Titolo: Infinity Inc.
Fandom: DC New Gen (
Lovvoverse)
Beta:
cialy_girlPersonaggi:
Cerdian,
Conner Kent Jr,
Diana Harper,
Ibn Al Xu’ffasch,
Iris West,
Jai West,
Lian Harper,
Lisa Benni,
Lucy Queen,
Robert Long. [Team:
Infinity Inc.]
Rating: Pg13
Parole: 1.742 (Contaparole fiumidisangue)
Note: Raccolta di drabble che vede come protagonisiti i membri dell'Infinity Inc.
* Teen Titans >>>>>>>>>>>>>>> Infinity Inc.
Disclaimer: Non mio ma ci sto lavorando.
Diana Harper, “Wonder Girl”
Diana ne era stata la causa, l’idea era partita da lei e lei soltanto. Si era messa in testa che lavorare con Serenity e Ibn non era niente male - non lo era -, e che un gruppo li avrebbe aiutati a confrontarsi con altri supereroi, che li avrebbe fatti maturare come persone.
Si era sbagliata su tutta la linea. Aveva visto Ibn prendere il comando del team di malavoglia, Serenity fregarsene totalmente, e il resto della squadra evitare accuratamente di collaborare o almeno provarci. Sembrava un fallimento completo, e dentro di sé era convinta che avrebbero abbandonato tutti quanti, che, appena il primo si fosse fatto avanti per lasciare gli Infinity, gli altri lo avrebbero seguito a ruota.
E si sbagliava nuovamente. Stringevano i denti, gridavano, si incazzavano, ma restavano ben ancorati alle loro scelte. Ibn si sforzava di essere un buon capo, per quanto il compito non fosse esattamente nelle sue corde, Serenity partecipava mestamente ad ogni caso importante. Sembrava quasi che fossero obbligati da qualche divinità superiore a collaborare, costretti in ruoli che si addicevano a loro solo in parte. Resistevano, in qualche modo, alla frustrazione e alla rabbia. L’orgoglio di avere una squadra e di poterla definire senza macchie cancellava ogni dubbio riguardo un possibile abbandono.
Ma quando diventava troppo difficile tenere a bada i litigi e la demoralizzazione, Diana non riusciva a togliersi dalla testa che la prima a mollare sarebbe stata proprio lei, che presto o tardi avrebbe voltato le spalle a qualcosa che aveva creato ma mai capito appieno.
“John Wayne”, Ibn Al Xu’ffasch
Ibn amava lavorare, ma amava lavorare in solitudine; un gruppo di gente da gestire e controllare non gli andava molto a genio - anche alcuni dei membri non gli andavano a genio, a dirla tutta -, solo Diana aveva convinzioni opposte alle sue, per non parlare di certe occhiate che riceveva, persone convinte che quell’incapacità di restare in un gruppo fosse l’ennesima prova del suo legame con la parte oscura. Era unicamente per contrastare quegli attacchi che si era legato ad un impegno tanto importane, per provare a salvare se stesso.
Non che ci fosse riuscito del tutto, ed effettivamente la squadra sembrava più uno spreco di tempo ed energia, ma aveva acquistato, col tempo, una sorta di identità e di prestigio, addirittura una dignità, e questo non gli dispiaceva. Essere fiero di quello che era non gli dispiaceva affatto.
Serenity Kent, “Supergirl”
Serenity nel team non voleva nemmeno entrarci. Lo aveva urlato a gran voce contro Ibn e Diana, aveva fatto gentilmente notar loro - teste di cazzo - che potevano tranquillamente rompere le palle a Conner, se proprio avevano bisogno di un maledetto Sups. Ma gli ammonimenti da parte dei supereroi adulti non erano tardati ad arrivare. Già la consideravano un tantino troppo violenta per lavorare senza qualcuno a farle da - controllore - spalla, e questo suo rifiuto fu preso come un avvicinamento alla parte oscura - precisamente come sarebbe successo se a rifiutarsi fosse stato Ibn. Neanche ci fosse una sorta di contratto a vincolare lei, Ibn e Diana a costruire un gruppo prima dei vent’anni.
Si era incazzata ancora di più e aveva urlato ancora di più, ma poi si era arresa all’evidenza, accettando l’ennesima fregatura causata dall’essere la figlia di Superman. Era anche meno peggio di quanto pensasse. Meno doloroso di molte altre bugie.
Conner Kent Jr, “Superboy”
Conner era entrato negli Infinity solo ed esclusivamente per controllare sua cugina. Credeva - era certo - che Serenity avrebbe finito col fare qualche stronzata delle sue, e di conseguenza che lui, in qualità di pro-cugino o una roba del genere, fosse obbligato moralmente ad aiutarla e fermarla, nel caso. Non era preparato alla sua cattiveria, però, alle battutine sprezzanti: “A che vi servo io, se qui avete il futuro Superman?”, o all’indifferenza totale. Non aveva voglia di fallire né di dover tornare da sua madre con una sconfitta sulle spalle, ed era sicuro che gli Infinity avessero una certa dose di potenziale da poter utilizzare, o lo sperava.
Era rimasto con loro, quindi, cercando di portare la Giustizia, la Verità e lo Stile di vita Americano nelle teste di tizi che sembravano non capire di cosa stesse parlando, rendendosi conto di non saperlo nemmeno lui - e che, a dirla tutta, non gli importava.
Lian Harper, “Arsenal”
Lian era stata felicissima di unirsi al team; aveva la possibilità di stare vicina a sua sorella e ad alcuni dei suoi migliori amici, per non parlare di conoscere un po’ certi eroi che, effettivamente, non si era mai presa la briga di calcolare abbastanza.
Non si aspettava di trovarsi davanti la Squadra Perfetta, ed era già preparata alle battaglie interne che si sarebbero create, presto o tardi. Il fatto, però, è che si presentarono molto presto. Neanche questo bastò a farle rimpiangere la sua adesione. Anzi, in un certo senso rendeva tutto più divertente e interessante.
Il gruppo le era piaciuto da subito, e difficilmente lo avrebbe abbandonato, anche solo per amore dell’avventura e del pericolo.
Robert Long
Robert aveva accettato immediatamente. Un gruppo era quello di cui sentiva di avere bisogno - qualcosa di cui occuparsi e per cui preoccuparsi -, il paragone con persone conosciute da poco o per poco poteva tornargli utile. Certo, era un po’ strano entrare in un team dove la principale occupazione era litigare, ma la causa di tutto questo erano eroi che, in effetti, anche prima non sembravano andare così d’accordo, oppure semplicemente amici con qualche problema di comunicazione. Piano piano avevano trovato un modo per sopportarsi, per imparare a lavorare, collaborare - più o meno - e cominciava a funzionare, quello che erano insieme. Cominciava ad andar bene come sarebbe sempre stato.
Cerdian
Cerdian, come Robert, i gemelli, Mar’i e Lian, aveva altri piani. Nessuno di loro osava dirlo ad alta voce o anche solo pensarlo, rimuginarci troppo sopra, per il semplice fatto che erano stati battuti sul tempo. Bruciava, un pochino bruciava quella mezza sconfitta, però bisognava tirare avanti.
E come gruppo, in qualche modo contorto, funzionavano, erano in grado di combattere e vincere i vari criminali che si ritrovavano davanti, come una squadra affiatata ed unita. Nonostante alcuni battibecchi di poco conto, quindi, riunirsi sotto un nome diverso con obbiettivi diversi doveva essere la stessa identica cosa. Non lo era, ovvio, ma erano tutti bravi a fingere che andasse bene anche così. Tutti bravi a indossare le proprie maschere.
Iris West, “Impulse”
Iris era entrata nel team per avere qualche collaborazione decente nel curriculum vitae, qualcosa di cui potesse andare fiera e orgogliosa. Le era difficile capire esattamente cosa dovesse renderla felice di far parte degli Infinity, in realtà; agli inizi erano solo litigi e dopo erano diventati solo azione. Sembravano incapaci di star fermi e tranquilli, con la calma interiore a far da compagna. Iris era la ragazza più veloce del mondo, e nonostante questo faticava a star dietro ai suoi colleghi, troppo presto in prima linea, troppo facilmente già nell’azione quando lei ancora non aveva capito cosa stesse succedendo.
Certe volte era frustrante, tanto da farle pensare che avrebbe abbandonato ogni cosa, che si sarebbe liberata di tutto quel peso e sarebbe tornata ad essere lei la più veloce.
Alla fine, però, restava. Si aggrappava all’amicizia e al bisogno che aveva di loro, per poter dire "io c’ero", per poter davvero sapere di esserci stata per loro tutti e per se stessa.
Jai West, “Kid Flash”
Jai non era né totalmente contrario alla cosa né totalmente convinto. Era stato deciso da altri e altri gli avevano chiesto di aderire. Lo rendeva un po’ estraneo alla squadra, questo, faceva fatica a pensarla come sua. Ma era piacevole avere qualcun altro, oltre ad Iris, che si prendeva le responsabilità dei casini che combinava; il combattimento e il poter mostrare quanto valesse - cosa lo differenziava da suo padre e cosa lo rendeva simile - pure erano punti a favore del progetto.
Aveva detto “sì” senza pensarci troppo, convinto di poter ricavare il meglio dagli Infinity. Una scelta un po’ egoista, ma già dalla prima riunione aveva capito che non era stato l’unico a badare soprattutto ai propri interessi, che, in fondo, erano solo un branco di ragazzini alle prese con le loro guerre personali.
Lisa Benni, “Oracolo”
Lisa si era praticamente imbucata, pretendendo di essere la principale fonte d’informazione e di aiuto. Pensava, in realtà, di doversi guadagnare con il sudore della fronte la fiducia del gruppo, di dover riuscire a fare l’impossibile per essere considerata una di loro. Invece, dopo aver mostrato le sua capacità e la sua fedeltà, i ragazzi avevano scosso le spalle davanti al suo non voler togliere la maschera. Chiedevano di lei quando c’era bisogno, o, persino, quando era necessario riunirsi per decidere qualcosa riguardo alla squadra, trattandola come qualsiasi altro membro.
La verità era che Lisa non era abituata alle maschere, e trovava un po’ assurdo che potessero fidarsi così, senza nemmeno sapere chi fosse. Ma non le spiaceva.
(E, d’altra parte, aveva capito che anche per lei cominciava ad essere in questo modo, che non aveva bisogno di scoprire chi fossero quei buffi tizi per fidarsi di loro).
Lucy Queen, “Black Canary”
Lucy non era precisamente una ragazza adatta al gioco di squadra. Competitiva, viziata, testarda - elementi che non andavano a favore della sua entrata nel team. Ma Lian e Diana avevano insistito - Diana, più che altro - vaneggiando sul fatto che si poteva imparare a stare in un gruppo.
Lucy qualcosa aveva imparato. A tirare fuori le unghie per reagire contro Ibn e le sue trovate a volte troppo assurde, a sbattere i piedi per terra e a farsi da parte. Aveva imparato che non sempre poteva aver ragione, che seguire il capo non sempre era dannoso.
E gli Infinity l’avevano aiutata a forgiare il suo carattere, sì; si chiedeva però se tutto questo servisse a qualcosa o se fosse solo una grande balla per far credere ai supereroi adulti - e a loro stessi - che stavano andando da qualche parte, che si stavano adoperando per raggiungere i loro obbiettivi, che ne avevano, di obbiettivi da raggiungere e cazzate del genere. Solo per tranquillizzare gli adulti e loro stessi.
E più andava avanti più la sua tesi di avvalorava, ma meno aveva voglia di condividerla con qualcuno. Cominciava a pensare che non c’era nulla di male, che, in fondo, stavano solo cercando di far del loro meglio. La verità era che ormai faceva comodo anche a Lucy un team del genere, e che non se ne sarebbe separata facilmente - quasi si fosse intrappolata con le sue stesse mani.