Titolo: You're one more dead composer
Titolo capitolo: You’re not the frist
Fandom: Originale
Parte: (
1) 2 (
3)
Beta:
cialy_girlRating: VM18
Parole: 1.022
Note: Violenza, morte.
Disclaimer: Tutto mio.
Il sesso è uno strumento per ottenere ciò che desideri. Il divertimento deve arrivare solo alla persona che ti porterà altri e nuovi vantaggi, tu sei un mezzo perché la persona in questione possa raggiungerlo nel modo più piacevole possibile.
Non hai mai pensato di poter rendere il sesso qualcosa di divertente per te, qualcosa di sadico e crudele.
Sorridi ad Harold. «Jill non c’è, ma tornerà a breve. Entra pure.»
È molto carino il fatto che abbia tentato di resisterti, davvero. Inizialmente ha chiesto di tua madre, pensando che una terza persona avrebbe distrutto l’atmosfera. Quasi ti sei messa a ridere nel momento in cui gli hai riferito che Leonarda è uscita a fare shopping, e che non tornerà prima di sera.
Come Jill. Ma questo non glielo hai detto.
Harold ha borbottato qualcosa tentando di trovare argomenti di conversazione, cercando di concentrarsi su di te, ma ha lasciato perdere appena ha capito che ogni frase uscita dalla tua bocca nascondeva un doppio senso. Poi ha cominciato a parlare di vostra madre, di Jill, di altra roba noiosa. Quando ha provato a parlare di Jill hai sorriso, raccontandogli dei suoi ex, di quanti fossero ad essere diventati i suoi fidanzati perché sognavano lei. Più in meno in quel momento ha smesso di opporsi e si è lasciato baciare. È buono, il sapore della vendetta.
Jill lo sa. Jill è troppo intelligente e schietta per non essersene resa conto. Ti guarda storto e tu ricambi con quel sorrisino da stronza che equivale ad una ammissione di colpa, ma non ad un pentimento. “Sì, sono stata io. E ci godo.”
Jill è silenziosa, resta silenziosa per tutta la settimana, per tutto il tempo che passi a scoparti il suo uomo. Jill è silenziosa quando entra nella stanza, con la mazza da baseball in mano e il vestito macchiato di sangue, anche mentre stai preparando la borsetta, cercando le chiavi della macchina. Jill è silenziosa mentre la alza, mentre tu sorridi - contenta e inconsapevole - con le chiavi appese al mignolo. Jill è silenziosa mentre ti colpisce.
Gli unici suoni sono quelli del tuo corpo e del portachiavi che cadono a terra.
Ti svegli al primo pugno.
Puttana.
Non sei sicura l’abbia detto, troppo intontita, e il secondo colpo non migliora la situazione.
«Puttana.»
La sua voce è calma, inquietante. Il calcio all’addome arriva senza che tu possa difenderti in alcun modo. Apri gli occhi e cerchi di capire.
Siete ancora in camera, tu seduta, le mani legate al letto - il nodo è piuttosto allentato, in realtà, pochi minuti basterebbero per liberarti - lei davanti a te, ora in piedi, continua a darti calci al fianco. Si ferma all’improvviso, si inchina, ti prende per i capelli. «Tutto. Potevi avere tutto.» sibila: «Perché, perché me lo hai portato via?» ti rendi conto che le sue mani sono sporche di sangue, ma non è il tuo sangue, né tantomeno il suo. «Costretta. Mi hai costretta.»
«Lo hai ucciso.» riesci a dire, sentendo forti fitte ovunque.
«Sì. Sì. Lo meritava. È quello che vi meritate. È quello che tutti voi meritate.» Fa per rialzarsi, con le gambe riesci a farla cadere indietro - lei, ovviamente, non se lo aspettava. Sbatte la testa sul comodino, e in quei pochi secondi che ci mette per rialzarsi, riesci a liberarti. Riesci ad allontanarti un po’ dal letto e ad avvicinarti al comò, quando lei ti salta addosso, quando riprende a colpirti. È troppo da sopportare, e a dirla tutta sei molto stanca. La lasci fare finchè non diventa tutto nero.
Alla mamma stavano strette molte cose, ricordi. Lei e tuo padre sono stati obbligati a sposarsi quando lei è rimasta incinta, avevano diciotto anni. Nelle foto sorrideva, ma era un sorriso talmente sofferto e falso da risultare doloroso. Fissava sempre l’obbiettivo e, a volte, teneva una mano sul pancione. Non in modo affettuoso, sembrava più che altro che volesse tirarlo dentro, nasconderlo. Non guardava mai papà e non lo toccava mai, era sempre lui a poggiare - quasi distrattamente - una mano sulla sua spalla o sul suo fianco. Lui aveva l’aria tranquilla di chi non dà importanza al proprio presente, di chi non pensa al futuro.
Hai passato giorni interi, da bambina, a bruciare quelle immagini, una alla volta, dopo averle osservate attentamente e impresse nella memoria.
Io non sarò mai così, dicevi a Jill. Lei annuiva, e insieme ricominciavate a bruciare, con calma. Era un po’ come ucciderli - e vi piaceva tanto.
Era un po’ come uccidere voi stesse.
E vi piaceva anche questo.
Ti svegli e lei non se ne rende conto, registri questo fatto come un tuo vantaggio. La senti camminare nella stanza, i suoi passi nervosi. Forse ti crede morta. Sei ancora davanti al comò, e a poca distanza da te c’è la tua borsetta, caduta mentre Jill ti picchiava quando eri svenuta, forse. Allunghi la mano - lentamente - e lei non lo nota. Riesci a prendere il coltello. Ti sembra un déjà-vu. Hai imparato presto che tutti gli omicidi si assomigliano, in fin dei conti, e capisci che non sarai tu a morire. Jill è forte e incazzata, ma tu hai anni e anni di carriera alle spalle. Per quanto non ti importi di vivere, vuoi provare a salvarti - senza un motivo preciso.
«Mh…» mugoli, per attirare la sua attenzione. La ragazza volta lo sguardo verso di te - ti fissa come se fosse la prima volta che ti vede, come se non riuscisse a capire cosa ci fa una tizia identica a lei in camera sua, mezza morta.
«Mary.» dice, trasognata. Si fionda al tuo fianco, ti scosta i capelli dalla fronte, con delicatezza: «Mary, Mary, Mary.» continua a ripetere.
Mi hai imprigionata. Mi hai imprigionata. Mi hai imprigionata.
«Oh, Mary.» ha le lacrime agli occhi quando finalmente i vostri sguardi si incontrano. Sembra così triste e disperata - così furiosa. Appena senti la presa allentare, capisci che se non la attaccherai adesso non succederà mai più. Sembra che Jill ti legga nel pensiero, lo sguardo corre fino ad arrivare al pugno che stringe il coltello.
«Oh, Mary.» dice un’ultima volta. Poi le infilzi il coltello nel collo.
Oh, Jill.
FINE SECONDO CAPITOLO
Note: - Il ragazzo si chiama Harold Shipman (
Harold_Shipman)
- Il titolo della fanfic e del capitolo è merito di Emilie Autumn e della sua
Misery Loves Company"