Titolo: A Baby In A Trenchcoat
Fandom: Supernatural
Personaggi: Dean/Castiel
Rating: Rosso
Avvertimenti: Slash, AU
Disclaimer: I personaggi descritti non mi appartengono e la storia non è scritta a fini di lucro.
Note: L'idea è venuta all'improvviso, mentre stavo pensando ad una storia tutta diversa. Ora, ho questo problemino che quando inizio a scrivere una long, se non pubblico subito, tendo a cancellare in breve il primo capitolo e così niente storia, anche quando la trama poi c'è tutta. Quindi pubblico, sperando che, come è giù successo, questo mi dia l'impulso di continuarla. Naturalmente, pareri e consigli sono sempre accettati ;) Buona lettura!
Riassunto: "L’uomo era maledettamente carino e lui era ubriaco e gli ubriachi fanno una cazzata per minuto, quindi in fondo era giustificato. E poi l’altro non aveva ancora smesso di guardarlo e la cosa sarebbe stata inquietante se solo Dean non avesse cose più urgenti da fare.
Complice il fatto di avere casa proprio dietro l’angolo, Dean riprese a baciare lo sconosciuto, che non sembrava avere alcuna intenzione di fermarlo, e iniziò a trascinarlo verso la porta d’ingresso. Era una notte tranquilla e deserta, ma probabile che anche in un centro commerciale, nelle condizioni in cui si trovava, Dean non ci avrebbe fatto caso. Le labbra dell’altro erano screpolate e gonfie e il respiro mescolato e mancato gli faceva girare la testa. Tutto era così inebriante e perfetto e libero, perché era solo istinto a guidare la nave ora e lui si sentiva bene e bene era una di quelle sensazione che non lasci scivolare facilmente."
Terza parte
Dean era sicuro che la notte prima Castiel si fosse addormentato sul divano. Non che avesse avuto molta scelta, giacché gli aveva gettato addosso dei vestiti asciutti, un cuscino e una coperta, per poi indicargli il divano senza tanti problemi.
Forse Castiel non aveva recepito bene il messaggio.
Dean voltò di poco la testa, ancora disteso rigido sotto le lenzuola.
Una folta chioma scura gli solleticò la punta del naso, un braccio sottile era avvolto attorno al suo addome e le labbra di Castiel soffiavano un venticello caldo sulla sua pelle, fin troppo vicino a uno dei suoi capezzoli.
Dean avvertì irrigidirsi anche un’altra parte del suo corpo.
“Stupido moccioso. Stupido, stupido, stupido.”
Continuò a borbottare tra i denti, pensando a tutto ciò che di raccapricciante c’è al mondo, pur di risolvere il suo problemino al lato sud.
Eppure, il problema restava, così come l’uomo al suo fianco continuava a permanere nei suoi pensieri. Era come un’impronta marchiata a fuoco sulla pelle. Potevi abituartici, ma restava lì e indelebile attirava sempre il tuo sguardo. E tutto ciò che aveva di lui era un nome senza cognome né storia, senza un passato e nemmeno un futuro.
Dean era curioso, certo, ma sapere non era una necessità, non in quel momento. L’esistenza di Castiel era destabilizzata, insolita, forse anche tragica e se il ragazzo non aveva voglia di parlarne, Dean non lo avrebbe costretto. Ancora non comprendeva bene il motivo della sua preoccupazione, né di quella dolce sensazione di pace e sicurezza che provava nel sapere Castiel con lui, al sicuro. Pochi avevano fatto breccia nella sua anima a quel modo, fino a scavarsi un posticino riservato nel cuore guardingo e anche se Castiel sfiorava solo la superficie, era ancora troppo vicino, ancora troppo oltre quei limiti che Dean aveva imposto per sé. Lo aveva fatto per proteggersi, perché le persone cui teneva sembravano sfuggirgli tra le dita come acqua corrente, ma Castiel li aveva scavalcati con una tale innocenza e semplicità che Dean ne era rimasto terrorizzato. Castiel avrebbe potuto fargli male, se avesse voluto. Era anche per questo che, senza neanche saperlo, aveva cercato così disperatamente di mandarlo via. Poi il suo cuore testardo gli aveva imposto il contrario.
Dean corrucciò la fronte, pensieroso. Voltò di nuovo il viso a guardare il profilo dell’altro.
Castiel, come se si sentisse osservato, scavò il viso nel suo petto, fino a nasconderlo, emettendo un mugolio soddisfatto. Uno strano calore iniziò a surriscaldargli lo stomaco, ma Dean non ne cercò la causa. Meglio far finta di nulla, che sapere certe cose.
Con molta attenzione, riuscì poi a svincolarsi dalla presa dell’altro, che appena si accorse della mancanza, iniziò a fare altri mugolii, questa volta più indispettiti. Dean stirò le labbra in un sorriso divertito, quando vide gli occhi di Castiel socchiudersi e guardarlo con mal celata accusa.
“Andiamo, bella addormentata. Ti porto a fare colazione.”
Gli diede una pacca sulla spalla, prima di dirigersi in bagno per una doccia.
“Non sono una donna”, borbottò Castiel, ancora intontito dal sonno, ma Dean non ci fece caso. Non si era nemmeno lamentato di averlo trovato di nuovo nel suo letto.
* * * *
“Cass, smettila di guardarti intorno!”
Castiel, che fin da quando erano arrivati alla tavola calda e si erano seduti a quel tavolino appartato davanti alla finestra non aveva fatto altro che guardarsi attorno con occhi curiosi, tornò a concentrare la propria attenzione su Dean. Corrucciò la fronte, confuso.
“Non capisco perché continui a chiamarmi così. Io mi chiamo Castiel”.
Dean alzò gli occhi al cielo, esasperato e anche divertito dall’ingenuità dell’uomo che gli sedeva di fronte.
“Invadi casa mia, quindi ti chiamo come mi pare, Cass.”
Castiel sembrava sul punto di ribattere, ma Dean non glielo permise.
“E poi che razza di nome è Castiel?! I tuoi genitori erano ubriachi quando lo hanno scelto?”
Lo aveva inteso come uno scherzo, una presa in giro, ma a quanto pare Castiel non aveva alcun senso dell’umorismo.
“Non credo. E’ un nome così strano?” Chiese, infastidito. Di cosa, poi, Dean non avrebbe saputo dirlo. Lui rimase interdetto e aprì la bocca un paio di volte, ma saggiamente si limitò a scuotere la testa. Per fortuna, in quel momento arrivò la cameriera, una simpatica donna di mezz’età dai corti capelli rossi e ricci e due occhietti acquosi. Dean ordinò il solito: colazione all’americana, con pancetta, uova e bacon e il caffè per dessert.
“E per te, tesoro?”
Castiel alzò lo sguardo e socchiuse le labbra, con gli occhi un po’ più grandi del normale. Era come se stesse ancora elaborando la domanda per riuscire a trovare una risposta adeguata. Non si rendeva conto né del tempo né dello sguardo strano che la donna gli stava lanciando né della mano di Dean che tremava violentemente dalla voglia di schiaffeggiargli la faccia, giusto quel tanto per farlo riprendere da qualunque strana e aliena contemplazione in cui era perso.
“Lo stesso, grazie”.
Dean rispose al suo posto, temendo che alla cara cameriera potesse venir voglia di chiamare l’ospedale psichiatrico. O peggio ancora, la polizia, se vedeva Castiel come uno stalker, cosa che poi non era così difficile.
La donna si allontanò in fretta: Cass doveva averla messa molto a disagio. In effetti, era una sua particolare peculiarità, con quegli occhi enormi e innocenti che sembravano voler scoprire fino all’ultima briciola della tua esistenza.
Anche Castiel, dal canto suo, sembrava essersi rilassato e con nient’altro da fare, aveva iniziato a guardarsi di nuovo attorno, come un bambino che entra per la prima volta in un centro commerciale.
Dean, inconsciamente, si ritrovò a fissarlo. Forse non era poi così strano che avesse avuto difficoltà a rispondere, visto che con molta probabilità quella doveva essere la prima volta che entrava in un posto simile. Tuttavia, Dean era un uomo intelligente, nonostante le apparenze, e aveva notato benissimo che il trenchcoat di Castiel era sporco, sì, ma non abbastanza per uno che aveva vissuto in mezzo alla strada per tutta la vita o anche solo meno di tre giorni.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
La voce dell’altro lo scosse dai suoi pensieri e Dean si accorse che il suo sguardo era ora ricambiato. Castiel sembrava turbato, la testa leggermente incassata tra le spalle, come se temesse un rimprovero.
“No, Cass.” Lo rassicurò Dean con cautela. “Non hai fatto nulla.”
Aveva l’impressione di affrontare un cucciolo spaventato. Per fortuna, le sue parole bastarono a calmare il “cucciolo” in questione.
Castiel gli rivolse un sorriso appena accennato - non sorrideva mai apertamente, per qualche strano motivo - e Dean sentì di nuovo quella strana sensazione di calore alla bocca dello stomaco e il sangue pulsare più veloce. No, si rifiutava di credere che fosse arrossito.
“Dean, stai bene? Sei tutto rosso.”
Ecco, appunto.
“Sta zitto, moccioso. Sto benissimo!”
“Il colore della tua pelle non è naturale, potresti essere malato.”
“Non lo sono!”
Castiel era sul punto di protestare ancora una volta e Dean era davvero tentato di mandarlo al diavolo, amichevolmente parlando, ma con molta probabilità, Castiel avrebbe sul serio tentato di andarci. Avrebbe trovato il modo, caparbio com’era. Fortuna volle che l’arrivo della cameriera mettesse il punto a quella stramba conversazione. La donna porse loro la colazione e prima di andarsene, lanciò un’occhiataccia a Castiel.
“E’ arrabbiata con me?”
Castiel guardò la donna allontanarsi con uno sguardo colpevole e confuso.
Dean alzò gli occhi al cielo e inforcò un pezzo d’uovo, prima di portarlo in bocca. Si permise tutto il tempo necessario per masticare e ingoiare - Castiel pareva affascinato da ogni suo singolo movimento, battito di ciglia compreso - e poi si decise a dargli una risposta, che il ragazzo stava ancora aspettando.
“Te l’ho già detto. Quando fissi qualcuno, diventi inquietante. Li spaventi, amico.”
Gli disse molto saggiamente, ritrovandosi nei panni del maestro che educa l’alunno.
Castiel guardò il proprio piatto per un minuto intero, tanto che Dean iniziò a preoccuparsi di averlo offeso, ma l’altro stava solo pensando, perché poi alzò di nuovo lo sguardo e annuì nella sua direzione.
“Allora non fisserò più nessuno.”
Dean annuì a sua volta, soddisfatto.
“Tranne te.”
Ci mancò poco che si strozzasse con la pancetta.
“Oh, andiamo! Perché?!”
Castiel lo guardò attentamente per un periodo di tempo che pareva infinito. Poi, stringendo le labbra in una smorfia di incertezza, chinò lo sguardo e iniziò a mangiare la propria colazione. Ormai Dean non sperava più in una risposta sincera, ma alla fine riuscì a sentire il sussurro dell’altro, che mal celato lo colpì al petto come il rombo di un tuono.
“Non voglio che anche tu vada via.”
Dean fu travolto dall’insano desiderio di prenderlo tra le braccia e nasconderlo agli occhi di tutto il mondo. Il desiderio di proteggerlo contro ogni cosa, che fosse il caso, la Fortuna o Dio stesso. Quasi inconsciamente, gli sfiorò le dita poggiate sul tavolo.
“Resto qui. Non me ne vado.”
E per una volta, non c'era menzogna nelle sue parole.
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Seconda parte -
Masterpost & Artpost -
Quarta parte