[Hetalia/Harry Potter] Preparativi per il Ballo del Ceppo

Jan 28, 2014 14:18

Titolo: Preparativi per il Ballo del Ceppo
Fandom: Crossover Axis Powers Hetalia/Harry Potter
Rating: verde
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Alfred Jones (America), Francis Bonnefoy (Francia), Ivan Braginski (Russia), Yao Wang (Cina)
Pairings: America/Inghilterra
Riassunto: "«Ma quale anniversario?! » sbottò. «É praticamente impossibile che io stia insieme a un Grifondoro visto che siete tutti degli insopportabili sbruffoni, egocentrici ed esibizionisti! Detesto ogni singolo Grifondoro! »"
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya. Hogwarts e l'ambientazione potteriana appartengono a J.K. Rowling.
Note: Seguito di Natale a Hogwarts. Mi sono presa parecchie libertà riguardo l'incantesimo "Oblivio". XD
Beta: mystofthestars
Word count: 6477 (fdp)

Anche quell’anno il Natale stava per arrivare ma, a differenza delle volte precedenti, sarebbe stato inconsueto: questa volta ci sarebbero state mille cose da organizzare e i giorni passati ad oziare, riposarsi, leggere davanti al camino e sorseggiare tè caldo potevano considerarsi un ricordo. Quell’anno, come da tradizione, cadeva la ricorrenza del Torneo Tremaghi e tutta Hogwarts era in subbuglio. Fortunatamente, dopo gli incidenti accaduti in passato, si poteva ormai considerare una semplice competizione sportiva con standard di sicurezza molto più alti, ma bisognava comunque tener conto delle delegazioni delle scuole straniere in visita e di un mucchio di altre cose. Proprio per questo motivo Arthur non aveva un attimo di respiro. Orgoglioso del proprio nuovo incarico di Caposcuola, ottenuto subito dopo aver smesso la spilla di Prefetto, correva costantemente avanti e indietro per il castello nel tentativo (del tutto vano a detta di alcuni) di rendere il soggiorno degli studenti stranieri qualcosa da ricordare e che andasse ben al di là delle semplici prove di abilità o di magia da superare. Quello che maggiormente lo impegnava al momento era l’organizzazione dell’evento più atteso di tutto il torneo da parte dell’intera popolazione scolastica: il Ballo del Ceppo. La serata si sarebbe tenuta proprio il giorno di Natale, il che significava che non ci si poteva limitare ad ammirare le decorazioni che già normalmente addobbavano Hogwarts da cima a fondo, ma bisognava darsi da fare per allestire la Sala Grande in vista dell’evento. I Prefetti erano addetti alla sovrintendenza delle cucine per quanto riguardava il rinfresco (e conoscendo certi elementi che vagavano per la scuola, Arthur si chiedeva se ne sarebbe avanzato a sufficienza per la serata), mentre i Capiscuola si sarebbero occupati delle decorazioni della sala. Quell’anno sembravano andare di moda i vischi canterini, cosa che l’inglese detestava dal profondo del cuore perché sembravano avere la pessima abitudine di aggredirlo alle spalle e metterlo in situazioni oltremodo imbarazzanti con chiunque avesse la sfortuna di passargli accanto in quel momento. Senza contare che sembravano avere una sorta di radar per quando era in compagnia di Alfred.

Già, Alfred… Quello era il suo problema principale in quel periodo. L’anno precedente, la vigilia di Natale, erano usciti insieme per la prima volta (se un volo sulla scopa e un tentato omicidio potevano considerarsi un appuntamento) e proprio in quell’occasione avevano finito per confessarsi a vicenda i loro sentimenti. Il fatto che fossero diventati una coppia aveva costituito la maggiore fonte di gossip per tutta la scuola e, sebbene l’americano sguazzasse allegramente in quella notorietà, per Arthur rappresentava un’inesauribile fonte di imbarazzo. Erano giovani, i loro sentimenti erano ancora acerbi, si diceva, non meritavano di essere messi alla berlina da un branco di Grifondoro ignoranti. Sì, perché il problema era anche quello: Alfred era il capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro, vivace e spigliato come i suoi compagni di casa, chiassoso, sempre pronto a mettersi in mostra, eppure entusiasta al punto da saper scaldare anche il cuore più gelido, mentre Arthur altro non era che un appartenente alla casa rivale per antonomasia, i Serpeverde. Questo, se ad uno non creava alcun problema, all’altro causava dolorose riflessioni su quanto problematica potesse essere la loro unione. Fortunatamente problemi di quel genere sarebbero durati ancora solamente per qualche mese: una volta finita la scuola non ci sarebbe stata più nessuna distinzione di casa a dividerli. Nel frattempo però bisognava portare pazienza, ignorare le prese in giro e le battutacce, e tentare di tenere a bada Alfred, più eccitato per il loro anniversario incombente che per il fatto di fare parte dei Campioni del Torneo. In effetti, si diceva Arthur sforzandosi di placare la preoccupazioni che lo assaliva ogni volta, era ovvio che venisse scelto lui, lo aveva immaginato dal momento in cui lo aveva visto mettere il suo nome nel Calice di Fuoco. Sulle prime aveva addirittura valutato l’idea di chiedergli di non farlo, ma aveva l’impressione che Alfred avrebbe riso delle sue ansie e comunque, nel Torneo Tremaghi, non moriva più nessuno da tantissimo tempo. Quindi non aveva potuto fare altro che prendere atto della cosa: Alfred era il campione di Hogwarts e a lui sarebbe toccato portare alti i colori della miglior scuola di magia e stregoneria del mondo, alla faccia dei rigidi tedeschi di Durmstrang e degli insulsi francesi di Beauxbatons. A onor del vero, anche gli studenti in visita costituivano un problema, soprattutto il campione francese, tale Francis Bonnefoy, che sembrava averlo preso in una del tutto ingiustificata simpatia.
Arthur davvero non sapeva più dove sbattere la testa.
«Ehi, Arthie! Cos’è quel muso lungo? »
Come evocato dai suoi pensieri, ecco proprio Alfred raggiungerlo nel corridoio che stava attraversando. In teoria avrebbe dovuto affrettarsi a raggiungere la sala professori per consegnare il rapporto su come procedevano i preparativi, ma aveva finito per attardarsi e camminare più lentamente del dovuto.
«Nessun muso, Al, sono solo stanco. Tu piuttosto, hai già finito con gli allenamenti? La seconda prova si avvicina, non vorrai farti cogliere imparato? »
L’americano gli sorrise, con quell’espressione che gli faceva sempre battere il cuore.
«Sto rispettando la tabella di marcia alla perfezione: allenamento, studio e riposo tutto nella giusta misura. Tu, invece, ho l’impressione che stia esagerando. Sicuro di stare bene? »
Fece per circondare le spalle di Arthur con un braccio, quando delle voci dal chiaro tono di scherno li raggiunsero.
«Guarda, c’è Jones con il suo serpentello. Forse non lo sa che le aspidi sono velenose! »
Arthur assottigliò lo sguardo e, soppesando le parole che gli erano appena state rivolte, valutò anche se fosse il caso di scagliare contro quegli incauti una Maledizione Senza Perdono, giusto per mostrare loro che con la “serpe” non era il caso di scherzare. Ma non fece in tempo a dire nulla perché il semplice gesto di Alfred si trasformò in un abbraccio stritolante ed esclusivo uso e consumo dei loro spettatori.
«Non badare a quegli idioti. Jones ama alla follia la sua aspide, velenosa o meno che sia.» gli sussurrò all’orecchio facendolo diventare di tutti i colori.
Quando finalmente il gruppetto di perditempo decise che ne aveva abbastanza dello spettacolo e si allontanò, Alfred si decise a lasciarlo andare.
«Davvero, Arthie, hai l’aria di chi non dorme come si deve da giorni. Perché non lasci che sia qualcun altro a finire oggi e non vai a riposare? »
In effetti non aveva tutti i torti, con i mille pensieri che aveva per la testa anche dormire decentemente la notte era diventato complicato.
«Non preoccuparti, consegno questi fogli e per oggi ho finito. » rispose quindi. «Però non ho voglia di tornare nella sala comune o nel dormitorio. Ci vediamo alla guferia? »
Alfred sorrise e ammiccò: un appuntamento nel loro luogo segreto significava lontananza dalle malelingue e coccole a volontà. Si poteva quasi dire che quelli fossero gli unici momenti in cui Arthur si lasciava davvero andare quindi si pregustava delle ore piacevoli.

Anche per Alfred quei giorni erano piuttosto pesanti, sebbene l’americano vivesse lo stress e la tensione in modo completamente diverso da compagno. Certo era entusiasta di rappresentare la scuola nel Torneo Tremaghi, consapevole delle proprie possibilità di vittoria e forte della sua incrollabile autostima, ma alcuni guai che avevano ben poco a che fare con la competizione lo assillavano da un po’. Nello specifico il suo problema era grande e grosso, con un sorrisetto amabilmente inquietante perennemente sulle labbra e appartenente alla delegazione tedesca in visita. Alfred non aveva la più pallida idea del motivo, ma sembrava che quello strano russo, di nome Ivan Braginski, avesse messo gli occhi su di lui e non certo per una semplice questione di tifo. Beh, si diceva l’americano mentre si avviava verso la guferia, sapeva di essere affascinante e che la maggior parte della popolazione studentesca di Hogwarts era ai suoi piedi, ma finora gli era importato ben poco: con le ragazze bastava rifiutarle gentilmente e i ragazzi non gli avevano mai fatto avances esplicite. Persino con Arthur aveva dovuto fare praticamente tutto lui. Per questo ora si sentiva così spiazzato e per lo stesso motivo non fece nessun caso a chi gli stava venendo incontro.
«Oh, buonasera, Jones. » lo salutò una voce a cui, si rese conto troppo tardi, apparteneva un forte accento russo. «Dove se ne va così di corsa il campione di Hogwarts? »
Alfred trattenne un’imprecazione: se avesse rivelato la sua meta Arthur lo avrebbe detestato per tutta la vita, ma del resto non sapeva che altro dire per sganciarsi da quell’incontro imprevisto.

«Sto andando… al dormitorio! Avevi bisogno di qualcosa, Braginski? » buttò lì sperando di cavarsela in fretta.
Purtroppo la sorte sembrava avere in mente qualcosa di diverso, o meglio, di certo lo aveva in mente il giovane russo.
«Chissà perché ero convinto che la torre di Grifondoro fosse dalla parte opposta del castello… Oh, questo posto è così grande che finisco per perdere l’orientamento ogni volta. » celiò. «In ogni caso, sono immensamente spiacente ma mi vedo costretto a rimandare il tuo riposo. Il nostro campione ti sta cercando per discutere con te della prossima prova. »
Il rappresentante di Durmstrang, Ludwig Weillschmidt, era un vero e proprio tedesco dalla testa ai piedi, ligio al dovere e preciso all’inverosimile. Alfred aveva scambiato con lui solo due parole durante l’accoglienza delle delegazioni straniere e si chiedeva cosa potesse volere da lui ora. Il dubbio venne immediatamente sciolto dallo stesso Ivan che lo informò su quanto il suo compagno di squadra ci tenesse a congratularsi per il superamento della prima prova e per le sua capacità atletiche a cavallo di una scopa, e che proprio per questo motivo voleva il suo parere riguardo la nuova competizione che li aspettava. L’americano quindi non ebbe nemmeno il tempo di opporsi che venne trascinato via.

Era già passata un’ora, lassù nella guferia, e di Alfred ancora nessuna traccia. Arthur iniziava ad irritarsi e anche ad essere piuttosto preoccupato: non era mai successo che l’americano saltasse uno dei loro appuntamenti e questo poteva significare solo che era successo qualcosa. Lungi dal voler ficcanasare nella sala comune di Grifondoro, tuttavia, Arthur decise di tornare in dormitorio e tenere quell’irritazione per sé. Non aveva nemmeno superato il primo corridoio che venne bruscamente distratto da un’esclamazione che fece salire il suo nervosismo alle stelle.
«Chéri! »
«Bonnefoy…» grugnì in risposta. «Non è davvero aria, che vuoi? »
«Non sarà mai aria per te, bonbon. Siamo qui da quattro mesi e ancora non mi hai concesso un appuntamento come si deve. Cosa ti angustia tanto da tenerti lontano da me? »
Arthur sospirò e si ripeté almeno duecento volte che i rapporti internazionali nella comunità dei maghi erano importanti.
«L’unica cosa che mi angustia è che c’è un ballo da organizzare, i giorni sono agli sgoccioli, sono esausto e sembra che vi mettiate tutti d’accordo per farmi saltare i nervi. » rispose, il che era solo una mezza verità perché era abbastanza certo che per il Ballo del Ceppo non ci sarebbero stati problemi, mentre quello che lo preoccupava veramente era Alfred.
Francis però sembrò intendere la cosa diversamente, infatti gli rivolse un lieve inchino ed un piccolo sorriso.
«Non devi preoccuparti del ballo, men che meno della persona con cui andarci. Sarò più che lieto di venire con te, non potrei mai lasciarti solo in un simile frangente e, vedrai, tutti ci ammireranno. Il campione di Beauxbatons e il Caposcuola di Hogwarst! Faremo faville! »
«Ma che stai dicendo?! Dannazione, non ci penso nemmeno! Quello che mi serve non è un accompagnatore per il ballo ma essere lasciato in pace! » strillò Arthur, ormai esasperato, in barba ad ogni rapporto internazionale.
Non voleva che Francis lo invitasse, voleva che Alfred lo facesse, anche se ammetterlo anche solo a sé stesso era come calpestare il proprio orgoglio in favore di quello stupido Grifone. Stupido e ritardatario, aggiunse sta sé mentre voltava le spalle a Francis deciso a mettere una pietra sopra quell’inutile conversazione.
Fu proprio a causa di quel movimento brusco che li vide: Alfred e Ivan Braginski della delegazione tedesca che camminavano insieme nel parco proprio sotto le finestre del lato Serpeverde del castello. Un brivido involontario lo colse e assottigliò lo sguardo lanciando un’occhiata carica di disgusto all’indirizzo dei due all’esterno. Quindi le cose stavano così: Alfred gli aveva dato buca per andarsene a spasso con il primo che capitava e non aveva nemmeno un’aria dispiaciuta o annoiata. Questo irritò Arthur ancora di più.
«Però un tè posso concedertelo. » decise all’improvviso, rivolgendosi di nuovo al francese. «Ma non nella Sala Grande, andiamo nella mia Sala Comune dove fa più caldo. »
Francis gli rivolse un sorriso apparentemente soddisfatto e si avviò con lui, non lesinando comunque uno sguardo fuori dalla finestra.

Erano passati un paio di giorni da quando si era visto costretto a bidonare Arthur al loro appuntamento in guferia, e da allora l’inglese aveva fatto ben attenzione a non farsi più vedere. Alfred era senza parole e quasi non poteva credere che gli stesse tenendo il muso per un motivo tanto futile, senza contare che sempre più spesso aveva l’impressione che Francis Bonnefoy lo fissasse. Cosa potesse volere il francese da lui gli era totalmente oscuro, tanto più che non era l’unico a non togliergli gli occhi di dosso: ogni volta che tentava di trovare un po’ di tempo per parlare con Arthur, ecco spuntare Braginski con qualche scusa assurda che a volte comprendeva Weillschmidt, a volte no, ma in ogni caso gli metteva i bastoni tra le ruote.
Ormai mancavano solo due giorni alla vigilia e ancora non aveva pensato a nulla per celebrare degnamente il loro anniversario: avrebbe anche voluto invitare Arthur al ballo, come nella più classica delle tradizioni, ma finché non riusciva a parlargli l’impresa si preannunciava piuttosto ardua.
Fu dopo pranzo che decise che era giunto il momento di agire. Per un eroe come lui rimanere fermo con le mani in mano ad attendere l’evolversi degli eventi era del tutto innaturale, quindi si sarebbe rimboccato le maniche e sarebbe andato da Arthur, questa volta non si sarebbe lasciato intralciare da nessuno. Non si sarebbe posto problemi nemmeno ad andare nei sotterranei di Serpeverde, cosa che fino ad allora non aveva mai azzardato a fare.
Era già nel corridoio che portava all’entrata segreta quando sentì due voci discutere animatamente e riconobbe all’istante una come quella del suo ragazzo. L’altra aveva un fastidioso accento francese.
«Bonnefoy! » lo riconobbe infatti non appena svoltato l’angolo.
I due si voltarono a fissarlo con espressione stupita, Arthur piuttosto incredulo e Francis recuperando subito il consueto sorriso.
«Oh, bien, capiti a proposito, chèr Jones. » esordì. «Mi faresti la cortesia di spiegare una volta per tutte che non è nelle tue intenzioni invitare il mio bonbon al Ballo del Ceppo? »
Gli occhi di Arthur saettavano da lui a Francis, carichi di ansia, come se quella fosse stata un’affermazione perfettamente plausibile, e Alfred vide rosso: come diavolo si permetteva quel damerino di fare certe insinuazioni? Cosa ne sapeva lui di quanto Alfred tenesse ad avere Arthur con sé e soprattutto, come osava mortificare il suo ragazzo a tal punto?
«Non credo che queste siano cose che ti riguardino! » esclamò brandendo la bacchetta e puntandola contro il campione francese.
«Invece temo di sì, considerando quanto sia patetico e un’offesa per gli occhi il tuo comportamento nei suoi confronti. » ribatté Francis. «Se davvero sei così disinteressato come sembri, allora tanto vale che tu lo ceda a me. »
Quello era davvero troppo, Alfred era su tutte le furie e come sempre, quando capitava, non si soffermava a ragionare prima di agire.
«Non parlarne come se si trattasse di un oggetto! » esclamò furente. «Anzi, faresti proprio meglio a scordartene! Oblivio! »
L’incantesimo scaturì prontamente dalla bacchetta, rimbalzando però sullo scudo innalzato prontamente da Francis grazie ad un quasi immediato “Protego”. Quello che però nessuno dei due aveva calcolato era che Arthur si mettesse in mezzo strillando e insultandoli entrambi.
«Ma che diavolo credete di fare, razza di imbecil…»
La frase si spezzò nel momento in cui il raggio riflesso dell’incantesimo di Alfred lo colpì in pieno, stordendolo e rischiando di farlo crollare a terra se i rapidi riflessi dell’americano non lo avessero impedito. Così Arthur finì tra le sue braccia, mentre il Grifondoro si disperava, non capacitandosi di come potesse essere accaduta una cosa del genere.
«Arthur! Arthur, per l’amor del cielo rispondimi! » esclamava ripetutamente, scuotendolo un poco nel tentativo, vano a quanto pareva, di farlo riavere.
Ad un paio di passi di distanza Francis fissava la scena con occhi sgranati, impreparato ad uno sviluppo del genere.
Alfred era nel panico: in un accesso d’ira aveva colpito la persona alla quale teneva di più al mondo e la sola idea di avergli fatto del male gli dava la nausea. Non sapeva come comportarsi e fu solo ed unicamente per quello che alzò lo sguardo verso Francis, senza espressione d’accusa questa volta, ma solo in una muta richiesta d’aiuto. Il francese sembrava a sua volta decisamente nervoso e incerto su come procedere, ma gli si avvicinò ugualmente con intenzioni chiaramente non bellicose.
«Dovremmo portarlo in infermeria, di certo sapranno come aiutarlo. » suggerì posando una mano sulla spalla di Alfred.
Quello non se lo fece ripetere due volte e, sollevato Arthur tra le braccia, si diresse di gran carriera alla ricerca di Madama Chips.

Quando Arthur aprì gli occhi la prima impressione fu quella che la stanza vorticasse attorno a lui e ci volle qualche istante per ritrovare un senso di stabilità e rendersi conto di essere sdraiato. Si guardò attorno e con suo grande stupore scoprì di essere in infermeria. Non ricordava come ci fosse arrivato né perché, tutto quello che sapeva era che si sentiva piuttosto stordito. Lentamente, allontanò le coperte che lo coprivano e tentò di alzarsi. Aveva già posato un piede sul pavimento quando la porta della stanza si aprì ed irruppe un giovanotto dall’aria angosciata che gli si fiondò letteralmente addosso, scaraventandolo all’indietro sul materasso.
«Arthie!! Sei sveglio! Grazie a Merlino! Stai bene? Ti fa male da qualche parte? Parlami! Dimmi qualcosa! Oh, mi dispiace così tanto!! »
Arthur rimase per alcuni istanti in silenzio, shockato da quell’attacco a sorpresa e schiacciato sotto il peso dell’altro. Solo quando quello cominciò a ricoprirgli il volto di baci, si riebbe, allontanandolo con uno spintone.
«Fermo, fermo, FERMO! » esclamò tenendolo a distanza con le braccia tese. «Cosa diavolo pensi di fare? Aggredire in questo modo una persona! Chi accidenti credi di essere?! »
Per un attimo intravide lo sguardo smarrito dell’altro, dietro le lenti degli occhiali che portava sul naso, poi un sorriso si aprì di nuovo sul quel volto gioviale e attraente.
«Ok, ok, scusami. Lo so che sei arrabbiato e mi dispiace. » disse il ragazzo prendendo una sedia e accomodandosi accanto al letto. Doveva essere un Grifondoro a giudicare dallo stemma sulla sua divisa e Arthur proprio non capiva cosa ci facesse lì e cosa volesse da lui. «Sono stato uno stupido, ma ho perso la testa quando ho sentito quel damerino fare certe insinuazioni. Però sono felice che tu stia bene. »
Allungò di nuovo una mano per accarezzargli una guancia, ma Arthur si scostò, diffidente e sulle spine per tanta ingiustificata confidenza.
«Senti, davvero, non so per chi tu mi abbia preso, ma certi atteggiamenti confidenziali m’infastidiscono, quindi ti prego di smetterla. » tentò di chiarire.
In realtà avrebbe anche voluto sapere cosa fosse successo e perché si trovasse lì, ma l’altro sembrava dare tutto tremendamente per scontato.
«Andiamo, Arthie, non ti sembra di esagerare? Ti ho chiesto scusa, e dopotutto mi sono comportato in quel modo solo perché ti amo. »
«Mi ami? Ma… Si può sapere tu chi diavolo sei?! »
Tutta quella storia iniziava seriamente ad inquietarlo, oltre che ad innervosirlo: si trovava in infermeria, con la testa fasciata, senza saperne il motivo, veniva aggredito da un bellimbusto sconosciuto e adesso quello se ne usciva anche con un’assurdità del genere. Che qualcuno fermasse il mondo, please.
L’espressione del biondo Grifondoro lo colpì nella sua desolazione.
«Non… Non stai scherzando? Non ricordi davvero chi sono? Sul serio? » chiese, fissandolo con quegli occhioni azzurri da cucciolo abbandonato che Arthur non sapeva se ritenere teneri o irritanti.

«Ho l’aria di uno che scherza? » ribatté acido. «Non è divertente svegliarsi in infermeria senza sapere che diamine è successo e trovarsi davanti qualcuno mai visto prima! »
«Mai vist… Arthie! Stiamo insieme da un anno e ci conosciamo da almeno sette! »
«Io non ti conosco. »
Cocciuto e testardo come un mulo, ecco com’era Arthur in situazioni del genere, anche e soprattutto perché tutte quelle affermazioni iniziavano a fargli pensare che ci fosse davvero qualcosa che non andava, che si fosse “perso un passaggio”, e questo lo metteva profondamente a disagio. L’espressione smarrita del ragazzo di fronte a lui sembrava sincera, ma questo non gli era di nessun aiuto quindi, quando un altro giovane, questa volta con lo stemma di Corvonero sulla divisa, entrò e lo condusse via a forza, faticò a trattenere un sospiro di sollievo.

«COM’É POTUTO SUCCEDERE?! » gridò Alfred fuori di sé.
Il ragazzo di fronte a lui alzò le mani, sia per giustificarsi che per prevenire ogni tipo di sfogo violento.
Quando erano arrivati con Francis in infermeria, avevano scoperto che Madama Chips era rientrata a casa per le feste natalizie, lasciando l’incombenza del controllo dell’infermeria al Caposcuola di Corvonero, suo allievo prediletto nonché esperto nella magia curativa, Yao Wang. Il ragazzo aveva visitato immediatamente Arthur, diagnosticando quello che i due già sapevano: era stato colpito dall’incantesimo Oblivion lanciato da Alfred. Non sembravano esserci state conseguenze a livello fisico, ma non avrebbe potuto riscontrarne gli effetti solo dopo che si fosse svegliato. Alfred aveva atteso con ansia quel momento, camminando nervosamente su e giù per l’anticamera, ma le successive risposte di Arthur lo avevano sconvolto.
«Siamo in infermeria, Alfred, qui è vietato alzare la voce, aru. » disse Yao sforzandosi di mantenere il suo atteggiamento composto.
L’americano continuò a torcersi le mani.
«É che non mi capacito! Sì, è vero, è stata colpa mia. Volevo che quel damerino si scordasse di Arthur e smettesse di fargli tutte quelle moine, ma non volevo certo colpire lui. Non volevo che si dimenticasse di me! »
«Nessuno ti sta incolpando, Al, so bene che è stato un incidente, aru. »
«MA ARTHUR NON SI RICORDA DI ME! E IO NON SO CHE COSA FARE! »
«Alfred, stai di nuovo urlando, aru. »
«LO SO CHE STO URLANDO, MA…»
«Allora, se lo sai, non farlo, aru. »
«Ma…»
In quel momento sentì una mano posarsi sulla sua spalla e, voltandosi, vide che erano stati raggiunti da Francis e, misteriosamente, anche da Braginski.
Alfred si mise istintivamente sulla difensiva, ma i due non sembravano animati da cattive intenzioni, soprattutto Francis che accennò un sorriso comprensivo.
«Nessuno voleva che succedesse questo. » disse. «Diciamo che siamo andati tutti un po’ troppo oltre e adesso dobbiamo darci da fare per rimediare. Come di certo Yao sa e dovresti sapere anche tu, nella maggior parte dei casi non si tratta di un incantesimo permanente. Tutto sta nel trovare la molla che faccia scattare la memoria del nostro caro inglese. »
«Era esattamente quello che stavo per dire, aru. » aggiunse il cinese lisciandosi la lunga coda di cavallo che gli ricadeva su una spalla dandogli un’aria vagamente femminea.
Alfred ovviamente ignorò tutto questo, troppo concentrato su quella che era appena diventata la sua nuova missione: trovare il modo di far tornare la memoria ad Arthur, possibilmente prima del ballo, in modo che potessero celebrare degnamente il loro anniversario. Avrebbe potuto ricordargli come si erano conosciuti, gli anni che avevano passato ad Hogwarts battibeccando ad ogni piè sospinto, quanto stavano comunque bene insieme e quanto erano stati felici una volta capito che il sentimento era reciproco. Avrebbe potuto portarlo nel loro posto segreto, lassù nella guferia, oppure a cavallo di una scopa, come la prima volta che si erano dichiarati, anche se a ben vedere era stato più che altro Arthur a farlo. Ma certo, quella era davvero una splendida idea!
«Lo porterò sulla mia scopa! » esclamò quindi con convinzione. «Gli farò rivivere la scena della nostra dichiarazione, così ricorderà di certo! »
Tre paia di occhi si voltarono nella sua direzione esprimendo muto scetticismo, finché non fu Ivan a prendere la parola per la prima volta dal suo ingresso nell’infermeria.
«Secondo me è una grossa sciocchezza, da. » sentenziò. «In questo lo traumatizzeresti e basta, finendo per ottenere l’effetto contrario. Dovresti essere meno irruente, parlare con lui in modo civile e riportargli alla mente i fatti con delicatezza. Non lo pensi anche tu? » terminò rivolgendosi a Yao con uno sguardo che, in altri tempi, Alfred avrebbe definito “sospetto”.
Il Caposcuola di Corvonero annuì vigorosamente.
«É esattamente così, Al, aru. Se prendi la faccenda troppo di petto, Arthur potrebbe finire per considerarla un’aggressione e le tue possibilità di aiutarlo diminuirebbero a vista d’occhio. »
«Sono felice che la pensiamo allo stesso modo. » disse Ivan lanciando di nuovo uno sguardo di apprezzamento al cinese, che però non mostrò di cogliere alcuna allusione.
Dal canto suo, Alfred non aveva nessuna intenzione di perdere tempo dietro le sbandate altrui (senza considerare che fino al giorno prima il russo stava incollato a lui), quindi continuò ad arrovellarsi sul da farsi. Forse era davvero meglio iniziare con un approccio soft, in modo da non spaventare Arthur e recuperare gradualmente la sua fiducia. Tutto quello che si augurava era che funzionasse, altrimenti non se lo sarebbe mai perdonato.

Arthur aveva passato la notte in infermeria, su consiglio di Yao, che lo aveva di nuovo visitato la mattina successiva assicurandogli che fisicamente non aveva nessun problema. Certo, restava l’inconveniente della memoria, di cui il cinese lo aveva informato senza per altro turbarlo troppo, ma Arthur si chiedeva se questo fosse effettivamente un contrattempo. Non aveva la sensazione che gli mancasse qualcosa e nemmeno provava quel senso di smarrimento e paura che veniva spesso associato nei libri alle persone che soffrivano di amnesia. Gli era stato spiegato a grandi linee quello che era successo: il battibecco tra Francis e Alfred, l’incantesimo scagliato sull’onda dell’irritazione e il fatto che ne fosse rimasto vittima per errore. Tutto questo non lo turbava particolarmente, anche se era seccante l’idea di aver ricevuto un colpo destinato a qualcun altro. Quello che piuttosto lo lasciava perplesso era il fatto che gli avessero raccontato anche che stava insieme a quell’americano rumoroso: a pensarci era davvero assurdo, lui non aveva mai sopportato i Grifondoro fracassoni, e poi si trattava di un ragazzo, andiamo! Di certo era una qualche sorta di elaborato scherzo architettato alle sue spalle con la scusa dell’incidente.
Si era già completamente rivestito ed era pronto tornare nel dormitorio di Serpeverde, quando proprio il tipo in questione fece capolino dalla porta della stanza.
«Buongiorno. » esordì con un sorriso timido, del tutto diverso dall’esuberanza con cui lo aveva aggredito il giorno prima. «Come ti senti stamattina? »
Arthur lo scrutò da capo a piedi rima di rispondere.
«Meglio, direi. Me ne stavo andando. »
Il biondino gli apparve deluso ma per nulla intenzionato a demordere.
«Ti accompagno, così possiamo fare due chiacchiere. »
Arthur sospirò di esasperazione, ma alla fine non trovò una buona scusa per rifiutare. O meglio, di scuse ce ne sarebbero state a valanghe, ma in fondo era curioso di scoprire per quale motivo quel tipo fosse così insistente nello stargli appiccicato. Di certo c’era sotto ben altro oltre a quello che gli aveva raccontato Yao.
Mentre camminavano nei corridoi, il Grifondoro (di cui Arthur non si era nemmeno sprecato a chiedere il nome) non smise un attimo di parlare, rischiando di mandare in tilt i timpani del povero inglese e in pezzi la sua pazienza. Più passavano i minuti, più si convinceva, a discapito dei tentativi dell’altro, che era impossibile che un tipo del genere gli piacesse anche solo un po’.
«Adesso ascoltami. » lo bloccò all’imbocco del corridoio che li avrebbe condotti ai sotterranei. «Non so nemmeno come ti chiami e non…»
«Alfred! Mi chiamo Alfred! Non ricordi nemmeno questo? » lo interruppe l’americano.
«… non m’importa più di tanto, dicevo. Il gioco è bello quando dura poco e credo che vi siate divertiti abbastanza alle mie spalle, tu, Yao e non so chi altri. Domani sera ci sarà il Ballo del Ceppo, io sono Caposcuola e ho un sacco di lavoro da sbrigare, quindi se non ti spiace…»
Fece per voltargli le spalle ma Alfred lo afferrò per un braccio, trattenendolo.
«Mi spiace eccome! Perché stai pensando allo stupido ballo di domani, quando oggi è il nostro anniversario! »
Arthur emise un sospiro esasperato: adesso ne aveva davvero abbastanza, possibile che non potesse semplicemente ignorarlo? Che gusto ci trovava nell’essere così insistente?
«Ma quale anniversario?! » sbottò. «É praticamente impossibile che io stia insieme a un Grifondoro visto che siete tutti degli insopportabili sbruffoni, egocentrici ed esibizionisti! Detesto ogni singolo Grifondoro! »
L’espressione sul volto di Alfred s’incrinò per un istante, tanto che lo fece sperare di averla finalmente vinta, ma si trattò appunto solo di pochi secondi, passati i quali l’americano tornò all’attacco.
«Era così anche per me, un anno fa. Anzi, no, in realtà io non ho mai odiato i Serpeverde, semplicemente erano bersagli ideali per gli scherzi, ma questo ora non conta. Se sei in questo stato è per colpa mia quindi, visto che le parole non bastano, ora si farà a modo mio, da Grifondoro sbruffone, egocentrico ed esibizionista! »
Prima che Arthur riuscisse a fermarlo, in un crescendo di ansia che sfiorava il panico, lo trascinò attraverso i corridoi verso l’ingresso principale del castello. Lì si trovava una scopa da corsa, negligentemente abbandonata in un angolo, che subito venne afferrata da Alfred. Non si sprecò a dare spiegazioni, semplicemente continuò a trascinare Arthur all’esterno, finché il vento gelido di dicembre non li investì.
«Io non volo! » protestò l’inglese, atterrito alla sola idea.
«Oh, sì che lo farai. Anzi, l’hai già fatto, proprio qui, in questo stesso giorno e con la stessa persona. Avanti, non avere paura, ti prometto che non ti farò cadere. »
«Certo, come no! Come minimo finiremo a testa in giù nella neve! »
Appena realizzato quello che aveva detto, Arthur si bloccò per un attimo, stranito: non stava nevicando e il paesaggio era grigio e spoglio, da dove gli era venuta una simile idea? Alfred invece aveva un sorriso enorme che gli andava da un orecchio all’altro e approfittò del suo momento d’incertezza per spingerlo sulla scopa. Quando decollarono senza il minimo preavviso, l’inglese si aggrappò spasmodicamente all’altro, stringendo le braccia attorno alla sua vita e la stoffa della divisa nei pugni chiusi: soffriva di vertigini ed era una schiappa a volare, quindi il fatto che qualcuno lo costringesse a salire su una scopa era per lui il peggiore dei torti. Questo però non sembrava poter fermare Alfred che, entusiasta ed inebriato dall’altezza sempre maggiore, iniziava a compiere fantasiose evoluzioni. Arthur non aveva il coraggio nemmeno di sbirciare da sotto le palpebre chiuse, ma sentiva il vento freddo sferzare sempre maggiormente sulla sua faccia e sulle braccia coperte da un maglioncino fin troppo leggero. Iniziava già a rabbrividire e a preoccuparsi del raffreddore assicurato quando l’altro esclamò, la voce appena coperta dalle raffiche: «Mi chiedevo, sai, visto che domani è un giorno di festa e quindi sarebbe bello fare qualcosa di diverso, se ti andava di… beh, di venire a Hogsmeade con me. »
Arthur aprì bocca per rispondere un secco “no”, che era un’assurdità a cui non intendeva prestarsi, ma improvvisamente venne colto da una forte sensazione di dejà vu: una scena simile non era già accaduta? Non aveva già risposto esattamente in quel modo finendo però poi per fare tutt’altro? A chi aveva parlato in quel modo? E soprattutto, perché?
«Io…» iniziò, ma prima che potesse formulare una frase di senso compiuto o una qualunque domanda, una forte raffica di vento fece sbandare bruscamente la scopa, strappandogli uno strillo terrorizzato.
«Reggiti! » gli gridò Alfred. «Siamo finiti in una corrente, cerco di recuperare il controllo! »
Purtroppo quella si rivelò essere un’impresa piuttosto ardua e finirono per essere entrambi sballottati alla cieca per il cielo.
Nell’unico momento in cui Arthur si azzardò ad aprire gli occhi vide i rami degli alberi della Foresta Proibita farsi sempre più vicini, pericolosamente protesi verso di loro e impossibili da evitare. Tentò, in qualche modo, di avvertire Alfred, di metterlo in guardia riguardo la minaccia verso la quale si stavano precipitando a tutta velocità, ma non ne ebbe il tempo materiale.
L’ultima cosa che sentì, attraverso il buio degli occhi chiusi il più strettamente possibile, fu lo stormire delle foglie e lo schianto dei rami che si spezzavano.

Ancora prima di aprire gli occhi, immerso com’era in una sorta di buio che ottundeva i sensi, ad Alfred giunse un sommesso parlottio che lo circondava. Non riusciva a capire di chi si trattasse ma la persona in questione a volte alzava la voce in esclamazioni stizzose di cui non comprendeva il significato. Quando finalmente si decise a sollevare le palpebre, il mondo gli si presentò con la consueta visione offuscata che lo spinse al gesto automatico di allungare una mano verso il comodino e recuperare gli occhiali. La sua sorpresa fu dunque grande quando scoprì di avere il braccio destro immobilizzato da una stretta fasciatura.
«Ma cosa…? » biascicò confuso, mentre una mano provvidenziale gli porgeva le agognate lenti.
«Ben svegliato, aru. » lo salutò Yao di fronte a lui, finalmente a fuoco. «Come ti senti? »
Perplesso, Alfred si guardò attorno e scoprì di essere di nuovo in infermeria, questa volta però nelle vesti di paziente, sdraiato su un letto dalle lenzuola candide.
«Che…? » iniziò, ma lo sguardo dell’altro, del tutto diverso da quello compassionevole che un qualunque convalescente si sarebbe aspettato, lo indusse a misurare le parole.
«Sembrerebbe bene, a quanto pare, aru. E se così non fosse, beh, dovrai pazientare finché non passerà, aru. » continuò Yao, tenendo le braccia conserte. «Vi ha trovati Francis, devi ringraziare lui se ora siete qui e non è successo nulla di peggio. Per fortuna che ha avuto il sentore che non avresti ascoltato i suoi consigli. Ma da lì a mettervi in volo con quel ventaccio! É stato da folli incoscienti! »
Finalmente Alfred rammentò l’accaduto, la perdita di controllo della scopa e lo schianto sui rami della Foresta Proibita.
«E Arthur?! » esclamò balzando a sedere sul letto, più preoccupato per la salute del ragazzo che per lo stato del suo braccio.
Yao gli lanciò un’occhiata di sbieco, fece una sorta di smorfia e si voltò verso la porta. L’ansia lo stava già assalendo, quando questa si aprì lasciando entrare proprio l’inglese con un vassoio carico di tazze tra le mani.
«Arthie! »
«Oh, ti sei svegliato. Bene. » commentò quello, serafico, non dando mostra di particolari emozioni.

Posò il vassoio sul tavolo accanto al letto e tornò a voltarsi nella sua direzione. «Hai un braccio rotto, è meglio che tu non ti muova più di tanto. Yao, il tè è pronto e Braginski ti aspetta nell’altra stanza.»
Il cinese faticò a perdere l’espressione seccata mentre annuiva si rivolse per l’ultima volta ad Alfred prima di uscire.
«Quella sul comodino è una pozione per aggiustare le ossa, aru. Bevila tutta e riposa come si deve, questa notte e domani resterai qui, aru, nella speranza che non ci siano complicazioni. »
Detto questo si congedò lasciando i due da soli.
L’americano rimase in silenzio, lo sguardo basso, indeciso su come reagire e dispiaciuto per il fatto che la sua strategia, nonostante l’esito imprevisto, non fosse andata a buon fine: Arthur ancora non si ricordava di lui, il loro anniversario ormai era passato, non ci sarebbe stato modo di andare al Ballo del Ceppo e…
Non fece in tempo a terminare il pensiero che un piccolo uragano lo travolse e si ritrovò il ragazzo tra le braccia, che lo stringeva come l’ultima ancora di salvezza.
«Arth…»
«BRUTTO IDIOTA!! » esclamò l’inglese, la voce soffocata contro la sua spalla. «Cosa ti è passato per il cervello? Dovrei prenderti a botte! Te l’avevo detto che non volevo volare e invece fai sempre tutto di testa tua! »
Lo sentiva tremare contro di lui, completamente diverso dalla figura impassibile che aveva mostrato qualche minuto prima in presenza di Yao. Sollevò il braccio sano per accarezzargli lentamente la schiena e rassicurarlo che andava tutto bene, ma Arthur non aveva ancora finito.
«Mi hai fatto cadere di nuovo, questa volta non te la perdono! E se credi che non mi sia accorto che mi hai fatto da scudo, ti sbagli di grosso! Non farlo mai più, sono morto di paura! E poi proprio nel giorno del nostro anniversario! Cosa credevi di fare? Piantarmi in asso?! »
Alfred non poteva credere alle proprie orecchie: aveva detto “di nuovo” e parlato di anniversario. Quelle parole sarebbero state plausibili solo se si fosse ricordato tutto, e quasi non osava sperarlo. Esisteva solo un modo per saperlo.
«Dammi un bacio e passa tutto! » esclamò in modo volutamente scherzoso, mostrando il suo consueto sorriso accattivante.
Lo vide allontanarsi quel poco che bastava per guardarlo negli occhi e imbronciarsi in modo adorabile.
«Levati quell’espressione dalla faccia, inutile Grifondoro. » brontolò prima di accontentarlo e unire le proprie labbra alle sue.
Probabilmente, nelle intenzioni di Arthur, avrebbe dovuto essere un contatto breve, ma Alfred non gli permise di allontanarsi finché non mancò il fiato ad entrambi: gli sembrava passato un secolo dall’ultima volta e aveva degli arretrati da recuperare. Senza contare che adorava tenere Arthur tra le braccia e questo accadeva talmente di rado anche normalmente che ne assaporava ogni momento.
Inaspettatamente il ragazzo gli si rannicchiò contro, lasciandosi coccolare anche dopo che Alfred tornò ad appoggiarsi alla testiera del letto.
«Mi dispiace. » mormorò tenendo gli occhi bassi. «La giornata è quasi finita e non è stato granché come primo anniversario. »
«Ehi, ehi, è stata colpa mia, non devi prendertela. Piuttosto, sono felice che ricordi di nuovo. »
«Già, in effetti è stata davvero colpa tua. »
Alfred incassò il colpo e non replicò, consapevole di meritarselo.
«Piuttosto non capisco come sia stato possibile spezzare un incantesimo del genere. Nemmeno Yao se lo spiega. »
«True love kiss! »
«Non mi hai baciato. »
«Basta l’intenzione! »
In realtà ad Alfred importava poco il motivo, se fossero state le sue chiacchiere, lo shock della caduta o altro, ciò che contava era che contava era che Arthur fosse di nuovo lì con lui.
L’inglese lo spiò di sottecchi, chiaramente per nulla convinto di quella spiegazione, ripromettendosi di chiedere lumi anche agli studenti stranieri. In fondo un po’ di sano scambio culturale non poteva fare loro che bene.
«Ho già avuto fin troppi scambi con francesi e russi. » commentò Alfred con una smorfia che, inaspettatamente fece ridere l’altro.
«Non temere, dubito che Braginski s’interesserà ancora a te! »
Al suo sguardo confuso, l’altro rispose con una strana imitazione dell’accento russo dello studente di Durmstrang, seguito da un’altra ben più conosciuta.
«“Se solo tu non fossi una ragazza, da…” “Ma io sono un uomo, aru!” É stata la conversazione più surreale a cui abbia mai assistito. Credo proprio che Ivan inviterà Yao al ballo! »
Quella spiegazione scatenò l’ilarità di Alfred, che impiegò qualche minuto a riprendersi e ricordare che anche lui aveva qualcosa in sospeso.
«Farò in modo di essere in piedi per domani sera, ti devo un invito, dopotutto, e non me lo perderei per niente al mondo! »
«Ma certo, eroe. » sorrise Arthur, sporgendosi in avanti a regalargli un leggero bacio sulla guancia. «Nel frattempo buon Natale e buon anniversario. »

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