!stickypost! traduzione: la stanza vuota [J2]

Dec 17, 2012 19:22

Titolo: The Empty Room - La stanza vuota 
Autore: germanjj
Genere: RPS, Angst (tanto, tantissimo angst), Drama, hurt/comfort
Pairing e personaggi: Jensen/Jared (J2), Chad M. Murray, tanti altri importanti nella storia.
Rating: NC17
Warning: slash (ma no, ma davvero?), bottom!Jared e lo ripeto troppo troppo angst. e un Jensen così perfetto agli occhi di Jared che fa male. Fisicamente male.
Numero di parole: 43.472
Note: Preparatevi alla nota più lunga della storia. Finalmente ce l'ho fatta! Questa è una delle fanfiction più belle che abbia mai letto. Jared è il Jared più IC di cui abbia mai letto. Non potevo non tradurla e l'autrice mi ha dato il permesso quindi eccola. Tutti dovrebbero leggerla e spero di aver fatto una traduzione che renda almeno la metà di quanto rende l'originale.
È la prima traduzione che faccio quindi abbiate pietà, ho avuto moltissime difficoltà coi tempi verbali, dato che comunque anche l'autrice non è madrelingua inglese e i tempi in questa fic si alternano fra passato remoto e presente. Quindi se vedete problemi non esitate a commentare. Commentate comunque, ho fatto tanta fatica e versato lacrime per voi é.è
Ringrazio Chiara per essermi stata vicina su twitter durante la traduzione delle parti un po' porno difficili e chiunque mi abbia dato consigli su alcune parti che non riuscivo a tradurre.

Note for the author: thank you so much for your permission to translate this, your fic doesn't stop to amaze me every time I read it again. So I don't know what to say but thank you.

masterpost dell'autrice con i link all'artpost e soundtrack (scaricatela e amatela)

Summary: La vita di Jared sembra lentamente cadere a pezzi, scivolargli tra le dita, e lui non sa nemmeno perché. Quello che sa è che deve esserci una ragione per cui trova sempre i suoi cani grattare la porta della stanza vuota in casa sua. Perché esita così tante volte prima di partire per il set, semplicemente perché sembra in qualche modo sbagliato andare da solo. Perché sogna questo ragazzo che non ha mai incontrato, ma che, nei suoi sogni, sente come l’uomo con cui ha trascorso una vita intera. Perché non riesce a scrollarsi di dosso la sensazione che c’è qualcosa, qualcuno, che ha dimenticato.



La stanza vuota.

-  prologo - 
«Guardalo,» mormorò non appena sentì la presenza di sua sorella maggiore dietro di lei.
«Eccoti qui» la rimproverò lei, ma mantenne comunque un tono basso, anche se nessuno avrebbe potuto sentirle. Non loro.
«Ti abbiamo cercato ovunque» continuò, affiancandosi a lei e guardando cosa stava fissando la sorella.
«Oh mio Dio, è così carino!» non poté evitare di dire non appena vide il bambino nella culla.
«Visto? Te l’avevo detto che sarebbe stato carino. Potevo vederlo già da quando era nel grembo di sua madre.»
Sua sorella scoppiò a ridere, ma il bambino nella culla fece solo un piccolo e dolce suono e continuò a dormire beatamente.
«Potete smetterla di aggirarvi nelle nursery della gente?» Un’altra voce irruppe nella notte e le due donne si trovarono davanti alla più grande di loro «Mi inquieta a morte».
Le due più giovani si scambiarono un’occhiata ed iniziarono a ridacchiare. «Oh, e dai tesoro, sei solo gelosa!» disse quella di mezzo con un ghigno.
«Di cosa dovrei essere gelosa? Del fatto che non vedo il perché dovrebbe essere così interessante guardare un comune bambino che dorme? Non penso proprio. E tu dolcezza,» si girò verso la più giovane «sei ossessionata un po’ troppo da loro ultimamente. Prima quella bellezza dagli occhi verdi un paio di anni fa, e ora lui.»
Nonostante le dure parole della più vecchia, la sorella minore sorrise, un sorriso aperto e felice.
«Perché sono speciali. Perché le opportunità di questi tempi…finalmente possono essere quello che dovrebbero essere!»
Tornò a guardare il piccolo fagotto di nuovo, così innocente, incurante delle tre che stavano parlando tanto di lui.
«E non è un bambino comune. Non lo è in nessun senso. Riesco a vederlo, sorella! Riesco a vedere tutto quello che dovrebbe essere e anche se non farà parte dei libri di Storia o non sarà importante per chiunque altro se non quelli del suo tempo, la sua vita sarà speciale per loro.» Alzò lo sguardo, incontrando gli occhi della sorella. «Darà a tutti così tanto, solo rimanendo sé stesso. Aspetta e vedrai.»
La sorella maggiore brontolò, ma non disse nulla.
 «Cos’hai da sorridere?» chiese la più giovane appena scoprì il profondo sorriso sul viso della maggiore, che era rimasta in silenzio tra le sue sorelle. Quella di mezzo si morse le labbra e i suoi occhi brillarono, intravedendo la curiosità delle sorelle.
«Cosa?» chiese la più vecchia, in tono irritato. Odiava non sapere cosa stava succedendo.
«Cosa?» chiese ancora una volta la più giovane, la sua voce mutata in quella di una bambina di cinque anni.
Quella di mezzo fece solo un passo verso sua sorella minore, le accarezzò la guancia e le posò un morbido bacio sulla tempia.
«Fra una ventina d’anni» sussurrò «potrei avere una sorpresa per voi.» Con queste parole se ne andò, lasciando la sorella minore a sbattere gli occhi al nulla dov’era lei solo un secondo prima.
«Che cosa…?» Si voltò verso l’altra sorella, che si limitò a sbuffare e roteare gli occhi e anche lei scomparve.
«Dee!!! Torna indietro! Dimmi quello che sai!!» urlò nell’oscurità, ma nessuno rispose.
La casa rimase tranquilla e il bambino di fronte a lei sospirò nel sonno.
La più giovane si chinò e toccò dolcemente la testa del bambino, i capelli morbidi che solleticavano le sue dita.
«Ciao, Jared. Ti vedrò di nuovo» sussurrò e andò via.

- Jensen -

Non sono completamente sveglio quando sento il calore di un altro corpo infiltrarsi dentro di me.
Posso sentire il profumo muschiato di un altro ragazzo, posso quasi gustarlo sulla mia lingua.
Voglio gustarlo.
Intrappolato tra sogni sfocati e la sensazione di spensieratezza
proprio prima che la mente veda il giorno,
seguo i miei desideri e lascio che la mia lingua scivoli fuori.
Lo sento respirare.
Sento il suo cuore battere proprio sotto la sua pelle,
vibrare contro le mie labbra.
Non l’ho mai fatto. Mai toccato un uomo, mai sentito il bisogno elettrizzante.
E so che è tutto solo perché è lui.
Perché è Jared.

~ Canto di cose che erano ~

- Capitolo Uno -

La casa era tranquilla quando Jared si svegliò. Davvero tranquilla. Come se qualcuno avesse risucchiato tutti i rumori fuori dalla stanza, ed ogni passo ed ogni respiro non si potesse sentire.
Non era la prima volta che si sentiva in quel modo la mattina presto. Jared non avrebbe saputo dire quando era iniziato ma sapeva che non poteva dare la colpa alla sonnolenza, era una persona mattiniera dopotutto; o alla mancanza di caffeina, dato che non beveva così tanto caffè ad ogni modo.
Invece, aveva cominciato a prestare attenzione allo strano silenzio. Alla mancanza di rumore. Cercando di darvi un senso.
Il silenzio faceva male. Come se l’aria fosse uscita da ogni stanza e non ci fosse rimasto più niente a riempire i suoi polmoni. Come se lui avesse voluto prendere un respiro profondo, sentendo solo un dolore lancinante nel petto, come se stesse respirando fra aghi e lame.
Accadeva solo di mattina. E qualche volta nei weekend, quando si addormentava sul divano di pomeriggio. Accadeva solo non appena si svegliava.
Quando tornava a casa dal set, o stava alzato fino a tardi, la casa era piena di ogni sorta di rumore.
Il basso ronzio dei vari apparecchi elettrici in salotto e in cucina. Rumori dall’esterno, come auto che passavano, o il fruscio degli alberi quando il vento si alzava.
Ma non la mattina. Non quella mattina. La casa era tranquilla.
Tranquilla tranne che per il grattare proveniente dal piano di sotto.
Jared scese di sotto solo per trovare i cani di fronte alla porta dell’altra camera da letto in casa sua.
Era posizionata fra il secondo bagno e un piccolo ripostiglio che Jared non aveva mai usato; dritto dopo il salotto, la porta a solo due passi dalle scale.
Le loro zampe stavano grattando il legno, creando un rumore che le orecchie di Jared non sopportavano. Quando sentirono il loro papà arrivare, cominciarono a guaire forte, implorando perché li facesse entrare nella stanza.
«Non di nuovo» grugnì Jared. Ma si fece spazio fra i due cani e aprì la porta comunque, lasciandoli entrare.
«Non c’è niente qui dentro» disse a Harley e Sadie. Come se potessero capirlo. Come se questa volta potessero credergli, così da non trovarli nella solita posizione il giorno dopo.
Ma i suoi cani si buttarono nella stanza vuota comunque, inciampando l’uno sull’altro e annusando l’aria.
Esplorando gli angoli, scrutando le pareti vuote e due grandi finestre che lasciavano entrare la luce del sole nella stanza, abbastanza perché la polvere brillasse nell’aria.
Jared sentì un moto di dolore mentre guardava i suoi bambini. Apparivano confusi, abbandonati, come se stessero cercando qualcosa in questa stanza che non era lì.
E Jared non sapeva da dove veniva quella sensazione, ma in qualche modo capiva. Come se anche a lui mancasse qualcosa.

Il campanello suonò proprio quando Jared aveva finito di fare colazione e si stava mettendo le scarpe.
«Hey, Clif». Jared diede all’uomo una pacca sulla spalla, salutando il suo bodyguard/autista/amico come tutte le mattine quando veniva a prenderlo.
«Pronto?» ghignò l’omaccione giocando con le chiavi dell’auto nella sua mano. Harley e Sadie corsero alla porta come sempre, rimbalzando intorno al nuovo visitatore, ma quando Jared fu pronto per andare, giacca e guinzagli in mano, svanirono dentro quella stanza vuota di nuovo.
«Harley! Sadie! Venite qui!» fece eco la voce di Jared tra le pareti di casa, ma i cani non reagirono.
«I cani si comportano in modo strano di nuovo?» Clif alzò un sopracciglio e guardò Jared con un ghigno di derisione sulla faccia.
Lui roteò gli occhi come risposta. «Non so cos’hanno con questa stanza, amico. Non c’è niente lì dentro. Non c’è mai stato niente da quando mi sono trasferito qui.»
«Topi?» suggerì Clif.
Jared scosse la testa. «Nah, ho controllato. Non c’è niente. Ma continuano a comportarsi come se stessero cercando qualcosa.»
Jared rinunciò ad aspettare i cani e tornò di nuovo nella stanza, li legò ai loro guinzagli e li portò fuori dalla casa con lui.
Una volta legati e sistemati a dovere Harley e Sadie dentro le loro gabbie nel sedile posteriore dell’auto di Clif, Jared prese posto accanto al guidatore.
«Possiamo andare?» chiese Clif, attendendo chiaramente che l’altro rispondesse.
Lui non lo fece.
I suoi occhi fissavano fuori dal finestrino e si accigliò quando un’improvvisa, allarmante sensazione si impadronì di lui.
«Io…Non lo so.» Penso di aver dimenticato qualcosa disse a sé stesso. Non lo disse ad alta voce, perché razionalmente sapeva che non aveva dimenticato niente. Aveva i cani e la loro borsa per la dogsitter, e aveva le proprie cose, che non erano poi tante comunque.
Ma la sensazione rimase.
«Sì, possiamo andare.» Jared scosse la testa come per scrollarsi di dosso la sensazione confusa dentro di lui.
Clif gli rivolse uno sguardo calcolatore, ma avviò l’auto e partì.
«Quindi, giornata impegnativa?» chiese casualmente, e Jared cominciò a sentirsi più rilassato.
«Nah, non troppo. Giusto l’incontro con Eric, dobbiamo parlare della nuova stagione e cose così e poi ho un appuntamento dalla Dott.ssa Moira. E stasera viene Chad.»
Clif ghignò come se avesse già capito «Aah, festa prima che inizino di nuovo le riprese?»
Jared rise con l’altro uomo ma scosse la testa. «No, niente festa. Non sono davvero dell’umore. Solo un po’ di tempo fra amici, prima di essere entrambi troppo occupati per vederci.»
L’atmosfera nell’auto tornò di nuovo seria, come se fosse stato premuto un interruttore, e Clif si schiarì la voce prima di iniziare a parlare. «Quindi come va con la Dott.ssa Moira?» Il suo tono era esitante e i suoi occhi si spostavano da Jared alla strada e viceversa. «Scusa, non sono affari miei» disse quando Jared non rispose.
«No, no! È tutto a posto. È solo…» Jared lasciò andare un profondo sospiro e si sfregò gli occhi «Sembra che non stiamo facendo alcun progresso, sai?»
Clif annuì. «Dai solo un po’ di tempo a questa cosa, amico»
«Sì, lo so.» Jared provò a sorridere, ma il sorriso non raggiunse i suoi occhi.

«Jared! Siediti pure.» La sua voce era chiara, il suo viso aperto e amichevole e sorrise a Jared quando entrò nella stanza.
«Salve Dott.ssa Moira.» Jared fece quello che gli era stato detto e prese la sedia davanti a lei.
Si agitò un po’ sulla sedia, avendo problemi a trovare la giusta posizione e ciò non aveva niente a che fare con la sua statura. Non gli piaceva lì. Non sapeva nemmeno se gli piaceva la Dott.ssa Moira, ma questo probabilmente era solo per quello che lei rappresentava, per la ragione per cui lui era lì.
Lei sorrise quando notò il suo disagio. Probabilmente erano molte le persone a cui non piaceva stare lì.
«Come ti senti oggi?»
«Uhm, bene. Sto bene.» Non suonò convincente e ne era ben consapevole, ma alla Dott.ssa Moira sembrò andar bene così.
«Perciò, le riprese inizieranno presto?»
Jared annuì.
«Come ti senti al riguardo?» Lo guardò, tutta impostata e Jared non potè trattenersi dal pensare che l’avesse dovuto imparare da qualche parte: gli occhiali sulla punta del naso, le gambe incrociate, il blocco per gli appunti sulle ginocchia e una penna fra le mani. Sembrava la caricatura di sé stessa, come una psicologa di un fumetto dove tutto era un po’ più esagerato di come era nella realtà.
«Sono emozionato. Sono davvero…Non vedo l’ora. Voglio dire, mi piace avere del tempo libero e poter vedere la mia famiglia e i miei amici. Ma amo il mio lavoro e questa sarà una stagione pazzesca e non vedo l’ora di iniziare.»
«Jared,» disse con un tono che lo fece alzare lo sguardo. «Non voglio risposte scontate. Non sono un giornalista, sono una psicologa. Dimmi come ti senti al riguardo.»
«Sono elettrizzato» chiarì Jared. «È solo…Eric prenderà un altro protagonista nel cast. Tipo un fratello per Sam o qualcosa del genere. Pensa che darà allo show una bella svolta, una nuova dinamica. Vuole mettere tutto quello che può nell’ultima stagione.»
«E questo ti preoccupa? O vuoi che avvenga? Essere l’unico protagonista di uno show chiede un sacco di lavoro e responsabilità da parte tua. Ma un altro protagonista può significare guai, cambiamenti in una routine che hai avuto per anni. E potrebbe rubare un po’ dei tuoi riflettori ben guadagnati.»
Gli rivolse uno sguardo curioso, la sua penna pronta a scrivere tutto quello che la sua risposta le avrebbe detto riguardo i suoi problemi.
Jared si agitò di nuovo, sentendosi imbarazzato e…nudo sotto il suo sguardo fisso. «No. Ha preso tutto nel modo sbagliato. Non sono preoccupato - » spiegò. «Il fatto è che dovrei esserlo. Per tutto quello che ha detto, dovrei essere arrabbiato e preoccupato. Ma non lo sono.
Onestamente, non vedo l’ora. Non vedo l’ora di avere qualcun altro nello show, qualcuno con cui condividere tutto questo. È come…Sarebbe dovuto essere sempre così.»
«Ti senti solo?»
Jared sussultò. Quella era la domanda a cui aveva sempre avuto paura di dover rispondere. Si sentiva debole e patetico perfino a pensarci. Sentirsi solo. Tutta la sua vita il concetto di sentirsi solo era qualcosa che non aveva capito. Aveva la sua famiglia, i suoi amici, c’erano sempre state persone che lo amavano e Jared non aveva mai perso un momento a pensare a come fosse sentirsi soli.
«Sì. Forse sì.» ammise debolmente.
«Da quanto siete separati tu e la tua ragazza? Sandy, giusto?»
«Un anno e mezzo. Un po’…un po’ di più.»
«E dopo di lei?»
«Ho frequentato una ragazza dello show per un po’. Ma non ha funzionato.»
«È questo che ti manca? Il rapporto di coppia?»
Jared prese un profondo respiro, lasciò che i suoi occhi vagassero per la stanza ed evitò di guardare lei. «Io…sì, certo, quello mi manca. Ma non…non è quello. Voglio dire, sì, mi manca avere una ragazza. Ma sento che non è quello che mi manca.»
«Cosa ti manca? Lo sai?»
Jared scrollò le spalle, incontrando finalmente i suoi occhi.
«No. Immagino che sia il motivo per cui sono qui.»

«Parlami dei tuoi sogni.»
Jared si sentì quasi sollevato al cambio di argomento. «Non si sono fermati. Lo sogno ogni notte.» rispose sinceramente.
«Sai chi è?»
«No. Ma posso vederlo, sa? Voglio dire, nei sogni…normalmente provi a guardare qualcosa meglio e tutto improvvisamente si fa sfocato.» Provò a spiegarle, scorrendo le dita delicatamente sulla linea della sua mascella, per farle capire. «Ma non con lui. Posso vedere il suo viso chiaramente. Ma non lo conosco.»
«Ha un nome? Lo chiami in qualche modo nei tuoi sogni?»
Jared scosse la testa. «No. È solo…lì. E lo conosco nei miei sogni. Lo conosco molto bene. Giriamo insieme, intendo che è nello show con me, e vive in casa mia.»
Gli sembrava strano, parlarne. Quei sogni sembravano così intimi, così…personali, che non gli sembrava bello condividerli con qualcun altro. Avere qualcun altro che li analizzasse. Che analizzasse lui. Jared sospirò di nuovo, sfregandosi il viso. Questo era quello per cui era lì.
«Cosa fate nei tuoi sogni?» La Dott.sa Moira non cambiò la sua posizione una sola volta. Continuò a scrivere quantità e quantità di parole e Jared si chiese se gli avrebbe mai detto cosa c’era in lui che non andava. O se lo lasciava solo parlare e neanche lo sapeva.
«Niente di speciale. Lavoriamo, giochiamo ai videogiochi, andiamo fuori a cena, passiamo il tempo insieme» rispose.
«Cosa senti per lui?»
Jared si accigliò «Cosa intende?»
«Ti senti bene con lui? Ti spaventa?»
«No, oh Dio, no!» si sbrigò a spiegare. «Mi sento…è fantastico con lui. È tipo…il mio migliore amico o qualcosa del genere.»
«Provi attrazione sessuale per lui?»
Jared la fissò per un momento, aspettandosi un sorrisino o qualcos’altro che gli suggerisse che stava scherzando. Ma la sua espressione rimase indifferente, continuò a guardarlo, aspettando pazientemente una risposta.
«Non sono gay» dichiarò.
Lei allora gli rivolse un sorriso, appoggiando la penna per un momento. «Non ho detto che lo sei. E anche se provassi certe sensazioni, non vorrebbe necessariamente dire che sei gay. Lui potrebbe semplicemente rappresentare qualcosa che vuoi o che manca nella tua vita. È solo un sogno, Jared.
I sogni non sono reali.»

Sono nervoso. O è più eccitazione, un formicolio che mi scorre nelle vene, e batto le dita sui jeans mentre guardo fuori. È buio, dev’essere passata la mezzanotte.
Un sorriso mi illumina quando sento un’auto fermarsi davanti a casa, i fari anteriori che illuminano parte del vialetto. Solo qualche altro secondo prima che possa sentire qualcuno camminare verso casa, e improvvisamente Harley e Sadie sono accanto a me, inciampando l’uno sull’altra mentre corrono verso la porta.
«Hey.»
È dentro casa ora, le borse che ha portato con lui sono sul pavimento vicino alla cucina e i cani si sono calmati abbastanza da permettergli di guardarmi e camminare verso di me senza la paura di correre sopra ad uno di loro.
«Hey» disse lui con un sorriso, stanco, esausto, ma che comunque gli illumina il viso e fa brillare i suoi occhi.
Qualcosa si muove dentro di me.
Qualcosa di piccolo e dolce, vagamente familiare ma migliore, più forte di quanto abbia mai sentito prima. Non riesco a respirare per un secondo, ma poi mi scrollo quella sensazione di dosso e lascio che i miei occhi osservino il suo viso.
«Aww, dai, so che lo vuoi.» Lui fa un sorrisetto e so che mi sta solo prendendo in giro perché è quello che fa di solito, e lo so perché lo conosco.
Io rido e annuisco e diminuisco la distanza fra noi, avvolgendolo con le mie braccia.
Si sente bene, caldo e familiare, forte nelle mie braccia, anche se io sono il più alto e il più ‘in forma’ adesso. So che non è sempre stato così. Beh, più alto, certamente, ma prima ero magro e sottile, non avevo queste spalle larghe che ho ora. E so che prima lui doveva essere quello più forte e non so perché sono sicuro di questo, dal momento che non riesco a riportare alla mente un ricordo che me lo suggerisce. È semplicemente una consapevolezza che è lì, così come la sensazione che abbiamo già diviso una vita intera insieme.
Come la sensazione che siamo proprio dove dobbiamo essere, l’uno nelle braccia dell’altro.
Faccio un passo indietro e lo lascio andare, arrossendo un po’ ai pensieri che mi corrono in testa.
So cos’è ora, riconosco la sensazione. Ma non è qualcosa a cui voglio pensare ancora. È troppo presto, troppo nuovo e la felicità che arriva sempre con una tale realizzazione è sempre troppo forte per essere rimpiazzata dal timore e dall’incertezza che inevitabilmente arriveranno.
Ma per ora mi limito a guardarlo e a sorridere e non penso di poter nascondere quanto sono felice.
La sua faccia si illumina anche di più quando mi guarda, e non si muove, guarda e basta, finché i cani non cercano di scavare nelle sue borse, i loro musi già seppelliti dentro queste, e il momento è finito.
Afferriamo le borse prima che i bambini possano fare danni e le spostiamo nella camera da letto al piano terra, la sua camera, i cani dietro.
«Dov’è Chad?» chiede, alzando un sopracciglio, mentre comincia a disfare i bagagli. So che non gli piace tenere i suoi vestiti in una borsa per troppo tempo, anche se è nel bel mezzo della notte, ed è semplicemente una delle cose che so e basta.
«Di sopra, dorme nella camera degli ospiti» rispondo.
«Il festaiolo si sta facendo vecchio eh?» Lui ghigna e io non posso fare a meno di restituirgli il sorriso e il mio battito accelera di nuovo.
«Quindi perché sei in piedi?»
«Aspettavo che tu tornassi a casa».
Alza lo sguardo su di me e sorride luminoso e non so se lui capisce che non sto scherzando.

Bruciava.
Jared provò ad aprire gli occhi, provò a capire dov’era, perché era in piedi da qualche parte, senza dubbio in piedi, non nel suo letto a sognare. Ma i suoi polmoni stavano per scoppiare e lui stava disperatamente cercando di prendere aria senza riuscirci.
Stava facendo rumore. Lo sapeva. Provando a prendere fiato violentemente, stava facendo un sacco di rumore, ma non riusciva a sentire niente, non riusciva a sentirsi. Si sentiva come un uomo cieco e sordo, che stava soffocando. Si sentiva come se stesse annegando.
E poi c’erano mani su di lui. Sulle sue spalle. Poteva sentirle, lo scuotevano.
Lo schiaffo in faccia fu ciò che lo fece riprendere.
Jared aprì gli occhi e nello stesso momento l’aria fresca riempì i suoi polmoni. Ci volle un po’ di tempo prima che potesse riconoscere quello che vedeva davanti a lui. Prima che i suoi occhi si connettessero al suo cervello e lui poté realizzare che era Chad in piedi davanti a lui e doveva essere Chad che lo aveva schiaffeggiato.
«Bello.» Chad ansimò come se fosse lui quello che stava soffocando. I suoi occhi erano enormi e stava armeggiando con un telefono, guardando Jared con un’espressione shockata.
«Vuoi che chiami il 911 o cosa?» La voce di Chad suonava strana, come lontana, come… se il silenzio fosse più rumoroso di lui.
Jared scosse la testa, sia per rispondere alla domanda sia per schiarirsi le idee. Per tornare da qualunque posto i suoi sogni l’avessero portato questa volta. Solo allora fu in grado di capire la situazione davanti a lui e il suo cuore, che si stava lentamente calmando, accelerò di nuovo.
«Perciò cosa, sei anche sonnambulo adesso?» Chad sembrava più spaventato che arrabbiato, ma riusciva comunque a suonare accusatorio.
«Io non…Non lo so.» Si guardò intorno. I suoi cani erano vicino a Chad, le loro coda abbassate, come se fossero preossupati…o spaventati. Guardavano verso il loro papà come se stessero aspettando una spiegazione.
«Bello, pensavo avessi detto che andavi da ‘sta dottoressa!”
Jared non riusciva a star dietro a Chad. La sua mente stava ancora cercando di capire dov’era. La stanza vuota. Proprio nel mezzo. Proprio dov’era nel suo sogno, mentre parlava al ragazzo di cui si era innam…oh Dio.
«Infatti è così.» rispose, la sua voce niente di più che un sussurro.
«Beh, non ti ha detto cosa fare per non finire soffocato a morte nel sonno?!»
«Ovviamente lei non può aiutarmi!» urlò Jared, spaventando i cani e Chad.
«Bello, non dire così» sussurrò Chad, gli occhi spalancati.
«E se fosse vero?» Jared guardò verso il suo amico, alzando le mani mentre chiedeva. «Non so nemmeno che diavolo ho! Come può aiutarmi?»
«Perché scoprire cosa c’è di sbagliato è il suo fottuto lavoro!»
«È solo che…questa cosa sta peggiorando sempre di più e non so nemmeno cosa sia, questa cosa.»
Chad lo fissò, in silenzio. E quello più di tutto disse a Jared che l’aveva davvero spaventato.
«Io non…» Chad cominciò e la sua voce era piena di rabbia e paura e preoccupazione. «Bello, promettimi che ci proverai. Non ti voglio vedere di nuovo in quel modo. Quel maledetto ospedale…Se finisci in quel posto di nuovo, non verrò a trovarti.»
Jared incontrò i suoi occhi e sapeva che l’amico diceva sul serio. L’ultima volta era stata…troppo per lui.
Jared si schiarì la voce. «Ci proverò. Lo prometto.»

2 |  3
parte due
1 |  2 | 3
parte tre
1 | 2 | 3
epilogo

pairing: jared/jensen, actor: jared padalecki, traduzione, actor: jensen ackles, fic: la stanza vuota, fanfic

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