo a tratti, seminascosto dalla folla che gli passava davanti; fissava la foto che teneva accanto a sé e ne riproduceva i particolari un tratto alla volta, scrutando attentamente il risultato e fermandosi spesso con il gessetto a mezz'aria.
Prese un respiro profondo e con studiata indifferenza attraversò la strada fino ad arrivargli accanto.
"E' molto bello" disse, quasi sottovoce.
Il ragazzo alzò lentamente gli occhi, e un leggero sorriso gli incurvò le labbra. "Ti ringrazio" rispose soltanto, prima di tornare a studiare con occhio critico il suo lavoro.
Frank abbassò lo sguardo a propria volta e si concentrò sull'immagine. Sotto di lui, il grigio dell'asfalto si colorava di una miriade di sfumature: il cielo screziato di bianco e azzurro, le forme rosee e paffute di due putti e, in un angolo, un'imponente ombra scura che eclissava la massa di luce emergente dalle nuvole. Più in basso, appena abbozzata, vi era la figura di un santo che contemplava il cielo.
"Non credo di averlo mai visto" cominciò, incuriosito. "Il dipinto, intendo."
"Diciottesimo secolo. E' di un pittore tedesco." Il ragazzo sollevò lo sguardo di nuovo e si grattò lentamente la testa. "Il nome non lo ricordo nemmeno io."
Frank rise. "Tu" tentò, rompendo il silenzio che si era creato "non sei lo stesso che dipinge all'angolo tra Franklin e Harlem, di solito?"
"Mh-h" fu la laconica risposta.
"E anche…"
"…anche davanti ad Austin Park, e qualche volta vicino al bowling. Tutti posti dove ho visto anche te almeno una volta." Gli occhi dell'altro, canzonatori, si alzarono un'altra volta verso i suoi. "Non è che mi stai pedinando?"
Sorrise appena e si strinse nelle spalle, facendo del suo meglio per apparire innocente. "Per quanto ne so, magari sei tu che pedini me."
Una serie di schiamazzi eccitati si levarono all'improvviso da un gruppetto che stazionava in fondo alla strada. Un ragazzo piccolo e magro, che transitava in quel momento verso la direzione opposta, si fermò accanto a loro per osservare.
"Non sei per niente originale, Gee" commentò, con un sorrisetto ironico.
"Sei in ritardo, Pete" replicò quello senza neanche guardarlo.
"Mi piace farmi aspettare."
"E' per questo che non diventerai mai ricco."
"Fottiti."
Il ragazzo si allontanò, lasciando l'altro nuovamente assorto nel suo disegno. Terminò di abbozzare le forme di altre nuvole, delineandole con pochi e rapidi tratti del gessetto, poi si fermò; il suo sguardo, questa volta, si diresse verso il cielo sopra di loro.
"Vedrai l'eclissi da qui?" domandò Frank, sedendosi lentamente accanto a lui sul bordo del marciapiede.
Le labbra gli si piegarono nuovamente in un sorriso. "Non c'è nessun altro posto da cui vorrei vederla."
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Il locale era ancora vuoto, immerso in un silenzio pigro rotto soltanto dall'audio della TV e dall'occasionale sbuffare della macchina per il caffè. Una luce soffice filtrava dalle vetrate e attraverso le tende colorate che ne ornavano i lati, illuminando il legno dei tavoli di una calda tonalità aranciata.
Pete appoggiò lo straccio col quale aveva appena terminato di pulire il bancone e rivolse per un attimo la sua attenzione allo schermo, dove pressoché tutti i canali trasmettevano notiziari identici tra loro.
"- esattamente così, siamo in collegamento da Lewiston, Nebraska, dove tra pochi minuti arriverà finalmente il momento che tutti attendono. L'eclissi del secolo, come è stata definita, ha catalizzato l'attenzione dell'intero paese - era dagli scorsi anni settanta che gli Stati Uniti non erano interessati da- "
"Ehi, Pete!"
Si riscosse, voltando lo sguardo e sorridendo automaticamente ai due adolescenti in jeans e maglietta che avevano appena varcato la porta.
"Ragazzi" li apostrofò, tornando ad afferrare lo straccio per riporlo.
"Uh - bel grembiule. Due birre, per favore."
"Brendon, è un tentativo patetico persino per te."
Il ragazzino sbuffò sonoramente. "Oh, avanti, oggi è un giorno storico!" si lagnò, arrampicandosi su uno degli sgabelli.
"Talmente storico che ho visto più polizia in giro nelle ultime ore che nell'ultimo anno" commentò Pete, sarcastico. "Se ti vedono uscire con dell'alcool è a me che fanno il culo."
"…possiamo consumare qui?" tentò Brendon, con un sorriso che sembrava volergli uscire dalla faccia.
"Bren, piantala, siamo già in ritardo" intervenne l'altro, sospirando. "Una soda e due Redbull."
Pete ridacchiò e tirò fuori le bibite dal frigo, appoggiandole sonoramente sul bancone."Ragazze che vi aspettano?" chiese, mentre i due si frugavano nelle tasche in cerca di soldi.
"No, una ricerca di scienze che ci aspetta. Quando si tratta di studiare Brendon non resta sveglio neanche di giorno, figuriamoci di notte."
"Sarà notte per un minuto, credo di poter reggere."
"Due minuti e trentanove, e ti ho visto addormentarti in meno tempo. Ci vediamo, Pete."
"Buon lavoro" sorrise, agitando teatralmente una mano mentre un recalcitrante Brendon veniva trascinato fuori contro la sua volontà.
La porta si aprì di nuovo un istante dopo, lasciando entrare una coppia di ragazze e un bambino saltellante seguito a ruota dai suoi genitori. Sospirò, improvvisamente seccato dal chiacchericcio e dal rumore delle sedie spostate, e si voltò a trafficare con la macchina del caffè preparandosi a raggiungerli per prendere le ordinazioni.
"Centinaia di persone hanno affrontato il viaggio fino a uno dei luoghi da cui sarà possibile godere di questo spettacolo nel modo migliore,assistendo alla sua parte più emozionante: il trasformarsi improvviso del giorno in notte fonda. Ricordiamo a chiunque ci stia ascoltando- "
"Centinaia di persone che non hanno un cazzo da fare, evidentemente" borbottò tra sé.
"O che non sono ciniche come te, magari?"
Sussultò, e dovette ringraziare i suoi riflessi e il fatto che fosse di schiena se nessuno si accorse della tazza che gli era quasi scivolata di mano. Prese un breve respiro prima di appoggiarla e voltarsi.
"Ciao" disse soltanto.
Il ragazzo davanti a lui sorrise leggermente. "Ciao. Posso sedermi?"
"E' un luogo pubblico, certo che puoi" rispose, la voce più atona di quanto avrebbe voluto.
L'altro annuì. "Due cappuccini, allora" disse soltanto, prima di allontanarsi.
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Ryan rilesse rapidamente la pagina, allontanando dalle labbra la matita che stava mordicchiando giusto il tempo necessario per scarabocchiare qualche correzione qua e là. Gettò un'ultima occhiata al grafico e annuì tra sé, concentrato.
"Okay, dunque. Basandoci sulle rilevazioni ambientali nel momento della totalità costruiremo - Bren, che cazzo, mi stai almeno ascoltando?"
Brendon, appollaiato sullo schienale della panchina, distolse svogliatamente lo sguardo dai ghirigori che stava incidendo nel legno con la punta di una penna. "Scusa" sospirò, con una piccola smorfia dispiaciuta. Si guardò attorno, percorrendo con gli occhi il piccolo parco che li circondava e soffermandosi sulle persone che si erano sistemate non troppo lontano, approfittando di quello spiazzo erboso e completamente privo di alberi. "Mi dici perché abbiamo scelto questo corso?" chiese in tono lamentoso.
"Perché negli altri saresti andato peggio?"
"Grazie per la fiducia" mugugnò, mettendo il broncio.
Ryan alzò gli occhi al cielo e gli batté una mano sul ginocchio, incoraggiante. "Avanti, non è niente di complicato. Finiamo la ricerca, prendiamo un bel voto, facciamo qualche complimento alla professoressa Ackerman e poi ci liberiamo dell'astronomia per il resto della vita."
Brendon si lasciò scappare un sorriso. "Mi piace il tuo modo di farlo sembrare facile."
"Grazie. Allora -"
Il trillo del cellulare lo interruppe prima che potesse continuare. Con uno sbuffo, si infilò la mano nella tasca posteriore e lo tirò fuori, controllandone il display.
"Quand'è che sceglierai una suoneria umanamente ascoltabile?" commentò Brendon mettendo su una faccia disgustata.
"Shhh" lo zittì, agitando una mano e premendosi il ricevitore contro l'orecchio. "Ehi, Spence. No, non lo sento da una settimana, almeno." Inarcò un sopracciglio. "Come sarebbe che non -" Brendon puntò le mani sullo schienale e scese silenziosamente a sedergli accanto, tendendo le orecchie per ascoltare. Ryan rimase in silenzio per qualche attimo, poi sospirò quietamente. "Lo so che è uno stronzo. Ma non dirlo a me, dillo a lui."
"Mandalo al diavolo, Spence" intervenne Brendon a voce alta, sporgendosi verso il telefono.
Ryan lo spinse via."Sì, è qui con me, stiamo studiando. Più o meno. Ti chiamo dopo, okay?"
Chiuse lo sportellino dell'apparecchio con un gesto secco, scuotendo la testa.
"Fammi indovinare" commentò Brendon, sarcastico. "Ha mancato un altro appuntamento?"
Ryan annuì, riponendo il cellulare e riprendendo in mano la matita per tamburellarla pensosamente contro una gamba. "E credo che sarà l'ultimo."
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La porta che conduceva sul tetto del palazzo gli sfuggì praticamente dalle mani, sbattendo rumorosamente alle sue spalle e spaventando un uccello che beccava poco lontano. Spencer non se ne curò.
"…che vuol dire che te ne sei -" Si passò una mano tra i capelli, respirando profondamente l'aria del pomeriggio. "No, ascoltami - ascoltami. Non mi importa se non usciamo, mi importa del fatto che evidentemente di questa cosa non ti frega un cazzo." Mosse qualche passo e l'uccello volò via definitivamente, sollevandosi sdegnato alle sue spalle. Rise, una risata piccola e triste che gli rimase incastrata in gola. "No, sono stanco anche di avercela con te. Non ti disturbare."
Il bip emesso dai tasti a segnalargli la chiusura della conversazione gli parve tutt'a un tratto un suono meravigliosamente liberatorio. Fu in quel momento che si rese conto che a poca distanza da lui, accanto alla ringhiera che cingeva il grande spiazzo in cemento, c'era qualcun altro. Un ragazzo dai capelli scuri e un accenno di barba incolta lo osservava incuriosito, stringendo tra le mani una macchina fotografica.
"Scusa" disse quello immediatamente, abbassando lo sguardo. "Non volevo farmi i fatti tuoi."
Spencer si limitò a scuotere la testa, troppo stanco per avere qualunque altro tipo di reazione. "Scusami tu, non mi ero accorto che ci fosse qualcuno" disse soltanto, facendo per incamminarsi verso la porta.
"Tu stai al 21B, giusto?"
Si voltò di nuovo, un'espressione interrogativa dipinta sul viso.
"Sono il tuo nuovo vicino" spiegò l'altro. "Ti ho visto il giorno del trasloco."
Spencer spalancò gli occhi. "Aspetta - tu saresti quello…"
Il ragazzo sospirò, passandosi una mano tra i capelli. "…quello dei gatti che ti hanno invaso il balcone, e quello che ascolta i Muse alle tre del mattino, sì. Ti chiedo scusa, io - non faccio tutto questo casino di solito, lo giuro, i miei amici mi sono piombati in casa per festeggiare e abbiamo bevuto un po', e- " Rise, imbarazzato da quel torrente di parole. "Scusa ancora. Non succederà più."
Spencer si avvicinò a lui. "…Non che non mi piacciano, i gatti e anche i Muse" commentò, con una smorfia che somigliava pericolosamente a un sorriso "ma se potessi evitarmeli quando sto cercando di dormire credo che andremmo più d'accordo."
L'altro annuì, allargando le braccia. "Hai ragione."
"Io sono quello che bussava sul muro, comunque."
"L'avevo intuito. E - quello che ti ha detto di scopare di più non ero io, davvero. Era Tom." Spencer inarcò un sopracciglio. "Il mio migliore amico. E' un bravo ragazzo, quando è sobrio."
Sorrisero entrambi, e Spencer notò che sembrava notevolmente più a suo agio. Notò anche, in modo del tutto slegato dal resto, che indossava delle infradito.
"Sei un fotografo?" domandò, indicando l'apparecchio che gli pendeva dal collo.
Il ragazzo si accovacciò, frugando nelle borse che aveva sistemato accanto alla ringhiera. Ne tirò fuori un teleobiettivo e cominciò a montarlo sulla macchina. "Più o meno."
"E' un bel lavoro."
"E' solo un hobby. In realtà vorrei che fosse un lavoro, ma non ho avuto fortuna, finora" spiegò. "Devo accontentarmi di servire caffè da Starbucks e fare foto ai clienti. Che puntualmente pensano che sia un maniaco o qualcosa del genere."
Spencer rise, accennando col mento alla sua attrezzatura. "Quello è un tantino minaccioso, in effetti."
"Oh, questo è nuovo. L'ho comprato per l'occasione."
Alzò lo sguardo verso il cielo, focalizzando solo in quel momento la ragione per cui l'altro doveva essere lì. "Io ho dimenticato persino di comprare qualcosa per-" cominciò incerto, gesticolando verso i propri occhi.
"Uh - tieni" lo soccorse prontamente il ragazzo, aprendo in fretta una tasca e traendone un paio di occhiali da saldatore. Glieli porse e Spencer esitò per un istante prima di prenderli in mano. "Se non hai altri progetti" aggiunse in tono gentile "mi farebbe piacere avere compagnia."
Spencer lo guardò per la prima volta negli occhi. Aveva iridi di un caldo color cioccolato, limpide e rassicuranti. Voltò per un istante lo sguardo in basso, dove i capannelli di gente si facevano sempre più fitti e un musicista di strada, all'angolo del palazzo di fronte, intonava una canzone di cui gli giungevano solo parole smozzicate accompagnate dal suono vibrante della chitarra.
"Perché no" rispose infine, annuendo lentamente e sorridendogli. Allungò la mano, in un gesto che per qualche ragione non gli era mai sembrato tanto naturale. "Spencer Smith."
L'altro ricambiò il sorriso e la strinse, senza smettere di guardarlo. "Jon Walker."
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William chiuse gli occhi, le dita di una mano strette attorno al plettro e quelle dell'altra che si muovevano agilmente contro le corde in una sequenza che conosceva ormai a memoria.
La sua voce, seppure leggermente arrochita dagli sforzi a cui aveva sottoposto la gola nelle ore precedenti, riusciva comunque a mantenersi stabile e sicura nel saliscendi delle note. Suonava senza badare troppo alla folla che gli passava davanti, per la gran parte ignorandolo totalmente; di tanto in tanto, qualcuno lanciava un paio di spiccioli o addirittura una banconota nella custodia della chitarra aperta accanto a lui, accompagnandoli con uno sguardo imbarazzato o commiserevole o talvolta, se si trattava di una ragazza, con un sorriso più o meno pieno di sottintesi.
Chiuse la canzone con un ultimo, soffuso giro di accordi, e prima ancora che potesse riabituarsi al silenzio gli giunse il suono sgraziato di un'unica persona che applaudiva. Rivolse un'occhiata guardinga verso il gruzzolo di monete prima di decidersi a sollevare lo sguardo. Un ragazzo alto e abbronzato, vestito di colori oscenamente sgargianti, era in piedi a pochi passi e lo fissava battendo lentamente le mani.
"…Ci conosciamo?" domandò dopo un istante, inarcando un sopracciglio.
"No" rispose il ragazzo, smettendo di applaudire ma non di guardarlo. "Ti ho visto ieri notte" aggiunse in tono casuale.
William si irrigidì istintivamente."Ti manda Butcher, per caso?"
"Mai sentito."
Mantenendo un'espressione ostinatamente indifferente, si chinò a radunare i soldi e ripose la chitarra. "Mi dispiace, non lavoro di giorno. Torna più tardi."
L'altro si lasciò andare ad una risata. "Beh, se il problema è il giorno" ribatté divertito, accennando verso l'alto con la testa "tra non molto dovresti avere un po' di tempo per me."
Lo scrutò attentamente, considerando la questione. Aveva un fisico simile al suo, magro e slanciato, e corti riccioli neri spuntavano a incorniciargli il viso da sotto il cappello che indossava; gli occhi erano scuri, e i lineamenti inequivocabilmente latini. Indubbiamente era più piacevole da guardare di almeno metà dei clienti dell'ultimo mese, e sembrava piuttosto interessato. Non c'erano ragioni per lasciarlo andar via.
Rise anche lui, beffardo. "Sesso durante l'eclissi. Carino. Molto romantico." Si alzò in piedi, avvicinandosi per fronteggiarlo e scoprendo con sorpresa e un certo piacere che era più alto di lui."Ti costerà un extra" gli sussurrò pigramente, con un piccolo sorriso.
Il ragazzo sorrise a sua volta e si strinse nelle spalle. "Non è un problema" disse con tutta tranquillità. Pochi istanti dopo, una volta gettata un'occhiata intorno per assicurarsi che nessuno stesse guardando verso di loro, gli infilò discretamente in mano un fascio di banconote. William non poté evitare di spalancare leggermente gli occhi mentre notava il taglio e se ne faceva passare rapidamente i margini sotto le dita.
"Uh, io sono Gabe" aggiunse in tono soddisfatto, muovendosi per precederlo lungo il marciapiede. "Andiamo?"
William ripose i soldi in tasca, prese la chitarra in spalla e lo seguì senza fare altre domande.
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"Ecco qui. Scusa per l'attesa" disse asciutto Pete, posando finalmente sul tavolo il vassoio con i due cappuccini.
Patrick non si scompose. "Ti siedi con me?" lo invitò, accennando al posto vuoto di fronte a sé.
Pete rimase interdetto. "Credevo aspettassi qualcuno."
"No. E' per te."
Si fissarono per un istante. Patrick sorrise appena, e Pete scostò lentamente la sedia e vi si lasciò cadere prima di poter cambiare idea, fissando la propria tazza quasi a volerci scomparire dentro.
"Non c'è poi così tanta gente in giro" commentò Patrick, lo sguardo perso oltre le vetrate del locale.
"Si spostano tutti verso il parco, la visuale è più sgombra lì."
"Comunque è una bella giornata. Siamo fortunati."
"Mh."
Il tintinnio fragoroso del cucchiaino contro la ceramica lo riscosse dal suo mutismo. Alzò gli occhi istintivamente e non poté evitare di incrociare quelli davanti a lui, immobili e fissi nei suoi.
"Pensi di ignorarmi finchè non me ne andrò?" chiese tranquillamente Patrick, senza traccia di rimprovero nella voce.
Pete si sentì improvvisamente un idiota. "…Scusa" sussurrò. Prese un respiro e si sforzò di sorridere. "Allora. Com'era Boston?"
"Affascinante. Tu l'avresti trovata noiosa."
"E che farai ora?"
Patrick prese un lungo sorso dal suo cappuccino prima di rispondere. "Mi hanno offerto un posto in uno studio di registrazione" rivelò. "Non è esattamente il mio sogno, ma al momento va bene così. E non è lontano da qui."
Aggrottò le sopracciglia."Non avevi più opportunità restando dov'eri?"
"Forse. Ma non mi pesa fare un passo alla volta."
"E la tua etichetta indipendente?" chiese, con una nota di divertimento.
Patrick rise. "Non appena rapinerò una banca per mettere insieme i soldi, forse" disse, rigirando il cucchiaino nella tazza ormai quasi vuota. "Per adesso ho un paio di band per le mani. Hanno del talento, Pete, dovresti sentirli" continuò, la voce improvvisamente più animata. "Meritano molto più di tanta merda che trovi sugli scaffali."
Pete non riuscì a trattenere un sorriso. "Riuscirai a farci arrivare anche loro" disse senza pensare.
Patrick non disse nulla, ma gli sorrise di rimando, facendogli abbassare lo sguardo. Si perse a fissare il legno del tavolo, seguendone le venature mentre le tracciava lentamente con un dito.
"Che mi dici di te? Che hai fatto negli ultimi mesi?" si sentì chiedere, dopo qualche istante di silenzio.
Rise appena, senza riuscire a dissimulare una punta di ironia. "Vediamo - sono stato a Los Angeles per capodanno, ho scoperto che la cucina tailandese mi fa vomitare, ho rivisto Friends dall'inizio alla fine" elencò. "E ho fatto qualche lavoro qui dentro."
Patrick annuì, alzando gli occhi sulle pareti dipinte di fresco e ricoperte di specchi e vecchie stampe d'epoca. "Ho notato. E' carino."
"Oh, e la lavatrice non si ribella più quando cerco di usarla."
Risero entrambi, con più sincerità questa volta. "Ci crederò quando lo vedrò" dichiarò Patrick, puntandogli un indice contro.
"Sul serio. Niente più allagamenti. Sono molto fiero di me."
"E come sta Hemmy?"
Pete si strinse nelle spalle, con una piccola smorfia affettuosa. "Lui sta meglio di tutti. Dorme, mangia e corre dietro alle cagnette del quartiere. In quest'ordine."
Calò un silenzio che avrebbe potuto quasi sembrargli rilassante, se non fosse stato così evidentemente pieno di cose non dette. Si ritrovò improvvisamente a pensare che i loro silenzi erano sempre stati diversi. Questo era qualcosa di nuovo, che non gli piaceva e che nessuno dei due sapeva davvero come gestire. Soprattutto, non lo sapeva lui.
"Stai uscendo con qualcuno?" domandò Patrick alla fine, in tono apparentemente casuale.
Pete guardò oltre la sedia, oltre il tavolo accanto, in un punto imprecisato del muro in fondo al locale. "In realtà sì."
"Oh" fu la risposta. "E' una cosa seria?"
"Non lo so ancora. Può darsi." Portò una mano in grembo, giocherellando con l'orlo del grembiule. "E tu?"
Patrick poggiò la tazza vuota sul piattino e si aggiustò gli occhiali. Era un vizio che aveva sempre avuto, aggiustarsi gli occhiali dopo il caffè, anche se non aveva alcun senso. "Ho avuto una storia, un paio di mesi fa. Durata poco e finita male."
Pete non fece altri commenti. Mosse soltanto un dito contro il tavolo spingendo la sua tazza più vicina a quella di Patrick, in un gesto familiare che ora sembrava essersi svuotato di qualunque senso.
"E' surreale" disse piano, quasi parlando a se stesso.
"Cosa?"
"Vederti qui. Dopo tutto questo tempo, come se non te ne fossi andato mai."
Avvertì Patrick irrigidirsi senza bisogno di alzare gli occhi. "Hai sempre saputo che sarei tornato."
Pete sorrise amaramente. "Tu hai sempre detto che l'avresti fatto."
"Non esserti fidato abbastanza di me è un tuo problema."
Il dito che spingeva la tazza scivolò d'improvviso, mandando la ceramica a cozzare con un rumore sordo. "Suppongo di sì."
Si alzò di scatto e prese ad ammucchiare velocemente le stoviglie sul vassoio, senza neanche guardarle né guardare realmente nient'altro. Provvidenzialmente, in quell'esatto istante qualcuno entrò nel locale.
"Pete…" sussurrò Patrick, posando una mano sulla sua.
"Scusa, ho dei clienti che aspettano." Sottrasse la mano e gli rivolse un ultimo sguardo, prima di voltargli le spalle e allontanarsi. "Offre la casa."
Rimase dietro il bancone, le mani immerse furiosamente nel congelatore a sistemare un disordine inesistente, fin quando non senti la porta d'ingresso aprirsi e richiudersi lentamente subito dopo.
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"Allora. Che si fa la prossima estate?"
Ryan sollevò appena gli occhi dai suoi appunti e gettò un'occhiata di traverso a Brendon, che era tornato ad appollaiarsi sullo schienale della panchina blaterando di altezza maggiore e di maggiore apporto di ossigeno al cervello. "Non ci arriveremo vivi, alla prossima estate, se non riusciamo a diplomarci" mugugnò distrattamente, senza smettere di scrivere.
Brendon gettò la testa all'indietro, esasperato. "…dio, Ross, puoi provare a goderti la vita per, non so, trenta secondi? E' l'estate dell'ultimo anno, abbiamo il dovere morale di passarla come si deve!"
"Mh. Idee?"
Un sorriso inquietante si allargò lentamente sulla sua faccia, non facendo presagire niente di buono.
"Ho parlato con Audrey" rivelò, con tono da cospiratore.
Ryan chiuse gli occhi ed emise una sorta di rantolo. "Oh dio, no."
L'amico alzò una mano per zittire le sue proteste. "Senti, non mi importa delle ragioni per cui non la sopporti, okay? Mi ha invitato- "
"…vediamo, forse perché è una che ha come scopo nella vita quello di farselo mettere dentro da chiunque respiri?"
"- mi ha invitato" proseguì, ignorandolo "nella sua casa di Palm Beach."
"Ha una casa a Palm Beach?" chiese Ryan, per nulla impressionato.
Brendon annuì. "E' dei suoi genitori o zii o qualcosa del genere - e gliela lasciano per un mese, quest'estate. Mi ha invitato e mi ha detto di portare chi voglio."
"E se chi vuoi non volesse venire?"
"Ci sarà anche Jaaaac" cantilenò in tono infantile, sporgendosi verso di lui e ridacchiando.
"Brendon."
"Ryan, sono mesi che ti muore dietro - pensi di chiederle di uscire prima di arrivare alla fine del college o cosa?"
"Potresti preoccuparti della tua vita sentimentale invece di pensare alla mia?"
"E' quello che sto cercando di fare. E comunque" ripetè, eccitato "Palm Beach."
"Ho capito" sospirò Ryan.
Brendon scosse la testa e gli sventolò una mano davanti agli occhi. "Nonononono, Ry, focalizza. Palm Beach. Florida. Orlando."
"…Disneyworld?"
"Esatto!" gongolò, trattenendosi a fatica dal battere le mani.
Ryan appoggiò la matita e si arrese, scoppiando in una risata leggera. Il modo in cui Brendon si entusiasmava, il fatto che bastasse un niente per renderlo così genuinamente felice e che non si facesse mai problemi a mostrarlo, era qualcosa che gli aveva sempre invidiato. Ed era la parte di lui che più gli piaceva.
"Questo eviterei di menzionarlo con Audrey, se vuoi avere qualche speranza" suggerì, divertito.
"Per questo devi venire, okay?" ribadì Brendon, passandosi una mano tra i capelli. "Sono sicuro che dirò cose stupide e rovinerò tutto e tu- tu devi impedirmelo."
Ryan fece una smorfia. "Ti ringrazio. E io che credevo di dover venire perché ti avrebbe fatto piacere."
"Che c'entra, questo è scontato" lo zittì l'altro, gesticolando con noncuranza. Si piegò verso di lui, posandogli una mano sulla spalla e spalancandogli davanti due occhioni supplichevoli. "Ho bisogno di te, Ry" lo pregò, sorridendo. "Lo so che non vuoi lasciarmi da solo."
Brendon odorava di zucchero, pensò improvvisamente inspirando l'aria intorno al suo viso. Avrebbe dovuto odorare di dopobarba scadente e vestiti sporchi di due giorni e invece odorava di zucchero. Non gli era ancora chiaro come fosse possibile.
"Non posso" disse freddamente, alzandosi di scatto.
La rapidità del moivmento fece quasi perdere l'equilibrio a Brendon, che dovette sostenersi allo schienale con una mano per evitare di cadere. "Perché?" domandò, spalancando gli occhi.
Ryan prese un profondo respiro, gli occhi ostinatamente fissi a terra. "Perché mia madre potrebbe aver bisogno di aiuto, perché potrei andare da qualche altra parte, perché non ho intenzione di passare il tempo con gente che non sopporto" elencò in tono monocorde.
"D'accordo, uh - vieni per una settimana. Un weekend."
"Brendon, ti ho detto di no."
"Senti, quella casa sarà zeppa di gente, probabilmente non vedrai Audrey nemme-"
Rise forzatamente, interrompendolo. "Certo. Ci penserai tu a tenerla occupata."
Brendon lo fissò, mordendosi inconsapevolmente le labbra. "Non capisco qual è il problema" disse piano, con una nota di incertezza nella voce.
Ryan sospirò. Il legno della panchina scricchiolò in modo quasi sinistro, quando si sedette di nuovo. "Lo so" sussurrò stancamente. "Non ti chiedo di capirlo, solo -" Si interruppe, e Brendon fece per poggiargli di nuovo una mano sulla spalla. La allontanò, toccandola come se scottasse. "- lascia perdere, okay?"
Brendon la rimise dov'era e si chinò cercando il suo sguardo, cocciuto. "Non lascio perdere, Ryan, se ti ho fatto qualcosa, se ti ho-"
Si mosse senza nemmeno rendersene conto, chiudendo gli occhi e smettendo di percepire qualunque cosa attorno a sé. Solo quando il silenzio che li circondava gli penetrò improvvisamente nella testa realizzò che stava davvero baciando Brendon, che aveva le sue labbra immobili e morbide sotto le proprie e una mano aggrappata alla sua guancia. Si scostò così rapidamente che lo schiocco umido tra le loro bocche sembrò rimbombare ovunque e rimase lì senza dire nulla, incapace di distogliere gli occhi.
"…Oh" sussurrò Brendon, sbattendo le palpebre. "E'- è questo il problema?"
Ryan deglutì, afferrò alla cieca il suo zaino e corse via.
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Il viavai della gente non era mai cessato, intensificandosi anzi man mano che il tempo passava. Erano aumentate le persone col naso in aria, in preda a convulse esclamazioni di entusiasmo per l'eclissi che si faceva pian piano sempre più visibile, erano diminuite quelle che sembravano indifferenti, ed erano comparsi persino uno o due santoni con gli occhi spiritati ad urlare che l'apocalisse stava per arrivare e i malvagi sarebbero stati inghiottiti dall'oscurità e i puri di cuore risparmiati, o qualcosa di simile a cui Frank non aveva prestato granché attenzione. Il tutto era terminato con un paio di bambini terrorizzati e urlanti e il ritrovamento di una bustina di funghi allucinogeni provenienti da chissà dove.
"Sai" disse improvvisamente il ragazzo accanto a lui, lo sguardo costantemente fisso sulla parte di disegno che stava ancora terminando "ci sono un sacco di leggende riguardo le eclissi."
Frank annuì interessato. "Ne ho sentito parlare. Non erano considerate un cattivo presagio?"
"Il presagio di una catastrofe, o di una disfatta in battaglia. O della morte di un re."
"Macabro" commentò, cambiando posizione per poter ascoltare meglio.
L'altro si scostò una ciocca di capelli dalla fronte, fissando il marciapiede con sguardo pensoso. "Una leggenda orientale diceva che durante le eclissi un drago divorasse il sole. Per questo ogni popolo cercava di combatterlo come poteva."
"Del tipo?"
"Beh…" Si interruppe, grattandosi il naso con un gessetto senza curarsi della macchiolina azzurra che si allargava sopra la narice sinistra. "In India ci si immergeva nelle acque di un fiume, ad esempio, credendo che questo potesse aiutare il sole a difendersi. Mentre gli antichi cinesi cercavano di spaventare il drago suonando i tamburi, o scoccando frecce in aria."
Frank continuò ad annuire, come di fronte a qualcosa di perfettamente logico. "Chiaro. Più fai casino, più il drago si tiene alla larga."
Il ragazzo rise. "Qualcosa del genere."
Se avesse dovuto usare un aggettivo per descriverlo, pensò Frank, sarebbe stato irreale. Aveva lineamenti strani, aggraziati ma non completamente femminei, che univano rotondità fanciullesche a linee più spigolose, quasi fosse riuscito in un qualche misterioso modo a trattenere un briciolo d'infanzia sul proprio viso tramutandosi in una specie di folletto senza età. Parlava di draghi e battaglie con il tono distante e lontano di chi racconta un sogno, e disegnava angeli sul marciapiede lurido di polvere e cartacce.
"A Tahiti, invece" proseguì all'improvviso, riscuotendolo dai suoi pensieri "si credeva che le eclissi rappresentassero il congiungimento del sole e della luna."
Frank inarcò un sopracciglio. "Congiungimento nel senso-"
"In quel senso, sì."
Ridacchiò della conferma, come fosse stato un bambino. "Questa mi piace di più" dichiarò, prendendo in mano un gessetto e cominciando a giocherellarci.
"Come mai?" chiese l'altro, smettendo improvvisamente di disegnare e voltandosi dalla sua parte.
"…è meno macabra?"
Si sentì scrutare in modo quasi imbarazzante, da occhi a metà tra curiosi e inteneriti. "Sei un romantico."
Gli venne da ridere. "Sono uno che preferisce congiungersi che combattere draghi. C'è qualcosa di sbagliato?"
Il ragazzo lo guardò per un altro istante, poi si sporse lentamente e allungò una mano fino a sfiorare la sua.
"No, direi di no" sorrise, sfilandogli il gessetto dalle dita.
Seconda parte