Fandom: Supernatural.
Pairing/Personaggi: Castiel/Dean, Balthazar, Bobby, Original Character, Sam.
Rating: NC17.
Charapter: 2/10.
Beta:
koorime_yu (la martire ♥).
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Angst, Fluff, EGGPREG (o Egg-Fic, come preferite), Sesso descrittivo, Slash, What if.
Words: 4530/41160 (
fiumidiparole).
Summary: Madre Natura - o Dio, visto il contesto - vuole che più sia grande una creatura, più tempo sia necessario per la gestazione; come le elefantesse, che restano gravide per due anni. E se la creatura in questione è grande “approssimativamente quanto il Crysler Building”, quanto potrebbe volerci? Diciamo… quattro anni? Più o meno il tempo che passa da quando Dean viene “salvato dalla perdizione” al momento in cui recupera l’anima di Sam, sì.
Note: La storia nasce grazie e si ispira a questa dolcissima fan-art:
Vedere il mondo in un granello di sabbia di
ai_sellie. Il titolo della fic - adorabile e crack e… ho già detto adorabile? XD - è un suggerimento di
koorime_yu ♥
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There is an Egg between Us
Capitolo 2.
Dean lasciò cadere la sacca da viaggio accanto al vecchio divano sgangherato e si guardò attorno con fare critico.
Sam, accanto a lui, aveva un’aria decisamente schifata. «Te la caverai?» chiese dubbioso.
«Sicuro, ha solo bisogno di un po’ di manutenzione» asserì il maggiore, osservando la tinta grigia e scrostata delle pareti, le assi impolverate e cigolanti e i pochi - decisamente pochi - mobili devastati rimasti. «Ho fatto controllare le tubature e l’impianto elettrico, prima di firmare l’atto, che credi? Non sono del tutto uno sprovveduto» sbuffò «Ed il prezzo era veramente stracciato. Nessuno vuole vivere in questa vecchia casa lontano dal centro abitato, la credono infestata» sogghignò divertito.
Naturalmente nella casa non c’era nessun fantasma - avevano controllato anche quello -, era solo molto vecchia, doveva risalire agli anni della guerra d’indipendenza, e molto devastata dall’incuria, dal tempo e dai teppisti. I ragazzini s’intrufolavano nelle stanze fatiscenti sfidandosi a mirabolanti prove di coraggio e lasciando qua e là tracce del loro passaggio: lattine di birra, incarti di fastfood, graffiti sui muri.
«Non capisco. Cas e Balthazar hanno rimpinguato tutte le nostre carte di credito. Perché non comprare un appartamentino decente?» tentò di farlo ragionare Sam, e non per la prima volta.
«Te l’ho già detto. Non voglio dover spiegare ai vicini perché sto accudendo un uovo e, in seguito, da dove spunterà il bambino. E poi prossimamente avrò bisogno di fare qualcosa per tenere le mani occupate» sospirò Dean.
«D’accordo allora» si arrese il fratello, guardandolo mesto dall’alto della sua stazza da armadio cuccioloso.
Il maggiore gli diede un pugno sulla spalla. «Stai attento, okay? Tieniti in contatto con Bobby e me, e se hai bisogno chiamami comunque» gli raccomandò.
Non era stato facile spiegare a Sam e Bobby la sua scelta, specie con quella faccenda del Purgatorio che pendeva sopra le loro teste come una spada di Damocle, ma loro avevano capito.
«Dean, non sono più un bambino» sì lamentò Sammy «E poi sarò in viaggio per il mondo, non a caccia, cosa pensi che possa accadermi? E anche se fosse, voglio proprio vederti prendere un aereo da solo» gli fece presente, con un sorriso dispettoso sul finale, che fece accigliare l’interessato.
Con grande sorpresa di Dean, il suo fratellino era stato felice della sua scelta di lasciare la caccia; forse perché, in un certo senso, lui aveva deciso di mettere su famiglia, come Sammy aveva sempre sperato che facesse. In ogni caso, il maggiore si aspettava che l’altro riprendesse gli studi o qualcosa del genere, invece Sam aveva deciso di intraprendere la sua personalissima versione di Mangia, prega, ama per ritrovare se stesso e capire cosa voleva dalla vita, ora che aveva per la prima volta l’occasione di rifletterci sul serio. [1] O almeno così aveva detto Sam; a Dean sembravano solo un sacco di cazzate hippie.
«Uhm… Be’, fare l’Eggsitter alle dipendenze di un angelo avrà pur i suoi vantaggi, no?» esclamò quest’ultimo.
Sam scosse il capo, divertito. «D’accordo, allora vado» dichiarò, voltandosi a guardare l’anonima utilitaria presa a noleggio e parcheggiata accanto all’Impala.
«Ehi, Bigfoot, potresti almeno darmi una mano a portare dentro il divano nuovo ed il letto. Il camion del mobilificio arriverà tra due ore» lo trattenne Dean.
«Non ci penso proprio. L’aereo non aspetterà me, sai?» disse Sam «Chiama i facchini. O gli angeli. Cas potrebbe portarti dentro tutti i mobili da solo» replicò, abbracciandolo brevemente, prima di fuggire verso la porta.
«Puttana!» gli gridò dietro il maggiore, imbronciato.
«Fesso!» replicò l’altro, ormai accanto allo sportello della macchina, alzando una mano in segno di saluto.
«Ehi, Liz Gilbert, vedi di portare il tuo culo piatto qui, tra un viaggio e l’altro, okay?» [2] sbottò Dean dalla soglia e Sam suonò il clacson in assenso.
Lui aggrottò la fronte non appena lo vide uscire dal vialetto, per nulla tranquillo di lasciarlo solo. Certo, Sam non si sarebbe cacciato nei guai, avrebbe visto il mondo - non solo gli Stati Uniti -, come aveva sempre desiderato, e avrebbe immagazzinato un sacco di cose in quella sua stupida testolina intelligente, ma con quella faccenda del muro eretto da Morte appena istallato, Dean avrebbe davvero preferito tenerlo sott’occhio. Bobby non si era fatto scrupoli a far loro notare che era il momento peggiore per dividersi, ma Dean sentiva di avere degli obblighi anche verso Castiel, che aveva dato tanto per lui - diamine, aveva dato tutto, più volte - e aveva promesso a suo fratello che si sarebbe sforzato di considerarlo un adulto, di lasciargli i suoi spazi ed avere più fiducia nelle sue decisioni, quindi non l’avrebbe tenuto ancorato a sé.
Castiel aveva chiesto a lui di occuparsi dell’uovo e Dean aveva preso da solo quella decisione. Non poteva pretendere che anche Sam si accollasse quella responsabilità; già solo il fatto che avesse lasciato la caccia di sua spontanea iniziativa, voleva dire tantissimo per lui e gli avrebbe permesso di guardare al futuro senza angosce o ripensamenti.
Sospirò e chiuse la porta, convinto a darsi da fare e a soffocare quei pensieri il più a lungo possibile. Si tolse la giacca con attenzione, anziché lanciarla da qualche parte come al solito, e sfilò l’ovetto dalla tasca interna, rigirandoselo in mano per un momento.
Era piccolo, pesante quanto una pallina da tennis e caldo come se avesse passato ore sotto il sole. Il guscio era bianchissimo, più chiaro di qualunque cosa avesse mai visto e più resistente di quanto sembrasse alla prima impressione. Dean non avrebbe saputo descrivere cosa aveva provato la prima volta che lo aveva toccato, il brivido che gli era salito lungo le braccia e gli era rotolato giù per la spina dorsale. Istintivamente aveva saputo che era tutto vero, che quel cosino era più prezioso di quanto si potesse stimare; c’era una vita lì dentro, ed era potente e fragile allo stesso tempo.
Usò la giacca di pelle come un cuscino e vi affossò l’ovetto, incuneandolo in un angolo del vecchio divano sgangherato, poi si rimboccò le maniche e spalancò tutte le finestre, in modo da far arieggiare le stanze.
Lasciò spaziare lo sguardo sul soggiorno e sul muro sottile che lo divideva dall’ingresso. La cucina era dall’altra parte, grande abbastanza da accogliere un’ampia zona fornelli ed un tavolo per sei persone. Dean si annotò mentalmente di comprare un frigo gigantesco, prima di imbucare le scale che portavano al piano di sopra.
L’agente immobiliare che gli aveva venduto la casa gliel’aveva lasciata in relativo ordine e i passi rimbombarono nelle stanza vuote, quando il cacciatore attraversò il breve corridoio che le separava: due camere da letto, un bagno ed una cabina armadio. Tutto ciò che poteva servirgli, insomma. C’era perfino una piccola mansarda, da cui si accedeva tramite una botola sul soffitto e, all’esterno, aveva garage ed ingresso cantina. Praticamente un sogno.
Spalancò tutte le finestre anche al piano superiore, poi scese di nuovo giù, prese dal cofano della sua bambina un aspirapolvere - comprato il giorno prima per l’occasione, sì - e tornò in soggiorno, posandolo da parte. Spostò l’ovetto sul davanzale della finestra, prima di iniziare a trascinare il divano vecchio fuori, fin nel cortile.
Dopo un momento d’indecisione, Dean ficcò l’ovetto nella propria sacca - cercando di pensare che non stesse infilando un bambino in valigia, magari, ecco - e la spostò nell’ingresso, in modo da non fargli prendere polvere, quindi iniziò a strappare la vecchia carta da parati.
Mezz’ora dopo, tossendo schifato, la schiaffò dentro un sacco della spazzatura ed accese l’aspirapolvere, iniziando a passarlo sul pavimento polveroso e sentendosi vagamente una casalinga molto sfigata. Tutto quello sarebbe stato più divertente, se Sam fosse rimasto; ne avrebbero riso insieme.
Ogni tanto, con apprensione, lanciava un’occhiata alla sacca, controllando che fosse sempre lì dove l’aveva lasciata, quasi temesse che sparisse nel nulla.
Un quarto d’ora dopo il soggiorno aveva un aspetto molto più decente, ma le pareti erano ancora tra le più tristi che avesse mai visto - e sì che lui ne aveva girato di case abbandonate e motel fatiscenti!
Tornò all’Impala per prendere dal cofano alcuni barattoli di vernice che aveva scelto per il piano terra e un rotolo di carta plastificata, che avrebbe usato per proteggere le assi del pavimento dalla tintura. Il salone non era molto grande e mancava più di un’ora all’arrivo dei facchini, quindi pensava di fare in tempo almeno a stendere la protezione per terra e a montare l’impalcatura per imbiancare.
Quando il furgone del mobilificio arrivò, Dean fece lasciare il divano nuovo nell’ingresso, dove avrebbe dormito finché non avesse finito di tinteggiare il soggiorno, ed il letto - ancora smontato - nel corridoio del piano superiore; ci avrebbe pensato lui a ricomporlo, una volta sistemata anche la camera da letto.
*°*°*°*°*
Non ricevette visite per un’intera settimana, il che lo lasciò parecchio seccato. Insomma, sapeva che il moccioso in trench era occupato, ma possibile che non avesse nemmeno il tempo di fare una chiamata? Sempre che lo avesse ancora, un cellulare. Probabilmente era scomparso quando Lucifer aveva fatto esplodere Castiel, e dubitava che Dio avesse ricomposto pure quello.
Ma che diamine, il suo nuovo indirizzo lo aveva - Dean glielo aveva dato appena aveva firmato l’atto e l’angelo l’aveva memorizzato all’istante, dando poi fuoco al bigliettino su cui era segnato; uhm, cosa? Qualcuno ha detto paranoia, per caso? -, poteva fargli una visita di qualche minuto. Cristo, avrebbe quantomeno potuto accertarsi che lui non avesse ancora usato l’ovetto per farci una torta paradiso, no?
Nel frattempo, il cacciatore aveva tinteggiato tutto il soggiorno, riportando pareti e soffitto ad un luminoso bianco; aveva passato la cera sul pavimento, nutrendo le vecchie assi di legno; infine aveva spostato lì il nuovo divano, che ora era piazzato tra la finestra ed una cassa di birra, su cui stava posata una piccola TV.
Sulle cornici degli infissi, lucidate il giorno prima, erano incise come decorazioni tribali minuscole formule latine e simboli enochiani. Sul soffitto, disegnata con una comoda bomboletta di spray fosforescente, era tracciata una trappola per demoni, invisibile durante le ore di luce o quando le lampade erano accese.
Aveva appena cominciato a tinteggiare la camera da letto, dopo aver eseguito il solito tram-tram di staccare la vecchia carta da parati, spolverare il pavimento e stendervi sopra la carta plastificata, quando sentì un noto frullio d’ali risuonare nella stanza vuota.
In piedi, sopra l’impalcatura, Dean guardò in basso, aspettandosi di trovare il suo speciale amico piumoso a fissarlo da sotto in su con la testolina inclinata. Quello che vide, però, era un familiare ghigno supponente.
«Pensavo che il cattivo gusto di voi Winchester fosse dovuto alla vita raminga, ma vedo che è proprio una caratteristica personale» osservò Balthazar, inarcando le sopraciglia «Ma dico, con tutti i contanti che vi abbiamo procurato, non potevi trovare qualcosa di meno… ammuffito?» continuò schifato.
«Che diavolo ci fai tu qui?» grugnì scontroso il cacciatore.
«A coccolare il mio nipotino, ovviamente» spiegò baldanzoso «E Cassie mi ha mandato ad aiutarti a sistemare i sigilli enochiani in tutta la casa, sì» aggiunse, sventolando una mano in aria, come se si trattasse di una faccenda noiosa e poco importante.
«È bello vedere che paparino non si è dimenticato di noi» ironizzò Dean, voltandosi di nuovo e riprendendo a passare il rullo sul soffitto «Vedi di fare in modo che nessuno di voi pennuti con intenzioni ostili possa entrare qui, okay?»
«E Balthazar Jr.?» chiese l’angelo.
«Chi?» fece il ragazzo, perplesso.
«L’uovo, naturalmente. Dov’è?» chiarì l’altro, roteando gli occhi.
«Oh! È nella sacca, lì all’angolo. E, ewn, non si chiamerà mai così!» esclamò Dean.
«Hai chiuso tuo figlio in valigia?» replicò, invece, Balthazar.
«Io… no! È un uovo, diamine, non ne soffrirà» sbottò lui, corrucciato «E non siamo ancora certi che sia mio».
«Sì, come ti pare» disse l’angelo, in tono annoiato, prima di pescare il cosino dal suo borsone «Ciao, Balthazar Jr., ti sono mancato?» chiocciò poi, e Dean gli lanciò addosso un pennello sporco di vernice, che lui schivò giusto in tempo.
«Mettilo giù e va’ a fare quel che devi!» ordinò il cacciatore, minacciandolo con il rullo.
*°*°*°*°*
Dean e Sam si sentivano al telefono quasi tutti i giorni e, in un paio di occasioni, perfino Bobby aveva chiamato con la scusa di aggiornarlo sulle sue ricerche, per scoprire se andasse tutto bene. L’unico a non essersi ancora fatto vivo, nemmeno nei giorni seguenti, era Castiel.
Lui non voleva ammettere di aver iniziato a preoccuparsi, assolutamente no. Cas era in gamba, se la sarebbe cavata da solo, quindi Dean - per distrarsi - si concentrò sui lavori da fare.
Aveva deciso di rimettere a posto le stanze in ordine di necessità, perciò aveva sistemato prima quelle in cui avrebbe passato la maggior parte del giorno e della notte - soggiorno e camera da letto -, per poi passare alle altre.
La successiva, importantissima, fu il bagno, a cui servì poca manutenzione, dato che i muri erano tutti piastrellati e i sanitari erano ancora in buone condizioni; in seguito avrebbe sostituito la rubinetteria, che era l’unica cosa davvero irrecuperabile. Poi passò alla cucina.
Fino a quel momento, Dean si era arrangiato con takeaway di ogni sorta, ma quando cominciò lisciare le pareti di quell’ambiente per livellarle, dopo aver buttato via la vecchia carta da parati, si rese conto che continuare così era un inutile sperpero e che ora avrebbe finalmente potuto avere dei mobili tutti suoi, compresi quelli per la zona fornelli.
Non che, per l’intera casa, gliene servissero molti; non aveva mai avuto la possibilità di portare molte cose con sé, quindi tutti i suoi effetti personali - armi comprese - potevano essere contenuti in qualcosa di grande come il cofano della sua bambina. Per la prima volta, però, si accorse che avrebbe potuto comprare qualunque cosa: farsi un intero guardaroba, riempire la dispensa di tutte le sue schifezze preferite, comprarsi una X-Box, prendersi un cucciolo - fino ad ora aveva avuto Sammy; non era un po’ la stessa cosa? -, perfino ordinare dal web tutti i DVD di Doctor Sexy MD, se voleva. La prospettiva era… sorprendente. Ed entusiasmante, sì.
Era a casa sua e poteva fare tutto ciò che gli pareva senza vergognarsene; non come quand’era da Lisa e Ben, dove si sentiva costretto a tenere un comportamento che fosse d’esempio per il ragazzino e non riusciva a confessare alla sua ragazza certe imbarazzanti passioni. Poteva perfino andare nudo da una stanza all’altra, dopo essersi scolato una birra nella vasca da bagno, davanti al laptop aperto sugli anime porno, e nessuno avrebbe potuto contestare le sue cattive abitudini. Nemmeno quel bacchettone del suo fratellino, diamine.
Fino ad ora non aveva mai avuto un posto che potesse chiamare davvero casa, se non la sua bambina, e - in effetti - tutta la sua vita era raccolta nel cofano di quella macchina. Perfino da Lisa aveva continuato a sentirsi un estraneo, anche se si era sforzato di vedere quella vita come una soluzione definitiva. Ma ora avrebbe dovuto stare lì almeno per i successivi nove mesi - no, Dean ancora non riusciva pensare che avrebbe cresciuto lì un bambino, meglio concentrarsi sull’immediato futuro -, quindi tanto valeva godersela.
*°*°*°*°*
«Ehi, Sammy, sai cosa sto facendo?» disse Dean, nel cellulare «Non ci crederai mai: sto prendendo il fresco sul mio portico. Già, io, una bottiglia di birra e una sedia a dondolo. Sì, una sedia a dondolo, te lo immagini? Mi sento tanto il nonnetto di Leone il cane fifone» ridacchiò, dandosi una spinta con i piedi.
«È tutto molto affascinante, Dean» rispose il fratello, dall’altro capo del telefono, in un tono che a lui non piacque per niente.
«S-stai… ridacchiando?» chiese il maggiore, fermando improvvisamente il dondolio e sedendosi più dritto, oltraggiato.
«Scusa, è solo che sentire te parlare di mobili e libri di cucina…».
«Ehi, ho solo detto che ho provato a cucinare la pasta alla carbonara, non che mi iscriverò a Hell’s Kitchen» fece Dean, imbronciato. «Tra l’altro è un piatto molto semplice, sai? Il vero problema è azzeccare la cottura della pasta. Maledetti italiani, non è affatto vero quello che c’è scritto sulla scatola».
Sam, stavolta, rise più apertamente.
«Ecco, sì bravo, sfottimi. Te ne pentirai, la prossima volta che vieni qui. Piangerai di commozione davanti ai miei piatti!» minacciò al vento, il maggiore. «Piuttosto, come va la tua grande avventura, Julia Roberts?» [3]
«Sono in Grecia, ora. Non tira un bel clima politico, da queste parti, ma i siti turistici sono tranquilli» raccontò il suo fratellino. «Ho perfino incontrato qualche divinità caduta. Se possibile, se la passano anche peggio della popolazione».
«Pensavo avresti scelto in primo luogo qualcosa dove si mangia bene. L’Italia è lì ad un tiro di schioppo».
«Qui si mangia molto bene, Dean. La cucina greca è la più sana e buona, dopo quella italiana» lo informò il minore e l’altro rispose con un verso schifato. «Ehi, che mi dici di Cas, come se la passa?»
«Non ne ho la più pallida idea» rispose Dean, incupendosi.
«Non si è ancora fatto vivo?»
«Già».
«Sai, probabilmente è solo molto occupato…» tentò Sam.
Dean lasciò scorrere una manciata di secondi, approfittandone per bere un sorso di birra e sciacquarsi la bocca. «Sì, lo so. Ma io sono qui ad occuparmi di suo figlio, accidenti, a tirare su una casa per questo bambino e… lasciamo perdere» borbottò, abbandonandosi di nuovo sulla sedia, che cigolò, iniziando a cullarlo.
«Allora fai sul serio?» chiese il fratello «Intendi davvero mettere su famiglia con Cas?»
«Io… non lo so» sbuffò il maggiore, improvvisamente esausto «So solo che Cas non riuscirebbe mai ad occuparsene da solo, capisci? Non di qualcosa che è in parte umana. Anche con tutta la buona volontà del mondo - che sono certo ci metterebbe, eh -, non potrebbe farcela, è troppo imbranato».
«Sì, questo lo so» convenne Sammy, poi ci fu una lunga pausa «Dean… stai iniziando a considerarlo tuo?»
Per un infinito ed equivoco momento, lui pensò che parlasse di Castiel, poi si rese conto che suo fratello si riferiva all’uovo. Si prese qualche secondo per rifletterci, poi ammise un tentennate: «Forse» stringendo di più le dita attorno alla bottiglia ghiacciata «Per te… sarebbe un problema? Voglio dire…» smozzicò nervoso.
«No, ehi, voglio solo sapere come la pensi» si affrettò a dire Sam e lui riuscì quasi ad immaginarlo mettere le mani avanti «Sai, Cas ormai è uno di famiglia, quindi mi preoccuperei per suo figlio in ogni caso, ma se tu lo consideri tuo… Be’, inizierò a cercare di vederlo come un nipote, ecco».
Dean cercò di non sorridere troppo apertamente, anche se non poteva vederlo nessuno. Era più facile sostenere quella conversazione imbarazzante al telefono, più facile anche gestire il nodo che gli aveva chiuso la gola e l’improvviso calore che gli stava scaldando il petto.
«Sei proprio un amore, Samantha» chiocciò infine e suo fratello lo mandò allegramente al diavolo.
«Ehi, pensavo di tornare da te, tra qualche settimana, quando scadrà il visto» disse poi quest’ultimo «Mi farai provare il dondolo?»
«Staremo a vedere, Sammy, staremo a vedere» sbuffò l’interpellato, soffocando un altro sorriso.
«Prenditi cura di te» replicò il minore, a mo’ di saluto.
«Anche tu» rispose l’altro, prima di chiudere.
Dean alzò il naso all’insù, osservando il cielo limpido e stellato, percependo di colpo tutto il vuoto di quella grande casa che stava rimettendo in sesto; un sacco di stanze buie, piene di mobili ancora incellofanati e di odore di tintura. Versò la metà della birra che non aveva bevuto oltre il portico, poi tornò dentro, salendo le scale e cominciando a slacciarsi i vestiti. Prese dal taschino della camicia il piccolo uovo, la cui forma ormai familiare si adatto perfettamente al suo palmo, poi lanciò tutti gli abiti alla rinfusa su una sedia accanto al letto e si lasciò cadere su quest’ultimo.
La sveglia sul comodino gli comunicò che era molto più tardi di quanto avesse immaginato, così - con i muscoli doloranti per tutto il lavoro fatto quel giorno e un freddo intenso al centro del petto - Dean scivolò sotto le lenzuola e chiuse gli occhi, ascoltando gli scricchiolii della casa.
L’ovetto era un calore piccolo e costante nella sua mano e lui lo posò sul cuscino accanto a sé, osservando il suo biancore assoluto spiccare nel buio della camera, reso leggermente traslucido dal led verde della sveglia. Dopotutto, forse non era poi così solo.
*°*°*°*°*
Dean sì svegliò all’improvviso, nel cuore della notte, senza sapere cosa esattamente avesse disturbato il suo sonno. Senza aprire gli occhi, si concentrò sui rumori attorno a lui: il ronzio lieve del nuovo frigo al piano di sotto, gli scricchiolii delle assi del pavimento rimesse a nuovo, la brezza fuori dalla finestra, il suo stesso respiro. Fu allora che percepì - non con l’udito, ma più con il tatto, forse - la lieve depressione che il materasso descriveva verso l’altra parte del letto.
Sotto il cuscino, la sua mano destra si serrò istintivamente attorno al calcio della pistola, mentre l’altra - ancora posata sull’ovetto - si chiuse, protettiva, attorno ad esso.
Altre dita, leggere e calde, si intrecciarono con le sue sopra l’uovo, senza usurparne il posto o cercare di spostarle, ma unendosi alle sue. Dean strinse più forte la pistola e solo allora si azzardò a schiudere le palpebre, incontrando due occhi blu e dolorosamente familiari ad un palmo da suoi, illuminati dal led della sacrosanta sveglia.
«Cristo, Cas» morse quell’imprecazione tra i denti, lasciando la presa sull’arma da fuoco.
«Ciao, Dean» rispose l’angelo «Mi dispiace averti svegliato» aggiunse, contrito.
Lui non gli chiese cosa diavolo ci facesse nel suo letto o perché accidenti fosse tanto appiccicato a lui, era troppo stanco per cercare di spiegargli un’ennesima volta il concetto di spazio personale.
«Era ora che ti facessi vivo» disse, invece, sfilando la mano posata sull’ovetto da sotto la sua.
«Non volevo svegliarti» rispose Castiel.
«Sì, l’hai già detto».
«Le altre volte, intendo» chiarì l’angelo.
Dean si accigliò, confuso. «Quali altre volte?»
«Sono già venuto a trovarti. A differenza di oggi sono stato più efficiente nel non disturbare il tuo sonno» spiegò l’amico.
«E sei rimasto tutto il tempo a guardarmi dormire? Sei più inquietante di Edward Cullen» ribatté il cacciatore, incredulo.
«Non so chi-» cominciò Castiel.
«Lascia perdere» sì affrettò a dire Dean, soffocando uno sbadiglio nel cuscino «Solo, la prossima volta cerca di venire quando sono ancora sveglio, okay? Non ha senso venire a trovarmi, se io non ti vedo».
Strusciò il viso sul guanciale, pronto a rimettersi a dormire, e chiuse gli occhi, ma lì riaprì subito quando sentì il peso sul letto spostarsi. «Cosa fai?» chiese, scoprendo che l’angelo si era messo seduto.
«Vado via, non voglio infastidirti» rispose quest’ultimo, mite.
Dean sbuffò ed afferrò una manica del suo trench, tirandolo di nuovo giù «Non vuoi stare con il pulcino?»
«Pulcino?» fece Cas confuso.
«Be’, è un uovo…» borbottò il ragazzo, non volendo ammettere di aver già trovato un nomignolo per il cosino piumoso.
«Sicuro che-»
«Basta che ti rilassi e smetti di stare immobile come un blocco di marmo, facendo inclinare il letto» biascicò Dean, sbadigliando ancora sul finale. Osservò divertito l’angelo cercare di mettersi comodo e riuscire soltanto a sembrare un salame vestito in trench, quindi sollevò le coperte e lo invitò ad avvicinarsi. «Via le scarpe» ordinò, però, prima di poggiare le coltri - , ancora tiepide del suo calore corporeo - sulle sue spalle.
Castiel emise un sospiro sottilissimo, ma molto sentito, e si arricciò attorno a l’uovo, con le ginocchia che quasi sfioravano quelle di Dean. Lui gli rimboccò la coperta e ridacchiò quando notò i suoi occhioni blu sbucare oltre l’orlo come quelli di un bambino; il vero cosino piumoso era lui, non l’ovetto.
«Moccioso» mormorò con affetto, affossandosi nel proprio cuscino, la sensazione di fredda solitudine provata qualche ora prima completamente scacciata.
*°*°*°*°*
Dita sottili passarono con gentilezza tra i suoi capelli, riscuotendolo.
«Devo andare» sussurrò Castiel, chinato su di lui, sospingendo l’ovetto più vicino al suo corpo.
«Uhm…» mugugnò Dean, ancora in gran parte addormentato; non ricordava l’ultima volta che il suo sonno era stato così tranquillo.
Quando un lieve battito d’ali risuonò nella stanza, si era già riassopito.
*°*°*°*°*
Dean aveva attorno tante piume e tanta luce, quando si svegliò, poi le trame del sogno si sfilacciarono e accanto a sé vide solo uno spazio vuoto. Non che si aspettasse davvero di trovarci qualcuno lì, gli angeli nemmeno dormivano, inoltre lui aveva un vago ricordo di Castiel che si alzava dal letto con attenzione, intorno all’alba.
Da quando era comparso l’ovetto, il cacciatore si sforzava continuamente di ricordare cosa fosse successo quand’era stato salvato dall’Inferno, ma per quanto ci provasse, perfino durante il sonno tutto ciò che riusciva a rammentare erano sensazioni vaghe e immagini confuse, a differenza dei ricordi delle torture - subite ed inflitte -, che erano fin troppo vividi.
Sentì un intenso calore salirgli al viso quando ripensò al momento in cui Castiel se n’era andato. Lì per lì, quasi pensò di esserselo sognato. Ma forse sognare una cosa simile sarebbe stato anche più imbarazzante di averla vissuta, di aver sul serio permesso a Cas di coccolarlo mentre dormiva e… okay, niente più mocciosi in trench nel suo letto, era deciso.
Quasi saltò in aria, poco più tardi, mentre preparava la colazione, quando sentì un battito d’ali rompere la canzone che stava canticchiando.
«Awn, ma che casalinga carina» sogghignò Balthazar, a mo’ di buongiorno. «Quelli sono pancake?» fece interessato, allungando una mano verso il piatto.
Dean gli colpì il dorso con il mestolo. «Questo è per avermi fatto prendere un colpo» asserì.
«Ouch! Ti sembra il modo di accogliere tuo cognato?» esclamò l’angelo ed il ragazzo stavolta gli piantò il manico nello stomaco.
«E questo è semplicemente perché sei tu» disse, prima di rivolgersi di nuovo alla padella, incurante della presenza dello spaventapasseri piumato, che veniva a trovarlo fin troppo spesso per i suoi gusti.
«Ti vedo di buon umore, raggio di sole» ironizzò Balthazar.
«Farai meglio a chiudere la bocca, se vuoi assaggiare i miei pancake» lo avvertì il cacciatore, dividendoli in due piatti, prima di portarli a tavolo.
L’angelo quasi non credette ai proprio occhi, quando se li trovò davanti. «Allora sei sul serio di buon umore» osservò stupito.
«Ehi, io sono una persona gentile, okay?» borbottò Dean, versando una generosa dose di sciroppo d’acero sui propri pancake. «Hai un motivo per essere qui o sei solo venuto a rompere le palle?»
«Sono qui per Balthazar Jr., ovvio» rispose l’altro, versandosi del caffè.
«Smettila di chiamarlo così» ringhiò il ragazzo, minacciandolo con una forchetta.
«Sei un tantino troppo autoritario, per uno che non si considera il padre» osservò l’angelo e l’altro lo ignorò.
«Ripeto: hai un motivo per essere qui o sei solo venuto a rompere le palle? E, sul serio, è un uovo, non ha bisogno delle tue coccole».
«Guarda che lui ti sente, lì dentro, ti percepisce. Non è umano, è fatto di Grazia, quindi anche se il suo tramite si sta ancora formando, lui ha già una coscienza» lo informò Balthazar «Vengo qui regolarmente per controllare che stia andando tutto bene, all’interno di quel guscio» aggiunse più serio.
«Lui? Quindi sai già che sesso avrà?» fece Dean, per alleggerire il discorso, cercando di non pensare a tutte le volte che l’aveva piazzato qua e là, lasciandolo solo; forse non era stato tanto carino.
L’angelo si accigliò, sorpreso. «Non ci avevo pensato. Stavo usando un lui generico, ma in effetti questo piccino avrà fin da subito un tramite, che crescerà come un corpo umano, quindi avrà una sessualità definita».
«La scoperta dell’acqua calda» borbottò il cacciatore, riempiendosi la bocca di pancake.
«Ehi, certe cose che sono ovvie a me, a te non lo sono, no? Questo è un essere nuovo, a metà tra due nature, angelica e umana» sottolineo Balthazar, piccato, dividendo con attenzione la propria colazione «Uhm, niente male, Mamma Winchester» aggiunse poi, dopo un primo assaggio.
«Spero ti vadano di traverso» ringhiò Dean.
[1]
Mangia, prega, ama - Una donna cerca la felicità di Elizabeth Gilbert.
[2] Liz Gilbert è la protagonista, nonché autrice, di
Mangia, prega, ama - Una donna cerca la felicità.
[3] Julia Roberts ha interpretato la protagonista di
Mangia, prega, ama, la versione cinematografica del libro di Elizabeth Gilbert.
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