Titolo: We always hurt the ones we never really loved
Fandom: DC Comics - Lovvoverse
Beta:
namidayumePrompt: Ibn, Allan - post morte Allan, "Gli incubi non ti fanno dormire, Ra's? Adesso sai cosa si prova ad essere come me." @ Progetto Malvagio II
Personaggi:
Ibn Al Xu’ffasch,
Allan WilsonPairing: Allan/Ibn no, Allan ci ha provato, ma gli ho detto di no è_é
Rating: Pg13
Conteggio Parole: 391 (FDP)
Avvertimenti: Aaaaaaaaaaaaaaangst
Disclaimer: Tutto abbastanza nostro, ma ugualmente senza lucro.
Note:
• Ambientata random dopo il 2030. ♥
• Sì, ecco, qui si può facilmente notare come Ibn abbia sempre più problemi di quanti ne mostri. XD ILU, Ibn. ♥
• Allan riesce ad essere porn sempre e comunque. T_T
• Titolo da una canzone a caso degli Straylight Run.
We always hurt the ones we never really loved
In apparenza, Ibn sembra una persona serena, dopo gli anni difficili della seconda Crisi. Sembra aver messo da parte i propri tormenti, i propri dubbi, aver deciso di essere un eroe a tempo pieno e senza macchie, di essere un buon marito, un buon padre, una persona affidabile.
La realtà non è esattamente questa. La realtà torna a farsi viva pressoché ogni notte, nelle ore - sempre più scarse - che decide di dedicare al sonno.
Allan ha sempre lo stesso aspetto sereno, identico a quando lo ha conosciuto. Lo guarda con quel mezzo sorriso di chi sa perfettamente di cosa sta parlando, con quella pacata sicurezza di chi ha accettato di avere l’anima a pezzi e ha cercato di conviverci comunque. A volte, seduto sul pavimento di pietra della Bat-caverna, gli parla, gli ricorda cose, gli racconta eventi che non ha vissuto in prima persona.
Ibn ci prova ad ignorare la sua presenza, a ricordarsi che è solo un sogno - un incubo - e che non ha importanza, non ne ha nessuna, ma ogni volta finisce col prestargli ascolto, col lasciare che le parole dell’altro gli riportino alla mente quel tempo in cui tutto poteva ancora essere cambiato - e migliorato.
Alcune notti, quelle in cui Gotham è stata più crudele del solito, quelle in cui persino la sua presunta serenità vacilla, Ibn sceglie di non andare a dormire. Preferisce non vederlo, non sentirlo, perché sa che la voce di Allan renderà tutto persino peggiore.
Non ci riesce mai. Prima o poi, anche ad un soffio prima dell’alba, Allan arriva e Ibn si ostina a non guardarlo perché sa che la sua espressione non sarà serena e i suoi occhi non saranno azzurri. La voce dell’uomo, venata di stanchezza, di collera, di silenziosi “non sei riuscito a salvarmi”, arriva da un punto imprecisato alle sue spalle e non si trattiene dal fargli del male.
“Gli incubi non ti fanno dormire, Ra’s?” domanda con scherno. Poi gli si avvicina, piano, un passo dopo l’altro, e quando è fermo esattamente dietro di lui all’orecchio gli sussurra: “Adesso sai cosa si prova ad essere come me.”
Quando Ibn trova la forza di voltarsi e cercare una risposta, di negare, di difendersi, di dire qualsiasi cosa che riempia semplicemente il silenzio, Allan è già scomparso e non c’è mai modo, mai un solo, stupido modo, di confessargli che gli dispiace.