Titolo: The Empty Room - La stanza vuota
Autore:
germanjjGenere: RPS, Angst (tanto, tantissimo angst), Drama, hurt/comfort
Pairing e personaggi: Jensen/Jared (J2), Chad M. Murray, Sandra McCoy, Michael Rosenbaum in questo capitolo.
Rating: NC17
Warning: slash (ma no, ma davvero?), bottom!Jared e lo ripeto troppo troppo angst.
(
capitolo uno)
~ Canto di cose che erano ~
- capitolo due -
«Bello, i tuoi cani sono strambi» affermò Chad mentre guidava Harley e Sadie fuori dalla stanza vuota per la seconda volta quel giorno.
«Te l’ho detto di non lasciarli entrare lì dentro.» La risposta di Jared suonò debole ed esausta ma i suoi cani che si comportavano in modo strano era uno dei problemi minori nella sua testa.
Poteva sentirlo.
Come i primi minuti dopo un sogno molto intenso, quando ogni sensazione, che sia paura o gioia, ti rimane addosso finché non ti alzi e sei completamente sveglio.
Ma era pomeriggio inoltrato e la presenza non se n’era ancora andata. Ricopriva Jared come un’ombra calda e rilassante e per quanto desiderasse che se ne andasse dai suoi sogni, dalla sua vita, così da poter tornare alla normalità, era così spaventato di perdere tutto questo.
«Pronto ad andare?» La voce di Chad lo riportò alla realtà e alzò lo sguardo, incontrando gli occhi di Chad.
«Certo.»
Mentre si metteva le scarpe, cerco di dimenticare l’espressione sul viso del suo amico, qualcosa fra rabbia, frustrazione e preoccupazione. Aveva visto quell’espressione sul suo viso decisamente troppe volta ultimamente. Erano passati cinque giorni da quando Chad l’aveva trovato sonnambulo nella stanza vuota ed era successo due volte da allora.
«Bello, datti una mossa, sto morendo di fame cazzo!» urlò Chad da vicino all’auto.
Jared si limitò ad annuire e chiuse la porta dietro di lui. Il vento fresco lo aiutò un po’ a schiarirsi le idee, ma non riuscì a scrollarsi la presenza di dosso.
Così, dopo alcuni passi, accadde di nuovo.
Jared si fermò e guardò indietro verso casa, di nuovo l’intensa, improvvisa sensazione di perdita inquietante su di lui.
«I tuoi cani staranno bene, bello. Li hai già lasciati da soli per un paio d’ore prima di oggi.» Jared sussultò quando la voce di Chad fu vicino a lui e quando si voltò trovò Chad in piedi a meno di due metri da lui.
«Sì. Io…Io pensavo di aver dimenticato…» Ma non c’era motivo di finire quella frase e Jared si limitò a camminare verso l’auto ed entrare, senza incontrare gli occhi di Chad questa volta.
«Preferisce un tavolo in particolare, signore?» Il cameriere guardò Jared in attesa.
«Sì, ci piacerebbe quello accanto all’acquario, se è libero.»
«Certamente, mi segua prego.»
«Bello,» sussurrò Chad mentre stavano seguendo il cameriere al tavolo, leggermente lontano dagli altri e nascosto alla vista dall’enorme acquario vicino ad esso, «vieni qui spesso o cosa?»
«No, non proprio.» Era stato lì due volte, una con la sua famiglia e un’altra con Genevieve. Entrambe le volte avevano preso un tavolo dall’altra parte del ristorante.
Chad sogghignò mentre prendeva posto davanti a Jared, «Quindi hai solo capacità incredibili nell’esaminare la sala, eh?»
Jared sorrise e non servì nessuno che gli dicesse che non accadeva più così spesso ultimamente.
«Hey, quello non è…» Chad indicò un punto dietro Jared e lui si girò, cercando di vedere di chi stava parlando.
«Sì, quello è Michael Rosenbaum.» rispose non appena si voltò di nuovo verso Chad.
Questo roteò gli occhi, «Bello, so chi è Michael Rosenbaum. Intendevo, non è lui quello che ti trovò quel giorno?»
Jared annuì lentamente, evitando lo sguardo di Chad. Odiava parlare di quella volta. Avrebbe voluto così tanto dimenticare che fosse mai accaduto, ma le persone intorno a lui, chiunque lo amasse, non lo rendevano così facile.
«Era in macchina con Welling. Volevano uscire quella sera, andare in un locale del posto. E Welling in qualche modo decise di chiedermi di unirmi a loro.»
«Non ci conosciamo nemmeno così bene. Siamo solo stati nel solito film un po’ di tempo fa e ci siamo visti a vari eventi del network.»
Chad lo esaminò per un po’ e tornò serio. «Sono contento che l’abbiano fatto, amico.» Quindi sorrise improvvisamente. «Arrivo subito.»
Jared guardò il suo amico lasciare il tavolo e quando passò Michael Rosenbaum solo tre tavoli dietro di loro, Jared lo vide fermarsi, chinarsi verso l’altro uomo e dirgli qualcosa. Michael sorrise e annuì e Chad gli diede una pacca sulla spalla prima di dirigersi verso il bagno.
Cinque secondi dopo e Michael Rosenbaum era seduto davanti a Jared, con un sorriso.
«È bello vederti, amico. Come sta andando?»
Anche Jared sorrise. Davvero non conosceva bene Michael Rosenbaum, ma nonostante le poche volte in cui si erano incontrati, non poteva fare a meno di trovarlo simpatico. Gli ricordava un pochino Chad.
«Alla grande, grazie. Come stai tu?»
«Sto bene. Visito un po’ il freddo nord per salutare alcuni amici.»
«Cosa ti ha detto Chad prima?»
«Quel ragazzo biondo?»
Jared annuì.
«Mi ha ringraziato per averti salvato il culo.»
Jared annuì di nuovo. Non era molto sicuro di cosa dire «Sì, beh…Anche io ti sono molto grato, sai?» Quando era tornato a casa dall’ospedale, aveva chiamato Mike e l’aveva già ringraziato in quell’occasione. Ma non l’aveva più incontrato da allora.
Mike rise «Non preoccuparti, amico. I tuoi cani abbaiavano così forte che se non ti avessimo trovato noi l’avrebbe fatto qualche tuo vicino sicuramente.»
«Sì, lo so. Ma…Diciamo che sono felice che fossi tu.»
Jared sentì quanto l’atmosfera cambiò al tavolo, sentì quanto seria si fece così all’improvviso. Mike lo stava guardando come se stesse decidendo qualcosa e nessuno dei due disse una parola per un po’.
«Io…senti, - cominciò Mike - hai il mio numero vero?»
Jared si accigliò e annuì. L’aveva ancora nel suo cellulare.
«So che potrebbe sembrarti strano dal momento che non ci conosciamo e tutto un po’, ma…ma se ti serve qualcosa, sai che puoi chiamarmi. Dico davvero.»
Jared rimase sorpreso. Stava fissando Mike come se si aspettasse una battuta. Ma questa non arrivò.
«Uhm…grazie, amico.»
«So che suona…strano. Ma sento come se…come se ti conoscessi. Ho la sensazione che tu sia un bravo ragazzo e… Sai che Tom non sta molto bene ultimamente e non mi sento… ascolta, quello che dico è, quando tutto diventa un po’ incasinato, potresti aver bisogno di un amico, giusto? Voglio dire, sono sicuro che ne hai ma…»
Mike si fermò e alzò lo sguardo, arrossendo, e sembrava tanto confuso quanto si sentiva Jared. «Ok, prima che questo diventi ancora più strano e addirittura più gay - cosa che non sono per niente, a proposito - il tizio inquietante se ne va ora.» Accennò un sorrisino e si alzò, dirigendosi al suo tavolo.
«Mike, aspetta.»
Mike si fermò quando al richiamo di Jared, girandosi.
«Uhm, grazie. Ho capito…quello che stavi dicendo. È strano, ma penso di sapere cosa intendi. In un modo totalmente non-gay» aggiunse ghignando e Mike roteò gli occhi e gli sorrise.
«Ci si vede, bello» urlò dietro a Jared quando fu tornato al tavolo.
Jared si girò e sospirò. La cosa veramente strana era che lui sapeva di cosa stava parlando Mike.
E quella sensazione, non aveva alcuna idea da dove venisse.
~
Rido così forte che mi scendono le lacrime. Lui sta guidando e posso vedere che sta cercando di tenere gli occhi sulla strada invece che guardare me e si sta mordendo il labbro per non scoppiare a ridere anche lui.
«Bello, hai bevuto decisamente troppo vino.» Scuote la testa infastidito.
Sentiamo un grugnito provenire dal sedile posteriore e questo mi causa solo altre risate più forti.
«Ragazzi, fate pena» mugugna Chad da dietro di noi e posso vederlo coprirsi gli occhi con una mano e fare una faccia sofferente. «Sarei dovuto rimanere con Mike e i suoi amici. Loro sarebbero stati molto più divertenti di voi. Siete peggio di qualunque coppia sposata che abbia mai incontrato. Ricordatemi solo di non uscire mai più con voi due.»
Lo dice con così tanta pena che quasi mi sento dispiaciuto per lui, ma non riesco a smettere di ridere, anche se non ricordo perché ho iniziato.
Provo a calmarmi un po’ e guardare fuori dal finestrino, osservando le macchina vicino a noi e le persone che sorpassiamo sulla strada.
Il tempo passa e l’atmosfera nella macchina si calma, nessuno sta più parlando e lui ci porta alla familiare strada di casa.
Prendo un respiro profondo, gli occhi chiusi, e posso sentire il sorriso sul mio volto addirittura prima di aprire di nuovo gli occhi e vederlo riflesso nel finestrino. Mi sento bene. Questo…è bello. Niente di spettacolare, solo un paio di amici che cenano al ristorante, passano il tempo insieme, si divertono. È uno dei rari momenti in cui so che la mia vita è bella e che sono davvero felice.
Mi giro quando sento una mano calda sul mio ginocchio e lui fa un cenno al sedile posteriore. Muovo la testa e becco Chad ‘spalmato’ sul sedile, la bocca completamente aperta e addormentato. Rido silenziosamente all’immagine del mio amico e mi rigiro trovando lui che ancora mi sorride.
La sua mano che indugia ancora sul mio ginocchio.
~
Jared si svegliò urlando e ci volle un momento per sbattere le palpebre e rendersi conto di cosa c’era intorno a lui.
Chad lo stava fissando, distreggiandosi fra la macchina e la paura che Jared stesse perdendo la testa proprio affianco a lui.
«Oh, Dio» esalò Jared e la sua voce suonava strana alle sue stesse orecchie, il suono che a malapena le raggiungeva. «Oh, Dio» sussurrò di nuovo e si poggiò la mano sul cuore, stringendo quanto poteva come se potesse evitare che gli venisse strappato. Come se potesse fermare il dolore che lo pugnalava come un coltello in fiamme.
«Gesù, Jared, è tutto a posto?» Chad era terrorizzato, quasi urlava, preso dal panico.
«Sì.» Jared annuì. Annuì e annuì ancora con la stessa smorfia sul viso, cercando di trattenere le lacrime, impotente davanti a quella forza che gli stracciava le viscere come se fossero niente, senza nessuno sforzo.
«Brutto…sogno?» Chad scherzò ma suonava sconvolto abbastanza da far pensare a Jared che fosse sul punto di piangere pure lui.
No.
Jared scosse la testa.
Come poteva spiegarlo? Come poteva dire al suo amico che tutti questi sogni che lo facevano svegliare come se stesse soffocando, come se stesse morendo cazzo, non erano per niente brutti? Che svegliarsi da quei sogni era quello che lo uccideva?
«È tutto a posto.»
Chad lo fissò. Almeno quanto gli era permesso mentre guardava la strada di fronte a lui. I suoi occhi erano spalancati e preoccupati e Jared fece tutto quello che poteva per rimettersi in sesto.
Passandosi la mano sugli occhi e cercando di asciugarsi le lacrime, prese un respiro smorzato e cercò di concentrarsi sull’aria che entrava e usciva dai suoi polmoni. Cercò di concentrarsi per combattere il dolore che stava tentando di strappargli il cuore.
«Non è tutto a posto» disse Chad sottovoce e questa volta suonò come se avesse finalmente capito qualcosa a cui fino a quel momento non era arrivato. «Gesù, Jay, c’è qualcosa che veramente non va. E quella dottoressa non ti sta aiutando!»
Jared non sapeva se la rabbia di Chad era diretta a lui o alla dott.ssa Moira.
«Dio, avrai paura di addormentarti. Le tue nottate devono essere orribili!»
«No, Chad, no!» protestò Jared, la sua voce ancora fioca. «Questi sogni…sono bei sogni.»
Chad gli lanciò un’occhiata di traverso e questa volta la rabbia era diretta a lui: «Mi avevi detto che non li ricordavi.»
Jared esalò un sospirò sconfitto. Erano fermi a un semaforo rosso e Chad spostò la sua attenzione completamente a Jared e questa volta, lui cedette.
«Ricordo tutto. Sempre.» Guardò altrove, incapace di incontrare gli occhi di Chad e fu sollevato quando il semaforo diventò verde e Chad dovette concentrarsi sulla strada di nuovo.
«Io…Io sogno un ragazzo.»
Jared sentì Chad fare un suono indefinito.
«Noi non siamo…Lui non è…» Sentì le guance diventare rosa quando pensò a come si era sentito in quei sogni.
«È un amico. Tipo un migliore amico. Mi sento…in quei sogni mi sento così…bene, così felice. È lui a farmi sentire così...Non desidero niente se non che lui sia reale.”
Jared osò aprire gli occhi di nuovo, quando sentì la macchina fermarsi e Chad uscì e sbattè la portiera prima ancora che Jared si accorgesse che erano arrivati a casa sua.
«Hey, cos’hai?» gli urlò dietro Jared, guardando l’amico che si dirigeva infuriato verso la porta d’ingresso.
Lo raggiunse solo quando era già dentro casa, dopo aver usato la copia delle chiavi che lui gli aveva dato tempo prima.
«Bello, cosa c’è che non va?» chiese di nuovo Jared, forzando Chad a guardarlo.
Appariva arrabbiato, molto arrabbiato, le narici dilatate e la mandibola contratta. «Magari non sarò il ritratto perfetto del migliore amico, Jared. Ma ci sto provando, cazzo.» Con questo si voltò e svanì al piano di sopra, andando verso la sua camera e sbattendo la porta di nuovo.
E Jared lo lasciò fare, sapendo che aveva ferito il suo migliore amico per il volere qualcuno che non era nemmeno reale.
Chad se ne andò la mattina seguente, se ne andò per sempre, punendo Jared con niente se non il silenzio e subito dopo aveva le borse in mano ed era fuori di casa prima ancora che Jared potesse tentare di scusarsi di nuovo.
Jared sapeva di aver mandato tutto a puttane. Ma la sua testa era un casino, un turbine, e Chad arrabbiato era, purtroppo, solo una cosa in mezzo alle altre.
Non riusciva a liberarsi della tristezza. Una tristezza così profonda che non sapeva da dove venisse. Era sempre sull’orlo delle lacrime, senza sapere nemmeno perché. La sua vita era grandiosa, niente era cambiato così tanto da giustificare il cambiamento in lui. Ma c’era, quel cambiamento; come se Jared avesse perso qualcosa di così importante, così cruciale, che nonostante la sua coscienza non sapesse cos’era, il suo subconscio stava lentamente morendo per la perdita.
«Jared, possiamo cominciare?» Il nuovo regista lo guardò, in un misto di fastidio e confusione. Le riprese erano già iniziate da cinque ore, e la giornata non stava andando proprio bene. Eric aveva voluto girare quell’episodio, il primo della nuova stagione, ma stava ancora cercando di trovare il secondo protagonista, stava cercando di trovare un fratello per Sam.
Jared voleva lavorare con Eric di nuovo, ma c’era un nuovo volto sulla sedia del regista e Jared non poteva fare a meno di essere deluso.
Si stirò, roteò la testa da lato a lato prima di annuire. Non aveva la reputazione di uno che non era concentrato al cento percento sul suo lavoro. Non avrebbe iniziato ad averla ora.
«Okay, ognuno sui propri segni gente.» Urlò il regista battendo le mani. Eliza, la guest star per i primi tre episodi, regalò a Jared un breve sorriso e prese posizione. Jared prese un respiro profondo. Gli piaceva lei. Gli piaceva lavorarci e lei gli rendeva tutto semplice, nonostante non fosse tutto questo divertimento stare intorno a lui in quei giorni. Lui ricambiò il sorriso e andò alla sua posizione.
Poi guardò in basso, guardò il nastro adesivo che indicava la sua posizione, guardò quello della guest star, e un dolore improvviso gli scoppiò nel cuore, arrancò e si afferrò il petto.
«Jared, stai bene?» si preoccupò Eliza.
Blu.
Nastri adesivi blu.
Jared alzò lo sguardo, lottando per mantenere il respiro regolare, per mantenere il controllo su se stesso.
«Blu.» disse semplicemente, senza preoccuparsi che non aveva alcun senso per nessuno intorno a lui.
«Blu cosa?» sussurrò lei, avvicinandosi.
«Jared, stai bene?» Anche il regista era vicino a lui e Jared si sentì circondato, si sentì perso, così dannatamente perso e non riusciva a ragionare, non riusciva ad essere razionale.
«Segni blu. C’è…State usando del nastro blu.»
«Sì, quindi…?» Il regista e Eliza si stavano scambiando un’occhiata ma Jared nemmeno lo notò.
«Non fatelo.» Jared lo guardò, questa sensazione di perdita così profonda, così forte, che riusciva a malapena a respirare.
«Non capisco.» Il regista gli rivolse un’occhiata confusa, scuotendo la testa.
«Non usate il nastro blu! Non sono…appartengono a…» Jared urlò e sia il regista che Eliza apparvero scioccati.
«Per favore, non fatelo.» aggiunse in un sussurro, la sua voce scossa da lacrime che non scendevano.
«Perché no? Jared, non capisco, sono solo … nastri adesivi.»
«Hey Walter.»
Jared si girò verso la voce familiare.
«Cambiate i dannati nastri e basta, okay?» disse Kim Manners, la voce seria ma gentile. Il regista annuì e se ne andò, e Jared non potè non notare l’espressione sollevata sul suo volto.
Qualcun altro si stava occupando del pazzo.
Jared seppellì la testa nelle mani e rabbrividì. Stava perdendo la testa. Stava impazzendo. Non si poteva negare. E lo sapevano tutti. Tutti sapevano dell’attore pazzo adesso.
«Jared.» La voce di Kim era delicata, una mano sulla spalla di Jared, e quando lui guardò in alto di nuovo, incontrò occhi gentili e interessati.
«Prenditi una pausa nel tuo trailer. Manderemo un assistente di produzione quando avremo bisogno di te. Prova a schiarirti le idee o dormire un po’, okay?»
«Okay», sussurrò Jared annuendo. Si girò, dirigendosi al suo trailer, sentendo chiaramente gli occhi di Eliza e Kim sulla sua schiena e tutto quello che voleva era nascondersi nella sua roulotte e non uscire mai più.
~
Lo guardo prendere posizione sul suo segno a terra e sorride quando mi becca a guardarlo. Gli sorrido anche io.
La scena è pronta dopo sole due riprese e un primo piano ed è bello essere di nuovo sul set, lavorare di nuovo e posso vederlo sul viso di ognuno, quanto siano felici.
Eric sta urlando istruzioni come fossero proiettili, più come un fotografo che come un regista, e tutti le prendono come lui le intende, lavorare al massimo, dare anche di più.
È un’estasi. È come un’eccitazione che mi scorre su per i nervi e quando lo guardo, lui, posso vedere che si sente allo stesso modo.
Il mio cuore scalpita quando i suoi occhi si concentrano su di me. Il verde così intenso, come se brillasse. Ma questo forse perché siamo tornati sul set, siamo tornati nelle menti dei personaggi che abbiamo creato, in cui abbiamo messo le nostre anime, i personaggi che amiamo.
Portiamo a termine molto lavoro quel giorno e prima di quanto mi aspetti, mi ritrovo nel mio trailer, il sole già sceso, sentendomi dolorante e incredibilmente bene.
Lui è lì, come sempre, seduto sul divano nella mia roulotte, muove il collo e si lamenta del dolore ma posso vedere la gioia sul suo viso. È felice quanto lo sono io.
Mi lascio cadere accanto a lui, gemendo in modo troppo drammatico e lui ridacchia. Il suono mi fa il solletico all’orecchio.
«Mi fa malissimo il collo» dice, chiude gli occhi e si frega le tempie, continuando a muovere la testa da una parte all’altra come se questo potesse cancellare il dolore.
«Lascia fare a me.» dico, ed è più un sussurro. Raggiungo il suo collo e vi pongo sopra le mani, massaggiandolo su e giù, fino alle clavicole e lui emette un gemito.
Mi sembra familiare. Non c’è nessun particolare ricordo che mi torna alla mente, ma so che l’ho fatto molte volte e non mi sembra per niente strano. Sto solo aiutando un amico, lo sto aiutando col dolore e sono fantastico ad usare le mani. Ho mani enormi, e fantastiche.
Inizio a ridere ed è quando penso che forse sono un po’ troppo pieno di energia ed esausto allo stesso tempo.
«Che c’è?» Guarda verso di me, le labbra incurvate in un sorriso.
«Ho delle mani fantastiche.»
Lui ridacchia e solo perché io sono fantastico in generale e siamo entrambi stanchi morti, lascio scorrere.
«Sì, hai mani fantastiche.» afferma.
Gli regalo un sorriso «Dovrei essere pagato per le mie mani.»
Lui annuisce, mantiene un’espressione seria. È abituato a giocare con le mie battute così tanto che a volte non capisco se sa che sto scherzando.
«Potrei pagarti di più l’affitto» offre e fischia quando arrivo a toccare un punto più teso del suo collo.
«Affare fatto» rispondo, ma sono già distratto. Distratto dal modo in cui le sue palpebre sbattono vicino al mio viso e non so cosa mi fa catturare quel movimento della sua lingua che lecca le labbra, ma improvvisamente lo faccio. Lo osservo. Studio il modo in cui le sue ciglia, come un ventaglio, quasi si posano sulle sue guance; il modo in cui le sue labbra si curvano e come sento la sua pelle sotto le mie mani.
La sua pelle morbida e vellutata.
Qui è quando realizzo che non lo sto più massaggiando. La mia mano ha iniziato una carezza leggerissima.
I miei polpastrelli sfiorano il suo collo, lo toccano proprio sotto l’orecchio e iniziano a giocare con i suoi capelli, sentendo i fili morbidi e scivolando fra loro ancora, e ancora.
Guardo la mia mano fare tutto questo e sono così occupato con il modo in cui lo sento sotto le mie dita, che capisco cosa sto facendo solo quando lo sento rabbrividire.
Levo la mano come se bruciasse, i miei occhi enormi quando incontrano i suoi. Il verde ora è più scuro, più profondo, e non so quando ho iniziato a notare cose come il colore dei suoi occhi, ma le noto ora.
~
Accadde allo stesso modo di sempre. Il dolore nel petto che gli schiaccia i polmoni, al punto che a Jared sembrò per un breve momento di morire. La mancanza di rumore intorno a lui e la sensazione che stesse gridando. Lo shock di svegliarsi dal sogno.
Rotolò giù dal divano nel suo trailer, cercò di mettersi in piedi mentre continuava a lottare per un po’ d’aria.
«Jared, stai bene?»
Jared sentì una mano sul suo braccio prima di realizzare che le parole erano chiare come il suono di una campana. Sbatté le palpebre e mise a fuoco la persona davanti a lui. «Chi diavolo sei tu?»
Respirando avidamente l’aria fresca, guardò in basso verso la ragazza che lo stava osservando con gli occhi spalancati.
«Sono…Sono Nona, nuova assistente di produzione. Kim mi ha mandata a prenderti e poi ti ho sentito cadere sul pavimento.» Lei non si mosse, completamente bloccata in attesa di una qualsiasi reazione da Jared. Lui annuì «Okay. Io… Arrivo subito.»
«Sicuro di stare bene?» Non suonò convinta e Jared non poté davvero biasimarla.
Ma stava bene. I suoni erano tornati come se non fossero mai andati via e lui riusciva a respirare senza problemi. Annuì di nuovo.
«Sto bene. Dammi solo un secondo e sarò di ritorno sul set.»
«Okay.» Gli regalò un breve sorriso e lasciò la roulotte.
Jared la guardò andare e allora la sua mente tornò al sogno. Il sogno. Il suo battito accelerò di nuovo quando pensò a cos’era accaduto, a cosa aveva sentito.
Chiuse gli occhi e scosse la testa, cercando di venire a capo di quella sensazione sconcertante. Ma non funzionò.
Era sempre lì anche mentre Jared stava seduto nell’Impala, pronto ad affrontare un altro demone della settimana.
Era tardi. Dopo una giornata come quella Jared era sicuro che avrebbe dovuto essere nel suo letto, a dormire, riposare almeno.
Ma era completamente sveglio, girovagando per casa senza meta, i suoi cani che trotterellavano dietro di lui, fedeli come sempre. Stava cercando qualcosa da fare, qualcosa con cui tenere le mani e il cervello occupati, ma era una causa persa.
Jared pensò di chiamare la dott.ssa Moira. Chiederle delle medicine di cui gli aveva parlato. E pensò di chiamare Chad, di scusarsi con lui per tutto quello che aveva detto, di provare a spiegarsi.
Seduto sul suo divano, Harley e Sadie che finalmente riposavano ai suoi piedi, il numero che chiamò fu quello di Sandy.
«Pronto? Jared?»
«Hey, Sandy.» disse e si sentì immediatamente meglio, solo a sentire la sua voce.
«Piccolo, cosa c’è che non va?»
Lui sorrise alle sue parole. Lo chiamava ancora così quando era preoccupata, e non sembrava nemmeno strano. Semplicemente come se tenesse ancora a lui. Come se l’amasse.
«Volevo solo…Volevo solo parlare con qualcuno.»
«Certo, dammi solo un secondo.»
L’ascoltò camminare da qualche parte, chiudere una porta, sedersi.
«Sono qui, piccolo.»
Jared dovette serrare la mandibola per non scoppiare a piangere alle sue parole. La perdita che sentiva, la perdita che era sempre presente, ovunque si girasse, qualsiasi cosa facesse, era più forte ora, e stranamente, non così dolorosa allo stesso tempo.
«Sandy, io…io non lo so. Non mi sento troppo bene.» ammise, chiudendo gli occhi.
«Lo so, Jared. Tua mamma mi ha chiamata. E ho parlato con Chad. Dimmi cosa posso fare. Dimmelo.»
Non era una novità che la mamma di Jared avesse chiamato Sandy senza dirglielo. E nemmeno che Chad l’avesse chiamata. Dopo quei tre giorni passati in ospedale, Jared sapeva bene quanto fossero preoccupati tutti intorno a lui.
«Sandy, perché non ha funzionato fra noi?»
La sentì fare un lieve sospiro. «Piccolo…» Suonava triste.
«No, aspetta, non intendo in quel modo» la fermò. Avevano passato la fase quando entrambi speravano ancora di tornare indietro a quello che c’era, quando pensavano che quello era ciò che volevano.
«Intendo..» continuò »Ricordo qualcosa che mi hai detto una volta. E non ti ho ascoltato allora, ma ora lo ricordo. Era qualcosa riguardo a me che cercavo qualcun altro.»
«No, piccolo, non prendermi male.» rispose lei immediatamente. «Non ti ho mai accusato di tradirmi. So che non l’avresti mai fatto. E io non…io non penso neanche che tu lo avessi capito ancora.»
«Capito cosa?»
«Che tu… mi sembrava che tu stessi aspettando qualcun altro. Non meglio, solo…tesoro, non penso che tu stessi solo resistendo con me e segretamente cercando qualcuno meglio di me, okay? Solo che per tutto il tempo sembrava che non fossimo destinati a stare insieme. Come se ci fosse qualcun altro ad aspettarti, qualcuno che magari non avevi nemmeno incontrato.»
Jared sentì il battito del cuore nel petto; più forte, più veloce. Sentì la gola serrarsi e un brivido familiare sul collo, come un’anticipazione, come paura, come consapevolezza.
«Sandy, perché…c’è un motivo…perché stai dicendo ‘qualcun altro’? Perché non ‘un’altra donna’? Perché ‘qualcun altro?»
La sentì prendere un respiro agitato, la sentì lottare per trovare le parole.
«Oh mio Dio piccolo, l’hai trovato?»
capitolo tre