There is an Egg between Us - Capitolo 5

Aug 09, 2012 17:00

Fandom: Supernatural.
Pairing/Personaggi: Castiel/Dean, Balthazar, Bobby, Original Character, Sam.
Rating: NC17.
Charapter: 5/10.
Beta: koorime_yu (la martire ♥).
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Angst, Fluff, EGGPREG (o Egg-Fic, come preferite), Sesso descrittivo, Slash, What if.
Words: 3008/41160(fiumidiparole).
Summary: Madre Natura - o Dio, visto il contesto - vuole che più sia grande una creatura, più tempo sia necessario per la gestazione; come le elefantesse, che restano gravide per due anni. E se la creatura in questione è grande “approssimativamente quanto il Crysler Building”, quanto potrebbe volerci? Diciamo… quattro anni? Più o meno il tempo che passa da quando Dean viene “salvato dalla perdizione” al momento in cui recupera l’anima di Sam, sì.
Note: La storia nasce grazie e si ispira a questa dolcissima fan-art: Vedere il mondo in un granello di sabbia di ai_sellie. Il titolo della fic - adorabile e crack e… ho già detto adorabile? XD - è un suggerimento di koorime_yu

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DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

There is an Egg between Us
Capitolo 5.

Uno sonoro sbuffo attirò l’attenzione di Dean, facendolo voltare all’indirizzo del fratello che, a pochi metri da lui, si rastrellava i capelli umidi, tirandoli indietro con le dita lunghe per scostarli dal volto sudato.
Faceva un caldo insolito e tremendo, quella mattina, specie considerate le temperature a cui scendeva l’aria la sera, e viverlo così, sotto il sole, sopra un’impalcatura da imbianchini, era ancora peggio.
Stavano stuccando la facciata della casa già da qualche ora e Sam aveva passato tutto il tempo a spianare la calce con l’aria afflitta di un prigioniero ai lavori forzati. Il maggiore dei Winchester sogghignò, divertito. A giudicare dal suo aspetto grande e grosso poteva non sembrare, ma la verità era che suo fratello amava i lavori manuali più o meno come lui amava i volumi polverosi.
Per dirla tutta: non ci era proprio portato.
All’età in cui Dean giocava con il fango, Sammy componeva puzzle da mille minuscoli pezzi tutti delle stesse fottute tonalità. E mentre lui svuotava l’intero caricatore della sua Colt preferita sul centro e sulla testa di una sagoma del poligono, il suo fratellino dodicenne salmodiava in latino come fosse la sua lingua madre.
Erano completamente diversi, così tanto che non avrebbero potuto esserlo di più nemmeno volendo, ed era abbastanza bizzarro, visto che erano stati lui e papà - due uomini notoriamente allergici alla letteratura - a crescere Sam. Ma era una cosa a cui Dean si era arreso ormai da tempo, perché ad ogni modo non gli aveva mai impedito di voler bene a suo fratello. E di divertirsi come un pazzo a tormentarlo.
«Vuoi una pausa, Samantha?» propose ironico.
«No» rifiutò lui, accigliato, ostinandosi a stare lassù almeno finché ci riusciva il maggiore.
Questi ridacchiò. «Come va la testa, uhm?»
«Non sono ancora al punto di prendermi un insolazione» sospirò Sam «Ho passato abbastanza tempo in spiaggia, questi due mesi, da reggere bene il caldo» gli assicurò.
«Non si direbbe» lo sbeffeggiò Dean, senza alcuna pietà, vedendolo grondare sudore. «Va davvero bene?» chiese poi, più serio, e l’altro capì subito a cosa si riferisse.
«Sì. Stare lontano dalle cacce mi ha fatto bene. Senza tutta quella merda intorno non ho più… sai, nulla che scateni i flash. E non ho nessuna intenzione di sforzarmi per ricordare. Quindi è tutto okay» fece spallucce. «Sul serio» rincarò sotto il suo sguardo insistente ed apprensivo.
«Bene» annuì il fratello «Cosa vuoi fare, Liz? Hai già scelto la nuova tappa del tuo viaggio?» [1]
Il minore sbuffò. «Pensavo al Tibet».
«Il Tibet, sul serio?» disse Dean incredulo «Vedi di non starci sette anni, Heinrich». [2]
«Dean, prima Julia Roberts e ora Brad Pitt, davvero?»
L’interpellato scrollò le spalle. «Ehi, non sono io quello che andrà a far visita al Dalai Lama».
Sam si limitò a scuotere molto esaurientemente il capo.

*°*°*°*°*

Come al solito, Castiel prese molto sul serio le ultime parole di Dean e cominciò ad apparire nei momenti più inaspettati o più improbabili, trattenendosi a volte appena il tanto da sfiorare l’ovetto e poi volare via.
Era fottutamente inquietante.
In un paio di occasioni, il cacciatore se lo trovò seduto accanto nel bel mezzo della notte, e una volta, mentre cucinava, si voltò per prendere qualcosa dal tavolo e scoprì l’angelo seduto lì, con il pulcino tra le mani, in silenziosa contemplazione; ci mancò poco che gli venisse un colpo.
In una serata memorabile Castiel capitò proprio mentre stava cominciando a vedere Gli Intoccabili e lui riuscì a trattenerlo accanto a sé per buona parte del film. [3]
E, okay, Dean si era arreso all’inevitabile fatto che Cas spuntasse sempre nei momenti più imbarazzanti della sua vita, ma certe cose se le sarebbe davvero risparmiate. Era già abbastanza patetico il fatto che ormai facesse regolarmente le pulizie come un bravo casalingo, senza aggiungerci anche… be’, quello.
«If I can see it, then I can do it, if I just believe it, there’s nothing to it» stava cantando, mentre stendeva la biancheria «I believe I can fly» la sua voce si alzò in crescendo - ed era una gran bella voce, grazie tante - mentre si voltava all’indirizzo dell’ovetto, affossato in un cuscino sulla sedia a dondolo del portico «I believe I can touch the sky. I think about it every night and day, spread my wings and fly away» [4] continuò, sbattendo una camicia per scrollare l’acqua in eccesso, infilandola poi tra le stecche dello stenditoio.
«I believe I can soar…» continuò sempre con la stessa convinzione, girandosi ancora verso il dondolo, e la voce gli si strozzò in gola.
Castiel era lì, che lo fissava con la testolina inclinata, mentre lui cantava a squarciagola di quanto fosse convinto di poter volare.
Dean percepì distintamente un afflusso di sangue salirgli al viso, facendolo arrossire fino alle orecchie, e tossicchiò, cercando di ridarsi un tono. Sì, ecco quello che intendeva, maledizione. Non ci teneva affatto a fargli sapere - né a Cas né a nessun altro, in effetti - che a volte cantava per il cosino piumoso.
«Mi dispiace disilluderti, Dean, ma per te è fisicamente impossibile» asserì l’angelo, con tono segnato da grande pietà, occhieggiandolo circospetto. «Non pensavo desiderassi tanto-»
«È una canzone, Cas» lo interruppe il ragazzo, schiaffandosi una mano sulla faccia, prima che potesse aggiungere chissà quale altra idiozia «È solo una canzone».
Questi fece un piccolo Oh! e chiuse debitamente la bocca, abbassando lo sguardo sull’uovo tra le sue mani.
Scuotendo il capo, il cacciatore appese gli ultimi abiti, poi si voltò a guardarlo - o meglio: a controllare che fosse ancora lì -, e Castiel gli restituì lo sguardo paziente di chi aspettava proprio lui.
«Ehi» sussurrò Dean, avvicinandosi alla sedia a dondolo, giusto per dire qualcosa.
«Sono riuscito di nuovo a ritagliarmi un po’ di tempo» disse l’angelo, guardandolo da sotto in su.
«Bene. I mobili sono arrivati qualche giorno fa e aspettano ancora di essere montati» rispose lui, facendogli cenno con la testa di seguirlo.
Dieci minuti dopo, seduti sul pavimento della cameretta, stavano già trafficando con pezzi di legno, viti e bulloni. Vedere Castiel con un cacciavite in mano era strano quasi quanto avrebbe potuto esserlo guardare Sam mangiare un cheeseburger con doppie cipolle e doppie patatine.
«“Infilare Parte A in Parte B”. Certo, facile. Peccato che non montino» ringhiò Dean, lottando con una gamba della futura culla e la ruota che doveva fargli da piede.
«Stai dimenticando questo» lo avvertì l’angelo, passandogli una minuscola vite, visibile solo con un microscopio.
«Fammi capire, mi stai dicendo che riesci a leggere queste istruzioni?» chiese il ragazzo, incredulo.
Castiel annuì. «Sono semplici».
«No, non sono semplici, sono una fottutissima trappola mortale!» esclamò lui.
«Ci sono i disegni» osservò l’angelo.
«Sì, e sembrano quelli di un progetto missilistico. Potrebbero essere quelli di uno shuttle, per quanto sono comprensibili» rincarò Dean.
«Posso fare un miracolo» propose allora l’amico.
«No» s’imbronciò l’altro «Niente abracadabra angelici. Questa è una cosa umana e la faremo con le mani».
«Come desideri» si limitò a rispondere Castiel, montando in due minuti la seconda gamba della culla, alla faccia sua che ci aveva messo quasi un quarto d’ora. Dannato lui ed il suo cervello superiore.
Ferito nell’orgoglio, Dean riprese le istruzioni in mano, voltandole più volte - prima al dritto, poi a testa in giusta, perfino da un lato - per capire quei maledetti disegni. «Che diamine, non siamo tutti degli ingegneri nucleari… o angeli del Signore» borbottò stizzito.
Cas rimase a lungo in silenzio, ma lui notò che, mentre lavoravano, di quando in quando gli lanciava qualche occhiatina, quasi volesse parlargli e non sapesse bene come fare.
«Cosa?» sbottò infine Dean, innervosito «Cosa c’è?»
«Sei molto paziente» asserì lui, continuando a montare un paio di pezzi.
Il cacciatore inarcò un sopraciglio, sorpreso. «Io non direi proprio» si schernì.
«Con me, intendo» chiarì l’angelo.
«Uh?» fece il ragazzo, in maniera molto acuta.
«Davvero non ti importa che io vada e venga così?» chiese piano Castiel, quasi esitante.
«Oh» fece Dean, abbassando il capo sulle proprie mani e riprendendo a lavorare, giusto per tenersi occupato. «Non proprio. Voglio dire… non è quello che mi disturba. So che hai cose più importanti di cui occuparti e non sei certo alle mie dipendenze, quindi non devi rendere conto a me dei tuoi spostamenti. Per il resto…» scrollò le spalle «Carpe-diem».
Castiel, stavolta, non gli fece strane domande, si limitò a correggere la sua pronuncia: «Carpe diem».
«Carpe-diem» ripeté lui, non capendo dove stesse sbagliando.
«Troppo veloce. Sono due parole staccate, non una sola. Carpe. Diem» scandì.
«Carpe. Diem» ritentò.
L’angelo annuì. «Cogli l’attimo» mormorò poi sottovoce, stavolta in inglese, ma Dean dubitava che avesse colto la citazione; ci avrebbe scommesso il culo che non aveva mai visto L’Attimo Fuggente. [5] «E allora cos’è che ti disturba?» chiese poi, infatti.
Per un momento il cacciatore non capì a cosa si riferisse, poi si ricollegò al discorso precedente e a quello che gli aveva detto poco prima. No, non era vederlo andare e venire a disturbarlo, non davvero. Rimase in silenzio a lungo, poi ammise: «Non sapere dove sei, o cosa sta succedendo. So che non posso fare nulla di concreto per aiutarti, ed è già abbastanza difficile accettarlo senza dover stare continuamente a chiedermi se sei vivo, o se stai bene. Ogni volta che ti chiedo come vanno le cose, tu mi getti briciole d’informazione e svicoli dal discorso. Sempre» calcò, avvitando un bullone con ingiustificata ferocia.
«Sei preoccupato» comprese allora Castiel, con voce un po’ troppo stupita per i suoi gusti.
«Certo che sono preoccupato!» sbottò.
«Io non pensavo… non avevo capito che-» smozzicò l’angelo.
«Lui “non pensava”» brontolò Dean a bassa voce, ma ancora ben udibile «A che cazzo gli serve un cervello superiore se non pensa».
Poi Cas posò una mano sulle sue, fermando il suo incessante lavorio. Dean alzò il volto, accigliato, con sguardo di sfida e l’angelo all’improvviso fece qualcosa di completamente inaspettato: poggiò le labbra sulle sue.
Non fu come lui l’aveva vissuto in quel caotico sogno pieno di vernice, anche se accadde nella stessa stanza. Fu un contatto gentile, appena accennato; più una carezza che un vero bacio. Poi l’angelo si scostò appena, scrutando i suoi occhi da qualche centimetro di distanza, in attesa di una sua reazione.
Dean boccheggiò, troppo sorpreso per parlare; encefalogramma piatto. Castiel era lì, ad un soffio dal suo viso, che aspettava paziente, e lui probabilmente avrebbe dovuto spingerlo via ed urlargli contro, ma era troppo stupito anche solo per fare una cosa del genere, del tutto stravolto.
Passò qualche minuto - paragonabile ad intere ere geologiche di tensione - e, infine, l’angelo abbassò il capo, arrossendo leggermente. Arrossendo. Davvero, Cas era arrossito. Poi puntò lo sguardo fuori dalla finestra e strinse le labbra in una linea bianca e pallida, arrabbiato con se stesso, o forse proprio con Dean.
Fu una specie di schiaffo mentale. Solo allora il ragazzo si rese conto che il suo migliore amico - che era stato un suo amante, Cristo! - lo aveva appena baciato, e lui era rimasto lì immobile come uno stoccafisso.
«Cas?» gracchiò incerto.
«Mi dispiace» disse questi, senza guardarlo, indietreggiando per restituirgli un po’ del suo spazio personale «Non avrei dovuto impormi in quel modo».
Imporsi? Pensava di essersi imposto, così? Dean si chiese quante volte, esattamente, Cas avesse evitato di “imporsi” con lui.
L’angelo cercò di riprendere a lavorare, ma il cacciatore gli strappò il cacciavite di mano, lanciandolo via. Allora Castiel alzò finalmente gli occhi, rivolgendogli uno sguardo incazzato, e qualcosa cambiò. Dean non avrebbe mai saputo dire chi avesse iniziato, se lui o Cas, ma si stavano di nuovo baciando e stavolta non ci fu nulla di delicato; c’erano saliva, lingua e denti, dita tra i capelli e menti ruvidi di barba che graffiavano la pelle.
Si ritrovò con la schiena stesa sul parquet caldo, in una pozza di sole, con viti e bulloni che gli si piantavano nei reni e nelle spalle, e le mani piene della stoffa stropicciata di un vecchio trench polveroso.
Il corpo di Castiel, per nulla leggero, lo premeva con forza sul pavimento, ma i suoi capelli sembravano piume tra le dita e le sue labbra erano incredibilmente morbide, anche se screpolate; dopo la foga iniziale, Dean riuscì a frenarlo abbastanza da succhiarle e tirarle tra i denti, rendendole ancora più rosse e gonfie.
L’angelo si scostò per lasciarlo respirare e la luce che filtrava dalla finestra tagliò le sue iridi di profilo, accendendo i suoi occhi blu di un insolito turchese, così brillante che per un momento lui ne rimase abbagliato e si domandò se fosse davvero il sole ad illuminarli oppure la Grazia di Castiel.
Quest’ultimo lo fissava in quel modo che gli faceva sempre esplodere i fuochi d’artificio nello stomaco; come se Dean fosse la cosa più straordinaria che avesse mai visto nella sua lunghissima vita.
«Che stiamo facendo?» chiese il cacciatore, più a se stesso che a lui.
«Credo si chiami baciare» osservò l’amico e stavolta Dean non si fece fregare: Cas stava decisamente scherzando.
Sbuffò e scosse il capo, ancora lì incastrato sotto di lui. «Dobbiamo parlare».
L’angelo annuì. «Ma non adesso» decise, chinandosi di nuovo a prendere la sua bocca.

*°*°*°*°*

Solo che non lo fecero neanche la volta seguente, e nemmeno quella dopo ancora.
Dean non ricordava di aver più passato tanto tempo a baciare qualcuno, senza fare sesso, da quanto aveva sedici anni e si imboscava nei ripostigli delle scope per pomiciare con le compagne di scuola.
Non aveva idea di cosa questo significasse e, a dire il vero, non aveva nessuna voglia di porsi delle domande. Sapeva solo che non riusciva a stancarsi delle sue labbra, del suo sapore. La barba che sporcava sempre il viso di Castiel non era affatto fastidiosa come avrebbe potuto immaginare in precedenza, e sentirsi schiacciato dal suo peso gli piaceva più di quanto fosse salutare per la propria integrità fisica e mentale.
Era certo che le donne gli piacessero ancora e che gli uomini in generale non gli interessassero, quindi era piuttosto sicuro di essere ancora etero, grazie tante. Forse era da vigliacchi aspettare che fosse Cas a cercare di far evolvere le cose, ma per il momento Dean sentiva di non essere pronto a nulla di più.
Non che quello che facevano non fosse eccitante - perché lo era e molto, come testimoniava il cavallo dei suoi pantaloni diventato improvvisamente stretto, specie quando Cas appariva senza alcun preavviso e lo premeva contro il primo muro a disposizione per assaltare la sua bocca -, ma il livello successivo era tutto un altro paio di maniche e la verità era che lui aveva solo un’idea abbastanza vaga di cosa fare.
Dean non era mai stato un fan delle vergini, preferiva di gran lunga le donne più esperte, ma il suo angelo imbranato gli saltava addosso con tutto l’entusiasmo delle prime esperienze e lui finiva ogni volta per lasciarsi contagiare dalla sua insospettata passionalità, dimenticando le questioni più importanti.
In effetti, il cacciatore era piuttosto stupito del modo in cui stava reagendo a tutto quello. Si aspettava che il tocco di un altro uomo gli facesse istintivamente ribrezzo, ma il punto - forse - era proprio il fatto che Castiel non era un uomo. E non perché fosse un angelo, ma semplicemente perché era Cas.
Osservando le sue spalle ampie, le mani eleganti poggiate sulle sponde della culla, l’espressione gentile del suo viso mentre guardava l’uovo posato sul materassino, Dean capì che nulla di Cas avrebbe mai potuto fargli schifo, a prescindere dal corpo che occupava. Ormai, per lui, Castiel era istintivamente associato ad una sensazione di sicurezza ed era proprio quello che il suo tocco gli aveva sempre trasmesso - insieme, più di recente, a tutta una nuova serie di emozioni senza precedenti.
O forse no, si disse, quando l’angelo, sentendolo entrare nella camera, si voltò a guardarlo con le labbra piegate in un lieve sorriso. Forse quelle sensazioni non erano poi così recenti.
Castiel portò subito una mano alla sua nuca, allungandosi al contempo per baciarlo, ma stavolta Dean si ritrasse, impedendogli di consumare quell’ultima e fondamentale manciata di centimetri.
«Vacci piano, tigre» lo apostrofò «Dobbiamo parlare».
Cas si adombrò - in un modo che lui avrebbe descritto solo come mettere il broncio -, ma annuì e si lasciò condurre in salone di buon grado.
Una volta seduti sul divano, l’angelo puntellò i gomiti sulle cosce, guardando le proprie mani come se lì potesse leggere il proprio discorso. «Non voglio che ti preoccupi di queste cose» ammise «Non c’è modo che tu possa aiutarmi».
«Mi preoccupo comunque, Cas» sbuffò il ragazzo «L’unica differenza è che, se tu mi dicessi che diavolo stai combinando, saprei di cosa preoccuparmi nello specifico, anziché preoccuparmi di tutto, perfino dell’aria che respiri».
Lui lo fissò a lungo, valutando solo Dio sapeva cosa, poi annuì ed emise un impercettibile sospiro. «Non so da dove cominciare» confessò.
«Prova con l’inizio» suggerì il cacciatore «Mi dicono che funzioni, in genere».
Così Castiel parlò, parlò e parlò, per ore, e Dean lo ascoltò in silenzio, sforzandosi di non interromperlo.
Il Paradiso era diviso in due. La maggior parte degli angeli seguiva Raphael, per spregio verso il genere umano, perché credeva che l’Apocalisse fosse ancora il volere del Signore, o semplicemente per abitudine. E un’altra fazione, più piccola, forse troppo piccola, seguiva Castiel, convinta che il suo ritorno - il fatto che il Padre l’avesse riportato in vita - fosse un chiaro segno che seguire la sua stessa strada era ciò che Dio voleva per loro, oppure interessati al libero arbitrio.
Tra le due schiere c’erano state innumerevoli discussioni, tentativi di accordo e veri e propri ultimatum. Ora era guerra.
Qualunque angelo della fazione di Castiel venisse sorpreso da solo veniva eliminato, e loro erano troppo pochi per tentare una vera e propria rivolta. Ciò che li teneva ancora in vita erano le armi angeliche sottratte da Balthazar, che ovviamente era dalla loro parte.
«Cosa pensi di fare, ora?» gli domandò Dean, dopo qualche lungo minuto di silenzio.
Il suo angelo scosse il capo. «Non lo so» ammise con la voce più stanca che lui gli avesse mai sentito «Non lo so» soffiò chinando il capo.
Il ragazzo tentennò per un lungo momento, cercando qualcosa di efficace da dire, non ancora abituato alla nuova intimità fra loro. Alla fine, esitante, afferrò un bracciò di Castiel per attirarlo a sé, contro il proprio petto.
«Quello che devi fare è molto semplice» asserì, catturando la sua attenzione. Cas lo interrogò con lo sguardo, aggrottando la fronte, e Dean gli restituì un sorriso sfrontato. «Non mollare» spiegò quindi «Non mollare mai».

[1] «Cosa vuoi fare, Liz?» è la battuta intorno a cui ruota tutto Mangia, prega, ama - Una donna cerca la felicità di Elizabeth Gilbert.
[2] Heinrich Harrer, protagonista di Sette anni in Tibet (1997), interpretato da Brad Pitt.
[3] Gli Intoccabili (1987).
[4] R. Kelly - I believe I can fly.
[5] L’Attimo Fuggente (1989).

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