Fandom: Supernatural.
Pairing: Castiel/Dean -
Mr.Gennaio&Prof.Novak ‘verse.
Altri Pairing/Personaggi: Anna, Balthazar, Bobby, Claire, Faith, Gabriel, Padre Jim, Jimmy/Amelia, Jo, Mary, Michael/fem!Lucifer, Sam/Jessica, più vari nominati.
Rating: NC17.
Charapter: 1/5.
Beta:
koorime_yu.
Genere: Angst, Fluff, Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: AU, Scene di sesso descrittivo, Slash, Spin-off.
Words: 5629/24867 (
fiumidiparole).
Summary: «Lo faremo in Gennaio» aveva deciso Castiel ed un nuovo inverno è ormai arrivato. Con la gentile partecipazione di un fratello esasperato, una madre fissata con le tradizioni, due genitori impossibili, uno svariato numero di amici fuori di testa, ed una wedding planner spaventosa. Parola d’ordine: sopravvivere.
Note: Spin-Off di
“I just want you to know who I am” e
“When Everything Feels Like the Movies”. Il titolo della fic, come quelli della storie che la precedono, è un verso di
“Iris” dei Go Go Dolls.
Note importanti: Questa storia raccoglie diversi riferimenti a quelle che la precedono, quindi vi consiglio di accertarvi di aver letto tutta la serie, prima di cominciare a leggerla. Il link accanto al pairing porta alla
Masterlist aggiornata, troverete le storie in ordine di lettura.
Dedica: A
xsickobsession, a cui l’avevo promessa un secolo fa XD
DISCLAIMER: Non mi appartengono, non ci guadagno nulla ù_ù
You’re the Closest to Heaven that I’ll Ever Be
1. La Proposta
Un fischio prolungato sferzò l’aria e la lavatrice iniziò la centrifuga, rombando come se dovesse decollare da un momento all’altro.
Dean la osservò accigliato, mentre smistava i vestiti per il prossimo lavaggio. Borbottò tra sé contro gli elettrodomestici programmati per andare in pezzi dopo appena qualche anno dall’acquisto, riflettendo sulla possibilità di comprarne una nuova.
Tra poco i vicini penseranno che possediamo un jet privato, sbuffò, controllando le tasche di un paio di jeans di Castiel. Era ormai abitudine farlo, visto che il suo compagno dimenticava sempre qualcosa, mettendo a serio rischio l’incolumità di quel povero elettrodomestico.
Effettivamente, forse un motivo c’era, se la lavatrice era stanca di vivere. Già una volta avevano dovuto farla riparare perché Cas aveva dimenticato delle monetine in un paio di pantaloni e queste avevano fatto un gran casino, che Dean non aveva nemmeno capito - ehi, era un vigile del fuoco, non un idraulico! -, e un’altra volta Castiel aveva scordato una penna in una giacca, che era scoppiata, con il risultato di ridurre un intero lavaggio a pois blu.
Ecco perché aveva spedito il professorino a stirare - cosa per la quale lui non aveva nessuna pazienza - e si era auto-incaricato di fare il bucato. Sperava solo che Cas non finisse per bruciare qualche camicia, visto quanto aveva la testa tra le nuvole in quei giorni.
Dean non capiva; c’era qualcosa che non andava in Castiel, nelle ultime settimane. Era sempre distante e distratto, come se si arrovellasse in chissà quali pensieri. Il fatto che non gliene parlasse lo preoccupava un po’, ma lui aveva deciso di attribuire la colpa agli esami che il suo angelo imbranato stava preparando per la propria classe.
Buttò i jeans tra i capi colorati e prese un altro paio di pantaloni più classici, frugando con sospetto anche nelle tasche di questi, ed trovandoci infatti qualcosa: un foglio piegato in quattro.
Incuriosito, lo dispiegò, scoprendo che si trattava della pagina di una rivista. Un articolo sugli U.F.O.? Non sembrava il genere di Cas, così lo girò, trovando sull’altro lato la foto di un bel mezzo frac gessato. La giacca di un intenso blu satinato, appena un po’ più scura della cravatta di seta, si stagliava sulla camicia bianca, sopra un paio di pantaloni grigio piombo, accendendo gli occhi azzurri del modello.
Un abito da sposo.
Oh, pensò stupidamente Dean, volgendo lo sguardo al calendario appeso al muro. Erano i primi di Dicembre. Ciò voleva dire che mancava meno di un mese a Gennaio. Il secondo inverno da che lui e il compagno avevano avuto una certa conversazione.
«Lo faremo in Gennaio» sussurrò la voce di Castiel nei suoi ricordi.
Altro che esami da preparare! Ecco perché il suo angelo aveva sempre la testa tra le nuvole, in quei giorni.
Cazzo.
*°*°*°*°*
Per tutta la settimana seguente, Dean visse in un Inferno costante. Ogni volta che Castiel si girava per rivolgergli la parola, lui veniva colpito dal terrore che stesse per fargli un qualche tipo di proposta. Anzi, non una qualsiasi, ma la Proposta. Sì, quella là, quella con la “P” maiuscola.
Puntualmente, si trovava a trattenere il fiato, rischiando di diventare cianotico, e riprendeva a respirare solo quando si rendeva conto che il compagno in realtà intendeva parlare di liste della spesa o regali di Natale, o di qualsiasi altro argomento.
Arrivò perfino ad inventarsi tutte le scuse possibili ed usare ogni arma di corruzione che conosceva per dissuaderlo dall’andare a cena fuori, quel sabato sera, nel tentativo di evitare situazioni troppo romantiche.
Stavano insieme da quattro anni e si supponeva che dopo un certo lasso di tempo una coppia dovesse pur approdare da qualche parte, no? Ma non poteva, semplicemente non poteva, ascoltare quelle parole, nonostante lui stesso gli avesse fatto una mezza promessa.
In tutta onestà, non avrebbe saputo nemmeno spiegare perché. Forse il punto era che non sapeva cosa avrebbe potuto rispondere ad una proposta del genere. Perché semplicemente a Dean non piacevano i cambiamenti.
Comunque era solo questione di tempo prima che Castiel si insospettisse e lo mettesse con le spalle al muro per fargli confessare cosa lo facesse agitare tanto. Il che accadde precisamente quella domenica mattina.
Cas scese in cucina, dove Dean lo aveva preceduto da pochissimo per preparare la colazione, e lo abbraccio alla vita. Si poggiò contro di lui, con ancora il calore del letto addosso e i segni del cuscino sulla faccia.
«Dean…» biascicò, mezzo assonnato, e questi si irrigidì appena, fissando con occhi sbarrati l’interno del frigo che aveva aperto da una manciata di secondi. «Mi prepari i pancake?» continuò il suo angelo, strappandogli un sospiro di sollievo.
«Te li ho fatti ieri» osservò lui, senza voltarsi, nascondendo così un mezzo sorriso; il sabato era il loro giorno libero e glieli preparava sempre perché Cas ne era golosissimo.
«Pancake» insistette questi, strusciando la fronte tra le sue scapole.
Stavolta Dean ridacchiò apertamente, girandosi tra le sue braccia per stringerlo a sé e baciare le sue labbra ancora gonfie di sonno.
«Era un sì?» domandò il suo angelo.
«Sì» sospirò Dean, incapace di resistere a qualunque sua richiesta - Cas gliene faceva così poche!, mentre era sempre disponibile ad esaudire i suoi desideri ancora prima che lui li esprimesse -, specie quando avevano a disposizione un po’ di tempo tutto per loro.
Un quarto d’ora dopo, il telegiornale risuonava dal televisore, Castiel aveva ritirato la posta e fatto una spremuta, e ora sedeva al tavolo, sfogliando pigramente il quotidiano, mentre lui spadellava pancake.
Dean si voltò un momento ad osservarlo, scoprendolo - come al solito, nei momenti di relax - infagottato in una sua tuta, che gli andava un po’ troppo larga e lo faceva sembrare in qualche modo un pulcino arruffato. Dean avrebbe potuto lamentarsi - sì, forse una volta, pensò con sarcasmo, tipo due o tre anni fa, quando questi piccoli furti sono cominciati -, se solo non gli fosse piaciuto da morire vedere le sue mani affusolate e i suoi piedi sottili spuntare dagli abiti troppo lunghi per lui, e scoprire il suo profumo tra di essi quando Cas se li toglieva.
Diamine, sono messo proprio male. Non ho più niente di mio. Nemmeno io sono mio, realizzò, vagamente ironico. E la cosa peggiore era che tutto questo non lo seccava nemmeno un po’ - non davvero.
«Dean, stai bruciando i miei pancake» gli fece notare il compagno, confutando senza saperlo le sue riflessioni.
Aveva appena servito la colazione in tavola, quando notò il suo angelo fissare con sguardo perso il calendario, e si pietrificò, rischiando di farsi sfuggire la tazza di caffè dalle mani.
«Tutto okay?» gli domandò Castiel, notando quella stranezza.
«Sì, certo, assolutamente» rispose Dean, un po’ troppo veloce, infilzando i suoi pancake con ingiustificata ferocia.
«Dean?» lo richiamò il compagno.
«Sciroppo d’aceri?» replicò lui, tentando di fare finta di niente, impugnando il tubetto un po’ troppo forte e facendo schizzare in aria uno sbaffo del contenuto.
«Dean…» ritentò Castiel, mentre lui si agitava per prendere un tovagliolo.
«Pulisco subito» disse l’interpellato, raccogliendo lo sciroppo caduto sul tavolo.
«Dean» stavolta il tono fu più duro e gli occhi di Castiel fermi e severi.
Sì, Prof?, avrebbe risposto in un altro momento, chiedendogli se intendeva metterlo in punizione, ma stranamente stavolta Dean non riuscì a tirare fuori nessuna battuta e rimase zitto, tenendo lo sguardo basso per non incontrare il suo.
«Qual è il problema?» chiese il suo angelo, più gentilmente.
Lui avrebbe potuto mentire, od omettere la verità, fare finta di niente e tenere la testa sotto la sabbia ancora per un po’, ma tra lui e Cas non c’erano mai state bugie, e non voleva che cominciassero ad essercene adesso.
«Ho…» s’interruppe e boccheggiò, sentendo la propria voce un po’ troppo soffocata, quindi tentò di schiarirsi la gola e temporeggiò ancora qualche prezioso secondo prendendo un sorso di caffè. «Nulla, davvero, una sciocchezza. Ho… ho solo trovato la foto di un abito da sposo in una delle tue tasche, mentre smistavo il bucato» riuscì a spiegare infine, con voce appena un po’ - poco poco, davvero! - tremante, grazie a Dio.
La bocca di Castiel si schiuse per lo stupore, poi lui si sfiorò il labbro inferiore in un gesto pensoso, tipico suo. «Capisco» asserì semplicemente, con quel suo particolare tono che voleva dire tutto e niente.
Dean strinse più forte la tazza di caffè, scrutandone le profondità scure, e finalmente riuscì ad alzare gli occhi per incontrare quelli dell’amante. «Vuoi sposarti, Cas? È a questo che pensi così spesso?»
«È quasi Gennaio. Di nuovo» osservò semplicemente l’interpellato, quasi tra sé. «Tu non ci pensi mai?» chiese poi, con voce più incerta, quasi con sguardo timido.
«I-io…» smozzicò lui. Ci aveva mai pensato? Un tempo, molto vagamente, aveva creduto che un giorno, una volta trovata la ragazza giusta, l’avrebbe portata all’altare e avrebbe messo su famiglia. Ma era stato anni prima. «No. Non da quando stiamo insieme» ammise, infine.
Castiel incassò appena la testa nelle spalle. Passò un tempo che sembrò infinito, ma in realtà fu solo una manciata di secondi. «Perché?» lo interrogò infine.
«Perché dovremmo?» ribatté Dean, sinceramente perplesso «Viviamo già insieme».
«Non è la stessa cosa» obbiettò l’altro.
«Normalmente, ci si sposa per mettere su famiglia» disse lui, cercando di spiegare il suo punto di vista, non riuscendo nemmeno a credere che ne stessero parlando sul serio. Erano due uomini, non potevano certo sfornare una nidiata di marmocchi!
Lo sguardo di Castiel si adombrò, ma fu solo un attimo. «Okay» rispose, poi.
«Okay, cosa?» fece Dean, confuso.
«Okay, mettiamo su famiglia» chiarì, lasciandolo totalmente spiazzato.
Rimase immobile per qualche secondo, mentre l’assurdità di quel discorso rischiava di affogarlo, e poi sentì un sorrisino storto incurvargli un angolo della bocca. «E poi, cosa? Pianteremo una staccionata bianca e prenderemo un cane? Un bel cucciolo di golden retriever, magari. E adotteremo degli adorabili bimbi asiatici».
Ma Castiel allungò una mano avanti, come per tentare di frenare le sue parole, poi si strinse nelle braccia, quasi che avesse freddo o necessità di proteggersi da qualcosa. «Non scherzare su queste cose» disse con voce soffocata, distogliendo lo sguardo.
Si stava proteggendo da lui, realizzò Dean.
Cas, il suo Cas, che rideva sempre alle sue battute e, quando lui era di cattivo umore, si limitava ad ignorare quelle peggiori, lo stava pregando di smetterla. Era riuscito a ferirlo.
«Scusa, io… ho esagerato» riconobbe, abbassando il capo, perché davvero quello non era il suo intento. Non pensava che l’argomento fosse così serio per il suo angelo. Ma non aggiunse altro, dato che, comunque, non aveva cambiato idea.
Castiel annuì un paio di volte, poi si alzò lentamente. «Mi cambio e vado a fare la spesa» annunciò, nel medesimo tono fievole.
Dean non gli ricordò che erano andati al supermercato la sera prima, si limitò ad osservare i pancake che aveva preparato per lui, a malapena toccati.
*°*°*°*°*
Castiel rientrò solo due ore più tardi, infreddolito e senza buste della spesa.
Dean, perso l’appetito, aveva conservato la colazione in un contenitore ermetico e lavato le poche stoviglie usate. Il resto del tempo lo aveva passato ad aspettarlo seduto sul divano, senza nemmeno accendere il televisore.
«Dove sei stato?» gli chiese, in tono che perfino alle proprie orecchie suonava più preoccupato che risentito.
«Ho fatto due passi» rispose il compagno.
Lui notò una foglia incastrata tra i suoi capelli e capì che doveva essere stato al parco, ad un isolato da casa loro, dove di solito Cas andava quando aveva bisogno di riflettere o di quiete. Era stato lì per tutto il tempo, con quel freddo?
Di solito, a quel punto, Dean si sarebbe alzato, avrebbe raccolto quella fogliolina dai suoi capelli con un sorriso e l’avrebbe abbracciato per scaldarlo. Ma quando incontrò il suo sguardo, Castiel abbassò gli occhi e disse: «Devo preparare la lezione per domani» superandolo e prendendo la direzione delle scale, per chiudersi nel proprio studio.
Lui rimase lì seduto ancora per un minuto, il tempo di sentire la porta al piano di sopra sbattere con un tonfo attutito, poi si alzò, prese le chiavi della macchina ed uscì. Se il suo angelo non lo voleva tra i piedi, non gli avrebbe imposto la sua presenza.
Guidò per più di un’ora, vagando senza meta, ma stavolta nemmeno la sensazione della sua adorata bambina sotto il culo riuscì a farlo sentire meglio. Riprese la strada di casa solo quando si rese conto che era quasi ora di pranzo.
Quando rientrò, il piano di sotto era deserto; Castiel doveva essere ancora chiuso nel suo studio. La casa era silenziosa, come se fosse disabitata. Niente TV accesa, niente radio o elettrodomestici in funzione, niente voce del suo angelo che canticchiava mentre riordinava il disordine che causava lui.
Infilò le chiavi nella tasca della giacca in pelle, lanciò quest’ultima sul divano - ignorando come al solito l’attaccapanni nell’ingresso -, poi raggiunse l’angolo cottura con aria accigliata, deciso a riempire quel silenzio. In realtà toccava a Castiel cucinare, era il suo turno visto che lui aveva preparato la colazione, ma Dean mise comunque insieme un pranzo veloce, anche se non aveva fame.
Una volta pronto, attese qualche minuto, sperando che il compagno scendesse di sua iniziativa. Poi, non sentendolo arrivare, salì le scale, sperando che - come al solito - fosse semplicemente troppo immerso nei suoi studi per accorgersi di che ora fosse.
Dean non era abituato a bussare, ma una volta tanto si chiese se fosse il caso di farlo, però aggrottò subito la fronte e ci ripensò. Non avrebbe cominciato adesso con i formalismi, dopo più di due anni di convivenza. Avrebbe cercato di comportarsi il più normale possibile. D’altronde, si era scusato e gli aveva anche lasciato il suo spazio, senza fargli pressioni, che diavolo poteva fare di più?
Aprì la porta appena il tanto che bastava per infilarci la testa. Castiel era chino sulla scrivania, l’espressione seria, una risma di fogli tra le mani e gli occhiali da lettura - che portava solo quando aveva gli occhi affaticati - appesi alla punta del suo nasino; non si era accorto della sua presenza. Di solito, Dean ne avrebbe approfittato per ammirarlo indisturbato per qualche minuto, stavolta invece soffiò un piccolo: «Ehi» per richiamare la sua attenzione.
Il compagno sbatté le ciglia come se stesse uscendo da un sogno, prima di sollevare lo sguardo su di lui.
«Il pranzo è pronto» disse allora Dean.
Le mani di Castiel, che stringevano ancora i fogli, ebbero una piccola contrazione nervosa, poi la sua testa si inclinò di lato, quasi non avesse capito le sue parole. Lui deglutì a fatica, sfregandosi i palmi sudati sui jeans e resistendo alla tentazione di portarlo via di peso. Si chiese se la guerra del silenzio dovesse continuare ancora per molto. Quanto a lungo Cas aveva intenzione di mantenere quell’atteggiamento passivo-aggressivo?
«Arrivo tra un minuto» lo rassicurò il professorino, riscuotendolo da quelle elucubrazioni.
A Dean non resto che annuire e scendere al piano di sotto, ma Castiel non scese dopo un minuto e nemmeno dopo dieci, o venti, o quaranta. Alla fine, lui capì che non sarebbe arrivato affatto.
Preparò un panino con il tacchino cucinato e un paio di pomodori, e glielo lasciò in bella vista sul tavolo, insieme al contenitore dei pancake, poi prese il cellulare e cercò un numero tra le ultime chiamate.
«Ehi, Gordon» disse a mo’ di saluto, quando il collega rispose «Ti serve ancora quello scambio di turno? Sì, diciamo che i miei piani per la serata sono saltati, quindi tanto vale aiutare un amico a mettere in porto i suoi. Perfetto. Figurati, a buon rendere».
Chiuse la conversazione, si rinfilò la giacca e si diresse verso la porta. Solo ad ultimo, quando aveva già la mano sulla maniglia, tornò indietro e lasciò un biglietto al compagno, dove spiegava che aveva accettato un cambio turno per fare un favore ad un collega.
Non voleva creare altri motivi di litigio.
*°*°*°*°*
Tra la fine del turno ed il traffico della domenica, rientrò che era ormai passato da un bel pezzo l’orario di cena.
«Sono a casa» annunciò come al solito, chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle, ma non ricevette il consueto «Bentornato!» urlato da qualunque parte dell’abitazione Castiel si trovasse.
Non si sentì per niente a casa.
Il panino sul tavolo era mangiato per metà ed anche un paio di pancake erano spariti. Dean si diresse subito al piano di sopra per farsi una doccia, senza fermarsi a mangiare, ma quando entrò nella camera da letto attigua per rivestirsi, la trovò vuota. Dopo un momento di perplessità, si affacciò allo studio del compagno, anch’esso deserto. Allora, con un senso di oppressione al petto, tornò da basso per controllare se Cas gli aveva lasciato qualche messaggio.
Non trovò nessun biglietto, ma in compenso il suo angelo era disteso sul divano del soggiorno, con la sola compagnia di un plaid e di un cuscino. E non era lì, dieci minuti prima.
«Cosa… ?» cominciò Dean, troppo sorpreso per articolare qualcosa di più. Era forse sceso alla coatta, mentre lui era sotto la doccia?
«Io… preferisco dormire qui, stanotte» rispose Castiel. Il suo tono non era arrabbiato, solo vagamente atono e sommesso.
Lui non aveva parole. Si sfregò con nervosismo una mano sulla bocca, poi tornò di sopra e si infilò furiosamente a letto. Al diavolo!, pensò.
Ci mise esattamente un’ora, passata a rigirarsi senza posa nel letto troppo grande e troppo vuoto, a pentirsi di non aver trascinato il compagno giù da quel divano. Per quanto fosse stanco e fosse tardi, non riusciva a trovare pace, e la stanza gli sembrava ghiacciata - dannazione! -, ma non era un genere di gelo che una coperta in più o il riscaldamento avrebbero potuto scacciare.
Non riusciva a credere che fossero arrivati a quel punto, in guerra fredda dentro casa. Loro non litigavano mai. Perfino un anno prima, in quel periodo orribile in cui erano troppo stressati, quando il loro rapporto si era raffreddato ed erano finiti ad essere protagonisti di uno stupido reality show, la situazione non era stata così orribile. C’era stata qualche discussione, qualche parola di troppo, ma avevano sempre risolto tutto un attimo dopo.
Passò un’altra ora e poi un’altra ancora. Continuava a pensare a Castiel che si stringeva nelle spalle, pregandolo di smetterla di scherzare. Che diavolo aveva fatto? Cas non gli chiedeva mai nulla, realizzava tutti i suoi capricci e perfino i desideri che lui non aveva nemmeno il coraggio di esprimere. Riempiva tutto lo spazio, perfino i più piccoli, al punto che Dean non ne aveva più per sé, ma non riusciva a sentirsi oppresso da lui, perché il suo angelo si adattava alle sue esigenze, come l’acqua che prendeva la forma del contenitore in cui veniva confinata. E nel momento in cui Dean aveva scoperto il suo sogno, cosa aveva fatto? Gli aveva chiuso la porta in faccia, senza nemmeno ascoltarlo.
Incapace di restare a letto un solo momento di più, scivolò fuori dalla camera e scese le scale. Castiel non stava dormendo, perché appena percepì i suoi passi, accese la lampada da lettura accanto al divano.
«Cosa fai qui?» gli domandò.
Dean stava tremando, ma cercò di non darlo a vedere. Si sfregò le braccia e si accucciò sul pavimento, ai piedi del sofà, vicino alla testa del compagno. «Andiamo in camera» bisbigliò quella che era, né più né meno, una supplica.
Castiel trattenne il fiato, poi lo lasciò andare in un sospiro. «Mi dispiace, Dean» sussurrò.
«È colpa mia» ribatté subito lui.
«No, senti, tu sei fatto così e a me… a me piaci per come sei, non voglio cambiarti» asserì «Perciò, okay, non parliamone più».
«No, Cas, io non ti ho proprio permesso di parlarmene, e non è giusto. Io… io non capisco, ma… magari puoi spiegarmelo tu. Perché il matrimonio è così importante, per te?» domandò finalmente, come avrebbe dovuto fare fin dall’inizio.
Il suo angelo si tirò su e si mise seduto, forse pensando che non era il genere di argomento di cui parlare coricati, e Dean ne approfittò per scivolare in ginocchio tra le sue gambe ed abbracciargli la vita, osservandolo da sotto in su.
«Sai che… mio padre è un Pastore» esordì incerto «Sono cresciuto sotto la ferrea dottrina cristiana e, da ragazzino, volevo diventare tutto ciò che mio padre voleva per me: un brav’uomo, con un lavoro rispettabile, e una buona moglie con cui mettere su famiglia e crescere i nostri futuri figli, insegnando loro l’amore del Signore» raccontò «E… q-quando… quando cominciai a realizzare di essere gay, ero terrorizzato. Ero poco più di un adolescente, capisci? Non avevo nessuno con cui parlare. Avevo paura di dirlo perfino a Jimmy. Paura di dirlo al mio gemello» le sue labbra si piegarono in una smorfia amara «Non volevo essere gay, io volevo una famiglia, e ti ricordi com’era fino a nemmeno dieci anni fa? Matrimoni omosessuali e figli adottati da genitori dello stesso sesso sembravano fantascienza. Pensavo… pensavo non avrei mai potuto. E intanto ho dovuto osservare Jimmy fidanzarsi, sposarsi e… e poi quando ha avuto Claire… io non sono un tipo invidioso, non lo sono mai stato, ma non mi ero mai sentito tanto geloso di quello che lui poteva avere e io no, come in quel periodo» ammise, quasi con le lacrime agli occhi. «E poi ho incontrato te. In qualche modo, Dio ti ha messo sul mio cammino, e noi abbiamo costruito tutto questo» alzò lo sguardo al soffitto e sollevò le mani, come a voler abbracciare l’intera casa «E io ho iniziato a pensare… che magari…» la sua voce si spezzò e non riuscì a finire.
Dean si sentì un mostro, mentre lo guardava lì, rattrappito su se stesso, con i capelli tutti incasinati ed il pigiama che gli pendeva da una spalla. Riusciva benissimo ad immaginarlo da ragazzo: un adolescente troppo magro e troppo per bene, con il naso sempre seppellito nei libri, che cantava la domenica nel coro della parrocchia di suo padre.
«Sento solo…» riprese questi, deglutendo a fatica «… di dover fare quella promessa davanti a Dio. E di doverLo ringraziare».
Nonostante avessero superato entrambi i trent’anni, c’era qualcosa di peculiare in Castiel: una certa innata ingenuità, che nemmeno le brutture del mondo potevano scalfire e che rendeva una parte di lui eternamente bambina - non infantile, solo innocente; qualcosa che Dean voleva proteggere a costo della propria vita.
«Mi dispiace, Cas» disse di nuovo «Sono stato uno stronzo. Non immaginavo che significasse tanto per te».
Il suo angelo scosse la testa, incorniciando il suo viso tra le mani. «Sono io che mi sono comportato male».
«Me lo sono meritato».
«No, ti ho lasciato solo per tutto il giorno e so quanto detesti la solitudine».
«Avevi bisogno di riflettere» lo scusò lui, ma il compagno scosse il capo.
«Fin da quando ci siamo conosciuti, ho giurato a me stesso di prendermi cura ti te, e invece oggi ti ho abbandonato a te stesso» sostenne, serio.
«Non sono un bambino» gli fece presente Dean, con un mezzo sorriso.
«No, non lo sei mai stato» convenne Castiel, sapendo che fin da ragazzino lui si era preso cura di suo fratello, mentre i suoi genitori stavano fuori tutto il giorno per lavoro, facendosi carico dei loro principali doveri in casa.
I suoi occhi, blu e profondi, lo fissarono con intensità, come se volessero dire che con lui poteva essere un bambino, poteva essere tutto ciò che voleva.
Dean prese le sue mani e le baciò sui palmi, una alla volta. «Andiamo in camera» sussurrò poi, usandole per tirarlo su. E non appena furono entrambi in piedi, lo strinse forte a sé, come aveva desiderato fare per tutto il giorno.
*°*°*°*°*
La mattina dopo, Dean si svegliò con Castiel strettamente abbarbicato addosso. Si crogiolò per qualche secondo nel suo calore, fissando con perplessità la luce che filtrava dagli scuri della finestra, stranamente intensa. Ancora intontito dal sonno, si voltò a cercare con lo sguardo la sveglia sul comodino, scoprendo che era molto più tardi di quanto pensasse.
«Arriverai tardi a lavoro» informò il suo angelo, strusciando una guancia sui suoi capelli soffici come piume.
Castiel gemette, affossando il viso nel suo collo. «Non voglio andare a scuola» si lamentò, come se fosse un marmocchio, schiacciandosi di più contro il suo fianco.
Dean ridacchiò divertito. «Suona un po’ strano, detto da un professore» osservò.
«Potrei darmi malato» considerò il compagno.
«La tua classe non ha gli esami tra poco?» gli ricordò lui e Cas gemette di nuovo.
«Odio il lunedì» biascicò e Dean gli diede un pizzicotto sul sedere, che lo fece sussultare.
«In piedi, su» lo incitò, stampando un bacio sulle sue labbra.
«Dean…» tentò di arruffianarlo sfregando la punta del naso contro la sua mascella ruvida di barba, ma lui non si lasciò comprare così a buon prezzo.
«La Morte verrà personalmente a cercarci a casa, se non ti presenti in classe» sostenne.
«Il Rettore Death non è così spaventoso» un accenno del primo sorriso della giornata si affacciò sulle labbra di Castiel, che sollevò il viso per incontrare gli occhi dell’altro.
«No, infatti, lo è molto di più» ribatté Dean, con un sentito brivido giù per la schiena.
Cas scosse il capo divertito, ma finalmente si decise a sfuggire all’abbraccio delle coperte per infilarsi in bagno.
Avendo lavorato la sera prima, quel giorno Dean avrebbe avuto il turno pomeridiano, quindi si spaparanzò al centro del letto e si permise di poltrire ancora un po’. Dopo cinque minuti, Castiel uscì dal bagno e lui lo osservò pigramente gironzolare in camera per vestirsi.
Una volta pronto, il compagno poggiò di nuovo un ginocchio sul letto per chinarsi su di lui e baciarlo. «Buongiorno» sussurrò sulle sue labbra, puntellandosi ai lati della sua testa.
«Buongiorno» rispose Dean, afferrando il nodo della sua cravatta per tirarlo di nuovo sulla sua bocca «e buona giornata».
Castiel gemette ancora una volta, mormorando qualcosa che sembrò: «Dovevo restare a letto» mentre si rimetteva in piedi. «Scappo» annunciò, scivolando un’ultima volta su di lui con lo sguardo, prima di imbucare frettolosamente la porta.
Dean sonnecchiò ancora per qualche ora, ma non riuscì a riaddormentarsi del tutto, turbato dagli avvenimenti del giorno prima. Il modo in cui si erano risolte le cose dimostrava che la loro relazione era abbastanza forte da resistere agli scossoni, ma questo non rendeva meno reali le esigenze di Castiel e non poneva rimedio alla questione.
Non voleva che il suo angelo sopprimesse i propri sogni così, solo per lui, e - al contempo - sposarsi soltanto perché era quello che il compagno desiderava non gli sembrava corretto. In qualche modo, pensava che il matrimonio dovesse essere una scelta personale e non solo di coppia, fatta con certezza da entrambi. Non poteva andare all’altare senza essere sicuro di cosa stava facendo e non riusciva a cambiare idea sull’argomento; pensava ancora che fosse una decisione da prendere solo in caso volessero formare una famiglia, e non solo loro erano geneticamente impossibilitati ad avere bambini - ad averli insieme, perlomeno -, ma Dean non credeva di essere pronto a diventare padre, o anche solo a pensare di diventarlo.
Sbuffò e si passò le mani sulla faccia, per poi allungarsi a prendere il cellulare poggiato sul comodino e comporre il primo numero delle chiamate rapide.
Sam rispose al secondo squillo: «Ehi, Dean. Come mai mi chiami in orario d’ufficio, va tutto bene?»
Lui si immaginò il suo fratellino gigantesco seduto dietro una scrivania, impacchettato in un bell’abito elegante che gridava avvocato all’opera, ti farò il culo con finezza, e si accigliò. Non aveva minimamente pensato a come imbastire il discorso; era una cosa troppo personale per raccontargli tutto ciò che era successo il giorno prima.
«Dean?» lo riscosse la voce familiare all’altro capo del telefono e l’interpellato si schiarì la voce.
«Sì, ciao, Sammy» rispose, finalmente «Ti sto disturbando, hai dei clienti?» domandò, perché già immaginava che sarebbe stata una lunga discussione.
«No, sono in pausa» lo rassicurò il fratello. Dean riuscì quasi a vederlo mentre controllava l’orologio, prima di poggiare comodamente la schiena contro la sofisticata poltrona di pelle del suo studio.
«Mi serve… un secondo parere, mettiamola così» esordì, quindi.
«Spara» lo incitò Sam.
«Ieri Cas ed io abbiamo avuto… una discussione» smozzicò incerto «A proposito di… matrimonio».
«Uhm» disse semplicemente suo fratello, probabilmente per dimostrargli che stava ascoltando, senza però sbilanciarsi. C’era un motivo se era diventato avvocato, no?
«Cas vuole sposarsi» spiegò quindi Dean.
«E tu?» chiese Sam.
«Nessuna sorpresa?» temporeggiò lui, con un mezzo sorriso.
«No. Tu?» insistette l’altro.
«Fino a qualche giorno fa, ti avrei detto di sicuro di no. Ora… non lo so» ammise con un sospiro.
«Perché no?»
« Per Cas è davvero importante, ma… di norma, il matrimonio è roba per chi vuol mettere su famiglia» rispose.
«Non necessariamente. E, comunque, qual è il problema, non vuoi dei figli?» replicò Sammy, perplesso.
Perché tutti parlano di adottare dei mocciosi come se si trattasse di andare a fare la spesa? Cristo. «Per il momento, no» ammise Dean.
«Be’, a quello potete pensarci con calma, è un’altra questione» osservò suo fratello.
«Non è un’altra questione. Matrimonio vuol dire famiglia» scandì il maggiore.
«Sono d’accordo» convenne l’altro.
«Allora perché dici che è un’altra questione?» sbottò lui.
«Perché due sposi sono una famiglia».
«No, non lo sono,» Dean non voleva togliere nulla alle coppie, per carità, ma… «sono degli amanti. La famiglia è qualcosa di più che marito e moglie - o marito e marito».
«Stai discriminando le coppie che non possono avere figli» gli fece presente Sam «Anche loro sono una famiglia».
«L’hai detto tu stesso, sono una coppia senza figli. Coppia, non famiglia» disse convinto.
«Dean…»
Questi gemette spazientito. «Senti, mi serve una buona ragione per sposarmi, non la definizione di famiglia» sbottò.
Sam sospirò e lui riuscì quasi a vederlo tirarsi indietro quei suoi stupidi capelli scintillanti, mentre riprendeva a parlare con il tono di chi sta spiegando qualcosa di elementare ad un bambino: «Dean, ci si sposa perché si vuole passare con una certa persona il resto della propria vita. Si promette di amarsi l’un l’altro nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia, nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non ci separi. Ed è qualcosa che tu già fai, bello. Si tratta solo di ufficializzarlo».
Dean rimase senza parole. Non aveva visto le cose da questo punto di vista e… be’, era proprio a questo che gli serviva quel nerd di suo fratello.
«Mi aspetto di essere il testimone» lo riscosse questi.
«Ovviamente, Samantha» Dean sorrise divertito.
«Fesso» sbuffò Sam.
«Puttana» gli restituì lui, come al solito, prima di chiudere la chiamata.
Si sentiva notevolmente più tranquillo.
Quindi ora doveva fare cosa, esattamente? Un salto in qualche gioielleria?
Merda, pensò, coprendosi gli occhi con una mano.
*°*°*°*°*
Dean non entrò nella prima gioielleria a disposizione, no. Si prese ancora qualche giorno per pensarci, per essere sicuro di non essersi fatto influenzare da nessuno ed essere davvero convinto a fare quel passo.
Alla fine, concluse che farlo per rendere felice la persona che amava, non era poi una ragione così pessima.
Soprattutto visto il fatto che tutti sembrano considerarci già sposati, osservò, accigliato.
Quindi, sì, si era deciso a comprare l’anello - uno dei momenti più imbarazzanti della sua vita, non avrebbe mai dimenticato la faccia della commessa quando gli aveva detto che tutti quei cosi con brillanti che gli stava mostrando non facevano al caso suo - e ora non restava altro che… be’, fare la Proposta. Ma Dean non ci si vedeva proprio a mettersi in ginocchio, ecco.
Però quello era il sogno di Cas, quindi… aveva pensato ad un sacco di situazioni, dal più classico aprirgli la scatoletta davanti e chiedergli Vuoi sposarmi?, al ritagliare il centro di un libro e mettervi l’anello in mezzo - e si era sentito subito le voci mentali del suo compagno e di suo fratello gridargli in stereofonia Sacrilegio!, per aver rovinato un volume a quel modo -, all’infilarlo in mezzo a dei pancake. Ma tutte gli sembravano troppo sdolcinate o semplicemente troppo ridicole e, perciò, - sì, fanculo - non aveva ancora combinato niente.
E così arrivò al sabato mattina, ovvero il loro giorno libero, quello in cui avrebbe voluto attuare il suo piano - se solo lo avesse avuto, un piano! -, che non sapeva che diavolo fare.
Si districò dalle coperte, pensando di iniziare a scendere per preparare la colazione, dato che Cas era ancora beatamente addormentato, quando i suoi occhi intontiti dal sonno si persero ad osservare una striscia di luce che filtrava dalle persiane e si arrampicava sul petto nudo del suo angelo, delineando la curva bianca del suo collo.
Castiel - la bocca rosea socchiusa e le ciglia lunghissime poggiate sulle guance - aveva l’espressione rilassata di un bambino senza alcun problema nella vita. Anche se, a ben vedere, i segni rossi sulla sua giugulare non erano poi così innocenti.
Dovrebbero svegliarsi tutti così, la mattina, pensò Dean, sentendosi all’improvviso la persona più fortunata del mondo. Sdolcinato a dirsi, sì, ma fottutamente vero.
Senza soffermarsi a riflettere, si allungò a prendere la confezione nascosta nel cassetto del suo comodino, la scartò, aprì la scatolina e sfilò l’anello dal supporto, poi prese la mano sinistra di Castiel e lo fece scivolare all’anulare.
Gli calzava alla perfezione.
Osservò la piccola fede al suo dito con un bizzarro senso di soddisfazione e… compiutezza. Era un anonimo cerchietto di platino, liscio e quasi sottile come un fermanello, eppure perfetto per la mano affusolata di Castiel.
Dean pensò che era proprio come il suo angelo: banale solo all’apparenza e assolutamente unico ad un secondo sguardo. Bello nella sua semplicità, forte nel suo simbolo.
Cas iniziò a smuoversi quando si sentì toccare, uscendo dal sonno. Frullò le ciglia, sbirciando il compagno tra di esse con sguardo assonnato, poi la mano che lui stringeva. E all’improvviso fu completamente sveglio.
Ad occhi sgranati, passò lo sguardo dall’anello al volto tranquillo di Dean, fissando entrambi come se non capisse cosa significava tutto quello.
Dean era quasi chinato su di lui, con un braccio puntellato all’altro lato del suo corpo. Incontrò i suoi occhi blu - Dio, così blu. Mai, mai, avrebbe smesso di stupirsene - e disse semplicemente: «Sposami».
Castiel sbatté le ciglia e mormorò: «Sì» come se fosse ipnotizzato. L’attimo dopo fu seduto e appeso al suo collo. «Sì!» ripeté più forte.
Lui lo abbracciò e posò le labbra sul suo collo, ma il compagno di scostò appena, osservandolo con sguardo incerto, come se non fosse sicuro che stesse succedendo davvero. Allora, Dean prese il suo viso tra le mani e confermò deciso: «Sì».
Castiel chiuse gli occhi, poi iniziò a ridere - ridere di pura gioia. E a Dean davvero non serviva altro.
Spazio Autore: La storia è conclusa e si comporrà di cinque capitoli, il prossimo dei quale è già tra le manine svelte della mia beta. Dio permettendo, ho intenzione di aggiornare due volte a settimana, la domenica ed il giovedì, quindi - sì, insomma - non vi angustiate e non stressate me, okay?
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