[Sherlock Holmes] All that is left, all that I hide (1/3)

Jun 17, 2010 22:41

Titolo: All that is left, all that I hide
Fandom: Sherlock Holmes
Pairing: Holmes/Watson, Watson/Mary
Rating: NC-17
Conteggio parole: 17.700 (W)
Note: Cominciata l'anno scorso per un progetto con laurazel che purtroppo non è andato in porto, l'ho finita da qualche mese ma la posto solo ora che sono riuscita a trovare un po' di tempo. È lunghetta, angsty e parla dei due temi che mi riescono più ostici in questo fandom: il matrimonio di Watson e la cocaina. Ma siccome almeno una fic su queste due cose l'hanno scritta tutti, eccoci qua.
Riassunto: Autunno 1890. Watson ha un matrimonio da gestire e un caso per Holmes. Holmes ha una dipendenza da gestire e un problema con Watson. Nessuno dei due è molto bravo a fare quello che deve fare. Seguono angst, complicazioni, e un giallo.

Quando raggiunsi l’appartamento di Baker Street che per molti anni avevo diviso con il mio amico Sherlock Holmes, erano da poco passate le otto di una sera d’autunno del 1890. Nel pomeriggio gli avevo spedito un telegramma per avvisarlo che sarei venuto, aggiungendo che avevo necessità di parlargli di una questione piuttosto grave, per la quale intendevo richiedere il suo intervento.

Da qualche tempo i miei tentativi di mettermi in contatto con Holmes si erano rivelati vani, cosa che mi aveva frustrato non poco; tanto che, pur non avendo ricevuto risposta, avevo deciso di presentarmi ugualmente all’appartamento e scoprire di persona se, come credevo, Holmes stesse apertamente cercando di evitarmi o se piuttosto non avesse per le mani qualche importante affare del quale non aveva voluto mettermi a parte.

Mrs. Hudson mi accolse con la familiarità di sempre, e mi rimproverò, come ogni volta faceva, l’infrequenza delle mie visite. Mi informò che Holmes era in casa dalla mattina. Non metteva piede fuori di casa da diversi giorni.

Di per sé non si trattava di nulla di strano: quando non aveva casi su cui lavorare, Holmes era solito restare in salotto e languire pietosamente finché qualcosa non lo distoglieva dall’inattività. Ma se davvero fosse stato così, mi sarei aspettato che accogliesse con entusiasmo la notizia che avevo un caso da sottoporgli; o quantomeno che rispondesse ai miei telegrammi. Mi sarei aspettato almeno un guizzo di curiosità.

Aprii la porta del salotto seguendo la pessima abitudine di entrare senza bussare in quella che, fino a poco tempo prima, era stata anche casa mia. La stanza era stata usata di recente, ore o forse minuti prima, come dimostravano il fuoco del camino, morente ma ancora acceso, e il divano dalla fodera leggermente gualcita. Sulla mensola del camino stava la ciotolina con gli avanzi di tabacco della giornata, piuttosto scarsi. Il tavolo di chimica sembrava inutilizzato da qualche tempo.

Automaticamente il mio pensiero andò alla camera da letto di Holmes, e pertanto la raggiunsi e bussai alla porta con fermezza. Non era affatto tardi; Holmes doveva aver finito di cenare da non molto e dubitavo che stesse già dormendo. Quando non giunse alcuna risposta, provai a bussare una seconda volta.

“Holmes? Sei lì?”

La porta non era chiusa a chiave. La aprii molto lentamente, con qualche riserva. Molto raramente Holmes mi aveva ammesso nella sua camera, ed io non mi ero mai permesso di entrarvi in sua assenza. Una sola volta l’avevo raggiunto lì senza essere stato invitato, e il mattino dopo Holmes aveva messo in chiaro che, per quanto indubbiamente gradita nell’immediato, una violazione del genere non sarebbe stata tollerata una seconda volta.

La camera era vuota, il letto disfatto. Sospirai, avvertendo un principio di esasperazione, e uscii richiudendo la porta.

Non c’erano alternative: inforcai le scale e mi diressi al secondo piano. Non riuscivo a concepire una ragione logica per cui Holmes dovesse trovarsi lì; dopo il mio trasloco, la stanza era rimasta nuda e vuota come tutte le camere sfitte. Ma io non sono Sherlock Holmes, e non credo che tutto muova da ragioni logiche, neanche Holmes stesso. In questo caso sospettai che le ragioni, se ce n’erano, fossero d’altra natura.

“Holmes? Sto entrando.”

La visione che mi accolse al mio ingresso fu delle più pietose e disturbanti. Le tende erano tirate, un lume fioco acceso sul comodino accanto alla custodia di marocchino, aperta, con l’ago ipodermico poggiato sopra. Su quello che era stato il mio letto giaceva Sherlock Holmes, il mio amico Sherlock Holmes, la mente più geniale d’Inghilterra, completamente prostrato, un braccio piegato sopra la fronte e l’altro allungato oltre la sponda, la manica della vestaglia e quella della camicia arrotolate insieme sul braccio e una stilla di sangue scintillante nell’incavo del gomito. La vestaglia aveva i lembi aperti e gli pendeva sghemba dalle spalle; la cintura era allentata in vita, come se avesse tentato di spogliarsi senza ricordare di slegarla. Gli abiti al di sotto erano nel più completo disordine: la camicia strappata all’orlo dei pantaloni, i primi bottoni aperti fino a metà del torace e i calzoni sbottonati e altrettanto la biancheria sotto di essi.

Mi affrettai a richiudermi la porta alle spalle, preso dal timore irrazionale che Mrs. Hudson potesse trovare Holmes in questo stato.

Lo scatto della serratura parve ridestarlo dal suo torpore. Improvvisamente aprì gli occhi nella mia direzione con un moto secco delle palpebre, non con il tremolio incerto di chi si risveglia. Mi squadrò da capo a piedi con molta calma.

“Mi dispiace.”

“Cosa, Holmes?”

“Che tu abbia litigato con tua moglie.”

“Non ho litigato con Mary.”

“O Mary ha litigato con te. È la medesima cosa.”

“Non c’è stato alcun litigio, Holmes” dissi con una punta di impazienza.

“No? Eppure è giovedì.”

Pensai che fosse l’effetto della cocaina a farlo sragionare, tanto le due affermazioni suonavano incongruenti l’una con l’altra. “Amico mio, confesso che non ti seguo.”

“Il giovedì tu e tua moglie siete soliti uscire per una passeggiata prima dell’ora di cena, dopo che hai chiuso l’ambulatorio. Eppure non hai neanche l’ombra di una macchia di fango sulle scarpe.”

“Mary è andata a trovare una parente fuori città.”

“E dunque è di un’altra donna quel capello biondo sulla tua spalla?” Holmes mi guardò senza l’ombra del solito divertimento che accompagnava le sue deduzioni nei miei riguardi. “No, tua moglie è a casa, ad aspettare che torni a dirle che ho accettato il caso. E tu sei irritato perché temi che anche stavolta dovrai riferirle che non sei riuscito a parlarmi, e magari inventare una bugia fantasiosa sul mio stato di salute.”

“Non potrei certo dirle che l’uomo per cui sono solito profondermi nelle lodi più alte ha rifiutato di prestar soccorso a un amico perché in preda ai fumi della cocaina” replicai, con una certa freddezza.

“Perché no? Se il caso si rivela abbastanza interessante, lo dirai a tutta Londra.”

Mi sentii tremendamente oltraggiato. “Non so che razza di uomo mi giudichi, Holmes, ma se davvero pensi che potrei mai rendere pubblica la disdicevole scena cui sto assistendo, sei in errore. Se Londra sapesse la metà delle cose che so io…”

“Se tua moglie sapesse l’altra metà” mi sferzò la sua voce.

Strinsi i pugni in un moto di rabbia, ma li disserrai un attimo dopo. Questo era Holmes, mi dissi, e questa solo la terza o quinta o ventesima replica di una scena che avevo già visto. Adirarsi con Holmes era inutile quanto adirarsi con un temporale estivo, e incolpai il nervosismo di avermelo fatto dimenticare.

L’espressione di Holmes si raddolcì. Batté la mano sul bordo del materasso con un gesto amichevole. “Siediti qui per un attimo mentre svanisce l’effetto, vuoi?” disse piano. “Oggi il torpore sembra riluttante a lasciarmi.”

“Quanto tempo è passato dall’inoculazione?” gli chiesi, la preoccupazione professionale e quella personale inestricabilmente legate insieme.

“Un paio d’ore. Non so. Non ero del tutto in me.”

Sedetti cautamente sulla sponda del letto, fissandolo dritto negli occhi ed evitando che il mio sguardo vagasse verso altre parti del suo corpo. Ancora dopo un anno, il semplice pensiero - prima ancora della vista - di quell’esemplare di umana bellezza era sufficiente a compromettere del tutto la mia capacità di giudizio. “Vorrei davvero che tu potessi smetterla di farti del male in questo modo, Holmes. Negli ultimi tempi mi sembra che vada sempre peggio.”

“Sì, e cosa ne deduci, mio caro Watson?” replicò Holmes.

“È colpa mia. Lo so. Lo so bene. Lo so senza che tu me lo ricordi. Non c’è momento della giornata che il pensiero cessi di tormentarmi.”

“Non temere” disse Holmes, soffocando uno sbadiglio. “Non mi lascerò morire come un qualunque oppiomane in una fumeria malfamata. Non ho molto rispetto per me stesso, questo è vero, ma è ancora sufficiente a farmi trovare la prospettiva ripugnante.”

“Holmes, ti prego…”

“Di cosa, mio caro?” replicò, con un sorriso opaco.

“Di non parlare così. Ti prego di cessare questo discorso all’istante.”

“Hai ragione, è un pessimo argomento di conversazione” rispose Holmes, passandosi stancamente le dita tra i capelli. “Ho ricevuto i tuoi telegrammi. L’ultimo, in particolare, è un piccolo capolavoro. Certo l’attitudine dello scrittore fa tutta la differenza.”

“Se l’hai ricevuto,” ribattei, ignorando la sua provocazione ironica, “allora sapevi della mia visita. Se lo sapevi, perché - Holmes, perché hai voluto che ti vedessi in questo stato?”

“Speravo che non venissi.” Chiuse gli occhi. “Scusami. Voglio dire, speravo che venissi. Mi contraddico con una frequenza irritante, quando si tratta di te. Hai un effetto deleterio sulla mia ragione.”

“Se è un’elaborata maniera per suscitare il mio senso di colpa, Holmes, sappi che non ne hai bisogno.”

“No” disse Holmes. “No” ripeté, riaprendo gli occhi. “Mi devi perdonare, amico mio, davvero. Ho calcolato male i tempi.” Si sollevò su un gomito, e poi lentamente a sedere. Parve accorgersi solo in quell’istante dello stato dei suoi vestiti, e si tirò risolutamente un lembo della vestaglia sul corpo.

Mi alzai e gli offrii la mano. Holmes la accettò; le sue dita erano asciutte e gelate. Allora l’amicizia e l’affetto nei confronti del mio amico ebbero la meglio sull’irritazione e la preoccupazione per il caso che da qualche tempo mi tormentava; poggiai anche l’altra mano sulla sua e gli parlai con calore.

“Vedo che non stai bene, Holmes. Non voglio affliggerti con altri pensieri. Tornerò in un altro momento, se puoi farmi il piacere di dedicarmi un’ora del tuo tempo; dimmi tu quando.”

“Sciocchezze. Sto bene” disse Holmes, e per la verità adesso che era in piedi rassomigliava molto di più all’energico investigatore famoso in tutta Londra che al cocainomane infiacchito dagli effetti della droga. “Accompagnami in salotto e potrai parlarmi di tutto ciò che desideri.”

Mentre scendevamo le scale, mi venne istintivo volgermi un secondo verso la mia vecchia camera. Nessuno sapeva meglio di me che Holmes era un uomo infinitamente più sentimentale di quanto non tollerasse mostrare. Altre volte, constatarlo mi aveva procurato un fremito piacevole in mezzo al petto, ma adesso mi sembrava di avere una crosta gelida intorno al cuore, impermeabile al calore ma non al dolore, poiché il dolore vi si era annidato all’interno molto tempo prima.

“E come sta Mrs. Watson?” chiese Holmes all’improvviso, senza voltarsi. Si diresse risolutamente al caminetto quasi spento e gettò un altro ciocco nel fuoco, ravvivando le braci morenti con la punta dell’attizzatoio.

Mai una volta da quando mi ero sposato mi aveva chiesto notizie di mia moglie; tuttavia il tono era piano, senza traccia d’ironia, e perciò risposi cortesemente: “Sta bene, ti ringrazio. Mi prega di passarti i suoi saluti e di ricordarti che quell’invito a pranzo non ha mai smesso di essere valido, se mai volessi accettarlo”.

Holmes mi gettò uno sguardo da sopra la spalla. Aveva due cerchi scuri intorno agli occhi e mi sembrò molto sciupato, ma padrone di sé. “Sarebbe una magnifica scena, senza dubbio. Mi domando di cosa converseremmo, tua moglie ed io.”

“Di qualunque cosa, immagino. Siete entrambi ottimi conversatori.”

“E tu siederesti nel mezzo, il ritratto stesso della felicità.”

Sostenni il suo sguardo indagatore, che era capace - e chi poteva saperlo meglio di me? - di far vacillare uomini ben più forti e temprati di un semplice ex-medico dell’esercito. “Non nego che mi farebbe immenso piacere se tu e Mary andaste d’accordo. L’hai conosciuta, le hai parlato; sai che è una donna intelligente e di spirito.”

“Troppo intelligente. Se volevi che non sapesse mai nulla, avresti dovuto sposare una donna più stupida.”

Sedetti sul divanetto di fronte al fuoco, sospirando. “Non trascinarmi di nuovo in questo discorso, Holmes, ti prego.”

“No, certamente.” Holmes raccolse la pipa dalla mensola e si accomodò in poltrona, allungando le gambe in direzione del camino. “Parlami di questa faccenda, e non tralasciare alcun dettaglio. Se la storia ti preoccupa tanto da spingerti a chiudere l’ambulatorio con ben due ore d’anticipo, deve essere piuttosto grave.”

“Holmes, come… Davvero, Holmes, l’unico modo per sapere una cosa del genere è avermi spiato.”

“Al contrario, Watson, è la deduzione più semplice del mondo. Mi hai inviato il tuo telegramma verso le quattro e mezza; il tuo studio dista almeno un quarto d’ora a piedi dall’ufficio postale; volendo fare un calcolo grossolano avrai chiuso lo studio verso le quattro, piuttosto che alle sei com’è tua abitudine. Avresti potuto mandare qualcuno a sbrigare la commissione, naturalmente, ma data la natura personale della richiesta e i toni del messaggio, mi permetto di dubitarne.” Sorrise leggermente. “E adesso la tua storia, dottore, se non ti dispiace.”

Raccolsi le idee per un attimo. “Si tratta” esordii, con una punta di incertezza dovuta al mio trovarmi per la prima volta nella posizione del cliente invece che dell’assistente, “di Isa Whitney. Non presumo che tu lo conosca. È…”

“Il fratello di Elias Whitney del St. George’s, sì. In gioventù mi sono reso utile a suo fratello. Continua.”

Mi stupii, come sempre, per l’estensione e la vastità delle conoscenze di Holmes. “La moglie, Kate Whitney, è un’amica d’infanzia di Mary. Ricordi quando ci incontrammo in quella fumeria d’oppio in cui eri appostato sotto mentite spoglie? Ne seguì il bizzarro caso dell’uomo dal labbro storto.”

“Ricordo perfettamente. Per una frazione di secondo mi domandai se non fossi caduto anche tu nel vizio di cercare conforto nelle droghe dalle gioie della vita matrimoniale. Avevi l’aria circospetta di chi… Scusami, smetto di interromperti. Continua, ti prego.”

“Ero circospetto, come dici tu, Holmes,” risposi, “perché le fumerie non sono i miei luoghi di frequentazione soliti, e perché cercavo di distinguere Whitney in quella bolgia d’uomini alla deriva dei loro sensi. Comunque sia, una settimana fa Mrs. Whitney si è presentata alla mia porta in lacrime, raccontandomi di come suo marito fosse scomparso ancora una volta e non facesse ritorno a casa da quattro giorni. Non era la prima volta che Whitney mancava da casa; quella notte in cui ci incontrammo si era assentato per ben due giorni, ma quattro? Non era mai successo. Mi sono perciò recato al ‘Bar of Gold’, cercandolo e chiedendo informazioni sul suo conto, ma mi dissero di non vederlo da più d’un mese. In questi giorni ho esteso le mie ricerche a un buon numero di fumerie della Upper Swandam Lane e delle zone circostanti - esperienza che, ti confesso in tutta sincerità, spero di non dover ripetere troppo presto - ma di Isa Whitney non ho trovato la benché minima traccia. Oggi fanno dieci giorni da quando sua moglie l’ha visto per l’ultima volta. La scomparsa è stata denunciata alla polizia, naturalmente…”

“Chi si sta occupando del caso?” mi chiese. “O meglio, chi non se ne sta occupando?”

“Hopkins.”

“Bene. Continua.”

“Non c’è molto altro da dire. Mrs. Whitney teme che il marito si sia perso in qualche quartiere malfamato e sia stato derubato e malmenato, forse perfino ucciso, oppure investito da una carrozza mentre non era in sé. La povera donna è assolutamente disperata.”

Holmes si premette l’indice sulle labbra, meditando. “Una settimana fa, dici. Il tuo primo telegramma è di lunedì. Perché hai aspettato tanto a chiamarmi?”

Non potevo dirgli che dopo il nostro incontro di due settimane prima e la risoluzione del caso di Miss Violet Hunter l’avevo avvertito caro come non mai, preziosa e insostituibile presenza nella mia vita, e avevo sentito la mia volontà vacillare con un’intensità che mi aveva spaventato. Non potevo dirgli che avevo timore di rivederlo, perché non sapevo se sarei stato abbastanza uomo da rispettare i voti fatti a mia moglie. Non potevo dirglielo, ma Holmes lo sapeva ugualmente.

“È stata una decisione sconsiderata” continuò, impietoso. “L’unico a patire le conseguenze dell’aver anteposto le tue ragioni personali alla via più logica sarà Mr. Whitney.”

“In quale parte di questo processo alle intenzioni si colloca il fatto che se non mi fossi presentato di prepotenza a casa tua avresti continuato a ignorare i miei telegrammi?”

“La parte in cui, in questi ultimi quattro giorni, dubito d’esser mai stato lucido per più di mezz’ora di seguito.”

Mi passai le mani sulla faccia, sconvolto ed esasperato. “Ma santo Dio, Holmes” mormorai nella coppa dei palmi.

“Non è una giustificazione, ovviamente” continuò Holmes, senza espressione. “Siamo colpevoli entrambi dello stesso peccato, sebbene le ragioni non potrebbero essere più diverse. Ora che lo sappiamo, vediamo di andare avanti.”

Alzai la testa. “Che cosa pensi di fare?”

“Cambiarmi d’abito e uscire. Sei pregato di attendermi qui fino al mio ritorno. Se hai necessità di comunicare a tua moglie che farai tardi, posso metterti Billy a disposizione.”

Fui sul punto di offrirmi di accompagnarlo, ma mi morsi la lingua. Se Holmes non richiedeva la mia compagnia, evidentemente essa non solo non poteva essergli utile, ma avrebbe forse rischiato di compromettere le indagini. Perciò mi limitai a rispondere che, prevedendo uno sviluppo del genere, avevo già avvertito mia moglie di non aspettarmi.

Holmes mi guardò in modo strano, ma non fece alcun commento. Mentre finiva di parlare si era già alzato dalla poltrona e ora si diresse verso la sua camera, chiudendovisi dentro per qualche minuto.

Quando riapparve, era di nuovo il vecchio cencioso che avevo incontrato al ‘Bar of Gold’ quando vi ero andato per la prima volta a recuperare Isa Whitney. Per il momento camminava ancora con la sua posa normale e col solito passo spedito, dunque l’effetto era quanto mai bizzarro, ma sapevo che appena varcata la soglia avrebbe assunto l’andatura curva e claudicante del vecchio frequentatore della fumeria.

“Presumo che tu intenda ritornare al ‘Bar of Gold’?”

“Precisamente” rispose Holmes, sistemando un sottilissimo capello nero all’interno della lunga parrucca canuta.

“Dubito che otterrai qualche informazione lì” gli dissi. “Sono abbastanza sicuro che non ne sapessero niente.”

“Permettimi di dubitare della bontà dei tuoi metodi d’indagine, Watson. Per dirne una, sono certo che tu ti sia limitato a interrogare i gestori del locale e non invece i clienti.”

“Come avrei potuto? Tra i tanti dubbi meriti dell’oppio non vi è quello di rendere più lucide e disponibili le persone che ne fanno uso.”

Holmes fece un sorriso nel riflesso scuro della finestra. “Ti do ragione sulla lucidità, ma saresti sorpreso di scoprire quanto più disponibile sia un uomo allucinato di uno padrone di sé. Sempre che gli si pongano le domande giuste, è chiaro.”

“Arte della quale tu sei maestro” replicai, stavolta senza traccia d’ironia.

“Ho i miei metodi” ammise Holmes. “Come recita il detto? ‘Serve un ladro per catturarne un altro’.”

Ci scambiammo uno sguardo nel riflesso della finestra, e solo per un attimo mi parve che quella di Holmes smettesse d’essere una smorfia di superiorità e diventasse piuttosto un sorriso vero, per quanto venato di profonda tristezza. Poi Holmes si volse nella mia direzione.

“Un paio d’ore dovrebbero essere sufficienti, ma non posso escludere che la cosa richieda più del previsto. Nel frattempo, fa’ come se fossi a casa tua.”

E prima che potessi raccomandargli di fare attenzione o augurargli buona fortuna, si era dileguato. Solo perché tendevo le orecchie per sentirlo, avvertii il rumore della porta sul retro che si richiudeva dolcemente.

Erano all’incirca le nove. Holmes non rincasò prima dell’una, e devo confessare non senza una punta di vergogna che mi trovò profondamente addormentato sul divano. Avevo ceduto neanche mezz’ora prima alla stanchezza della giornata, cui la visita all’appartamento di Baker Street aveva dato, per così dire, il colpo di grazia. Holmes mi svegliò scuotendomi piano una spalla, e quando aprii gli occhi me lo trovai vicino, accoccolato sui talloni. Era di nuovo se stesso, per quanto non la forma migliore di se stesso. Mi passai una mano sulla faccia.

“Scusami, Holmes. Di questi tempi dormo molto poco.”

Ruotando la mano di un quarto di giro, Holmes mi sfiorò la gola col dorso delle dita. Erano tiepide, ora, e anche un tocco così breve bastò a procurarmi un brivido. Sono certo che Holmes se ne accorse, perché il suo sguardo si accese di una curiosità che non aveva nulla di freddo o di analitico, una luce che conoscevo fin troppo bene. Ma fu solo un istante; Holmes ritirò la mano di scatto e si alzò in piedi, dirigendosi verso la vetrina dei liquori.

“Hai scoperto qualcosa?” gli domandai, mettendomi a sedere.

“Più di qualcosa, per la verità. È stata una serata moderatamente proficua.”

“Sono felice di sentirlo. Raccontami tutto.”

“La maggior parte della serata è andata sprecata ad ascoltare balbettii senza senso e deliri allucinati, ma infine la mia pazienza è stata ripagata.” Versò una misura di whisky in ciascun bicchiere e aggiunse una spruzzata di soda. Me ne porse uno e si ritirò nella sua poltrona con l’altro, e per mezzo minuto sorseggiò pacificamente il suo liquore come se non avesse altra preoccupazione nella vita. “L’uomo col quale ho parlato era ancora alla sua prima pipa. Ha riconosciuto Whitney facilmente; a quanto pare sono conoscenze di vecchia data, benché l’uno ignori il nome dell’altro. Così vanno le conoscenze da fumeria.

“Il nostro uomo ha visto Whitney uscire dal ‘Bar of Gold’ la notte del ventitré o del ventiquattro - è impossibile esser troppo sicuri della data - e salire in una carrozza, solo.”

“Sei certo che sapesse di chi stava parlando?”

“Assolutamente certo.”

“E se avesse sbagliato?”

“In quel caso ci ritroveremmo con una falsa pista in mano, invece che nessuna pista.”

Annuii. “A questo punto vorrai rintracciare quella carrozza, presumo?”

“C’è tempo” rispose Holmes. “Prima dovremmo discutere un’altra questione, di non minore importanza.”

“Di cosa si tratta?”

“Il mio onorario.”

Lo guardai decisamente sorpreso; non per ciò che aveva detto, ma perché Holmes non aveva mai introdotto un argomento del genere in maniera tanto brusca.

“Naturalmente, Holmes. Sarò lieto di farmi carico della spesa.”

“Presumevo che l’avresti detto.”

“È il minimo che possa fare. I Whitney non versano nelle migliori condizioni.”

“Bene. Per tua fortuna il prezzo è eccezionalmente modico, Watson, e consiste in una notte.”

“Una…”

“Una notte. Questa notte. Dormi con me stanotte e domani sera al più tardi Mrs. Whitney riavrà suo marito - vivo o morto, questo non è in mio potere stabilirlo.”

Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Holmes mi guardava con espressione impenetrabile.

“Di tutte le cose di discutibile gusto che ti ho sentito dire nella mia vita, Holmes, questa è la più indegna” dissi, la voce tremante di rabbia maltrattenuta. “La più indegna e la più oltraggiosa. Non sono un… cagnolino che corra ad accucciarsi ai tuoi piedi quando lo chiami!”

Un angolo della bocca di Holmes si incurvò in un sorriso sardonico. “Davvero? Quant’è curioso, allora, che tu mi debba trattare in questa precisa maniera, dottore.” Si alzò dalla poltrona, abbandonando il bicchiere sulla mensola del camino, e in un istante lo vidi incombere sopra di me, più alto e magro che mai, il fuoco alle spalle e il volto in ombra. “Quant’è curioso che tu debba ricordarti di me quando ti fa più comodo.”

“Ti ho chiesto aiuto per una persona che rischia la vita!”

“Non è a questo che mi riferisco.”

Distolsi gli occhi per un istante. Sapevo a cosa si riferiva, e fin da quando avevo messo piede nell’appartamento sapevo che prima o poi questa conversazione avrebbe avuto luogo. Era inevitabile. “È successo una volta sola, Holmes.”

“Così gran parte dei fenomeni che osserviamo, incluso l’unico, irripetibile atto del concepimento che ha generato te o me. L’unicità non lo rende meno gravido di conseguenze, se puoi perdonare il pessimo gioco di parole.”

“Holmes…”

“Ti dissi una volta di meditare su ciò cui stavi per acconsentire. Ti dissi…”

“Puoi ascoltarmi, per favore?”

“… ti dissi che la mia vita era completamente nelle tue mani. Hai pensato che fosse una metafora, dottore? O che lo dicessi solo per intrattenere un piacevole scambio di galanterie? Ma come ti aspetti che io possa…”

“Ho dovuto farlo. Holmes. Ho dovuto.” Lo guardai negli occhi, ma non vi trovai un’oncia di pietà. “Ci stavamo uccidendo a vicenda.”

“Quello che tu vuoi dire,” ribatté Holmes, gelido, “è che io ti stavo uccidendo, con le mie idiosincrasie, con la mia mancanza di qualsivoglia forma di romanticismo o di rispetto per i tuoi limiti, con le mie maniere autoritarie, con la mia freddezza. Allora ti prego, di’ quello che vuoi dire e risparmiami i giri di parole.”

“No. No.” Scattai in piedi, prendendo la sua mano. “Nulla di questo mi avrebbe spinto… Non avrei potuto. Se così fosse stato, la nostra amicizia sarebbe finita molti anni fa.”

“Allora spiegati meglio, Watson, perché non ho la minima idea di cosa tu stia parlando” ribatté Holmes.

“Sto parlando” risposi, senza abbassare mai lo sguardo, “del modo in cui ci ferivamo a vicenda, e della disastrosa influenza che aveva sulle nostre vite. Sto parlando di quella volta nel Kent, quando la mancanza della lucidità necessaria ti ha fatto perdere la traccia giusta che ti avrebbe condotto all’assassino di Mr. Meddlicott. Sto parlando di quella pallottola che per un soffio mi ha mancato la tempia, perché ero troppo distratto dal nostro ultimo litigio per curarmi di vivere o morire.” Gli appoggiai le mani ai lati del collo, e Holmes tentò di divincolarsi come un cavallo riluttante al morso, ma io lo tenni ben stretto. “Sono stato vigliacco, Holmes, e tu hai ogni ragione di odiarmi. Se preferisci, non ci vedremo mai più. Ma non mi pento di quello che ho fatto, perché non avevo altra scelta.”

“Parlarmene. Parlarmene sarebbe stata la giusta scelta.”

“Non mi avresti ascoltato.”

“Quando mai mi sono rifiutato di ascoltare un discorso razionale?”

“Tutte le volte che ti ha fatto comodo.”

Il pensiero di entrambi volò a quel suo tremendo vizio della cocaina, che lo stava divorando giorno dopo giorno. Holmes fece una smorfia.

“Stai mentendo, Watson” disse piano, come se un contatto così stretto gli stesse prosciugando le energie. “Non so perché tu te ne stia prendendo la briga, ma è così, e quant’è vero Dio non ti fa onore.”

Fu allora che, semmai ce ne fosse stato bisogno, diedi ulteriore prova della mia vigliaccheria: gli affondai le dita tra i ciuffi corti e sottili sopra la curva dell’orecchio e lo baciai, a tradimento. Lo amavo; lo desideravo più di ogni cosa al mondo; ma lo feci semplicemente perché non avrei sopportato di dover ascoltare o pronunciare un’altra parola.

Holmes diede un suono gutturale, come il lamento di un animale ferito, e in un attimo le sue mani furono nei miei capelli e la distanza tra i nostri corpi inesistente. Prendo a prestito un’espressione tanto cara alla moderna letteratura sentimentale quando dico che mi baciò come se dovesse morire l’indomani, con una forza e una disperazione che non mi erano sconosciute ma comunque mi stordirono con l’intensità di una valanga. Avvolgendomi un braccio intorno alla vita, Holmes si piegò su di me nell’apparente, impossibile tentativo di far aderire ogni porzione disponibile della reciproca pelle, e reclamò il suo possesso della mia bocca come di una cosa lungamente perduta.

Quando ci separammo per riprendere fiato, colsi un lampo delle sue guance arrossate prima che Holmes inclinasse il capo e lo affondasse voluttuosamente nell’incavo del mio collo, passandomi le labbra sulla carne tenera appena sotto il lobo dell’orecchio in una carezza squisita.

“Resta” bisbigliò, con voce leggermente roca, prendendo il piccolo lembo di carne tra i denti.

Questo ebbe il potere di risvegliarmi dalla frenesia in cui ero caduto, e con uno sforzo che mi parve immenso gli appoggiai le mani sul petto e lo allontanai risolutamente da me.

“Devo andare a casa” dissi con voce malferma.

Con ciò raccolsi in fretta la giacca e uscii senza guardarlo. Holmes, misericordiosamente, non mi fermò. Se l’avesse fatto, sono certo che la mia volontà si sarebbe sbriciolata come argilla male impastata e sarei rimasto con lui, quella notte e tutte le altre notti della mia vita.

Parte 2

fic, pairing: holmes/watson, language: italian, fic: sherlock holmes

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