Titolo: I Was a Stranger you Took me In
Fandom: Supernatural.
Pairing: future!Castiel/future!Dean, Lucifer, Chuck + comparse varie sul finale.
Rating: NC17.
Charapter: 1/5.
Beta:
koorime_yu &
waferkya.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Missing Moment 5x04 - The End, Possibile OOC, Sesso descrittivo, Slash.
Words: 5330/26043 (
fiumidiparole).
Summary: Anno 2014; Dean è morto, Castiel è in fin di vita e non vuole altro che raggiungerlo, e Lucifer comincia a rendersi conto che il gioco che ha intrapreso non vale la candela. Quindi il Diavolo propone un patto al suo fratellino caduto: una seconda possibilità per lui e Dean, ma il cacciatore non ricorderà nulla, nemmeno il proprio nome. Così si ritroveranno su un’isoletta dei tropici senza nome, perché la formula due cuori e una capanna non tramonta mai.
Note: Il titolo della fic è una strofa di
“Miracle Drug” degli U2.
Note importantissime: Mi raccomando, prima di iniziare a leggere, andate
QUI e scaricate il BELLISSIMO - sì, ommiodio è PERFETTO - fanmix che
arial86 ha creato per questa storia ed ascoltatelo durante la lettura, perché l’aMMMore ♥
Capitolo precedente: |
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DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù
I Was a Stranger you Took me In
Capitolo 1
Lucifer gli sfiorò la fronte con due dita. «Ti rimetterò in sesto, fratello, o tra poche ore entrerai in astinenza. Ti sei avvelenato nei modi più disgustosi possibili» asserì con ribrezzo.
Quando Castiel aprì gli occhi, venne investito da una brezza marina ed un gabbiano, su in alto, lanciò il suo richiamo.
Si guardò attorno, confuso. Si trovava sulla spiaggia bianca di quella che sembrava una piccola isola tropicale. Il cielo era al tramonto e l’aria bollente si stava rapidamente rinfrescando. Accanto a lui vi era una falò già acceso e, alle sue spalle, una piccola ma graziosa capanna di legno, con una minuscola rimessa sul retro.
Dean era ancora tra le sue braccia, il volto pallido ed il petto che si alzava ed abbassava sotto le sue dita, gonfiato da un respiro lieve e tranquillo. Con attenzione, Castiel lo stese sulla sabbia morbida e lo contemplò in silenzio. Vivo - era vivo. Erano entrambi vivi.
Lucifer aveva guarito la ferita che gli era stata inferta al fianco e si sentiva lucido, lucido come non lo era da anni.
Una nuova occasione, comprese. Non solo per il suo protetto, ma anche per lui.
Rimase immobile a lungo, domandandosi cosa fosse più giusto fare. Probabilmente, Dean ci avrebbe messo un po’ a risvegliarsi; il suo corpo era vivo, ma la sua anima doveva risalire l’Inferno - o scendere dal Paradiso? -, da sola.
Si domandò dove fossero, se quel luogo fosse sicuro. Non poteva fidarsi di Lucifer: anche se si era dimostrato compassionevole, avrebbe potuto essere solo un altro dei suoi sadici giochi.
Avrebbe voluto controllare cosa il fratello avesse messo a loro disposizione, ma non voleva allontanarsi da Dean. E se ci fossero state delle bestie feroci, in quel posto? Sembrava un paradiso, ma chi poteva dire cosa li attendesse nell’ombra fitta della vegetazione?
La luce stava rapidamente calando, solo il fuoco rimaneva ad illuminare l’ambiente selvaggio - no, selvaggio non era il termine corretto, era… primitivo. Sì, quel posto sembrava uno scorcio di Eden. Doveva essere proprio così che Lucifer rivoleva la Terra: naturale.
Cosa avrebbe fatto Dean, se fosse stato al suo posto? Castiel sorrise amaramente. Lui non sarebbe di certo rimasto lì a girarsi i pollici. Avrebbe esplorato l’ambiente, raccolto e fabbricato armi, sistemato trappole per angeli e demoni e sparato in direzione del primo rumore sospetto, senza nemmeno soffermarsi a guardare. Non sarebbe di certo rimasto lì a tenergli la manina.
A Dean non importava più nulla di lui - se mai gli era importato -, non si era fatto alcun problema ad usarlo come esca, per lui era sacrificabile. Erano tutti sacrificabili.
E fu esattamente ciò che decise di fare Castiel: lasciare la sua mano. Si tolse la giacca, l’appallottolò e gliela infilò sotto la testa, a mo’ di cuscino, poi gli strinse le dita molli attorno al calcio della pistola. Infine si alzò in piedi e si diresse alla capanna.
Impugnò un coltello d’argento - per quanto avesse imparato a sparare, le armi bianche restavano sempre le sue preferite - e spinse il pannello socchiuso della porta. Quello cigolò, aprendosi sull’ambiente semibuio.
«C’è nessuno?» domandò Castiel, ma il posto era piccolo e chiaramente deserto.
Girò la manovella di una lampada ad olio poggiata vicino all’ingresso, sull’unico mobile della stanza, un tavolaccio di legno grezzo. C’erano altre due lucerne identiche, la prima accanto all’enorme - davvero enorme, avrebbero potuto dormirci comode due persone, forse addirittura tre - amaca che occupava quasi tutto l’ambiente, e la seconda appesa accanto alla porticina che portava alla rimessa.
Al centro del pavimento di legno vi era una fossa circolare lasciata alla nuda terra, probabilmente per accendere il fuoco durante il periodo freddo o dove raccogliere l’acqua durante le piogge, visto che il centro del tetto - in corrispondenza - era aperto. Bene, il fumo uscirà subito all’esterno, considerò, poi si diresse verso la porta della rimessa.
Era un ambiente piccolo, quasi uno sgabuzzino, e conteneva beni di prima necessità: olio per le lampade, medicinali, coperte, legna asciutta, cibo secco o in scatola, carta igienica - Chuck avrebbe apprezzato -, perfino due canne da pesca ed un assortimento di coltelli da caccia. Sembrava che Lucifer avesse pensato proprio a tutto.
Almeno per un po’ staremo tranquilli, sospirò Castiel. Non era molto, in realtà, ma a Camp Chitaqua avevano imparato ad andare avanti senza elettricità e comodità della vita moderna da un bel pezzo, ormai; sarebbe bastato.
Afferrò una busta di patatine - patatine, sul serio! Non vedeva quella roba da anni, forse l’aveva assaggiata una volta sola - e tornò all’esterno. Fu colpito da quanto fosse buio. Era stato all’interno solo per pochi minuti, ma nel frattempo era scesa la notte e le uniche pallide luci a rischiararla sembravano il falò e la luna in cielo.
Rimase con il naso all’insù per molto tempo, finché non si decise a sedersi accanto al corpo privo di sensi dell’amico. Il semplice splendore delle stelle era abbacinante. Da molto, ormai, la rete elettrica non funzionava e si potevano ammirare in tutto il loro splendore da qualsiasi relitto di una grande città, ma nemmeno Camp Chitaqua era mai stato così buio. Erano sempre riusciti ad illuminare le capanne con torce, lampade o candele e, nei periodi più fortunati, a rubare l’elettricità ai militari. Mentre lì… non c’era nulla, assolutamente nulla, che si frapponesse tra loro ed il cielo.
Castiel si stese a terra, aprì il pacchetto di patatine ed iniziò a mangiarle con gusto, come se stesse guardando il miglior film del secolo. Nominò le stelle una ad una - le conosceva tutte, conosceva tutte le creazioni di suo Padre - e le salutò come vecchie amiche. Loro erano antiche quasi quanto lui.
Il respiro di Dean, accanto a lui, era placido e tranquillo, l’unico rumore a riempire il silenzio quando finì lo snack. Si voltò a guardarlo: il fuoco alle sue spalle illuminava le ciocche più esterne dei suoi capelli come un’aureola. L’amico era voltato verso di lui e sembrava che stesse semplicemente dormendo. Presto si sarebbe svegliato e, allora, cosa sarebbe successo? Cosa gli avrebbe raccontato? Castiel si accigliò; forse era bene iniziare a pensare ad una storia, non era mai stato bravo a mentire.
Non poteva certo dirgli la verità, era parso molto chiaro che quello fosse il prezzo da pagare per la loro vita. Se Dean avesse ricordato e si fosse mosso ancora una volta contro il Diavolo, Lucifer li avrebbe uccisi entrambi.
Vagliò tutte le possibilità, dirgli che erano precipitati o naufragati lì, che non si conoscevano, che lui abitava in quella capanna e l’aveva trovato per caso… Nella sua testa si formarono mille racconti, uno meno credibile dell’altro, e ci mise qualche secondo a rendersi conto che qualcosa era cambiato: Dean aveva schiuso gli occhi e stava ricambiando il suo sguardo attraverso le ciglia bionde.
Castiel trattenne il fiato, preso alla sprovvista, e si mise seduto quando l’altro fece lo stesso, stropicciandosi gli occhi, ancora insonnolito. Poi Dean si bloccò, con le mani ancora a mezz’aria, tutto il suo corpo s’irrigidì.
«Dean…» lo chiamò lui, incerto, toccandogli un braccio. «… stai… stai bene?»
Il ragazzo, perplesso, fissò la sua mano, poi riportò lo sguardo nel suo. «Parli con me?» domandò, corrugando la fronte.
Castiel deglutì a fatica, il petto stretto in una morsa d’acciaio; se lo aspettava, ma questo non rendeva le cose più semplici. «Sì, Dean… tu sei Dean» rispose con calma, cercando di non agitarlo.
«Io…» questi si fermò, puntando lo sguardo nel vuoto, come se stesse cercando di mettere qualcosa a fuoco. «…non me lo ricordo» soffiò. «Non ricordo… nulla» smozzicò, iniziando a respirare troppo veloce, poi strizzò le palpebre e si portò una delle le mani alla testa, schiacciando il palmo su una tempia, come a voler arginare un’emicrania pulsante.
In un attimo, Castiel gli si portò di fronte, prendendogli gentilmente entrambi i polsi e cercando di farsi guardare. «Va tutto bene» recitò, con voce calma. «Ci sono io, va tutto bene».
Dean scosse il capo, sfuggendo il suo sguardo e cercando di ritrarsi. Si accorse di essere armato, che erano entrambi armati, e si spaventò, lasciando cadere la pistola. «Chi sei tu? Chi sono io?!» chiese, sempre più agitato.
«Il mio migliore amico» rispose subito Castiel, mettendogli le mani sulle spalle. Ed era vero, quello era assolutamente vero e poteva dirlo. «Ed io sono Castiel. Ma tu di solito mi chiami…»
«Cas» lo anticipò il ragazzo, sollevando lo sguardo vacuo su di lui. Il suo respiro era ancora troppo affrettato, ma sembrava non avesse più intenzione di fuggire.
Castiel non se lo aspettava e si ritrovò preso in contropiede. «Sì, è così» ammise. Che ricordasse qualcosa?
«Cas… Cas è facile. È famigliare. È… sicuro» soppesò Dean, come se stesse assaporando sulla lingua la sensazione che quel nome gli dava.
«Certo» confermò questi, sentendosi di nuovo stringere il petto in una morsa. «Sei al sicuro con me» sussurrò, catturando il suo sguardo e cercando d’infondervi quanta più fiducia possibile.
Lentamente, il respiro di Dean tornò a farsi più regolare. Nemmeno per un attimo distolse gli occhi dai suoi, finché non fu abbastanza calmo da riprendere a parlare. «Cos’è successo? Dove siamo?» lo interrogò, iniziando a guardarsi nervosamente attorno.
Castiel strinse le labbra, insicuro su cosa rispondere, infine asserì: «Siamo stati attaccati». Bugia.
«Da chi?» chiese l’amico, stupito.
«Dai croat. Li stavamo combattendo». Vero - quasi vero. Lui li stava combattendo, mandato al macello da Dean, mentre quest’ultimo…
«Chi sono i croat?» domandò il ragazzo, inclinando la testa da un lato in un’inconsapevole imitazione dell’angelo che Castiel era stato.
«Croatoan. Umani infettati da un virus demoniaco» spiegò, quindi. Vero.
«Demoni? Di che diavolo parli, amico? Io non ricordo un accidenti, ma tu devi aver perso qualche rotella!» esclamò l’altro, indispettito, oltraggiato.
«Ascoltami, Dean. È la fottuta Apocalisse e sta finendo, ormai. Gli angeli hanno perso, Lucifer è l’ultimo sopravissuto e noi facevamo parte dell’unico gruppo di umani ribelli rimasto. Non c’è più nessuno a combattere, a parte i militari, ma loro non dureranno a lungo, non sanno come affrontare i demoni, si limitano a sterminare i croat» chiarì Castiel, scandendo bene le parole. Vero - tutto vero.
«Mi prendi per il culo?» replicò Dean con un sorriso sbilenco e tremolante - spaventato.
«No, non sei il mio tipo» ribatté Castiel, restando tuttavia serio, per fargli capire che non scherzava affatto. Tutto quello che gli aveva raccontato era reale, e seppure Dean non poteva - non doveva - sapere che era il leader della Resistenza, doveva almeno sapere che era un soldato, un cacciatore; quella era la sua natura.
Il ragazzo si umettò le labbra, come faceva tutte le volte che era teso. «Quindi… quindi, come siamo arrivati… qui? Qualunque posto sia qui» domandò.
«Io… non lo so. Stavamo combattendo, poi…» tu sei morto ed io ho barattato la tua memoria per la tua vita. «… ci siamo semplicemente risvegliati qui. Forse sei stato colpito alla testa» considerò, passandogli piano le dita tra i capelli, come in cerca di bernoccoli. Bugia.
«Fantastico» sbuffò Dean, scacciando la sua mano. «Che facciamo?»
«Mangiamo?» propose Castiel. «La capanna sembra sicura e c’è tutto quello di cui potremmo avere bisogno. Riposeremo e domattina, con il sole, esploreremo l’isola» propose.
«Okay» si arrese il ragazzo, sempre confuso, e l’amico, notando che gli girava ancora la testa, lo aiutò ad alzarsi in piedi e lo guidò dentro casa, stando sempre un passo dietro alle sue spalle.
«Cosa vorresti mangiare?» domandò, lasciando che esplorasse il posto proprio come aveva fatto lui poco prima.
Dean s’intrufolò nella rimessa e ne riemerse con una bracciata di buste di patatine e snack al cioccolato. Castiel ridacchiò senza poterselo impedire e l’altro si accigliò. «Che c’è?» fece. «Queste cose vanno consumate per prime o si faranno cattive» asserì.
«Nulla, nulla» lo rassicurò lui, sedendosi accanto al fosso ed accatastando un po’ di legna da ardere. Faceva caldo, ma la sera era umida. «Mi presti l’accendino, per favore?» chiese, tendendo una mano verso Dean, mentre questi si accucciava accanto a lui, rovesciando il malloppo tra loro.
«Ho un accendino?» chiese il ragazzo, iniziando a frugarsi nelle tasche.
Castiel sussultò, per un momento aveva dimenticato la sua attuale condizione. «Sempre» confermò.
«Fumo?» chiese quindi Dean perplesso, trovandolo finalmente nella tasca dei pantaloni. Insieme ci trovò anche un preservativo e sogghignò. «Sembra che io sia un tipo attento» considerò.
«Già, per certe cose» confermò l’altro con un accenno di sorriso. «Comunque, no, non hai mai fumato. È semplicemente un oggetto utile nel nostro… lavoro» spiegò, rivolgendosi ai ciocchi di legno, un po’ per necessità, un po’ per non dover guardare in quegli occhi che non lo riconoscevano.
«Che sarebbe… ?» lo interrogò l’amico.
«Cacciatori. Noi diamo la caccia alle cose… ai mostri» raccontò, usando più o meno le stesse parole con cui glielo aveva sentito spiegare centinaia di volte. «È una specie di… mestiere di famiglia. Lo faceva tuo padre, e anche i tuoi nonni» continuò. «Non puoi dare fuoco ai resti di un fantasma o al cerchio d’olio per intrappolare un angelo, senza un accendino».
«Quindi noi… siamo parenti?» azzardò il ragazzo.
«Noi? No. Decisamente no» rispose Castiel con un mezzo sorriso. «Solo… amici».
«Come ci siamo conosciuti?» domandò allora Dean, avido d’informazioni, iniziando a scartare un Twix.
«Ti ho salvato il culo» svelò lui, con una certa soddisfazione.
«Come? Quando?» chiese precipitosamente Dean, stupito.
Castiel si ritrovò in difficoltà. Cosa poteva dirgli? Ti ho salvato dalla perdizione non suonava tanto bene. «Saranno stati… sette anni fa, credo. È difficile tenere il conto del tempo, ormai» iniziò, incerto. «Tu eri… intrappolato» decise su due piedi. «In un incendio. Un vero inferno» sorrise amaramente. «Io ti ho tirato fuori» concluse.
«Wow!» esclamò l’amico.
«Già» confermò lui, poi si fermò. Dean lo stava fissando intensamente. Un po’ troppo intensamente, in effetti. «Che c’è?» domandò teso.
«Nulla» fece lui, afferrando un altro snack.
«Ho qualcosa in faccia? Hai ancora mal di testa?» azzardò.
«Non hai nulla in faccia, a parte una barba da orco, amico. E, sì, mi fa ancora male la testa, ma non è questo. Ho la sensazione che manchi qualcosa… qualcuno» soppesò, guardando il posto accanto a sé come se si aspettasse di trovarvi un’altra persona.
Castiel si sentì soffocare. Che anche dopo tutto quel tempo e senza ricordi, Dean avvertisse la mancanza di Sam, non era giusto.
«Ti senti bene?» gli domandò all’improvviso l’amico. «Sei pallido» osservò, posandogli una mano sulla spalla.
«Sì. Sì, io… be’, non hanno trattato con i guanti nemmeno me» si arrabattò.
«Mangia, allora» lo incitò Dean, trasformando la presa in una pacca. «Poi riposeremo. Non sei ferito, vero?»
«No, solo stanco» lo rassicurò Castiel.
«Che mi dici di te? Hai dei parenti, una famiglia?» lo interrogò l’amico.
«No. Sono rimasto solo io» rispose lui, prendendo uno snack.
«Mi dispiace, bello. Ehi, non so nemmeno il tuo… i nostri… cognomi!» si rese conto all’improvviso.
«Winchester. Tu sei Dean Winchester. Ed io sono…» si fermò, incerto. Lui non aveva un cognome, e non era mai stato bravo ad inventarsi identità false. «Thursday. Castiel Thursday» trovò su due piedi. Che diavolo, non era nemmeno una bugia!, il giovedì era il suo giorno - il suo compito - un tempo.
Con sua sorpresa, Dean si mise a ridere. «Sei un autentico figlio del giovedì, eh?» ghignò «Sei proprio strano, amico». [1]
Castiel sbuffò, pronto a ribattere qualcosa, ma all’improvviso il sorriso dell’altro ragazzo si addolcì e questi gli tese la mano. «Piacere di conoscerti, Cas. Di nuovo» ironizzò.
«Il piacere è mio, Dean» rispose lui, ricambiando la stretta. «Di nuovo» sottolineò, nascondendo un filo d’amarezza che ristagnò per un momento solo nelle sue iridi blu.
Quanto tempo era che non vedeva sorridere - e ridere - Dean così spesso? Troppo, decisamente troppo.
Questi si fermò di nuovo a scrutarlo, a lungo, come se volesse leggere qualcosa nel suo sguardo, come se avesse visto qualcosa che non riusciva a capire.
«Cosa c’è?» lo interrogò Castiel, perplesso.
«I tuoi occhi» mormorò il ragazzo, puntando lo sguardo nel suo ed intrappolandolo; una farfalla tra le dita capricciose di un bambino. «Sono così… tristi… così soli, così antichi» osservò ipnotizzato, poi strinse le palpebre e sibilò, portandosi una mano alla testa, trafitta da una fitta dolorosa.
«Shh, shh, shh» soffiò Castiel e sgusciò dietro di lui. Lo sospinse a poggiare la schiena contro il suo petto, e la testa sulla sua spalla. «Ti stai sforzando troppo» lo rimproverò gentilmente, premendo un palmo sulla sua fronte. «Non farlo, hai bisogno di riposare» continuò, portando le dita alle sue tempie, per massaggiarle piano.
«Perché?» sussurrò Dean.
«Ne abbiamo viste tante, oggi» rispose l’altro.
«No. Perché ti senti così solo?» specificò l’amico e l’interpellato sussultò, soffocando un singhiozzo. Dean aveva gli occhi chiusi, ma li aprì per incontrare di nuovo i suoi, e le mani di Castiel tremarono appena, incontrollabili.
«Non sono solo. Siamo entrambi qui, no?» cercò di sorridere, senza molto successo però.
«Già… ma tu sembri essere in un posto molto più lontano di qui» obbiettò il cacciatore.
Quello che una volta era l’angelo sulla sua spalla soffocò una risata amara. «Ti assicuro che non volerò via. Non ho alcun modo per allontanarmi da qui. Proprio come te» rispose, sincero. «A nanna, su» motteggiò dopo, sollecitandolo a rimettersi in piedi.
Dean si alzò, ma continuò a tenerlo d’occhio, anche mentre Castiel saliva sull’amaca, prendendo il lato sinistro. Come se sapesse che non era tutto lì, come se avesse capito che quella non era tutta la verità.
Gli si sdraiò accanto, dandogli la schiena e lasciando un ampio spazio tra loro, quasi non volesse più guardarlo - uno spazio abbastanza largo da ospitare una terza persona.
Castiel pensò che fosse lo spazio dei ricordi.
*°*°*°*°*
A svegliarlo fu un improvviso vuoto d’aria, percepì in lontananza lo scricchiolio di corde tese, poi la sua schiena impattò dolorosamente sul legno. La prima cosa a cui Castiel pensò, quando aprì gli occhi, fu cosa diamine si era fumato per appendere una rete al soffitto. Poi la sua testa iniziò a schiarirsi e si rese conto che la rete non era altro che un’amaca ed era a non più di un metro e mezzo di distanza dal pavimento - su cui si trovava lui, per la cronaca -, e ci era chissà come rotolato sotto.
Si stropicciò gli occhi e, quando la sua mente iniziò a snebbiarsi dal sonno, lasciandola lucida - lucida come non lo era da anni, specie considerato che era mattino - i ricordi tornarono tutti insieme, investendolo con la delicatezza di uno tsunami. Si affrettò a scivolare di lato e a rimettersi in piedi, guardandosi attorno in cerca di Dean, ma ovviamente lui non c’era - o avrebbe già riso della sua imbranataggine.
Tuttavia, sentì l’inquietudine avvelenargli il petto e corse all’esterno, ma non c’era traccia del ragazzo nemmeno lì, attorno al falò. Servizievole, la sabbia gli offrì una serie d’impronte che portavano alla spiaggia là davanti, che Castiel riusciva ad intravedere attraverso l’intrico di un paio di cespugli. Le seguì e davanti al suo sguardo si aprì finalmente il mare dei tropici, in tutta la sua bellezza di azzurri e verdi.
Si guardò attorno perplesso, dell’amico non vedeva nemmeno l’ombra, ma poi percepì un forte rumore di spruzzi e si voltò giusto in tempo per vedere Dean emergere dall’acqua, pallido e gocciolante come un dio degli abissi. Lo osservò incamminarsi, il mare che pian piano rivelava porzioni sempre maggiori del suo corpo e l’acqua che correva in rivoli dai capelli biondi giù lungo il petto scolpito.
«Pensi di voltarti o vuoi guardarmi l’uccello mentre esco dall’acqua?» esordì il cacciatore a mo’ di saluto, fermandosi quando ormai restava immerso solo dalla vita in giù.
«Potevi tenere i boxer, se avevi paura che sbirciassi» sbuffò Castiel, notando solo in quel momento i vestiti dell’amico poggiati ai cespugli.
«Non pensavo che ti svegliassi così presto. O che ti piacesse guardare» replicò divertito.
Lui quasi ridacchiò, aveva passato tanto di quel tempo a sorvegliarlo, in passato… il vecchio Dean gli avrebbe già detto di finirla con i suoi modi da stalker del cazzo.
«Immagino che non ti girerai, vero?» lo riscosse quest’ultimo, vedendolo ancora lì, immobile come uno stoccafisso. «Oh, bene, l’acqua è una favola» decise, sedendosi sul fondo.
Castiel sbuffò e tornò indietro di qualche passo, acchiappando tra le punte di indice e pollice le sue mutande - vestiti, ecco cos’era che Lucifer si era dimenticato - e lanciandogliele, per poi voltargli le spalle. Sentì alcuni sciacquii, poi Dean lo raggiunse - con i gioielli di famiglia coperti, almeno - e lo squadrò con aria critica.
«Amico, senza offesa, ma… puzzi. Pensi di farti un bagno o ti devo gettare dentro io?» domandò retoricamente, inarcando un sopracciglio.
«Oh sì, ti prego, muoio dalla voglia di essere stretto dalle tue forti braccia… Ariel» replicò l’interpellato, lasciando l’amico a bocca aperta. In risposta, quest’ultimo chinò la testa e la scrollò come un cane, schizzandolo di acqua gelata.
Castiel avrebbe dovuto replicare, magari mandarlo al diavolo, ma si perse ad osservare qualcos’altro. Sulla spalla sinistra di Dean campeggiava ancora l’impronta bruciata di una mano - della sua mano.
Era tanto che non la vedeva. Dean portava sempre le maniche lunghe, come se volesse nasconderla o dimenticare la traccia di quel legame inscindibile.
Era ancora lì. Razionalmente sapeva che non era qualcosa che potesse scomparire, o anche solo sbiadire, eppure rivederla lo fece fremere da capo a piedi.
Se vi avesse poggiato sopra il palmo, avrebbe combaciato perfettamente. Li avrebbe allacciati.
Si morse le labbra e quasi allungò le dita, trafitto da un desiderio improvviso e lancinante. Aveva lasciato qualcosa lì, qualcosa di grosso e unico, qualcosa che aveva perso, qualcosa di cui aveva bisogno, di cui avevano entrambi bisogno.
«Bel disegnino, vero?» lo riscosse la voce di Dean, quasi facendolo sussultare. «Hai idea di come me lo sono fatto?» gli domandò, alzando il bracciò per guardarla meglio. «Sembra dolorosa ed è vecchia, ma a volte pizzica un po’».
«No» soffiò l’amico senza fiato, poi si schiarì la voce. «No, non ne ho idea» racimolò in un modo più intellegibile, ma sviò lo sguardo, incapace di reggere il peso di quegli occhi verdi.
Il cacciatore lo stava fissando di nuovo in quel modo, come se avesse colto qualcosa di stonato in lui. Castiel si maledisse; Dean era sempre stato un tipo diffidente per natura, e lui era un autentico schifo a mentire. Doveva controllarsi, essere più composto e riguadagnarsi la sua fiducia.
«Pensi di vestirti o stai qui impalato per metterti in mostra? Se è così, preferivo il nudo integrale, sai?» ironizzò per alleggerire l’atmosfera ed il ragazzo sbuffò divertito.
«Che c’è, vuoi il bacino del buongiorno? Per questo tieni il broncio?» lo prese in giro.
«Va’ a farti fottere!» ridacchiò Castiel, spingendo via quel deficiente che aveva la stazza di un camion. «Anzi, va a preparare la colazione» ci ripensò, iniziando davvero a seguire il suo consiglio e liberandosi dei vestiti, per buttarsi in acqua.
«Sembra che qualcuno sia permaloso la mattina» lo prese in giro Dean, mentre si riappropriava del resto dei propri abiti e tornava alla capanna.
L’acqua era incredibilmente fredda, nonostante facesse già fin troppo caldo. Probabilmente le correnti oceaniche avrebbero tenuto il mare gelato ancora per un bel pezzo. In ogni caso, lo aiutò a svegliarsi.
Caffè, l’altra importante cosa che il Diavolo si era dimenticato era il caffè. Castiel lo scoprì con disappunto qualche minuto dopo. Poteva vivere senza droghe e alcool, ma il caffè!
«Cioccolato?» propose l’amico. «Non c’è molto di adatto alla colazione. A meno che tu non preferisca tonno e fagioli».
«Il cioccolato andrà bene» sospirò lui affranto. «Magari qui attorno troveremo della frutta» considerò poi e a quella parola il viso dell’altro ragazzo di afflosciò, come se gli avesse appena suggerito di mangiare sabbia.
«Non mi va» si rese conto «L’unico modo in cui potrei sopportare la frutta è…»
«Infilata in mezzo ad un dolce, lo so» lo interruppe Castiel. «Dovrai adattarti, gioia» gli fece notare. «Che dici, diamo un’occhiata in giro?» propose poi.
La sabbia era bianca e sottile sotto i loro piedi scalzi, mentre s’incamminavano lungo il bagnasciuga. Benché fossero solo le prime ore del giorno, faceva caldo, così caldo che si erano liberati delle magliette e se l’erano legate attorno alla vita, procedendo a torso nudo.
«Ce l’hai anche tu» notò Dean, indicando il piccolo tatuaggio che entrambi portavano sotto la clavicola sinistra, appena sopra il cuore.
«Sì, è un sigillo per evitare le possessioni demoniache» spiegò Castiel. «Sfortunatamente non funziona con il virus croatoan. Sei stato proprio tu a farmelo» rivelò.
Dean aveva insistito perché tutti a Camp Chitaqua lo facessero, specialmente lui, in effetti; ne era scaturita una bella litigata. Al tempo, non voleva ancora accettare di averne bisogno. Come al solito, Dean era stato più obbiettivo.
«Sei magro da far pena. Quant’è che non mangi in modo decente?» cambiò discorso questi, rivolgendogli una smorfia.
«Che succede, ti preoccupi per me? Sono commosso» replicò lui, sbatacchiando ironicamente le ciglia.
Effettivamente era davvero magro, l’alcool e le droghe gli avevano riempito lo stomaco, ma non l’avevano nutrito, ed il suo corpo - il corpo di Jimmy - che già di per sé non era mai stato molto robusto, si era rapidamente deteriorato.
«Non c’è abbastanza cibo, in giro» si schermì, tuttavia. «Non c’è abbastanza di nulla, in giro». Non voleva che Dean sapesse come si era ridotto; se c’era qualcosa che non desiderava che ricordasse, era proprio quello - non voleva vedere mai più il biasimo ed il disgusto in quello sguardo verde.
«Se non sto attento, mi sparirai davanti agli occhi» considerò il ragazzo. «Già così quanto pesi, cinquanta chili?»
«Cinquanta chili? Non sono una ragazza!» s’indispettì Castiel. «E, fossi in te, mi preoccuperei per me stesso. Sei così pallidino… e guarda questo sole» gli fece notare, poi ghignò «Ti riempirai di lentiggini».
« Tzè, ha parlato Mr. Abbronzatura 2014!» sbuffò il cacciatore. «È il 2014, vero?» chiese poi, incerto.
«Sì, credo di sì» considerò Castiel. «Chi lo calcola più il tempo?»
«Già, chi se ne frega…» convenne Dean, come se nulla fosse. Un attimo dopo lo placcò e gettò in mare senza tanti complimenti.
Lì la spiaggia formava una sorta d’insenatura ed il fondale era affossato, quindi si ritrovarono in un punto in cui l’acqua era più alta del previsto, completamente sommersi malgrado fossero a riva. Castiel cercò di non ridere o avrebbe perso la poco aria che aveva conservato nei polmoni, e non ci teneva a sostituirla con l’acqua salmastra, davvero. Si aggrappò alle spalle dell’amico e rotolarono sul fondale per qualche secondo, poi questi si staccò da lui, così di colpo come lo aveva travolto.
Castiel riemerse, sputacchiando e dando finalmente libero sfogo alla risata che gli era rimasta intrappolata nel petto. Si scostò le ciocche fradice dalla fronte e sbatté le ciglia per liberarle dalle gocce salate, cercando l’amico con lo sguardo. Ma si ghiacciò quando lo trovò a pochi passi da lui, il torace gonfiato da un respiro convulso e gli occhi spalancati per il terrore.
«Dean… che succede, Dean?» soffiò, preoccupato. Cercò di raggiungerlo, ma l’altro arretrò spaventato, scivolando con mani e piedi sulla sabbia cedevole.
«Ali. Ho visto ali» smozzicò, atterrito.
«Ali? Che stai dicendo?» domandò lui confuso. Ebbe quasi l’istinto di controllarsi le spalle, ma… che diavolo!, non aveva ali da molto tempo, ormai.
«Le ho viste!» sbottò il cacciatore. «Quando mi hai toccato. Bianche, enormi. Ho sentito le piume tra le dita» asserì.
Castiel si accigliò; Dean non aveva mai saputo che le sue ali erano bianche, aveva visto solo la loro ombra. Ad ogni modo, non c’erano più e di certo non poteva averle il suo tramite.
Si voltò, dandogli le spalle per mostrargli la schiena liscia. «Vedi ali?» replicò, paziente.
«… No» ammise il ragazzo, aggrottando la fronte.
Lo sentì avvicinarsi con cautela, come se avesse paura che potesse attaccarlo, e lo lasciò fare, anche quando sentì il suo respiro sul proprio collo bagnato e le dita sfiorargli le scapole.
«Non capisco» mormorò Dean, confuso, poi sibilò, accasciandosi in avanti e reggendosi la testa.
Castiel si voltò appena in tempo per sostenerlo ed evitare che cadesse in ginocchio. «Ti stai sforzando troppo» lo rimproverò, stringendolo a sé. «Andiamo all’ombra, hai bisogno di riposare, o ti prenderai un’insolazione» continuò, sostenendolo mentre uscivano dall’acqua ed accompagnandolo sotto le ombre fitte degli alberi poco distanti.
«Sto bene» protestò Dean, mentre Cas lo costringeva a sedersi a terra. «È stato solo un capogiro».
«Sì, be’, io sono stanco. Possiamo fermarci?» cambiò tattica lui.
«D’accordo» sbuffò l’amico.
Castiel si lasciò cadere al suo fianco ed iniziò a strizzarsi l’orlo dei pantaloni. «Dovevi proprio buttarmi in acqua completamente vestito?» sospirò seccato.
«Preferivi che ti spogliassi, prima?» sogghignò l’interpellato, poi gli colpì leggermente la spalla con la propria. «Ammettilo che ti è piaciuto. Sono un tipo divertente, io».
«E modesto» ironizzò l’altro, facendogli soppesare la cosa ed annuire con aria soddisfatta.
«Secondo te per quanto abbiamo camminato?» lo interrogò il ragazzo.
«Non saprei. Un miglio?» considerò l’amico.
«E non abbiamo trovato alcun segno di civiltà. Come diavolo siamo arrivati qui? E come facciamo ad andarcene, soprattutto?» si domandò il cacciatore.
«Frutta» replicò Castiel, posando la nuca contro il tronco dell’albero.
«Non credo che quella possa aiutarci» rispose Dean, sarcastico.
«No, c’è della frutta» specificò lui, puntando un dito verso le fronde sopra di loro, sulle quali aveva alzato lo sguardo.
«Che roba è?» esclamò l’altro, osservando i bizzarri frutti verdi.
«Artocarpus» rispose il compagno. «È un albero del pane».
«Esistono alberi del pane?» ribatté il ragazzo, perplesso.
«Ci sei giusto sotto» confermò Castiel.
«Che diavolo sei, una specie di esperto botanico?» sbuffò Dean.
«Avevo un amico che amava molto le piante» rispose lui distrattamente, pensando a Joshua, uno dei suoi fratelli più vicini a Dio.
Si sfilò la maglietta dai fianchi e la frustò in aria con un gesto secco per liberarla dall’eccesso d’acqua, prima di rimettersi in piedi ed allungarsi verso i frutti tropicali. Ne colse alcuni e li sistemò dentro la maglia, legandola a mo’ di sacca.
«Fantastico, dormo con la versione maschia di Poison Ivy» ironizzò intanto il cacciatore. [2]
«Dammi una mano, se non ti dispiace, Batman» sbuffò questi.
Con un sospiro da martire, Dean si alzò e lo aiutò a raccogliere i frutti dai rami più bassi. Poco dopo ripresero il cammino, restando sotto l’ombra degli alberi più prossimi alla spiaggia e cogliendo altri frutti qua e là. Percorsero forse un altro miglio, quando Castiel alzò lo sguardo e riconobbe qualcosa di non molto distante.
«Guarda là» richiamò l’attenzione dell’amico, che strabuzzò gli occhi stupito.
«È… la nostra capanna» osservò, incredulo.
«Già» convenne lui.
«Vuol dire che abbiamo già fatto il giro completo? Quest’isola è un francobollo di sabbia!» esclamò il ragazzo.
«È già diventata la nostra capanna?» lo riscosse Castiel, ridacchiando.
«Sì, be’… come la chiameresti tu?» sbuffò l’interpellato.
«Semplicemente capanna?» suggerì. «Sei sempre stato molto possessivo» osservò poi, divertito. «La tua macchina, la tua pistola, la tua torta, la tua birra, la tua musica…» la tua famiglia, tuo fratello, il tuo angelo.
«Il mio migliore amico scassa-palle» concluse, spintonandolo leggermente.
«C’è una cosa che non capisco…» esordì più tardi. «Ouch! Fa’ piano» esclamò poi.
«Solo una?» ironizzò Castiel, mentre cercava di spalmargli con gentilezza l’aloe sulle spalle bruciate. Fortuna che ne aveva notato qualche arbusto mentre camminavano e ne aveva colto alcune foglie. Il sole troppo intenso, a cui nessuno dei due era abituato, aveva arrossato la pelle di entrambi. «Oh, una lentiggine!»
«Spiritoso. Molto spiritoso» ringhiò l’altro indispettito.
Lui ridacchiò, continuando a spalmare il gel denso, estratto dalle foglie. «Allora, di che parlavi?» domandò poi.
«Pensavo che spostandoci avremmo trovato un centro abitato, anche se piccolo o in degrado, invece in questo posto non c’è traccia di anima viva» osservò. «Ma allora come ci sono arrivati gli snack nella nostra rimessa? Quella è roba da supermercato, non da Survivor». [3]
Castiel si agitò, innervosito, cercando di trovare una risposta plausibile. A volte dimenticava quanto Dean fosse perspicace, sotto alcuni aspetti. «Forse si tratta di un’isoletta privata. Sai, uno di quei rifugi per ricconi che, una volta l’anno, vogliono fare gli eremiti. Potrebbero essere rimasti qui dimenticati o come scorte» suppose.
«Sì, forse» ammise il ragazzo, inarcando un sopracciglio con aria scettica. «Hai finito con quella schifezza?» domandò, disgustato.
«Questa schifezza è aloe vera, e ti salverà da un’ustione di primo grado» lo informò.
«Sì, be’, continua ad essere disgustosa» storse la bocca il cacciatore.
«Quindi immagino non mi aiuterai a metterla» concluse Castiel alzando gli occhi al cielo, e Dean incassò la testa tra le spalle.
«Da’ qua» borbottò, afferrando una foglia e sospingendolo a sedersi davanti a lui. La spezzò a metà e lasciò colare la densa linfa gelatinosa direttamente sulla schiena dell’amico.
Per quest’ultimo il sollievo fu istantaneo e sospirò mentre l’altro la stendeva per bene. I suoi gesti erano un po’ troppo burberi, ma lui non si lamentò, e dopo qualche momento Dean ingentilì i movimenti. Castiel sorrise, senza farsi vedere.
[1] Figlio del giovedì è un modo di dire anglofono che indica qualcuno sempre fuori luogo.
[2]
Poison Ivy.
[3]
Survivor.
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