Titolo: Apri gli occhi
Fandom: DC Comics
Beta:
cialy_girlPersonaggi:
Lena Luthor/
Allan Wilson (accenno Allan Wilson/
Mary Grayson)
Appaiono anche Leonor Wilson e Terrance, ovvero Slade Logan.
Rating: PG
Parole: 1.839 (arrivare a 1840 mi faceva schifo ù_ù)
Prompt:
Quello che non ho è te dalla mia parte (
khorakhane_ita) -
Dagaz (
24_runes) -
Got your back (
dcu_freeforall)
Disclaimer: Allan, Slade (Logan XD) e Leonor a parte figurati se mi appartiene qualcosa, blablabla non ci lucro, blablabla mi diverto.
Note: Può essere vista come una continuazione de
L'amore di un padre, ma sono ambedue oneshot che non necessitano l'una dell'esistenza dell'altra ù_ù
I primi tempi era tutto talmente bello da rasentare la perfezione. Allan si perdeva in quei discorsi del tipo “Il tuo cognome non vuol dire niente, puoi costruire il tuo destino, le persone sbagliano a giudicarti” che, davvero, le facevano un gran piacere - anche se ogni tanto il suo candore la rendeva perplessa -, e lei gli lasciava credere di essere solo una brava ragazza nata dai genitori sbagliati, nascondendogli la verità sotto strati di sorrisi e carezze. Eppure a volte lo coglieva a fissarla come se stesse cercando di capire chi fosse, come se avesse intuito che qualcosa di lei gli era stata negata. Lena sapeva di potersi esporre solo fino a un certo punto, prima che lui l’accettasse completamente e decidesse di stare dalla sua parte - prima che decidesse di essere felice, felice davvero.
Dalla parte dei bravi ragazzi non puoi essere felice.
Non se porti un cognome scomodo.
Poi, l’idea dei Teen Titans, un qualcosa per onorare i loro genitori, per aiutare le persone. In pratica: la sindrome del supereroe. Aveva già preso in considerazione la possibilità che Allan sarebbe potuto diventare uno di quelli, ne aveva tutte le caratteristiche - troppo dolce, troppo altruista, troppo buono.
Il dolore si presentò comunque.
Per entrambi.
Avevano passato l’ultima notte insieme per locali ultra-chic ad ubriacarsi e concedersi una sveltina dentro la limousine di papà, davanti all’aeroporto, con lui depresso e cupo come non mai, mentre Lena cercava di mostrarsi allegra e senza un pensiero al mondo. Appena finito di rivestirsi, con la stessa aria funebre, le aveva sussurrato: “Chiedimi di restare.”
Ci aveva pensato a lungo. Ci aveva pensato talmente tanto che non era riuscita a rispondergli, semplicemente. Sapeva che quella domanda lo avrebbe reso suo per sempre, ma forse Allan era più utile dall’altra parte dell’oceano, forse, un giorno, un ex fidanzato supereroe avrebbe rappresentato un grande vantaggio. Il fatto che lo stesse già catalogando come un oggetto - qualcosa da usare - e non più come una persona che lei amava, l’aveva resa totalmente incapace di porre quella domanda.
Somigli ogni giorno di più a papà, eh, Lena?
C’era una - seppur minima - possibilità che Allan riuscisse ad essere felice, senza di lei, e ovviamente pure Lena poteva benissimo vivere tranquillamente senza il ragazzo; anche se queste ipotesi le sembravano alquanto assurde e campate in aria. Un bacio - freddo - sulla guancia la riportò alla realtà quando ormai era troppo tardi; lui doveva salire su un aereo e sparire dalla sua vita, per sempre.
“Ti amo.” Lo aveva detto senza guardarla in faccia, uscendo dall’auto per raggiungere i suoi genitori e la sorella.
La risposta era stata un “Addio.” ad alta voce - Allan lo aveva sentito, si era bloccato un istante, come ferito da quella parola - in cui lei credeva. Pensava sinceramente che non lo avrebbe rivisto mai più.
Pensava di averlo salvato dalla donna che stava diventando.
Si era illusa davvero.
Neanche un anno dopo si era ritrovata a Gotham City, circondata da guardie del corpo, problemi di lavoro - pulito o sporco, sempre problemi dava -, e imbecilli dai costumi ridicoli, ansiosi di rinchiuderla in una cella e buttare via la chiave.
Più di tutti, Robin sembrava averla presa in antipatia: si faceva trovare in casa sua, l’accusava spesso e volentieri di crimini che non aveva commesso - permettere ad un delinquente di ammazzare gente nella propria zona non vuol dire uccidere -, metteva perennemente il naso tra i suoi lavori. Probabilmente, se Gotham non le avesse dato altri pazzoidi da controllare, Robin si sarebbe concentrata su di lei, rendendole impossibile i vari affari personali che aveva cominciato a svolgere per Lex. Ma la città era piena di criminali pronti a far casino, di conseguenza per Lena l’aiutante di Batman non risultava un problema.
Finché, tra una ricerca e l’altra, non aveva scoperto chi si portava a letto la cara Robin.
“Com’è scoparsi una supereroina?” non resistette all’idea di punzecchiarlo, né riusciva a nascondere quella nota di nervosismo e gelosia - tanto non sarebbe servito a nulla, che sia dannata la sua empatia.
“Lena, ti prego.”
“Noi Luthor siamo brutti e cattivi, pregarci non serve a niente. Piuttosto, parlami di lei. Sono curiosa. Le mie fonti dicono che è fidanzata.”
Il mezzo demone s’irrigidì. Veniva spesso a trovarla, ovviamente senza dire nulla al suo team, di solito per assicurarsi che lei non fosse immischiata in qualche casino o, semplicemente, per parlare un po’. In quelle occasioni cercava sempre di metterlo in difficoltà, con le spalle al muro, per fargli ammettere che l’amava ancora.
“Allora è questo. Il brivido di essere l’amante, l’altro uomo. Potevi dirmelo: non ci avrei messo tanto a trovarmi un ragazzo.”
“Non cambi mai.” Rise, e la mano, istintivamente, stava per accarezzarle la guancia, ma la ritrasse poco prima di sfiorarla. “Scusa.” Si affrettò ad aggiungere.
“Dopo avermi fatto un torto così grande, dovresti almeno baciarmi per rimediare, non credi?” gli gettò velocemente le braccia al collo, e Allan, voltando la testa, le stampò un bacio sulla guancia. “Non intendevo questo.” Mormorò scostandosi di poco, tenendo le mani sulle sue spalle.
“È una cosa seria tra me e Robin.”
“Talmente seria che lei sta con un altro.”
Si allontanò visibilmente seccato, cominciando ad evitare il suo sguardo - ok, forse aveva un tantino esagerato, ma qualcuno doveva pur aprire gli occhi a quel ragazzo.
“Ti voglio un gran bene, Lena. E ci tengo alla tua amicizia, davvero. Però sono innamorato di lei, e questo non si può cambiare.”
Sbagliava. Il fatto che lui amasse un’altra donna era un problema, sì.
Ma a tutto c’è rimedio.
I regali di suo padre si rivelavano sempre utili. Magari, nell’istante in cui li riceveva, Lena non capiva immediatamente l’uso che avrebbe dovuto farne, ma sapeva che un giorno le sarebbero serviti; li conservava tutti con la dovuta cura.
La prima cosa che Lex le aveva donato, appena arrivata in America, era il siero. Utilizzato da Slade prima sulla figlia e poi su Cassandra Cain, rendeva le persone fisicamente più forti e veloci, mentalmente più dipendenti e crudeli. Dopo averla guardata attentamente, nascose la siringa dentro al cassetto di fianco al letto. Allan arrivò in quell’istante.
“Mi hai chiamato? È successo qualcosa?” si guardava intorno, preoccupato. Percependo l’emozioni della ragazza cominciò a fissare lei, che ancora gli dava le spalle, la mano stringeva il pomello del cassetto. “Tutto a posto, Lena?”
Si girò lentamente, tenendo la testa bassa. “Potresti sederti?”
Lo sentì muoversi, si convinse a guardarlo solo quando entrò nella sua visuale per forza di cose, accanto a lei. “Lena?” prese posto al suo fianco, le sembrava di essere quasi in pericolo con il siero a poca distanza da lei. “Ehi…” le accarezzò la schiena e Lena non potè far a meno di appoggiarsi a lui, il suo profumo finalmente così vicino. Se ancora non la stava abbracciando era semplicemente colpa di Robin, della ragazza che glielo stava portando via.
“Ti fidi di me?” domandò, la voce insicura.
“Sì.” Aveva risposto velocemente e senza un minimo di incertezza. Dovette allontanarsi un po’ da Allan, voleva guardarlo in faccia, controllare la sua reazione. Chiese ancora:
“Ti fidi di me?” e di nuovo il: “Sì.” fu terribilmente deciso e risoluto. Appoggiò la testa al suo petto.
“Se ti fidi di me, allora, chiudi gli occhi. E non aprirli finché non te lo dico io, per nessun motivo.” Aspettò qualche secondo prima di allontanarsi definitivamente e assicurarsi che avesse obbedito: quando si decise le palpebre di Allan erano chiuse.
Si alzò, aprì il cassetto. Prese velocemente la siringa, ripetendosi che era l’unico modo, l’unico modo per fargli capire chi fosse davvero.
Il ragazzo non reagì mentre prendeva il suo braccio e lo girava, né quando l’ago penetrò nella pelle - solo strinse le palpebre, non provò nemmeno a chiedere cosa stesse succedendo.
Perchè lui si fidava
Gettò con rabbia la siringa ormai vuota, stringendo le dita del mezzo demone.
Perché, poi? Era semplicemente quel “resta con me” arrivato in ritardo.
Posò un bacio su quelle labbra che stavano diventando pallide.
“Adesso apri gli occhi, Allan.”
E sii mio per sempre.
Il mondo era diverso. O almeno, il suo modo di avvertirlo, di percepirlo, non aveva nulla a che fare con la persona che aveva chiuso gli occhi pochi minuti prima. La testa gli girava un po’ e sentiva una forte sete.
“Allan?”
Si voltò verso la proprietaria di quella voce. Non trovava Lena così bella da tempo - ultimamente gli sembrava così dimagrita, spaventata e crudele che la sua bellezza era passata in secondo piano, per lui, sempre presente ma insignificante. A quanto pare era tornata.
“Sto benissimo.” Disse, alzandosi di scatto con una velocità che non gli apparteneva. La testa cominciò a girare molto più forte, tanto che ricadde sul letto, perdendo l’equilibrio.
“Non mi sembra proprio.” La ragazza posò una mano sulla sua fronte. “Hai la febbre, Allan, forse dovresti restare…” il senso di colpa che provava era nascosto dalla preoccupazione, in quelle condizioni il mezzo demone non riuscì a percepirlo.
“No, stai tranquilla, mi sono solo…” e nuovamente si alzò, questa volta lentamente. “Starò bene. Davvero. Devo andare.” Sparì in una nuvola di fumo nero.
Tra i Titans, la prima a notare la differenza fu sua sorella. “Sembri plastica.” Lo accusava. “Dove diavolo sono finite le tue emozioni?” Poi Terrance, durante gli allenamenti. “Che diavolo ti prende? Mica mi devi massacrare!”
E tutti gli altri, che non capivano per quale motivo fosse diventato così violento - esagerato.
Mar’i non aveva notato niente, d’altra parte in camera da letto restava sempre il solito.
“Cosa. Cazzo. Hai. Combinato.” Leonor si era piantata davanti a lui, le braccia strette al petto.
“Ti preoccupi troppo.”
“Stavi per ammazzare un ladro, Allan. Hai perso il controllo. Tu non perdi mai il controllo!”
“Beh, forse per una volta in vita mia mi sono incazzato, va bene?!” le urlò contro.
Sentì immediatamente le emozioni di Ravager, come un getto d’acqua fredda. “Scusami, scusami, io…” non voleva fare del male alla sua sorellina, dannazione.
“Mi terrorizzi.” Si allontanò, e Jericho decise che doveva parlare con Lena.
“Oh. Sai il siero che tuo nonno ha usato su Rose Wilson? E su una Batgirl? Ecco.”
Era bellissima. La ragazza più bella del mondo. E sembrava pure semplice riprendersela: bastava avvicinarsi - avvicinarla - e tutto sarebbe andato bene. Le cose funzionavano così da un po’ di tempo a quella parte, sembrava facile e divertente - niente emozioni scomode.
“L’ho usato su di te. Quando ti riprenderai probabilmente mi manderai al diavolo e… comunque.” Posò sulla scrivania una valigia. “Questi sono gli unici flaconi che mi sono rimasti. Li avevo prodotti per te, però… uhm. Non voglio usarli. Puoi prenderli.”
Aprì la valigetta per controllare: c’erano almeno una ventina di fiale piene di un liquido verde. Il colore della speranza.
“Il siero non procura dipendenza e il suo effetto non è eterno. Tra un paio di giorni tornerai in te.”
Oh, che bello.
“Una siringa.”
Lena voltò la testa verso di lui. “Scusa?”
“Portami una siringa. Sono già in me.”
Lei sorrise.
“Sì. Ho aperto gli occhi.”
[FINE]