Titolo: “Sanagi” (Crisalide)
Fandom: Hey! Say! JUMP
Personaggi: Chinen Yuri, Takaki Yuya, Inoo Kei, Yabu Kota, Yaotome Hikaru
Pairing: Takachii, Inoobu, Hikachii
Warnings: Slash, Non-con, Death!Fic, AU, Underage, Violence
Word Count: 21.113
fiumidiparoleRating: NC-17
Prompt: 382. “Il tradimento arriva in profondità.”
NdA: Storia scritta per la challenge
bigbangitalia, per il set AU della
think_angst e per la
500themes_ita. La storia è un sequel di
“Yami wo ukeire futatabii asa kuru”, di
simph8. Sempre di
simph8 è il gift alla storia, il fanmix “The birth of a butterfly”, che potete scaricare
qui (bellissimo fanmix, aggiungerei. Grazie <3).
03 - Kuroi asa, Shiroi yoru
“Anche se ti baciassi, non mi sorrideresti”
[Santa Maria, Yamashita Tomohisa]
Yuya stava quasi per impazzire.
Anche quella, come volevasi dimostrare, era stata una pessima giornata.
Quell’Hikaru non gli piaceva.
C’era qualcosa nel suo sorriso, che aveva classificato immediatamente come fasullo, e nei suoi modi di fare affettati, che continuavano a convincerlo del fatto che non fosse tagliato per essere uno yakuza.
Ma gli ordini erano ordini, no?
Kota gliel’aveva ripetuto per tutto il giorno.
Gliel’aveva ripetuto mentre gli mettevano in mano una pistola per sparare ad uno dei loro creditori ad una gamba, glielo aveva ripetuto mentre era rimasto ad ascoltare le sue lamentele e i suoi dubbi, gliel’aveva ripetuto quando aveva perso la pazienza e l’aveva afferrato per la collottola, ben intenzionato a gettarlo nella baia di Tokyo il prima possibile.
Gli ordini erano ordini. E se il boss voleva che istruissero quel ragazzino con le unghie curate a fare qualcosa per la quale non era minimamente tagliato, non era un suo problema.
Ora che erano a casa sua, si sentiva meglio.
Preferiva sempre giocare sul suo territorio. Lì dove poteva dettare legge, lì dove aveva il controllo della situazione.
Lì dove era certo di poter mettere le mani alla gola di Yaotome se gli andava, senza crearsi troppi problemi.
Kota stava spiegando allo shatei quali fossero i confini della loro zona e fino a quanto si estendesse il loro raggio d’azione, e lui in effetti era particolarmente annoiato.
Chinen era in cucina con Kei, i due stavano bevendo una birra e parlando fitto, e più di una volta aveva sentito pronunciare il suo nome.
Non osava nemmeno immaginare che cosa Yuri stesse raccontando all’altro ragazzo, ma del resto non gli interessava più di tanto.
Che gli dicesse quello che voleva. Non era comunque qualcosa di cui si vergognava o di cui avrebbe dovuto scusarsi.
Alzò un sopracciglio, rivolgendo nuovamente la propria attenzione agli altri due seduti in salotto.
Se non ci fossero stati loro, probabilmente in quel momento avrebbe sbattuto Yuri su quello stesso pavimento e se lo sarebbe scopato.
Probabilmente l’avrebbe legato, impedendogli di muoversi. Probabilmente avrebbe afferrato il suo coltello preferito e gli avrebbe lasciato qualche taglio sulla schiena, giusto per non fargli dimenticare il sapore di quella lama.
Era da troppo ormai che non gli faceva così seriamente male, e non voleva di certo che si abituasse a quei ritmi sessuali eccessivamente blandi.
“Yuri! Birra!” urlò ad un certo punto, alzando lo sguardo in direzione degli altri due, con un sorriso ironico.
Quando il più piccolo arrivò in salotto, seguito a ruota da Inoo, vide Hikaru soffermare lo sguardo su di loro, curioso.
Si mise in piedi, mettendo un braccio intorno alle spalle di Yuri con fare protettivo, e afferrò la propria birra.
“Oh, perdonami, credo di non avervi presentati.” disse, con un sorriso mellifluo. “Lui è Yuri, la mia puttana. Yu, questo è Hikaru. Sai il novellino di cui ti avevo parlato?” chiese, chinando lo sguardo sul più piccolo, e trovandolo accigliato.
Ridacchiò, conscio di quanto poco gli piacesse essere presentato in quel modo.
Beh, che gli piacesse o meno, era quello che era.
Sentì Kei alle sue spalle schiarirsi la gola con fare eloquente, ma continuò ad ignorarlo, fino a quando questi non gli si mise davanti, sorridendo a Yaotome.
“Takaki non è mai stato un mostro di educazione. O di intelligenza, comunque. Io sono Kei.” si presentò, guardando poi lo yakuza più grande con aria di sfida, come se volesse davvero vedere se avrebbe osato cogliere l’esca e prendersela con lui di fronte a Kota.
E Yuya lasciò correre, come sempre.
Non che avesse paura di Yabu, c’era poco per cui temerlo.
Ma non era disposto a sentirlo lamentarsi almeno per l’ora successiva su quali fossero i problemi di Kei e su quanto fosse fragile e...
Stronzate.
Piuttosto che prendersela con lui, gli premeva cancellare quello sguardo interessato dal volto di Hikaru mentre fissava Chinen.
Non gli piaceva, affatto.
C’erano stati uomini che l’avevano guardato troppo. C’erano state volte in cui loro due erano insieme e qualcuno aveva allungato troppo le mani, aveva osato posarle sul suo corpo, aveva osato sorridergli in modo grottescamente allusivo.
E Yuya aveva sempre preso provvedimenti.
Un po’ di sangue sparso valeva bene il suo rimarcare un concetto fondamentale: Yuri era suo, e di nessun altro.
Riprese a parlare, sorseggiando la sua birra e tenendo il ragazzino sulla propria gamba, incurante degli sguardi dubbiosi lanciatigli dagli altri.
“Allora... abbiamo finito di spiegare a questo ragazzino che cosa deve fare? Sono sicuro che per quanto sia lento, non gli sono necessarie poi così tante spiegazioni, Kota.” gli disse dopo un’altra buona mezz’ora in cui era rimasto ad ascoltare, sempre più annoiato e sempre più ansioso che se ne andassero via da casa sua.
L’altro alzò un sopracciglio in sua direzione, e stava per ribattere, quando Kei s’intromise nella discussione.
“Sì Kota, andiamo a casa per favore. Stasera in televisione danno un film che vorrei vedere, e inizia fra poco.” gli disse, con quel tono innocente e fuori dal mondo che a Takaki dava tanto sui nervi.
Hikaru lo guardò, quasi disgustato per quel commento apparentemente fuori luogo, e si alzò in piedi per andargli accanto.
“Sono certo che il tuo film possa tranquillamente aspettare. Perché non vai a giocare da qualche altra parte mentre noi finiamo di parlare?” mormorò, con tono irridente, portando una mano all’altezza del suo viso e sfiorandogli una guancia.
Yuya reagì quasi d’istinto e spostò se stesso e Chinen contro la spalliera del divano, mentre Kota si alzava di scatto e li oltrepassava, dirigendosi verso il più piccolo e afferrandolo con decisione per la gola.
“Non sono affari tuoi quello che facciamo io e lui, vero?” sibilò, a pochi centimetri dal suo viso.
Yuya vide la sua mano stringersi sempre di più intorno alla gola dello shatei, e lasciò andare Yuri per metterglisi accanto.
“Kota...” gli disse, come avvertimento, ignorando Kei che si sfiorava la guancia, là dove Yaotome l’aveva toccato.
Yabu respirò a fondo per un paio di volte, prima di lasciarlo andare.
Non disse più una parola.
Prese Kei per una mano, come sempre attento a non mostrargli il proprio nervosismo, ed entrambi poi si avviarono verso la porta di casa, mormorando un saluto prima di chiudersela alle spalle.
Chinen era rimasto sul divano, estraniatosi alla situazione, mentre il più grande sogghignava in direzione di Hikaru.
“Kota è innocuo, nella maggior parte dei casi.” gli disse, colloquialmente. “Ma se qualcuno gli tocca Kei... beh... diciamo che per sicurezza, gli ho insegnato qualche trucco per torturare un essere umano fino a che non implora pietà.” concluse, nel chiaro tentativo di spaventarlo, e godendo nel vederlo deglutire rumorosamente.
“Direi che è arrivato il momento che io vada a casa.” mormorò il più piccolo, afferrando la giacca che Chinen era stato fin troppo lesto nel porgergli.
“Vedo che almeno sei perspicace.” gli disse Yuri, con una smorfia, prima di andare a mettersi accanto a Yuya, come per prevenire qualsiasi reazione a quel commento sarcastico.
Ma Hikaru comprese che non sarebbe stata la migliore delle mosse continuare a discutere, e si affrettò a sua volta ad uscire dall’appartamento.
Una volta rimasti soli, Yuri raccolse silenziosamente le birre lasciate a metà dal tavolino di fronte al divano, portandole in cucina.
Takaki rimase fermo in mezzo alla stanza per qualche secondo, prima di seguirlo.
Gli andò alle spalle, mettendogli le mani sui fianchi e scendendo a baciargli il collo, sentendolo come consuetudine irrigidirsi sotto il suo tocco.
Sospirò, decidendo che era meglio lasciar perdere qualsiasi approccio sessuale per il momento.
Gli era passata la voglia, e quasi si sarebbe preoccupato per un avvenimento così inusuale se non fosse stato che aveva altri progetti per la serata.
“Vestiti.” disse al più piccolo, afferrandolo per una spalla e spingendolo verso la camera da letto. “E in modo decente, se ci riesci.” aggiunse, con un ghigno.
Yuri alzò le sopracciglia, confuso, ma fece come gli veniva richiesto.
“Dove andiamo?” gli chiese, mentre si toglieva velocemente i vestiti che usava per stare in casa ed indossava un paio di jeans e una camicia quasi elegante.
Yuya trattenne a stento un sorriso.
Ricordava quei vestiti. Erano andati insieme a comprarli pochi mesi prima, quando il ragazzino si era lamentato di non avere niente da mettere.
E ricordava di essersi divertito a fare spese con lui, sebbene non l’avesse ammesso.
“Andiamo a mangiare sushi.” gli rispose, senza dare ulteriori spiegazioni e lasciando bene intendere che non avrebbe detto altro.
Voleva sorprenderlo, almeno per una volta.
***
Yuri si guardava intorno, confuso.
Non era la prima volta che andava in un sushi bar. In quello in particolare poi, ci era stato parecchie altre volte.
Era a Ginza, in un luogo abbastanza in vista. Yuya ci andava di tanto in tanto per incontri di lavoro, quando voleva a sua disposizione del pubblico per inibire la controparte dal fare qualcosa di sconveniente.
Non era raro che se lo portasse dietro. Diceva sempre di annoiarsi durante il ritorno in macchina, e che lui gli serviva a passare il tempo.
Yuri alzava gli occhi al cielo ogni qualvolta che gli diceva cose del genere.
Perché il viaggio in macchina era soltanto di trenta minuti, tre quarti d’ora se proprio il traffico era congestionato, e perché alla fine di quelle serate lui normalmente si ritrovava legato con delle manette al letto di qualche squallido love hotel, e delle ferite sul corpo che gli sembravano sempre peggiori di quando lo yakuza invece lo stuprava a casa.
Era giunto alla conclusione che il più grande si sprecasse nel portarlo lì solo quando si sentiva particolarmente ispirato, e nemmeno di questo osava lamentarsi.
Quella sera però c’era qualcosa di diverso, era innegabile.
Non c’era nessun cliente, e Yuya da quando erano arrivati non gli aveva lanciato nemmeno una di quelle sue solite occhiate lascive che lasciavano ben intendere quali fossero i suoi programmi per il dopocena.
Ma Yuri aveva deciso che se ne sarebbe preoccupato in seguito.
Afferrava i pezzi di sushi che gli scorrevano davanti velocemente, uno dopo l’altro, senza mai fare troppo lo schizzinoso.
Il sushi era uno dei suoi cibi preferiti, e normalmente i suoi pasti non erano comunque un granché.
Ogni volta che andavano lì, quindi, cercava almeno di far valere la pena alla serata.
Aveva appena messo in bocca un pezzo di ebi, quando Takaki si era schiarito la gola, guardandolo con espressione seria.
“Cosa c’è?” domandò il più piccolo, con la bocca piena.
Yuya fece una smorfia, dandogli un colpo sulla fronte.
“Ingoia prima di parlare, idiota.” mormorò piano, agitandosi sulla sedia.
Yuri alzò un sopracciglio, ancora confuso per l’improvviso comportamento dello yakuza.
Si stava ancora chiedendo che cosa ci facessero lì, ma non osò indagare oltre. Takaki non gli sembrava di ottimo umore, e non voleva rischiare che se la prendesse ancora di più con lui.
Passò qualche altro minuto, e lui riprese a mangiare come se niente fosse.
“Oggi... oggi è il tuo compleanno, vero?”
Chinen lasciò a mezz’aria un hoso maki, guardando il più grande con gli occhi sbarrati.
“Sì. Sì, è il mio compleanno. Perché?” domandò, sulla difensiva.
Yuya scrollò le spalle, mettendo in bocca un pezzo di sushi.
“Così. Mi sembrava di ricordare. Sono diciassette, no?”
“Esatto.” Yuri parve riflettere per qualche secondo, prima di sorridere lievemente. “È per questo che siamo qui? Per festeggiare il mio compleanno?” chiese, incredulo.
Vide il volto di Takaki farsi improvvisamente rosso, ed ebbe la prontezza di riflessi di evitare un colpo dritto sul viso.
“Non dire stronzate, ragazzino. Come se mi importasse qualcosa del tuo maledetto compleanno.” urlò, guardandolo come se fosse un insetto e rimettendosi a mangiare.
Chinen sorrise, scuotendo la testa.
Il primo anno che aveva passato con lui, gli aveva detto che era il suo compleanno.
Takaki aveva riso e gli aveva dato un manrovescio, prima di stuprarlo per l’ennesima volta.
Gli aveva detto che era quello il suo regalo.
L’anno prima invece si era semplicemente limitato ad ignorarlo, e Yuri non era stato così stupido dal ricordarglielo una seconda volta.
Per quell’anno non si era aspettato niente, e anche solo scoprire che se l’era ricordato gli aveva fatto piacere.
Era una piccola cosa, non lo rendeva migliore ai suoi occhi, ma almeno era un segno.
Continuò a scegliere accuratamente pezzi di sushi e a mangiare, godendosi il suo festeggiamento come meglio poteva.
Quando ebbero finito di mangiare e si furono rimessi in macchina, erano entrambi decisamente di buonumore. Chinen non aveva detto una parola, e si limitava a guardare fuori dal finestrino abbassato, lasciandosi scompigliare i capelli dall’aria fresca, respirando a pieni polmoni.
“Lo sai, potrebbe passare un autobus e tranciarti la testa.” lo prese in giro il più grande, con un sopracciglio alzato.
Chinen fece una smorfia, rientrando la testa, ed era sul punto di ribattere, quando vide che l’auto cominciava a rallentare.
Corrugò la fronte, chinando lo sguardo.
Conosceva quel luogo.
Conosceva quell’insegna. Conosceva quella strada, quel vicolo nascosto dalle strade principali.
Sospirò, mentre Yuya parcheggiava e poi scendeva dalla macchina, andandogli ad aprire lo sportello.
“Forza, scendi.” gli disse, tirandolo per un braccio.
Yuri gli andò dietro, con passo lento, senza mai guardare dritto davanti a sé.
E non disse una parola fino a quando non furono arrivati nella stanza, assai simile se non uguale alle altre che aveva visto nel corso degli anni.
Takaki gli fece cenno con la testa di mettersi sul letto, e lui obbedì, docile, togliendo le scarpe e sedendosi sul grande materasso, sfiorandone le lenzuola grezze e ruvide.
Non era uno dei luoghi più eleganti di Tokyo, tutt’altro.
“Che cosa ci facciamo qui, Yuya?” chiese, con tono flebile, conscio di quanto stupida e inutile fosse quella domanda.
Il più grande alzò lo sguardo in sua direzione, facendo un verso sarcastico.
“Siamo qui per fare dolcemente l’amore, Yuri.” gli rispose, scuotendo la testa come per non commentare la sua idiozia e slacciandosi poi la cintura e i pantaloni con un gesto secco, abbandonandoli in mezzo alla stanza e raggiungendolo sul letto.
Lo prese per i fianchi, chinandosi su di lui e mordendogli una spalla. Forte.
Yuri si prese un labbro fra i denti, affondandoveli, cercando di trattenere qualsiasi suono.
Negli ultimi anni, sentiva di non aver mai avuto così tanta voglia di piangere.
Si sentiva come tradito in quel barlume di fiducia che aveva scelto di riporre in Yuya, un tradimento arrivato in profondità, che lo aveva fatto sentire completamente distrutto, annichilito.
Stupido, per aver anche solo osato sperare che l’altro potesse davvero mostrare un briciolo di umanità nei suoi confronti.
Strinse i denti, e giurò a se stesso che non avrebbe più permesso che lo yakuza lo cogliesse impreparato, che lo facesse sentire ingannato come ora si sentiva.
Yuya gli tolse i vestiti di dosso in modo sbrigativo, facendolo stendere di schiena contro il materasso e legandogli i polsi alla testiera, montandogli addosso.
Chinen si sentì graffiare. E mordere ancora.
Quando poi il più grande tirò fuori il coltello, sospirò.
Non c’era speranza che le cose andassero meglio del solito, e si diede dell’idiota per averci anche solo sperato.
“Per favore, Yuya. Non farlo. Non stasera.” mormorò, e l’altro si fermò per un istante, guardandolo con aria quasi confusa.
“E perché? Credi che domani farà meno male?” gli rispose, sornione, tendendosi lungo il mobile di fianco al letto, e Yuri ebbe a malapena il tempo di rendersi conto di quanto stesse accadendo, prima che tutto diventasse buio.
Si ribellò alla benda contorcendosi sotto il corpo del più grande, ma fu come se Takaki non se ne fosse accorto nemmeno.
“Non è più divertente così, Yuri?” gli mormorò in un orecchio, lasciandogli il primo taglio sotto il costato. “Senza vedere niente.” il secondo arrivò in mezzo petto. “Senza sapere quando arriverà il colpo.” il terzo sulla clavicola.
Poi tacque, e continuò a tagliarlo.
E Chinen permise che gli occhi gli si inumidissero, perché con la benda l’altro non se ne sarebbe nemmeno accorto.
Faceva male, ma era abituato a quel tipo di dolore.
Quello che non riusciva a sopportare era...
Perché diavolo ci aveva sperato? Perché aveva creduto che quella sera sarebbe stata diversa dalle altre?
Era la sua puttana, il suo giocattolo, soltanto un oggetto.
Ed era libero di fare qualsiasi cosa credesse con lui, quando lo ritenesse più giusto.
E lui era solo un illuso.
Sentiva la pelle ridotta a brandelli.
Il petto, le braccia, le gambe.
Poi sentì Yuya avvicinarsi al suo viso e dargli qualche schiaffo, pesante, prima di afferrarlo per la mascella e costringerlo ad aprire la bocca, prima di infilarci dentro la propria erezione, muovendo i fianchi contro di lui.
Sentì poi il rumore di un accendino, e non poté fare a meno di fremere.
“Questo non l’avevo mai provato, vero Yuri?” sussurrò il più grande, prima di spegnergli una sigaretta su un fianco.
Era un dolore nuovo, era qualcosa alla quale non era abituato.
Era un dolore lancinante, quasi insopportabile.
Yuri urlò, con tutto il fiato che aveva in gola. Urlò, soffocato dall’erezione del più grande, e questi rise, come sempre divertito dalla sua sofferenza.
Si sfilò da dentro la sua bocca poco prima di venire, allargandogli con un gesto brusco le gambe e penetrandolo, spingendo dentro di lui come se fosse unicamente un involucro, sembrando trarre maggiore eccitazione dalle sue grida, raggiungendo l’orgasmo dopo pochi minuti.
Non si attardò dentro il suo corpo; si sfilò con un gesto veloce, sporgendosi per slegarlo e accasciandosi di fianco a lui, cercando di recuperare fiato.
Chinen rimase immobile.
Cercò di riprendersi e pregò che gli occhi si fossero asciugati, prima di osare togliersi la benda.
Poi si stese, rannicchiandosi e posando la testa sul cuscino, dando la schiena allo yakuza.
Rimasero in silenzio per parecchio tempo, prima che Yuya sbuffasse, dandogli un colpo sulla schiena.
“Che cosa ti prende, ragazzino?” gli domandò, con il suo tipico tono annoiato.
Yuri quella sera non ci sarebbe stato, non ne aveva voglia.
“Niente.” rispose, secco.
Yuya si mise a sedere, tirandolo fino a quando non fu nuovamente voltato verso di lui.
Yuri gemette per il contatto fra la mano dello yakuza e le proprie ferite, ma non si lamentò oltre.
“Andiamo... a cena eri di buonumore. Cos’hai adesso?” chiese, sinceramente curioso.
Chinen avrebbe voluto strappargli via quell’espressione dal viso.
“Niente, Yuya. Io...” si passò una mano sul volto, nervosamente. “Colpa mia. Sono stato un povero idiota a pensare che le cose andassero diversamente.” gli rispose poi, cercando di voltarsi nuovamente dall’altra parte e incontrando resistenza da parte del più grande.
“Che cosa vuol dire ‘diversamente’? Non mi sembra di averti fatto niente che non ti avessi già fatto prima. Ti dovresti essere abituato ormai, no Yuri?”
“Mi hai portato fuori a cena, no?” mormorò l’altro, quasi imbarazzato.
Takaki assottigliò le labbra, irritato.
“Avevo voglia di sushi. Non ti mettere in testa cose strane.” rispose, con un sibilo. “E poi avevo voglia di sfogarmi e di scoparti. Non mi sembra che ci sia niente di sbagliato in questo, considerando che va avanti così da più di tre anni ormai, no?”
Chinen si alzò di scatto dal letto, scoccandogli un’occhiataccia.
“Hai ragione. Perché due anni fa mi hai stuprato per il mio compleanno dicendomi che mi dovevo accontentare di quello come regalo, l’anno scorso mi hai ignorato, e quest’anno hai improvvisamente deciso di ricordartelo e di andare fuori a cena a mangiare sushi. Perfetto, Yuya. Sono io che sono un idiota, è colpa mia che ho voluto credere di vedere qualcosa di più dietro una coincidenza. Ma che cosa mi aspetto più, ormai? Le cose non miglioreranno mai con te, vero? Continuerò ad essere un oggetto e basta!” urlò, scostandosi poi dalla sua presa quando l’altro gli pose una mano sul braccio.
“Io non ti tratto come un oggetto e basta, piccolo ingrato!” gridò, alzandosi a sua volta. “Non è la prima volta che ti porto fuori a cena. Ti ho portato a comprare quei maledetti vestiti che porti. Ti ho lasciato comprare dei libri di scuola quando ti andava di leggerli, per quanto fosse inutile. Ti parlo la sera quando torno a casa, ti racconto del lavoro, ti tratto come un amico. Tutto quello che devi fare è assecondare i miei desideri sessuali, che è quello per cui sei con me. Che cos’hai da lamentarti?” attese per qualche secondo che l’altro ribattesse, e quando si rese conto che non aveva intenzione di farlo, riprese. “Però non ti lamentavi prima di uccidere i tuoi genitori, vero? Ti faceva comodo stare zitto e subire, fino a quando avevi ancora uno scopo. E ora che cosa pensi di fare, Yuri? Se soffri così tanto, allora vai in bagno, prendi una lametta e tagliati le vene. Non è un mio problema.” concluse, mettendosi nuovamente sul letto e dandogli le spalle.
Chinen fino a quel momento era rimasto a guardarlo, ma quando lo vide stendersi gli si mise accanto, prendendo ad accarezzargli la schiena in un gesto automatico, pigro, tracciando i contorni del tatuaggio con le dita.
“Saresti triste?” chiese dopo pochi secondi, trattenendo il respiro in attesa di una sua risposta.
“Sarebbe una seccatura.” fu la risposta, e Yuri smise improvvisamente di toccarlo, chiudendo gli occhi per qualche secondo, prima di venire ripreso. “Non smettere di toccarmi. Mi rilassa.”
Riprese a passargli le dita sulla schiena, lentamente, fissando il tatuaggio e avendo come sempre la sensazione che gli occhi del drago fossero fissi nei suoi.
Probabilmente, era un effetto voluto.
“Ti piace il tatuaggio?” gli chiese di punto in bianco Takaki, e a lui parve che fosse un mero pretesto per fare conversazione.
“Sì. Mi piace il tatuaggio, ma... lo odio. Non mi piace quello che rappresenta.” gli rispose, onestamente.
Pensava che Yuya ridesse, o che lo prendesse in giro per quel commento apparentemente infantile, e invece si limitò a sospirare.
“Conosci la leggenda della nishikigoi?” chiese, con tono stanco.
Chinen sbarrò gli occhi, prima di rispondere che non ne aveva mai sentito parlare.
“La leggenda narra che un giorno una carpa riuscì a risalire una cascata controcorrente, sul Fiume Giallo, fino a raggiungere la Porta del Drago, superando gli spiriti malvagi, e che gli dèi impressionati dalla sua tenacia la trasformarono in un dragone. È per questo motivo che nelle rappresentazioni i draghi hanno alcuni tratti delle carpe. E sono simbolo di coraggio e perseveranza.” sospirò, di nuovo. “Tutti i miei tatuaggi hanno un loro significato, e non sono lì giusto perché devono spaventare qualche ragazzino facilmente impressionabile.” gli disse poi, voltandosi nuovamente dalla sua parte. “Che cos’ho fatto di tanto sbagliato, Yuri?” chiese, e al più piccolo parve sinceramente intenzionato a capire.
Non era questo che cambiava le cose, in fondo.
Non erano le sue intenzioni, erano i risultati quelli che scottavano sempre sulla sua pelle, ed era certo che per quanto si fosse sforzato, lo yakuza non sarebbe comunque riuscito a comprendere.
“Non ti preoccupare, Yuya. Te l’ho detto, sono io... è colpa mia che ho frainteso. Non ci pensare. Mi dispiace di essermela presa.”
E non avrebbe dovuto essere lui a scusarsi. Non avrebbe dovuto, perché quello che gli faceva da tre anni non meritava questa mancanza di dignità.
Ma era così che andavano le cose del resto, e lui si era rassegnato troppo tempo prima per potersi ancora permettere di recriminare.
Vide Yuya alzarsi dal letto, dirigendosi verso la sua borsa e tirandone fuori un sacchetto.
“Qui c’è il libro che volevi prendere l’altro giorno. Buon compleanno, Yuri.” mormorò, gettando la busta sul letto e chiudendosi in bagno, aprendo la doccia.
Chinen rimase fermo per qualche secondo a guardare il sacchetto, poi lo prese e tirò fuori il libro, sfogliandolo lentamente.
Sentiva il peso del tradimento scemare, sparire, e si disse che non era giusto che le cose andassero così, che odiare Yuya per quello che gli faceva e avrebbe continuato a fargli era l’unica strada possibile, l’unica cosa che l’avrebbe trattenuto dal sentirsi ferito ad un livello del tutto diverso, ad uno che non era pronto ad affrontare.
Alla fine, come aveva desiderato fare per ore, pianse.