I Was a Stranger you Took me In - Capitolo 5

Nov 24, 2011 09:08

Titolo: I Was a Stranger you Took me In
Fandom: Supernatural.
Pairing: future!Castiel/future!Dean, Lucifer, Chuck + comparse varie sul finale.
Rating: NC17.
Charapter: 5/5.
Beta: koorime_yu & waferkya.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Missing Moment 5x04 - The End, Possibile OOC, Sesso descrittivo, Slash.
Words: 6314/26043 (fiumidiparole).
Summary: Anno 2014; Dean è morto, Castiel è in fin di vita e non vuole altro che raggiungerlo, e Lucifer comincia a rendersi conto che il gioco che ha intrapreso non vale la candela. Quindi il Diavolo propone un patto al suo fratellino caduto: una seconda possibilità per lui e Dean, ma il cacciatore non ricorderà nulla, nemmeno il proprio nome. Così si ritroveranno su un’isoletta dei tropici senza nome, perché la formula due cuori e una capanna non tramonta mai.
Note: Il titolo della fic è una strofa di “Miracle Drug” degli U2.
Note importantissime: Mi raccomando, prima di iniziare a leggere, andate QUI e scaricate il BELLISSIMO - sì, ommiodio è PERFETTO - fanmix che arial86 ha creato per questa storia ed ascoltatelo durante la lettura, perché l’aMMMore ♥

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DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

I Was a Stranger you Took me In
Capitolo 5

Dean aveva una spalla poggiata contro lo stipite della porta, le braccia intrecciate sul petto, le caviglie incrociate, e lo osservava in silenzio. Castiel rimase per qualche secondo immobile, assorbendo la realtà, poi si alzò e si rivestì.
Il cacciatore era calmo, troppo calmo, seguiva i suoi movimenti come un predatore in attesa di saltare al collo della vittima. Lui non sapeva cosa dire, si aspettava urla, botte, perfino di vederlo distruggere qualcosa, invece il compagno aspettò finché lui non lo raggiunse, poi gli fece cenno di seguirlo e uscì di nuovo.
Era plenilunio, sopra di loro il satellite brillava come un piccolo sole, oscurano le stelle e gettando una luce bluastra sulla spiaggia. Castiel riusciva a distinguere alla perfezione i ceppi bruciati e le ultime braci ardenti del loro falò.
Dean rimase in piedi, così lui fece altrettanto, in silenzio, attendendo che aprisse bocca o facesse qualsiasi altra cosa.
«Perché sono ancora vivo?» fu la sua prima domanda, piuttosto ovvia, anche se - chissà perché - Castiel non l’aveva immaginata.
«Lucifer ti ha riportato indietro» rispose, servizievole.
«In cambio di cosa?» gli chiese quindi.
«Lo sai» replicò Castiel.
«I miei ricordi» concluse lui. «Mi ha reso inoffensivo e tu glielo hai permesso. Hai stretto un patto con il Diavolo in persona».
«Gli angeli non stringono patti, era più… un accordo verbale» si sentì in dovere di chiarire.
«Sta’ zitto!» sbottò Dean, iniziando a lasciar cadere in pezzi la maschera di calma che aveva ostentato fino a quel momento. Si sfregò una mano sulla bocca, in quel gesto nervoso tanto familiare. «Mi hai mentito. Mi hai mentito per tutto il tempo. Castiel Thursday. Il giovedì era il tuo giorno, vero? In un certo senso ti appartiene. Le mezze verità sono le bugie migliori, complimenti, non pensavo fossi così bravo» osservò.
Lui chinò il capo, non riuscendo a trovare nulla da dire e sentendo più che mai il peso della propria colpa gravargli addosso.
«Hai detto che non sei un angelo. Ed è vero, ora non lo sei più. Hai detto che mi hai salvato la vita in un incendio, un vero inferno» rise senza gioia. «Encomiabile».
Castiel si strinse tra le braccia. Avrebbe preferito essere preso a pugni.
«Hai detto che sei il mio migliore amico» continuò Dean, il tono improvvisamente piatto.
«No, ho detto che tu sei il mio migliore amico» lo corresse lui, non riuscendo a trattenersi, non stavolta.
«Non importa, non fa molta differenza. Io ho dedotto che fosse reciproco, e tu me l’hai lasciato credere. Mi sono fidato di te» asserì, e fu come se gli avesse rinfacciato di essersi approfittato di lui.
Aspettò che arrivasse all’accusa di stupro, ma Dean non fece alcun cenno all’evoluzione del loro rapporto. In qualche modo, questo lo fece sentire ancora peggio; era come se lui lo stesse ignorando volutamente, negando tutto.
«Perché?» domandò infine.
E Castiel non sapeva cosa rispondergli. Aveva ancora davanti agli occhi il suo corpo riverso a terra, il suo sguardo vuoto, quasi sentiva il suo peso tra le braccia. Le sciolse, come se non fosse più in grado di sostenerlo.
«Volevo morire» confessò allora. «Ero ferito, stavo sanguinando copiosamente, non mi restava molto tempo. Volevo morire e raggiungerti. Volevo solo farla finita». All’improvviso gli si appannò la vista. Castiel capì che erano le lacrime che non era riuscito a versare quel giorno ed alzò lo sguardo al cielo, ma nemmeno stavolta caddero. Gli angeli non piangono. «Lucifer non me l’ha permesso» concluse.
Dean attese, forse intuendo che c’era dell’altro, ma lui non sapeva come continuare. Cosa doveva dirgli, che perderlo lo spaventava più di un’intera vita di tormento, più dell’Inferno? Che era stato troppo egoista per rifiutare la proposta del Diavolo? Che non era forte quanto pensava di essere?
«Così il tuo fratellone si è liberato di noi e ha finito di fare i suoi porci comodi» concluse per lui.
«Lo avrebbe fatto comunque. Eravamo già morti, non era obbligato a salvarci» lo contraddisse Castiel.
Il cacciatore si sfregò la faccia, si rastrellò i capelli. «Non avevi alcun diritto di farlo. Non lo avevi» lo gelò, quindi. «Alcun. Diritto» calcò poi, alzando il tono, puntadogli addosso un dito accusatore, pestando un piede a terra. E ad ogni parola sembrava che si strappasse brandelli di cuore dal petto a mani nude. «Dovevi lasciarmi marcire all’Inferno! Non avresti dovuto salvarmi nemmeno la prima volta! Tutto quello che tocco va in pezzi, non mi è rimasto niente. NIENTE! Io non merito niente!» gridò infine, con voce aspra e ruvida come carta vetrata.
Castiel, gli occhi che bruciavano, carichi di pianto mai versato, il cuore trafitto da un fuso, lo raggiunse e gli prese il viso tra le mani. «In centinaia… in milioni di anni, non ho mai visto nessuno - nessuno! - che meritasse di essere salvato più di te» mormorò, stringendo manciate dei suoi capelli, trattenendolo contro di sé, anche quando lui cercò di respingerlo.
Il ragazzo scosse il capo, distrutto, affranto. «Perché?» fu soltanto un sussurro, la voce soffocata, la gola chiusa da un nodo enorme.
«Perché sei il mio unico punto fisso, l’unico che non è scomparso, o fuggito, o cambiato. Perché non ti arrendi mai» bisbigliò l’altro, posando la fronte sulla sua.
«Allora perché vuoi che lo faccia adesso?» soffiò Dean senza forze.
«Perché hai bisogno di un po’ di pace. Perché non è rimasto più nulla per cui lottare. Ci siamo solo noi» ammise Castiel, con un sorriso mesto.
E all’improvviso Dean crollò, letteralmente. Cadde in ginocchio e si aggrappò alla sua maglietta, piangendo come un bambino. Piangendo per entrambi. Ma nemmeno un singhiozzo saliva dalla sua bocca, chiusa in una linea bianca. Le lacrime rotolavano silenziose sul suo viso, morendo sulla maglia del compagno.
Castiel si morse le labbra a sangue, desiderando gemere al posto suo, rompere qualcosa, picchiare qualcuno, non sapeva chi; forse voleva semplicemente urlare contro il cielo. Si lasciò scivolare a terra e lo attirò sul proprio petto, cullandolo piano, come aveva preso l’abitudine di fare quando i mal di testa si facevano troppo forti.
«Sai qual è la parte più patetica di questa storia?» domandò all’improvviso Dean, ma non sembrava aspettarsi una risposta. «Da quando è morta mia madre, nessuno mi ha mai abbracciato quando stavo male o avevo gli incubi. Ho sempre dovuto prendermi cura degli altri, ma non c’era mai nessuno per me. E mi andava bene, davvero. Poi sei arrivato tu» disse semplicemente. «E c’eri. Ci sei sempre stato. E non sono sicuro di riuscire a perdonartelo». Non lo guardava, fissava un punto nel nulla, immobile tra le sue braccia.
«Mi dispiace. Mi dispiace così tanto» mormorò Castiel, come aveva fatto più di una volta da che erano lì, su quell’isola senza nome.
«Non dovresti mettermi davanti a tutto il resto. È sbagliato, così sbagliato» bisbigliò il cacciatore.
«Perché?» domandò lui, con quello che parve quasi un pigolio. «Perché non posso tentare di proteggere l’unica cosa che vale la pena di salvare?»
«Perché non me lo merito» soffiò Dean.
«Non è vero» lo contraddisse l’amico, ma quasi non riuscì a finire.
«È vero, lo sai che è vero. È tutta colpa mia, è colpa mia se è iniziata, è colpa mia se è andato tutto a puttane, Cas».
Lui avrebbe potuto rispondere tante cose, davvero tante, continuare a ribadire che si sbagliava, cercare di convincerlo che aveva fatto del suo meglio, ma a cosa sarebbe servito? Dean era troppo cocciuto. «Non me ne frega un cazzo» sbuffò all’improvviso tra i suoi capelli biondicci. «Mi hai sentito? Non me ne importa nulla» calcò con più asprezza, tirando su col naso. «Puoi sacrificarmi, gettarmi via, fare di me quello che ti pare. Ma non farò lo stesso con te. Vaffanculo, non fallirò anche in questo». Era il suo protetto, era sempre il suo protetto. Perché gli era stato affidato, e perché era Dean. Non era una ragione più che sufficiente?
«Coglione» replicò questi. «Sei un fottuto idiota» gracchiò, stringendo tra le dita un lembo della sua maglietta.
Castiel rimase in silenzio per qualche secondo, chiuse gli occhi e poggiò la guancia sulla sua testa, ascoltando solo il respiro spezzato di Dean, che gli solleticava il collo. Aveva smesso di piangere, ma lui non aveva alcuna intenzione di lasciarlo.
«Come hai fatto?» gli domandò, invece. «Come sei riuscito a buttare giù il muro?»
«Sei stato tu» spiegò il ragazzo. «Tutte le volte che mi toccavi qui…» tirò giù la manica della camicia, snudando il marchio sulla spalla. «… mi restituivi un pezzettino di me, anche se non era tua intenzione. Siamo legati, nel bene e nel male» asserì.
«Non capisco» ammise lui meravigliato, sfiorando l’impronta con tentazione crescente.
Dean si passò una mano tra i capelli, non sapendo come spiegarsi. «Hai lasciato qualcosa qui… è come… un accesso privato? Sei l’unico sulla lista VIP e puoi scendere in pista quando ti pare» tentò. «Fai parte di me. E non c’è modo che io ti dimentichi».
Castiel distolse lo sguardo dalla bruciatura per cercare i suoi occhi, per capire se questo significasse qualcosa - qualunque cosa - per lui. Il ragazzo sostenne il suo esame solo per qualche secondo, poi le ciglia bionde scivolarono a mascherarlo, e lo sguardo di Castiel cadde sulla sua bocca. Oddio, voleva… voleva. Ma…?
Prese un respiro profondo e lo inghiottì a fatica, imponendosi di stare calmo. Correre non gli sarebbe stato di alcun aiuto. Lo osservò meglio e si accorse che aveva due brutte ombre scure sotto gli occhi. Improvvisamente si rese conto che abbattere quel muro non doveva essere stato semplice, né rilassante. «Do- dovresti dormire un po’» asserì schiarendosi la voce.
Il cacciatore scosse il capo, restio. «È quasi l’alba. Scendiamo in spiaggia» propose.
Sedettero sul bagnasciuga, i piedi nudi lambiti dall’acqua, i jeans arrotolati fino alle ginocchia. Dean aveva i gomiti poggiati sulle cosce, le mani a penzoloni nel mezzo, gli occhi persi nel mare; il chiaro di luna lo dipingeva tutto di blu, come un’amante dispettosa. 
Lui invece poggiò il peso all’indietro, sulle braccia, e lo osservò in silenzio, prima di alzare lo sguardo al cielo. Rifletté su quello che il ragazzo gli aveva appena confessato: i ricordi erano tornati per gradi. Chi era l’uomo con cui aveva fatto l’amore quella notte, quello che viveva con lui nella capanna o il vecchio Dean?
Quando abbassò di nuovo lo sguardo, scoprì che questi lo stava osservando, con un gomito puntellato su un ginocchio ed una guancia poggiato contro il pugno chiuso, l’espressione assorta.
«A cosa pensi?» gli chiese Castiel.
Dean si leccò nervosamente le labbra. «Non sei qui con me» sussurrò, facendogli saltare il cuore in gola.
«Sono qui ad un passo» mormorò lui.
«Ci sei?» chiese conferma l’altro, tendendosi verso di lui.
«Ci sono» soffiò Castiel, e poi la bocca di Dean fu sulla sua e il suo peso lo spinse giù, sulla sabbia soffice, e nient’altro aveva importanza.
Fu come tutte le altre volte e, al contempo, completamente diverso. Era il corpo di Dean sopra di lui, il suo peso familiare tra le sue braccia, tra le sue gambe. Il suo sapore sulla lingua, il suo respiro nelle orecchie. Ma le mani che lo toccavano sembravano diverse, più esperte, eppure incerte. Le labbra lo baciavano come se fosse la prima volta. Gli occhi lo studiavano come se non gli avessero mai dato la dovuta attenzione.
Dean lo mordeva e lo strattonava, punendolo ed eccitandolo, e Castiel lo lasciava fare, perché voleva tutto - oh, sì, ti prego! - qualsiasi cosa, e anche di più. Il cacciatore lo prese con forza, senza troppa attenzione, strappandogli un gemito addolorato che lo fece esitare, ma lui gli artigliò la schiena e ansò al suo orecchio: «Non ti fermare, non ti fermare, non ti fermare…» abbracciandogli la vita con le gambe.
E Dean non lo fece, si spinse in lui ancora e ancora, come se nient’altro al mondo avesse senso. Il sole sorse sulle sue spalle, tra i suoi capelli, nei suoi occhi, dalla sua bocca, finché Castiel non fu più sicuro se quella fosse l’alba o la sua anima, ed affogò in quella luce.
Pochi minuti - o ore, o giorni? - dopo, il ragazzo alzò la testa arruffata dal suo petto e lo fissò con occhi carichi di stupore. Lui non smise di passare le dita tra i suoi capelli e Dean non lo scacciò, quindi attese.
«L’ho fatto davvero» mormorò alla fine il cacciatore. E poi rise; una risata un po’ isterica, un po’ di biasimo, assolutamente sfinita. «Pensavo che non avrebbe funzionato. Che ad un certo punto mi sarei fermato e avrei realizzato cosa stavo facendo. Invece lo sapevo per tutto il tempo e, più me ne rendevo conto, più lo volevo» si scostò da lui e rotolò al suo fianco, coprendosi gli occhi con un braccio.
Castiel non rimase a consolarlo o ad aspettare che prendesse una decisione. Si alzò, entrò in acqua e dopo qualche metro si tuffò per lavarsi la sabbia di dosso. Una parte di lui era arrabbiata e ferita e non voleva saperne delle seghe mentali del compagno, l’altra pensava che questi avesse bisogno del suo tempo.
Quando riemerse, si aspettava di vedere sul suo viso un’espressione furiosa ed accusatrice, invece tutto ciò che sorprese nei suoi occhi fu uno sguardo smarrito. E allora, sì, giunse anche la rabbia, ma lui aveva già visto cosa stava tentando di nascondere e non poteva dimenticarlo.
S’inginocchio sopra di lui, con le gambe ai lati dei suoi fianchi - peraltro sporcandosi di nuovo, ma in quel momento non aveva importanza - e gli prese il viso tra le mani, posando sulle sue labbra un bacio soffice, mentre lo guardava intensamente negli occhi. Poi lo abbracciò, in silenzio, e rimase così a lungo, senza muoversi, nemmeno quando infine Dean gli strinse le braccia attorno alla vita.
Castiel aveva una guancia poggiata contro la sua, lo sguardo rivolto alla sabbia, al sole che lentamente si alzava dal mare, abbandonando i timidi rosa e arancioni, e tingendo il cielo d’azzurro. E in quella prima luce incerta vide qualcosa: una minuscola figura bianca, in lontananza, che si avvicinava pian piano, a passo d’uomo.
«C’è qualcuno» avvertì il compagno.
«Non c’è stato nessuno per due mesi» obbiettò questi.
«Ma ora c’è» insistette lui, indicandolo.
Allora si alzarono frettolosamente, sciacquandosi di dosso la sabbia, prima d’infilarsi di nuovo gli abiti. Nel frattempo la figurina si era avvicinata al punto da poter distinguere i loro movimenti, tanto che loro iniziarono a vedere meglio i suoi contorni.
Era un uomo alto, molto alto, con i capelli castani lunghi, e interamente vestito di bianco. Castiel ebbe un tuffo al cuore.
«È Sam» soffiò Dean.
«No, non è lui» replicò quindi.
Lucifer si avvicinò loro immerso nella luce del mattino, a piedi nudi e in maniche di camicia, la giacca gettata sopra una spalla ed agganciata per il colletto con due dita, le scarpe candide nell’altra mano e un morbido sorriso dipinto sul volto di Sam Winchester.
«Buongiorno» li salutò con cortesia.
«Figlio di puttana» ringhiò Dean, e - davvero - Castiel già sapeva che lo avrebbe detto.
Sospirò. «Fratello» rispose a mo’ di saluto.
«Ti trovo bene, Castiel. Senz’altro meglio del nostro ultimo incontro. Più in carne, perfino» considerò, come se rammentasse una piacevole cena di famiglia. «Ma forse la prossima volta devo ricordarmi di fornirvi la crema solare tra i medicinali» continuò, sondando il petto abbronzato di Dean e la cascata di piccole lentiggini lungo le sue braccia muscolose.
Questi sbuffò. «Non ci sarà una prossima volta» replicò secco.
«No, hai ragione» convenne il Diavolo. Ripiegò con calma la giacca sul braccio con il quale teneva le scarpe, poi offrì loro quello libero, come avrebbe fatto un gentiluomo per accompagnare la sua signora in una passeggiata.
Dopo un momento d’esitazione, Castiel vi posò la mano sopra e si voltò a guardare il compagno, che intrecciò le braccia al petto, in una posa chiusa e difensiva.
Lucifer inarcò un sopraciglio. «Vogliamo fare notte?» gli domandò.
«Che intenzioni hai?» ribatté il cacciatore, ostinato.
«Se avessi voluto farvi del male, l’avrei già fatto» gli fece notare dunque l’angelo.
«Questo sì che mi rassicura» ironizzò il ragazzo, ma poi poggiò la mano accanto a quella di Castiel.
Un attimo dopo non erano più lì. Durò solo una manciata di secondi, ma lui riuscì a sentire, più che vedere, Lucifer prendere il volo e portarli via di lì. Percepì l’abbracciò delle sue ali, dodici splendide ali - quelle che erano ancora le più belle del Paradiso, il dono di Dio per il suo figlio prediletto - circondarli e trasportarli via. Poi tutto finì ed atterrarono barcollando, su un tappeto d’erba fresca.
Il paesaggio sembrava più buio, come se si fosse di colpo fatta sera, ma alzando lo sguardo Castiel seguì il tronco di un albero che saliva a perdita d’occhio, così alto che le fronde si univano a quelli che li circondavano, oscurando il cielo. Sentì il gorgoglio di un ruscello a qualche metro da loro, nascosto tra le felci, e poco più in là la vegetazione frusciò, quando una lepre saltellò via, spaventata dal loro arrivo.
«Dove siamo?» domandò stupito - e anche meravigliato, sì.
«A Detroit» rispose il Diavolo.
«Cosa?» domandò Dean, precedendo Castiel appena di un secondo.
Lucifer aprì le braccia, come a voler stringere l’intera scena. «Questo è ciò che resta di Detroit» asserì solenne.
E allora scorsero macerie, resti di palazzi, case, lampioni, cassette postali, inghiottiti dalla vegetazione, fagocitati dalle piante, dal terreno, dall’acqua che sembravano esservi nati attorno e attraverso.
«Come…?» soffiò il cacciatore incredulo. Ma in realtà nessuno dei due aveva bisogno di spiegazioni; se la Grazia caduta di un angelo minore come Anna, ruzzolando a terra, poteva dar vita ad un albero millenario, quella di un Arcangelo, bruciando, poteva far nascere dal terreno centinaia di alberi alti quanto il Chrysler Building. E lo aveva fatto.
«Il resto del mondo?» chiese Castiel, immaginando già la risposta.
«È tutto così» confermò Lucifer con orgoglio.
Dean vacillò, come colpito in testa da una mazzata, e poggiò la schiena contro il tronco di una quercia, alla ricerca di sostegno. Sembrava una bambolina, in confronto con l’immensità di quel singolo albero. «Gli umani?» gracchiò con voce roca, lo sguardo vacuo.
Il Diavolo si guardò in giro, come se lui avesse parlato di una creatura bizzarra, e ora volesse cercarne la presenza. «Vedi qualcuno?» replicò.
Il ragazzo impallidì. «Figlio di puttana» ripeté, ma stavolta fu solo un ansito sfiatato.
«Cosa ne hai fatto?» ritentò Castiel, perché dovevano avere una vera risposta.
«Selezionati» precisò allora Lucifer.
«Hai scelto chi lasciare in vita e hai spazzato via tutto il resto» arguì quindi.
«Personalmente» confermò suo fratello.
«E i demoni? Dove sono i tuoi figlioletti?» lo interrogò Dean con voce carica di disgusto.
Il Diavolo sorrise in modo… be’, mefistofelico. «Sai com’è, ora c’è parecchio lavoro da fare giù all’Inferno» motteggiò, e Castiel rise, una risata amara e fatta di vetri infranti, che sperava di aver seppellito.
«Ottimo lavoro» ironizzò. «Avevi pianificato tutto, fin dall’inizio. Davvero… spettacolare» convenne, ammirando la scenografia. «Siamo rimasti davvero solo noi» realizzò poi, a bassa voce.
Dean abbatté un pugno contro il tronco della quercia, scorticandosi le nocche e gemendo di gola. «D’accordo, hai ottenuto quello che desideravi. Ora che diavolo vuoi, eh? Perché sei ancora qui?! Vattene all’Inferno o dove ti pare, e rendimi Sammy. Restituiscimi mio fratello!» ruggì.
Allora il sorriso soddisfatto sul viso di Lucifer - di Sam - s’incrinò e scomparve. «Non c’è più» rispose con delicatezza, come se davvero fosse dispiaciuto. «Subito dopo che vi ho sistemato nella capanna, mi ha pregato di lasciarlo libero. Si è assicurato che voi foste tranquilli e poi è passato oltre. È andato da Jessica, Dean» spiegò lentamente, come se parlasse con un bambino.
Il cacciatore rimase immobile, i suoi occhi si appannarono, ma lui scosse la testa e scacciò quel principio di lacrime mai veramente sorte. «Bugiardo!» gridò scagliandosi contro l’angelo, anche se era irrazionale, anche se sarebbe stato come cercare di prendere a pugni un muro; e lo sapeva. Chiuse le dita attorno al bavero della sua bella giacca bianca - quando era tornata al suo posto? - e tentò di scuoterlo, ma ottenne solo di stropicciare la stoffa pregiata.
Il Diavolo lo prese per i polsi, immobilizzandolo, insensibile ai suoi tentativi. «Glielo avevo promesso» asserì carezzevole, il viso pieno di una compassione così assoluta e convincente da sembrare davvero reale.
D’un tratto, una voce si alzò dalla vegetazione, facendoli sobbalzare: «Un fratello per un fratello».
Castiel non riuscì a credere ai propri occhi quando vide emergere dalla boscaglia Chuck Shurley, il Profeta. E a quanto pareva non era l’unico.
«Chuck, sei vivo?» soffiò Dean incredulo, ancora trattenuto da Lucifer. Ma l’attenzione dell’interpellato era tutta rivolta al Diavolo.
«Sei sempre stato capriccioso e vendicativo: lui ti ha portato via Michael e tu gli porti via Sam» continuò con notevole coraggio, sotto l’espressione ora impassibile dell’arcangelo; Lucifer aveva tutta l’aria di chi si stesse domandando chi si credesse di essere quella scimmia per parlargli così. E tuttavia il Profeta non si fermò: «Ma Dean aveva tutto il diritto di negare il suo consenso. Forse - e solo forse - se tuo fratello si fosse preso la briga di conferire lui stesso con l’uomo che avrebbe dovuto offrirgli il suo corpo, le cose sarebbero andate diversamente».
La mascella gli sarebbe rotolata a terra da un momento all’altro, Castiel ne era certo, perché lui non era più capace di tenerla su. Aveva appena sentito Chuck - il loro fifone, svampito, depresso amico Chuck - insinuare che l’Arcangelo Michael avesse trattato Dean come una puttana? Sul serio?
«Chuck…?» chiamò il cacciatore allibito «Ti senti bene?»
Questi si voltò finalmente a guardarlo e gli rivolse un sorriso sfolgorante. «Ho una cosa per te, Dean» annunciò, poi frugò in una tasca dei jeans e gli tese un piccolo oggetto luccicante.
L’amuleto. Quel’amuleto. Quello che Dean portava sempre quando Castiel l’aveva conosciuto, in grado di rintracciare Dio, e smarrito anni prima.
Sapeva che al compagno era molto caro, essendo un regalo del fratello minore, ma questo - nemmeno con la sua improvvisa ricomparsa - non giustificava l’espressione che si dipinse sul suo volto quando lo afferrò. Sembrava terrorizzato.
Dean si accostò a Castiel con molta cautela, senza scollare lo sguardo da Chuck, dando perfino le spalle a Lucifer, e gli tese il ciondolo, facendolo cadere sul suo palmo. E, non appena tocco la sua pelle, Castiel sussultò: era bollente. Così caldo che stringerlo era quasi intollerabile, ustionante.
Confuso e spaventato, alzò lentamente lo sguardo, incontrando quello del Profeta. Senza preavviso, le sue gambe cedettero e lui crollò in ginocchio, l’amuleto ancora cullato nel palmo della mano, proteso come un offerta. «Padre…» ansò senza fiato, gli occhi sgranati, la mente inceppata, il cuore in gola.
Non aveva mai visto le sembianze di Dio, gli angeli minori - al pari degli umani - non erano in grado di sopportare la Sua immensità, solo i quattro arcangeli riuscivano a presentarsi al suo cospetto, facendo scudo agli altri con le loro ali - sei per ognuno, dodici per Lucifer, il prediletto. Ora, dietro gli occhi azzurri che gli erano tanto familiari, Castiel riconobbe qualcosa - sapere, saggezza, potenza, splendore - riconobbe la Sua voce, la voce che udì per la prima volta quando suo Padre disse «Luce».
E dopo lo stupore, dopo l’ondata travolgente d’amore, dopo il senso di colpa per aver perso la fede e il rancore per l’abbandono, Castiel provò vergogna. Poteva quasi percepire il taglio slabbrato dove le sue ali si erano spezzate, il peso della loro assenza, della perdita della propria Grazia, della propria identità, della propria eredità.
Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?».
Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».
Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». [1]
Quel ricordo gli tornò alla mente e per la prima volta si sentì solidale verso Adamo, quando in precedenza per lui aveva provato solo pietà. Capì la sensazione di non sentirsi all’altezza, quando il Padre era finalmente lì per lui. Scoprì cosa voleva dire sentirsi tutto sbagliato; il figlio rimasto bambino.
Chinò il capo e si raccolse su sé stesso, affondando una mano nella polvere per cercare un appiglio, mentre con l’altra si portava l’amuleto al petto. Percepì, più che vedere, Dean - rimasto al suo fianco - accucciarsi accanto a lui e una delle sue braccia circondargli le spalle.
«Cas…» lo chiamò preoccupato.
Quel nomignolo, familiare e spezzato, come era lui stesso.
Castiel non riuscì a guardarlo in faccia.
«Che significa?» ringhiò allora il ragazzo, rivolgendo al Signore uno sguardo accusatorio. «Da quanto tempo sei lì? Cosa hai fatto a Chuck? Da quant’è che ti fingi lui?»
«Chuck… è un caro ragazzo» asserì Dio «Così insicuro, così all’oscuro di essere tanto grande, tanto importante» continuò, ma Castiel non avrebbe saputo dire per chi fossero quelle parole, se per Chuck, per Dean o proprio per lui. «Sono qui da molto, Dean, da prima che voi lo incontraste. Lui non ha mai saputo di me, andavo e venivo, e ovviamente quando sognava - quando scriveva - ero con lui» spiegò.
Poi il Signore si chinò e fece qualcosa che il cacciatore - e probabilmente nessun altro dei presenti - avrebbe mai immaginato: prese Castiel per le braccia e lo aiutò a rialzarsi. Gli occhi blu di quest’ultimo erano sfuggenti, il capo ancora chino.
«Figlio mio, perché ti nascondi?» domandò con voce gentile «Perché la più fedele delle mie creature non mi guarda?»
«Fedele?» sussurrò l’angelo caduto «Non lo sono stato affatto, Padre. Ho perduto la fede molto tempo fa».
«Come pretendi che i tuoi figli ti siano fedeli, quando li abbandoni?» si intromise Dean astioso.
«Tu non hai smesso di credere in tuo padre, quando lui è sparito» gli ricordò Dio, paziente.
Il ragazzo sbatté le ciglia, confuso, poi aggrottò la fronte. «Mio padre non è scomparso per secoli - per millenni!» rincarò.
«E cosa sono i secoli per gli angeli, bambino?» replicò Lui. Il tono era pacato, lo sguardo comprensivo. «Non pretendo nulla. È necessario cadere per imparare a rialzarsi» asserì poi, sollevando il viso di Castiel.
«Perché perdoni questa creatura misera, che si è ridotta volontariamente all’ombra di se stesso?» intervenne allora Lucifer. Era rimasto in silenzio fino a quel momento, imperscrutabile.
«E perché non ti ho ancora rispedito nel buio dove ti avevo confinato, Stella del Mattino? Te lo sei domandato?» ribatté il Signore, voltandosi verso il Diavolo. Sul suo volto c’era l’espressione di un padre che vede tornare a casa il proprio figlio con una nota disciplinare sul diario. «Ti piace il tuo mondo di polvere ed erba, figlio mio? La vittoria è come la immaginavi?»
«Perché gliel’hai permesso, allora? Perché non sei intervenuto?!» inveì Dean.
Dio sospirò. «Perché non ho separato John Winchester e Mary Campbell quando si sono innamorati, sapendo che avrebbero generato i bambini che avrebbero scatenato l’Apocalisse? Se l’avessi fatto, cosa sarebbe stato di tutte le cose buone - e anche di quelle cattive, sì - che loro, tu e Sam avete fatto, quelle che allora dovevate ancora fare, scegliere di fare?  Il mondo ha bisogno di regole. Farle non mi esclude dal rispettarle. È il libero arbitrio».
«Lui si vergogna» asserì il Diavolo, fissando Castiel con risentimento.
Dio sorrise bonariamente e scosse il capo con aria esasperata, come un genitore davanti ai capricci del proprio bambino. «Chiedigli se, tornando indietro, sceglierebbe un’altra strada» lo sollecitò.
«Lo faresti?» domandò quindi Lucifer.
Castiel si accigliò, poi si voltò a guardare Dean, quell’uomo che in un altro tempo sarebbe stato considerato un condottiero, un sollevatore di popoli, un signore della guerra. «No,» dichiarò «non mi pento delle scelte che ho fatto, malgrado i miei sbagli».
La bocca di Lucifer si strinse in una piega sottile, qualcosa che - nonostante il Diavolo non l’avrebbe mai ammesso - lui riconobbe come rispetto. Rispetto non per le sue scelte, ma per la sua tenacia.
«Perché hai salvato questi due uomini e hai distrutto tutti i loro simili? Perché proprio questi due?» intervenne il Padre. «Anche se non vuoi riconoscerlo, tu lo sai, figlio mio. Ed ecco perché io li perdono: perché hanno riconosciuto l’importanza della mia opera e l’hanno protetta. Lucifer, tu, invece, l’hai solo disprezzata e rovinata, ininterrottamente, fino a… questo» spiegò roteando un indice in aria, come a voler indicare la giungla circostante. «Tuo fratello Castiel invece ha capito, ha sempre avuto una visione molto più ampia della maggior parte di voi angeli, e infine ha fatto la mia medesima scelta».
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. [2]
«Vuoi dire che hai permesso tutto questo per… dargli una lezione?» sbuffò Dean. Sotto quel punto di vista, la scacciata del Diavolo dal Paradiso assumeva tutto un’altra luce: l’aveva tipo messo in castigo e poi lasciato correre, finché non era caduto e si era sbucciato le ginocchia, imparando così che doveva ascoltarlo?
«E spero che l’abbiate imparata» confermò Dio con voce dura. «Tutti».
Lucifer strinse gli occhi con sospetto, intrecciando le braccia sul petto. «Quindi ora cosa intendi fare?» domandò al Signore. Quello sulla sua faccia, a Castiel parve in tutto e per tutto un broncio.
L’Interpellato inarcò le sopracciglia in un modo che sul volto di Chuck gli era molto familiare. «Riordinare i tuoi casini» annunciò.
«Mettere cera, togliere cera» [3] borbottò Dean, costringendo il compagno e soffocare un risolino.
Poi Dio schioccò le dita.
In un primo momento non accadde nulla e loro si guardarono attorno perplessi, poi delle figure iniziarono ad emergere dagli alberi. Donne, uomini, bambini; alcuni che conoscevano - Bobby, Jo, Ellen, Ash, Lisa, Ben… -, altri che non avevano mai visto. E angeli.
Mentre Dean soffocava Bobby - di nuovo in piedi sulle sue gambe - in un abbraccio, Castiel scorse Anna togliersi una foglia dai capelli rossi. L’arcangelo Gabriel girò su se stesso e fischiò ammirato. Un uomo alto e magro come uno spaventapasseri, con dei capelli corti biondo cenere, stava lisciando delle pieghe immaginarie dall’attillata maglia con scollo a V che indossava; Castiel ci mise qualche secondo a riconoscerlo.
«Balthazar…?» mormorò incerto, troppo stupito.
Questi alzò su di lui due luminosi occhi chiari. «Ehi, Cassie!» un sorriso da schiaffi gli incurvò le labbra quando si avvicinò per assestargli una pacca sulla spalla. «Ti trovo… arruffato, fratellino».
«Eri morto» soffiò lui «Tutti voi eravate morti».
«Ehi, Papy può» gli fece notare semplicemente Balthazar.
L’ultimo a comparire fu qualcuno che fece gelare il sangue a tutti, bloccandoli lì dov’erano, ancora riuniti in gruppetti festanti.
«Quello è Adam, il mio fratellastro» asserì Dean. Castiel sobbalzò, non si era accorto che gli era alle spalle. Il cacciatore parve sul punto di dire qualcos’altro, ma poi si fermo. «Cazzo!» sibilò e nei suoi occhi lui vide riflesse tre paia di ali immense. «Perché le vedo?» bisbigliò terrorizzato.
Castiel aveva già capito di chi si trattava e non riusciva a distogliere lo sguardo dalla figura di quel ragazzo apparentemente così innocua. «Perché sei il suo legittimo tramite. Il tuo fratellastro è solo quello di scorta» rispose assorto.
L’arcangelo Michael posò un ginocchio a terra, chinandosi al cospetto di Dio. «Ti ho deluso, Padre». La sua voce era profondo, troppo dura per un corpo così esile.
Il Signore lo soppesò per qualche secondo, poi lo fece rialzare come aveva fatto con Castiel. «Hai fatto ciò che credevi giusto» gli concesse.
Dean gli diede di gomito e Castiel si voltò a guardarlo perplesso, poi il compagno gli indico Lucifer con un cenno del capo e lui lo seguì incuriosito. Il Diavolo era immobile al centro di tutto quello, nessuno gli si era accostato ed all’improvviso, mentre fissava Michael, sembrava essersi trasformato in una statua di sale. Di colpo parve molto più piccolo, come se volesse nascondersi e non avesse il tempo di farlo; un moccioso pescato con le mani nel barattolo della marmellata.
Il cacciatore ridacchiò. «Conosco quell’espressione» sussurrò all’orecchio di Castiel «Sembra Sammy quando lo beccavo a giocare con le armi di papà».
«Con permesso, Padre» si congedò Michael, prima di raggiungere il Diavolo a passi decisi e misurati. Gli si piantò davanti e lo scrutò in silenzio, poi - sotto lo sguardo allibito di tutti gli astanti - lo colpì con un manrovescio così forte da fargli girare la faccia.
Lucifer si portò una mano alla guancia in un gesto molto umano. «Suppongo che dovessi aspettarmelo» sussurrò, ma non fece in tempo a dire altro.
Michael lo strattonò per un polso e lo baciò rudemente.
«Lo avrei fatto anche io» approvò Dean annuendo. «Be’, non la seconda parte» si corresse poi, dando le spalle allo spettacolo. «Cristo, sono i miei fratelli» sibilò scioccato.
«Ewn… ragazzi, prendetevi una camera» approvò inconsapevolmente Gabriel, scatenando uno scroscio di risate.
Qualcuno, però, si schiarì la voce, attirando la loro attenzione. «Non ho ancora finito» spiegò Dio, osservando la coppietta appena ricongiunta. «Lucifer, ho come l’impressione che spedirti di nuovo nella Gabbia servirebbe solo ad amplificare il tuo rancore» riprese, soppesandolo attentamente e Castiel fu segretamente felice di vedere il Diavolo perdere un po’ del suo smalto. «Dean Winchester, spero potrai perdonarmi, non ti restituirò tuo fratello. Il corpo di Sam mi serve per un’altra faccenda» dichiarò, senza tuttavia scollare gli occhi dall’oggetto della sua attenzione, poi schioccò le dita.
Castiel non avrebbe saputo dire esattamente cosa fosse successo, ma all’improvviso Lucifer si stava osservando le mani come se non le riconoscesse e anche gli altri angeli lo guardavano con quieto orrore. Michael fece perfino un passo indietro.
«Sono…» boccheggiò il Diavolo.
«Umano» confermò il Signore, con tono di condanna.
Gli occhi verdi di Sam Winchester si alzarono su di lui, enormi e terrorizzati. «Padre… no, ti prego. Tutto ma non questo» supplicò con voce rotta, senza un briciolo di vergogna.
«Quando mai le mie decisioni sono stare sindacabili, figliolo?» rispose inespressivo, e per la prima volta sembrava proprio non avere nulla a che fare con Chuck Shurley, di cui occupava il corpo. «Sono sempre stato convinto che l’esperienza sia la miglior maestra».
Castiel rabbrividì, provando un inaspettato guizzò di pietà nei confronti di suo fratello. Tutti tacevano, nessuno osava emettere fiato. Michael osservava Lucifer con un tale dolore negli occhi che lui si ritrasse, dandogli le spalle.
«Padre…» tentò l’arcangelo.
«Non ho ancora finito» ripeté Dio. «Ce n’è anche per te, Michael. Mi sembra che vi siate divertiti entrambi a fare a pezzi la mia opera, senza alcun riguardo. Non era questo il tempo dell’Apocalisse, e lo sapevi, tuttavia sei sceso a contrastare tuo fratello, e va bene, era il tuo dovere. Quello che non ti competeva, era radere al suolo tutto ciò che trovavi sul tuo passaggio. In quanti sono morti, prima che tu venissi sconfitto? Quanti hai schiacciato come fossero insetti?» chiese con voce che si faceva più grave di parola in parola «Per tutto questo, per quello che hai fatto e per quello che non hai fatto, io ti offro una scelta: torna in Paradiso in tutta la tua gloria, riprendi di nuovo il compito che ti spetta e non osare muovere un passo da quel trono per i prossimi cinquemila anni, o rinuncia a tutto e trascorri la durata di una vita umana come un semplice uomo».
Le parole gravarono nell’aria come macigni, cariche di tutta la Collera Divina. Lucifer si voltò lentamente a guardare il Padre, poi il fratello. Michael era pallido, ma impassibile.
«Cosa accadrà dopo questo ciclo di vita?» domandò incolore.
Dio inarcò entrambe le sopracciglia, aprendo le braccia in un gesto impotente. «Questo dipenderà da voi. La destinazione ultima è sempre dipesa dal percorso che scegliete, non dalla Mia volontà» spiegò.
Michael guardò un’ultima volta Lucifer, poi chiuse gli occhi. E fece la sua scelta.

*°*°*°*°*

La luce di un tramonto rosseggiante incendiava il mare. Castiel la vide luccicare di rosa e arancio sulla sabbia pallida e la seguì colare sulle spalle nude di Dean, vivida come una carezza affamata.
Lentamente il mondo stava tornando in piedi, con nuovi ritmi e nuove consapevolezze. Nel complesso, la popolazione planetaria non era che un decimo di quella di un tempo, contando non solo gli umani. Dio era scomparso di nuovo, lasciando al suo posto un Profeta molto confuso. C’erano angeli che avevano scelto di vivere sulla Terra - Gabriel non ne voleva proprio sapere di tornare tra le nuvole - e altri che non avevano alternativa - Lucifer restava comunque esiliato dal Paradiso, anche se non rinchiuso nella Gabbia. C’era chi aveva scelto una vita mortale - Anna viveva di forti emozioni - e chi, seppur immortale, voleva sperimentare le gioie dell’umanità il più possibile - Gabriel aveva preso Balthazar sotto la sua ala… ali… protettrici, e questo era qualcosa che lasciava Castiel non poco inquieto.
C’era chi si stava ricostruendo una vita - Ellen e Jo stavano tirando di nuovo su il loro locale, con l’aiuto di Ash -, e chi la stava riscoprendo da capo - Bobby aveva ritrovato sua moglie e sembrava rinato. E c’era chi - come Lucifer e Michael, in un minuscolo appartamentino di Manhattan - il loro rapporto doveva ricostruirlo dalle fondamenta.
Castiel era abbastanza certo che lui e Dean appartenessero a quest’ultima categoria.
Quando aveva confessato a suo Padre di voler tornare su quell’isoletta minuscola, Dean l’aveva seguito. Pur con i suoi amici di nuovo in vita ed un discreto numero di belle donne in circolazione, aveva scelto di seguirlo.
Castiel si sedette accanto a lui. L’acqua fredda della risacca gli lambì i piedi nudi, lasciandoli scintillanti di goccioline ambrate sotto la luce rossastra. Rimase zitto per alcuni minuti, riprendendo familiarità con tutto quello, e infine non riuscì più a trattenersi: «Non che mi lamenti, ma… perché sei venuto qui con me?»
Il cacciatore l’occhieggiò di sbieco. «Se hai bisogno di chiedermelo, sei proprio un coglione». Castiel si accigliò e gli diede un colpo su una spalla. Dean sbuffò. «Ehi, da quando ci conosciamo mi hai tampinato come un anatroccolo. Non mi fido a lasciarti a te stesso, okay?» borbottò.
Castiel non la bevve. Attese in silenzio, e l’altro s’imbronciò, poggiando una guancia su un pugno, il gomito puntellato s’un ginocchio.
«Non lo dirò di nuovo, Cas. Arrivaci da solo» sbottò quindi, innervosito.
«Dovrei arrivare a cosa?» replicò questi, tra il divertito ed il perplesso.
Dean si sfregò nervosamente una mano sulla bocca. «So che mi hai sentito quella notte. Non stavi dormendo» biascicò voltandosi; forse il rossore su quelle guancie lentigginose non era poi il tramonto.
Castiel perse un battito. Solo uno, davvero, perché poi il suo cuore riparti in quarta. Gli tirò una ciocca di capelli biondicci, ormai un po’ troppo lunghi, che quasi arrivava a sfiorare il collo.
«Mamma oca» sussurrò al suo orecchio, chinandosi su di lui.
E Dean rispose con una specie di «Tzé!», ma si appoggiò contro il suo petto. E tanto bastava.

FINE.

[1] Genesi 3,8-13.
[2] Giovanni 1, 14.
[3] Dogma (1999), a sua volta ripresa da Karate Kid - Per vincere domani (1984).

Note finali: Se volete scoprire cosa ne è stato di Lucifer e Michael, date un'occhiata qui: Love Makes Nonsense of Space.

La trovate anche su:
EFP.

bigbangitalia: big bang 2011, serie: miracle drug (2014 'verse), supernatural, long: i was a stranger you took me in

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