Titolo: Redemption
Fandom: Heroes/Il Padrino
Illustrazioni: Meravigliose illustrazioni a cura di
eryslash (spoiler per la fic; i lavori sono linkati singolarmente in mezzo al testo ma si possono trovare tutti insieme
QUI.)
Pairing: Peter/Claire, Nathan/Peter (vaghi accenni a Peter/OCs)
Rating: NC-17
Conteggio parole: 10600 (W)
Warning: Incesto, underage, violenza.
Spoiler: Nessuno per Heroes (a parte alcune citazioni che comunque richiedono la conoscenza della serie per essere colte - e i riferimenti basilari sui personaggi nominati); diversi per Il Padrino I.
Grazie a:
snopes_faith,
eryslash,
juliettesaito e vari pre-lettori per tutti i pompon sventolati e l'amore sparso, e alla dedicataria d'onore,
kimmy_dreamer, che mesi fa mi ha costretto a uscire dal mio sicuro angolino Petrellicest e a buttarmi in questa... cosa chiamata het. Dio, che ho fatto.
Note: Sequel più o meno ufficiale di
Godblessed. Le due fic possono essere lette indipendentemente, ma credo che "Redemption" abbia molto più senso come sequel che come one-shot.
Riassunto: Maggio 1947. Dopo due anni, Peter Petrelli è tornato a casa dalla Sicilia, ma qualcosa è cambiato. Ora c'è Claire, la figlia di Nathan perduta da anni che Angela ha deciso di riunire alla famiglia. Claire non è felice di stare coi Petrelli; Peter è felice che lei ci sia. Nathan deve tenerli a bada entrambi.
Part 1 | Part 2 |
Part 3 Dopo il fallimento del tuo progetto, Nathan (o tua madre, non sei sicuro) prende qualche precauzione per assicurarsi che lo “spiacevole evento” non si ripeta. Per cominciare, le uscite in macchina sono abolite. La cosa non è esplicita - nessuno pronuncia la parola “abolire” - ma l’autista viene incaricato di andare a prendere Claire all’uscita dall’istituto e accompagnarla in città ogni volta che ha voglia di prendere un po’ d’aria, e il vostro autista ha un’idea molto precisa delle gerarchie in casa vostra. Era l’autista di tuo padre.
Noah Bennet è stato messo al corrente di tutto, e sei sicuro che sia stata tua madre a fare la telefonata. Quando Claire ha messo giù la cornetta, aveva l’espressione più pallida e desolata che tu le abbia mai visto, e alla tua domanda se tutto fosse a posto ha risposto “Sì” con lo stesso tono di Nathan quando ti ha chiamato un anno fa per dirti di venire subito a casa. (Tuo padre era appena morto sul ciglio di una strada con sette proiettili nel petto.)
In casa potreste vedervi e parlare come al solito, ma un paio di volte di troppo hai colto un’ombra e un rumore di tacchi alle tue spalle. I tuoi rapporti con Nathan sono gelidi e ci sono tutti i presupposti perché continuino così, e Claire sembra ancora più depressa del solito, indubbiamente per colpa tua.
Finisci per trovare più confortevole la solitudine del tuo appartamentino da studente, con i resti polverosi della tua vecchia vita. Erano anni che non ti sentivi così inutile, così alla deriva. Ammetti con te stesso che sì, ancora una volta hai rovinato tutto. Ma contrariamente a quello che si dice, ammetterlo non ti fa sentire meglio. L’ultima volta che ti sei sentito così, hai dovuto arruolarti e farti spedire dall’altra parte del mondo perché i pezzi della tua vita andassero nella giusta prospettiva.
Hai messo la caffettiera sul fornello e ti sei buttato sul materasso cigolante, la camicia fuori dai pantaloni e la barba sfatta, spiegazzato, spettinato, con le scarpe buttate ai lati opposti della stanza. Sei l’epitome del barbone, e ti fa ridere ripensare a quando ti sei aggirato tra le rovine bombardate di Dresda e nel ricordo questo appartamento ti è sembrato vergognosamente lussuoso. Per un certo periodo, qualsiasi buco con un tetto sopra la testa ti è sembrato vergognosamente lussuoso.
Quando senti una chiave armeggiare dentro la toppa e la porta aprirsi con un cigolio sofferente, spingi la mano sotto il cuscino, alla pistola, per un’abitudine forzata che non ti riuscirà mai naturale.
È Nathan, sempre gloriosamente fuori posto in mezzo al caos della tua vita. Dal fondo della camera da letto lo vedi ficcarsi le chiavi nella tasca dei pantaloni. È venuto solo.
“Come sei venuto te ne puoi andare” annunci ributtandoti disteso. Sono le quattro del pomeriggio, non è l’ora per un chiarimento fraterno. Per quanto ti riguarda, quell’ora è ancora lontana dall’arrivare.
Nathan si aggira lentamente per la casa, una mano in tasca intorno alle chiavi appena posate, come se stesse meditando di tirarle nuovamente fuori e andarsene davvero. Si sposta nell’angolo-cucina e solleva leggermente il coperchio della caffettiera, constatando a che punto è.
“Dobbiamo parlare” esordisce, come mille altre volte. Apri la bocca per replicare, ma lui ti precede: “Risparmiamoci la parte in cui tu dici che non c’è niente di cui parlare e andiamo avanti come due idioti per un quarto d’ora”.
Resti immobile e in silenzio, finché, sempre con la massima calma e lentezza, Nathan appare sulla soglia della stanza da letto.
“Se ti dico che non voglio parlare farai venire i ragazzi a convincermi?”
“Conosco qualche metodo anch’io” ti risponde placido.
Ti passi una mano sulla faccia e sospiri. “Parla.”
“Mettere Claire su un aereo alle sei di mattina non è il modo giusto per convincermi che ora sei in grado di prendere decisioni.”
Ti tiri a sedere, sentendoti avvampare le orecchie. “Che cazzo c’entra? Non lo stavo facendo per me. Lo stavo facendo per Claire.”
“Ah” commenta Nathan, sedendo sul bordo del letto, lontano da te. “Non per dimostrarmi che puoi fare di testa tua e che io non posso impedirtelo?”
“Questo non c’entra un cazzo” ribatti, feroce.
“Bene, allora.” Nathan guarda dall’altra parte, come se ci fosse qualcosa d’interessante nel colore del muro. “A Bennet non è piaciuta molto la tua iniziativa.”
“Gli sarebbe piaciuta se gli avessi riportato Claire” macini tra i denti.
“Non so quanto gli sarebbe piaciuto che io lo sospettassi di aver organizzato la cosa.”
“Ma…”
“Dopodichè avrei potuto mandare qualcuno a riprendermi mia figlia, e non fargliela vedere mai più finché vive.”
La sua faccia è orribile, così inespressiva.
“Non l’avresti fatto.”
“No?”
“Ti conosco. Non l’avresti fatto. Cristo santo, Nathan!”
“Tu non sai la metà delle cose che ho fatto.” Ti guarda con fermezza, con quel qualcosa di pericoloso che gli ritorna nello sguardo. Puoi vederlo che è stanco. Stanco di te. “Io ti amo, ma tu devi smetterla di fare tutto quello che ti passa per la testa.”
“Tu non capisci” è tutto quello che riesci a replicare. “Tu non capisci” ripeti, più fermo. “Tu non le hai visto gli occhi, Nathan, perché se li avessi visti sapresti che non ne può più di stare in quella casa.”
“La conosci da tre mesi. Smettila di drammatizzare.”
“Bastano tre minuti per capire che le stai rovinando la vita.”
Nathan si gratta pensosamente la nuca, come sempre fa quando qualcosa lo mette a disagio. Di solito succede quando ne hai sparata una particolarmente grossa, come se averla sentita lo imbarazzasse per te.
Alla fine ti guarda e dice con tono chiaro, leggermente riluttante: “Senti, Peter. Claire non è te. E io non sono Papà. Questa non è la replica della tua vita. Prima lo capisci e meglio sarà per tutti”.
Questo ti lascia senza parole. Nathan ti guarda pacato, aspettando che l’informazione venga ingoiata e digerita per bene. Siccome ti conosce meglio di te, sa che ci vorrà del tempo - parecchio tempo - prima che tu capisca davvero, e ancora di più prima che tu lo accetti. Ma non importa; Nathan è abituato ad aspettarti.
“Voglio che tu stia in famiglia” ti dice intanto, penetrando con voce calma il tuo momentaneo stordimento. “E dovresti pensare a trovarti un lavoro decente. A fare qualcosa della tua vita. Questo appartamento è una fogna.”
“Mi piace così” ribatti, ma non è chiaro a cosa ti riferisci.
La caffettiera gorgoglia selvaggiamente nell’altra stanza.
Nathan allunga una mano a darti uno schiaffetto - o forse una carezza - sulla guancia. “Il caffè è salito” ti avvisa, spostando la mano sul lato del tuo collo. Con quel tono, potrebbe essere la cosa più romantica che ti abbia mai detto.
Gli afferri il bavero della giacca, torcendo la stoffa nei pugni, e lo strattoni scattando in ginocchio sul materasso. Cogli un’ombra di sorriso a un angolo della sua bocca prima di coprirla con la tua, ferocemente. Non dovrebbe essere così facile far evaporare la tua rabbia - per nessuno, neppure per lui. Gli mordi le labbra, ricevendo un lamento e un leggero sapore di sangue sotto la lingua. Nathan ti stringe la spalla nella mano come per tenerti a distanza e al tempo stesso impedirti di scappare.
“Vaffanculo” gli ringhi sulla bocca, sfilandogli la giacca dalle spalle. Lui ti lascia fare e intanto ti bacia il collo, mentre tu gli sbottoni la camicia e gli tiri giù le bretelle.
“Giù” ti ordina, spingendoti lungo disteso sulla schiena. Ha sulle labbra quel sorrisetto che hai immaginato di spaccargli a pugni, ma basta l’ombra di una goccia di sangue strisciata sul mento a donargli una sfumatura meno perfetta, più fragile. Gli passi le braccia intorno al collo, premendo la bocca sul suo mento, passando la punta della lingua sulla fossetta e lasciandola risalire a leccare via il sangue, fino a spingerla con forza tra le sue labbra. Con un mugugno d’approvazione, Nathan ti inchioda al letto.
Il suono incerto del campanello vi paralizza. Nathan alza lo sguardo, poi lo riporta su di te con aria diffidente. “Chi è?”
“Non lo so. Non importa. Non ci vado.”
“Aspetti qualcuno?”
“Non mi scopo nessuno, se è questo che vuoi sapere.”
“Se voglio saperlo non ho bisogno di chiedertelo.”
Lo guardi minaccioso, ma Nathan spezza le labbra in una specie di sorriso e si sposta verso i piedi del letto, lasciandoti alzare. Tu ti riabbottoni la camicia e la risistemi dentro i pantaloni, recuperando le scarpe, mentre Nathan ti strofina un pollice contro la gola per cancellare una sbiadita ombra di sangue.
Infastidito dall’interruzione, ti richiudi la porta della camera da letto alle spalle e spegni il fuoco sotto la caffettiera. (Il caffè è traboccato tutto fuori e ha iniziato a bruciarsi. Grazie, Nathan.) Apri la porta mentre un secondo scampanellio, ancora più flebile, inizia a…
Lei ti guarda dalla soglia, leggermente a disagio. Senti il suo sguardo ispezionare il tuo disordine, i capelli arruffati e le labbra arrossate e gonfie, e il disagio crescere e crescere fino a coagularsi in due chiazze rosse dentro le guance.
“Ciao, Peter. So che è un po’ improvviso e che avrei dovuto avvisarti prima, ma io… Spero di non disturbare. Forse stavi riposando?”
Sorridi, cercando di nascondere un’ombra di disagio. E se fosse arrivata dieci minuti dopo? “Entra” le dici semplicemente, facendoti da parte. Quando Claire entra in casa, distingui la sagoma dell’autista dentro la macchina parcheggiata di fronte alla tua porta.
“Sono passata solo un attimo a salutarti” dice lei, seguendo il tuo sguardo. Si stringe le mani, nervosa. “Stai bene?”
“Sì. Eri preoccupata?”
Le fai cenno di sedere sul divanetto scalcagnato, quello con gli strappi malamente nascosti dai cuscini. In un paio di punti, se non si fa attenzione, si rischia di sprofondare come nella gelatina.
“No… Okay, un po’” ammette. “È che sono tre giorni che non vieni a casa e ho pensato che magari, che se qualcosa non fosse a posto lui non me lo direbbe.”
“Certo che te lo direbbe” replichi.
Claire ti guarda trattenendo un sospiro infelice. “Non mi ha visto uscire” ti informa. “È uscito con la macchina prima di me.”
“Mia madre era in casa?”
“Sì.”
Chissà perché Claire è convinta che Nathan sia il problema.
Poi lei si sporge verso di te e ti abbraccia. Sotto la giacca ha una camicetta castigata che la fa sembrare più vecchia e ha un odore nuovo di donna, un lieve miscuglio di profumo, sapone e pelle pulita. I suoi capelli ti ricoprono la bocca come una piovra. “Mi sei mancato” mormora al tuo orecchio. “È un inferno senza di te.”
“Lo so” rispondi, desiderando stringerla, ma sei improvvisamente consapevole del fatto che Nathan è a pochi metri, separato da voi da una misera porta di legno. Quando senti il cigolio dei cardini, allontani Claire rimuovendo prontamente le mani dai suoi fianchi.
Nathan è quasi perfettamente in ordine, ma il “quasi”, su Nathan, ha un effetto sconcertante. Sono minimi dettagli, e se tu non fossi tu forse neppure li noteresti: un minuscolo ciuffo strappato alla brillantina e ricaduto sulla fronte; un lato del bavero leggermente più alto dell’altro; quel piccolo taglio sul labbro, quasi invisibile se non fosse ancora così fresco. Tu, essendo tu, li trovi indizi più espliciti che se fosse uscito dalla stanza da letto completamente nudo.
Claire distoglie lo sguardo. Nathan contempla la scena per un secondo, poi annuncia con voce pacata, dalla quale non immagineresti mai che fino a pochi minuti fa ti stesse scopando la bocca con quella stessa lingua: “Sto tornando a casa. Ci vediamo a cena”. Ti guarda.
Tu annuisci. Per la prima volta da quando Claire è entrata in famiglia, vedi Nathan indugiare di fronte a lei, incerto se salutarla e come (di solito si limita a un cenno a distanza). Alla fine le appoggia una mano sul braccio e le preme sbrigativamente le labbra sulla tempia. Claire si irrigidisce all’istante, ma Nathan è già andato.
“Che cos’era?” mormora Claire, sbattendo le palpebre.
“Nathan ti vuole bene” rispondi automaticamente. Sei vagamente sorpreso anche tu.
Lei alza lo sguardo su di te, con una luce di comprensione negli occhi. “Avete parlato?”
“Qualcosa del genere.”
Il suo sguardo si rabbuia. Puoi quasi sentire le rotelline dentro la sua testa girare e ticchettare; vedi i suoi occhi passare in rassegna lo stato dei tuoi capelli e il tuo collo, dove senti ancora un formicolio leggero. E poi c’è il labbro tagliato di Nathan… “Avete litigato, vero?”
“È tutto a posto, Claire” le dici in fretta.
“Non ti ha fatto male, vero?”
Sorridi, ma tutta storta com’è la tua bocca sembra piuttosto una smorfia. “Forse io ne ho fatto a lui” butti lì, e lei lascia cadere l’argomento.
Nei pochi minuti che passate insieme, Claire ti racconta di Debbie, che è stata scoperta ubriaca sul retro del cortile, vicino alla recinzione che divide la sezione femminile da quella maschile. Era tutta rossa in faccia e blaterava di aver visto Claire lanciarsi dal tetto dell’istituto e atterrare senza un graffio. In realtà Claire aveva solo scalato il cancelletto della scala antincendio ed era scesa di corsa perché era in ritardo per le lezioni, ma da dove si trovava Debbie la scala era coperta alla vista. La cosa ti fa ridere, perché tutti e due odiate quella gallina di Debbie.
Quando infine l’accompagni alla porta, perché, parole sue, “lui l’ha vista ed è meglio vada, adesso”, lei ti abbraccia una seconda volta e ti domanda se verrai davvero a cena. Tu annuisci, accarezzandole la schiena col palmo della mano. Sotto le dita e la stoffa leggera della camicia, potresti contare le sue vertebre una ad una.
“Cercherò di stare di più a casa” le prometti, spostandole i capelli dalla guancia. Ripensi a Nathan, al suo “Voglio che tu stia in famiglia”, prima di appoggiare le labbra sulla tempia di Claire e lasciarle lì per qualche secondo. “Mi dispiace di aver combinato un casino. Con la storia del volo e tutto il resto.”
“È tutto a posto” mormora lei. “Peter?”
Ti ritrai per guardarla negli occhi.
“Tu mi vuoi bene?”
“Molto” rispondi.
Poi hai le sue labbra sulle tue, ancora fresche del ricordo di Nathan, e la sua mano che si aggrappa con dita scivolose alla tua spalla. È un bacetto da niente, in realtà, un contatto superficiale che appena tenti di assaporare è già scomparso. Ma tu le passi le dita tra i capelli, affascinato, e le insegui la bocca coprendola di nuovo con la tua. La tua mano libera si apre contro il legno della porta, e con un sussulto leggero la schiena di Claire vi viene spinta contro. Le sfiori la lingua con la tua, bevendoti la sua sorpresa e il lieve, lievissimo tremore delle sue spalle che si spegne quando ti stringe le braccia al collo.
“Potresti restare ancora un po’” mormori sulle sue labbra, accarezzandole le spalle. “Potremmo andare a casa assieme più tardi.”
Lei ti guarda con la faccia che brucia, ma con quello che ti sembra un notevole sforzo di volontà risponde che non saprebbe come spiegarlo a… a lui. Per un attimo pensi di averla spaventata e che fuggirà da te, ma lei si fa avanti per un secondo bacio che sa di scuse.
“A cena, allora?” le domandi.
“A cena.” Sorride come si sorride al complice di un segreto; poi ti lascia solo.
Intorno al divanetto c’è ancora, persistente, il profumo di Claire. Se tornassi in camera da letto sai che sentiresti distintamente, tra le lenzuola, l’aroma della colonia di Nathan. L’odore del caffè bruciato li copre entrambi.
Part 3