Titolo: Il ritorno di Pigwacket
Fandom: Heroes
Personaggi: Petrelli ensemble, Pigwacket
Rating: Gen
Conteggio Parole: 1982 (W)
Note: Per
juliettesaito, che ha richiesto: "Vent'anni dopo
Voyeur, Pigwacket compare sulla scrivania di Nathan".
Capitoli precedenti:
+
Nictofobia+
Bunnies hate flying (but little brothers don't)+
Voyeur A trentasette anni, Nathan Petrelli sa che i coniglietti di peluche non escono di propria volontà da scatole di vecchi giochi ammonticchiate in soffitta.
I coniglietti di peluche sono, per loro natura, immobili. Se lasciati su un tavolo o posati dentro una scatola, non si muovono. Non vanno a fare due passi; non si sgranchiscono le zampe. Certamente non scalano piccole, insormontabili pareti di cartone e non aprono coperchi sigillati con lo scotch per farsi un giro per casa. Certamente, poi, non attraversano mezza New York per raggiungere i loro vecchi padroni dalla casa della loro infanzia nell’appartamento in cui vivono con moglie e figli. Forse, se potessero farlo, sarebbero un po’ più interessanti; ma questa è una possibilità che non li preoccupa. I coniglietti di peluche non hanno bisogno di essere interessanti.
In piedi di fronte alla scrivania, Nathan Petrelli contempla il pelo sporco e rovinato del coniglietto, il fiocco sciolto e sfilacciato da una parte, il lungo orecchio sinistro che non sta più su come un tempo ma pende floscio da un lato. Peter aveva l’abitudine di trascinarselo dietro tirandolo per quell’orecchio.
Nathan allunga una mano e lo solleva, stringendolo per la pancia bianca e morbida. La parte più sporca sono le zampe, per qualche motivo.
“Ma guarda” mormora tra sé, riconoscendone al tatto il peso e la consistenza. Corruga la fronte, ma le rughe si spianano subito quando passa le dita sopra il naso a triangolo e gli occhi a bottoncino resi opachi dalla polvere. Sotto i polpastrelli, il pelo del coniglietto è ispido come se per anni nessuno si fosse curato di accarezzarlo per il verso giusto.
“Ciao, Pigwacket.”
Il coniglietto non risponde.
+
È quasi sicuro che sia stato Peter, ma non può chiamarlo solo per chiederglielo, quindi lo chiama per ricordargli che il giorno dopo sono tutti invitati a pranzo da Mamma, e di non dimenticare il regalo. Al telefono Peter ha una voce impastata e lamentosa, come se si fosse appena svegliato. (Nathan guarda l’orologio: sono quasi le undici e mezza.)
Per tutto il tempo Pigwacket lo guarda fisso dalla sua posizione seduta sopra la scrivania. Nathan lo ricordava più grosso, più panciuto - anche se l’ultima volta che l’ha visto non era più un bambino. Non possono essere passati più di - fa un rapido conto, che termina con un risultato vagamente scoraggiante - quindici anni. Non ricorda il motivo preciso per cui Pigwacket è scomparso da un giorno all’altro; ha sempre immaginato che Peter si fosse stancato di lui e avesse chiesto a Mamma di metterlo via.
Il cellulare incastrato tra l’orecchio e la spalla, Nathan scioglie e riannoda il fiocco senza neanche pensarci.
“… tutto qui? Nathan?”
Si riscuote. “Sì, a domani. Puntuale.”
Heidi è uscita e i bambini sono dai nonni; Nathan prende Pigwacket e attraversa il corridoio col coniglietto in mano, il braccio stretto intorno alla vita del peluche. In salotto lo posa sul divano e apre la vetrina degli album. Uno, largo come un quadro con una copertina celeste sbiadita e dagli spigoli consumati, porta scritto sul dorso di copertina, nella grafia sottile e dritta di sua madre: Nat.-Peter 1983-84.
(Al margine della sua attenzione, Nathan non può fare a meno di notare che “Nat.-“ è stato aggiunto successivamente, in una grafia leggermente diversa. Senza le lettere in più, l’iscrizione sarebbe perfettamente centrata.)
Quando Heidi e i bambini tornano a casa mezz’ora dopo, Nathan sta rimettendo gli album al loro posto. Ha lasciato scivolare in tasca una singola foto di Peter a dieci anni, il sorriso ampio e storto con una dentatura bianca da far commuovere un odontoiatra, i pugni sui fianchi e l’aria spavalda di un giovane Superman in borghese. Ma questa è un’altra storia.
“In braccio! In braccio!” strilla Monty, sgambettando nella stanza e puntando le braccia al cielo dall’alto dei suoi ottanta centimetri. Simon entra più lentamente, con Heidi.
“Ciao, tesoro. Guardavi le foto?”
Nathan le sorride e annuisce, baciandola con Monty appollaiato sul fianco.
“Tua madre dice di ricordare a Peter che domani è il suo compleanno. E di buttare la sciarpa che le hai comprato e prenderle qualcos’altro.” Heidi alza le spalle, divertita. “Non guardare me. Io non le ho detto niente.”
“Che cos’è questo peluche?” domanda Simon, afferrando Pigwacket per l’orecchio sano e sollevandolo.
Heidi si volta. “Tesoro, non lo toccare. È tutto sporco.”
“È vecchio!” ribatte Simon. Corruga la fronte, meditandoci su. ‘Vecchiaia’ è un concetto nebuloso quando hai solo cinque anni.
Nathan prende il peluche dalla sua mano. “È tuo, Papà?” domanda Monty, le braccia strette al suo collo.
Nathan fa per rispondere, ma Simon lo precede, il tono candido e saccente al tempo stesso e insieme l’aria di compatire Monty per la sua stupidità: “Non può essere di Papà! È un coniglio!”. E poi aggiunge, in caso qualcuno dei presenti non avesse colto il punto: “I conigli sono da femmine”.
“Non è vero! A… a zio Peter piacciono i conigli” ribatte Monty, arrossendo fino alle sopracciglia.
“È un vecchio peluche dello zio” risponde Nathan, porgendo Pigwacket alle manine esitanti di Monty, che si tendono all’istante ad afferrarlo. “Si chiama Pigwacket.”
“Pig…?” dice Heidi, richiudendo la vetrina degli album.
“… wacket. Pig-wacket.”
Heidi sorride, corrugando la fronte. “E Peter dove l’ha preso questo nome?”
“Papà, va bene se lo chiamo solo Pig?” chiede Monty a bassa voce, strattonandogli il colletto della camicia.
“Non ne ho idea” risponde Nathan. Si chiamava così molto prima di appartenere a Peter; almeno dieci anni prima. Da quando Nathan ha memoria, Pigwacket si è sempre chiamato Pigwacket.
“Non puoi chiamare Pig un coniglio!” protesta Simon.
Nathan abbassa lo sguardo, trovando Monty intento a studiare con una smorfia dolente l’orecchio mezzo strappato del coniglietto. “Se ti impegni riesci a chiamarlo col suo nome.”
“Pequacker?”
“Pig-whack-ett.”
“Pequawker.”
Nathan sorride, stampando un bacio sulla tempia di Monty. “Ora dallo a Mamma. Quando è pulito ci puoi giocare.”
“L’orecchio si può curare, vero, Papà? Voglio dire,” si morde pensosamente un labbro, “aggiustare.”
“Se era una persona glielo dovevano tagliare via” osserva Simon, vagamente compiaciuto di poter fornire l’informazione truculenta.
“Nessuno taglierà l’orecchio a nessuno” dichiara Nathan, lanciandogli un’occhiataccia, e Simon si rimpicciolisce sul sedile del divano. “Andate a lavarvi le mani.” Mette giù Monty sul pavimento.
Il bambino consegna con estrema serietà Pigwacket a Heidi, e gettandosi uno sguardo indietro per essere sicuro che Simon sia uscito, la mano ancora stretta intorno alla zampa del coniglietto, domanda a bassa voce: “Però non lo metti in lavatrice, vero?”
“Non preoccuparti, amore” risponde Heidi, trattenendo un sorriso.
“Simon dice che nella lavatrice i peluche si gonfiano di acqua e poi esplodono.”
“Non devi credere a tutto quello che dice tuo fratello” osserva Nathan, in tono un po’ intenerito e un po’ di rimprovero.
“E Simon non dovrebbe dirgli cose solo per spaventarlo” aggiunge Heidi, quando anche Monty è scappato di corsa nel corridoio.
“Lo fa per abituarlo.”
“A spaventarsi?”
“A non spaventarsi.”
Heidi solleva Pigwacket per le zampe anteriori, studiandolo con attenzione. “Però, Peter” osserva ad alta voce. “Non l’avrei mai detto tipo da coniglietti.”
Che il passaggio di consegne lo disturbi o lo rassicuri più della prospettiva di tornare nella sua vecchia scatola, Pigwacket ha la discrezione di non mostrare nulla.
+
A venticinque anni, Peter Petrelli sa che i coniglietti sono roba da femmine, ma sa anche che non tutto deve necessariamente essere detto.
A cinque anni, Simon Petrelli sente su di sé il vago dovere morale di dimostrare al mondo che non è più un bambino spiattellando la montagna di cose utili che sa, e ricevendo in cambio quanti più complimenti possibile.
A tre anni, Monty Petrelli ama il suo nuovo coniglietto, Piguacker detto (segretamente) Pig.
“E questo chi è?” domanda Peter, prendendo il peluche dalle mani tese e orgogliose di Monty. “Mamma ti ha regalato un giocattolo nuovo?”
“Papà” risponde Monty, stringendo leggermente la coda a pallina (un po’ spelacchiata) di Pigwacket.
“Davvero?” ribatte Peter, gettando uno sguardo a Nathan, intento a sorbire con aria grave il suo caffè. “Pensavo che Papà regalasse solo cravatte o Il Codice Penale per bambini e roba del genere.”
“Grazie, Peter. Molto divertente.”
“Monty non sa leggere” osserva distrattamente Arthur Petrelli.
“Io so leggere” interloquisce la voce di Simon.
“Bravo ragazzo” commenta il nonno, riservandogli una carezza e un mezzo sorriso d’approvazione.
Accovacciato sui talloni accanto a Monty, Peter fa una smorfia annoiata.
Anche pulito e con l’orecchio e il fiocco ricuciti, il coniglietto non si può proprio dire nuovo. “Ha un’aria familiare” commenta Peter tra sé, lisciando il pelo del muso in un senso e poi nell’altro.
Nathan mette giù la tazzina. “È una battuta?”
“Si chiama Pig” dice Monty tutto fiero, correggendosi subito dopo: “… wacker.”
“Papà dice che era tuo” osserva Simon. Peter alza lo sguardo e lo sposta da Nathan al suo primogenito, vagamente colpito dalla somiglianza e dal peso dello stesso sguardo indagatore.
“Pigwacket? È Pigwacket?” risponde Peter. Riporta lo sguardo in basso e sorride, stropicciando l’orecchio piegato del coniglietto. “Dove l’hai trovato? Pensavo che si fosse perso da una vita.”
“Dove tu l’hai lasciato ieri mattina, Peter. Sulla mia scrivania.”
“Io?”
Il silenzio cala sulla tavola per qualche istante.
“Questa è la prima volta che lo vedo da… almeno quindici anni.”
“Mi prendi in giro?”
Angela contempla la scena con un mezzo sorriso sulle labbra, asciugandosi quietamente l’angolo della bocca con un lembo del tovagliolo, fuori dal cerchio di carminio impeccabile del rossetto. “Nathan non faceva un passo senza quel peluche” dichiara, in quello che sarebbe un tono tenero se ci fosse una sola goccia di tenerezza dentro. “Dovevamo strapparglielo dalle mani perché non se lo portasse anche nelle foto.”
Il silenzio di famiglia è quella particolare sfumatura di silenzio in cui sai che qualcuno, non più tardi di qualche secondo, guarderà qualcun altro dritto negli occhi e senza pensarci dirà qualcosa col solo effetto di peggiorare le cose. Nathan guarda sua madre seduta dall’altra parte del tavolo e sa con certezza che questa è la punizione per il profumo che le ha regalato.
“Vuoi dire Peter” ribatte Arthur.
“Voglio dire quello che ho detto.”
Arthur corruga la fronte, sollevando e riposando il cucchiaino da caffè sul suo piattino. (Non importa quante volte Peter gli abbia detto che nelle sue condizioni non dovrebbe bere caffè.) “Nathan non aveva peluche. I peluche sono per le bambine. I peluche e le bambole. Nathan aveva una scatola di costruzioni gigantesca. Con tutti i pezzi montati era più alta del tavolo in sala da pranzo.”
“Sì, Papà. A dodici anni” gli fa notare Nathan, delicatamente.
“L’unico regalo che tu gli abbia mai comprato” gli fa notare Angela in tono noncurante.
Questo sembra zittire Arthur. Heidi trattiene con coraggio una risata in fondo alla gola e ogni tanto qualche minuscolo sbuffo di ilarità le scappa dal naso, prontamente represso in un colpo di tosse dentro il tovagliolo.
“E così, Papà non vi aveva detto che da bambino gli piacevano i coniglietti” cantilena Peter con una vocina irritante, tenendo Pigwacket per le orecchie e facendolo ondeggiare nell’aria di fronte al naso di Monty.
“Avevo tre anni” sibila Nathan.
Monty ride, gli occhi che brillano mentre si spostano dall’ondeggiare ipnotico del coniglietto a suo padre, improvvisamente rivalutato come amante di teneri peluche, ma Simon è pietrificato.
Nathan può vedere strati e strati di molli convinzioni infantili, lentamente accumulate come argilla, sciogliersi e scorrere via come fango nella pioggia.
“Simon” lo chiama Nathan, accarezzandogli una guancia col palmo della mano.
Simon deglutisce un groppo grosso quanto un’anguria, e con i pugni stretti sulle ginocchia e l’aria serissima dichiara con voce lenta e dilaniata da tutte le contraddizioni dei suoi cinque anni:
“Pigwacket è… carino.”
Più vecchio della metà dei presenti, col fiocco rosso rammendato, l’orecchio più solido di prima e finalmente libero dallo strato di polvere pruriginosa in mezzo al pelo, Pigwacket si lascia coccolare dalle manine paffute di Monty con la tacita grazia del vincitore.