I Was a Stranger you Took me In - Capitolo 3

Nov 24, 2011 08:37

Titolo: I Was a Stranger you Took me In
Fandom: Supernatural.
Pairing: future!Castiel/future!Dean, Lucifer, Chuck + comparse varie sul finale.
Rating: NC17.
Charapter: 3/5.
Beta: koorime_yu & waferkya.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Missing Moment 5x04 - The End, Possibile OOC, Sesso descrittivo, Slash.
Words: 5434/26043 (fiumidiparole).
Summary: Anno 2014; Dean è morto, Castiel è in fin di vita e non vuole altro che raggiungerlo, e Lucifer comincia a rendersi conto che il gioco che ha intrapreso non vale la candela. Quindi il Diavolo propone un patto al suo fratellino caduto: una seconda possibilità per lui e Dean, ma il cacciatore non ricorderà nulla, nemmeno il proprio nome. Così si ritroveranno su un’isoletta dei tropici senza nome, perché la formula due cuori e una capanna non tramonta mai.
Note: Il titolo della fic è una strofa di “Miracle Drug” degli U2.
Note importantissime: Mi raccomando, prima di iniziare a leggere, andate QUI e scaricate il BELLISSIMO - sì, ommiodio è PERFETTO - fanmix che arial86 ha creato per questa storia ed ascoltatelo durante la lettura, perché l’aMMMore ♥

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DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

I Was a Stranger you Took me In
Capitolo 3

In effetti, le piogge arrivarono molto prima di quanto Castiel si aspettasse. Il caldo dell’isola gli aveva fatto dimenticare che nel resto del mondo l’inverno era alle porte - o magari, quando era nel resto del mondo, era semplicemente troppo fatto per badare allo scorrere delle stagioni.
Il primo giorno il tempo alternava pioggerelle fitte a veri e propri monsoni, tanto da rendere quasi impossibile lasciare la capanna. Ringraziò di essere stato abbastanza previdente - paranoico, avrebbe detto Bobby una volta, con grande orgoglio - da aver subito messo da parte delle scorte, fin da quando erano capitati lì.
Il temporale scoppiò il pomeriggio, poco dopo che loro ebbero consumato il pesce pescato la mattina. Dean era giusto nel bel mezzo di una tirata su quanto gli mancasse la carne, che iniziarono a cadere le prime gocce ed in pochi attimi si ritrovarono fradici.
«Cristo, sono bagnato fin dentro le ossa!» sbottò, chiudendosi la porta della capanna alle spalle.
«Spogliati» ordinò Castiel, dirigendosi verso la rimessa «Se teniamo addosso questa roba ci verrà un accidenti» spiegò, prendendo due coperte e lanciandogliene una. «Ci copriremo con queste, per il momento».
«Dovremmo accendere il fuoco per asciugare i vestiti» osservò il cacciatore, e l’altro alzò lo sguardo verso il soffitto aperto.
«Abbiamo della legna asciutta, ma finché piove così forte sarà impossibile accenderla» osservò.
«Fantastico» sbuffò Dean, strappandosi di dosso la maglietta e gettandola a terra. Si drappeggiò la coperta sulle spalle, poi si sfilò i jeans da sotto di essa. «Che facciamo nel frattempo?» si chiese, lasciandosi crollare a terra.
Castiel si spogliò a sua volta e si legò addosso la coperta a mo’ di toga romana,  poi prese la noce di cocco in cui conservava le conchiglie che raccoglieva sulla spiaggia e mise qualcosa in mano all’amico. Quando questi controllò di cosa si trattasse, scoprì due piccoli dadi di legno chiaro.
«Li ho fatti l’altro giorno, proprio in previsione di qualcosa del genere» spiegò, e l’altro lo guardò estasiato.
«Cas, tu sei un genio!» esclamò.
«Sempre questo tono sorpreso» sbuffò questi, sedendosi di fronte a lui. «Cosa scommettiamo?»
«Non abbiamo soldi e, in ogni caso, non ce ne faremmo nulla» considerò il ragazzo. «Che ne dici della cena? Se perdo, la cucino io per una settimana» propose.
«D’accordo» convenne, leccandosi i baffi. «E se perdo io, ti faccio un massaggio» offrì.
«Ottimo. Scommetto che sarà un numero inferiore a otto» asserì Dean.
«Inferiore a undici, ma maggiore di quattro» controbatté lui. «Lancia tu per primo» lo sollecitò, poi.
Il cacciatore soffiò sui dadi, poi li agitò nel pugno chiuso e li lasciò andare. Il primo cadde sul quattro ed il secondo, con suo disappunto, sul cinque.
Castiel ghignò. «Qual è il menù di stasera?»
Andarono avanti così per un po’, finché la pioggia non si acquietò il tanto da permettere loro di accendere il fuoco.
«Dove vai?» chiese Cas ad un certo punto, vedendo Dean alzarsi in piedi.
«A cercare dei rami per coprire almeno in parte quel buco» spiegò indicando il soffitto «Altrimenti presto il terreno non riuscirà più a trattenere l’acqua e la capanna si allagherà. Esco adesso che la pioggia non è tanto fitta».
«Ti do una mano» si offrì subito.
«No, tu trova qualcosa per coprire la finestra. Si sta alzando il vento, se non stiamo attenti spegnerà il fuoco» gli fece notare, in tono così pratico ed autoritario da ricordargli il vecchio Dean.
Il corpo di Castiel rispose autonomamente, mettendosi in moto per eseguire gli ordini, senza che quasi lui registrasse la stranezza, tanto era abituato a seguire i suoi comandi.
Più tardi riuscirono a mettere insieme una cena decente: pesce freddo, fagioli in scatola e qualche frutto. Non proprio un pasto ghiotto, ma nemmeno il peggiore che avessero mai mangiato.
«Questa pioggia rovinerà il mio orticello» osservò Castiel, rattristato.
«Sono tutte piante del posto, dovrebbero essere abituate» replicò l’amico, perplesso.
«Sono ancora troppo giovani» rispose lui.
«Non sottovalutare la tenacia dei più piccoli, tutti lottiamo per sopravvivere» asserì il cacciatore, puntando lo sguardo sulle fiamme. Il fuoco creava ombre scure sotto i suoi occhi chiari e giocava sulla sua pelle abbronzata, incendiando d’oro i capelli biondi schiariti dal sole.
«Dovresti dormire un po’» gli consigliò Castiel, e lo vide sussultare.
«No, non sono stanco» obbiettò il ragazzo, e solo allora lui si rese conto che, da quando erano arrivati lì, non l’aveva mai visto dormire; ogni volta Dean si addormentava per ultimo ed era sempre il primo ad alzarsi. Sembrava quasi che non volesse farsi vedere mentre dormiva.
«Raccontami qualcosa» lo distrasse improvvisamente quest’ultimo.
«Tipo fiaba della buonanotte?» ironizzò Castiel.
«Sì» sorrise Dean. «Parlami di qualcosa che abbiamo fatto. Non ricordo ancora nulla» ammise, abbassando lo sguardo.
Castiel sentì lo stomaco chiudersi per la tensione e si agitò sul posto, innervosito.«Cosa vorresti sapere?»
Il ragazzo scrollò le spalle. «Qualcosa di divertente».
Lui ci pensò un po’, poi ridacchiò. «Quando ci siamo conosciuti, ero ancora vergine» rivelò.
«Cosa?!» esclamò Dean, tra il divertito e l’esterrefatto. «Ma hai detto che è stato sei o sette anni fa!» obbiettò, come se un uomo adulto ed illibato fosse inconcepibile.
«Sì» confermò lui sorridendo. «E hai giurato che non mi avresti lasciato morire vergine» rammentò.
«Quindi cosa ho fatto?» chiese, con l’aria d’intuire già la risposta.
«Mi hai portato in un bordello» raccontò Castiel. «E io sono stato… un completo disastro» confessò.
Dean scoppiò a ridere. «Che hai combinato?»
«Ho cercato di ubriacarmi e poi ho spaventato a morte Chastity, la squillo che mi avevi pagato. Ho detto qualcosa su suo padre e lei è diventata una furia…» spiegò. «Siamo fuggiti dal retro, io e te» concluse, sorridendo al ricordo.
Dean stava ancora ridacchiando. «Oh, sei un fenomeno… un fenomeno, Cas» ansimò, rotolandosi a terra. «Quindi alla fine non hai perso la verginità, quella sera?» chiese poi, asciugandosi  una lacrima d’ilarità dall’angolo dell’occhio destro.
«No, non quella sera» confermò.
«E quando?» domandò l’altro avvicinandosi, il sorriso tinto di divertimento ed indiscrezione.
«Un paio d’anni dopo» rispose pensieroso, sfiorandosi il labbro inferiore con un dito, poi sogghignò amaramente. «Ho aspettato tanto a lungo e alla fine mi sono gettato via con qualcuno di cui non ricordo nemmeno il volto».
Il sorriso sparì dal viso di Dean. «Perché?» chiese, guardingo.
«Perché no? Il mondo stava andando a puttane, eravamo nel bel mezzo dell’Apocalisse, volevo soltanto… dimenticare. Sentire un po’ di calore… non lo so» ammise, scuotendo il capo.
«Sei proprio uno sfigato, Cas» sbuffò il ragazzo, ma gli arruffò gentilmente i capelli, come se avesse a che fare con un bambino che si era appena sbucciato un ginocchio.

*°*°*°*°*

Dean soffriva ancora di incubi. Era questo il grande segreto che cercava di nascondergli, il motivo per cui si addormentava sempre dopo di lui e, probabilmente, quello per il quale si alzava sempre troppo presto.
Castiel lo scoprì quasi per caso. Si svegliò all’improvviso, senza alcuna ragione precisa, tanto che, lì per lì, pensò fosse stato un tuono a disturbare il suo sonno. Poi si accorse che, accanto a lui, Dean si stava agitando e gli stringeva il braccio così forte da bloccargli la circolazione. La seconda cosa di cui si rese conto fu di essere praticamente spalmato sul suo fianco - e non era certo lì che si era addormentato! - ma accantonò subito la questione in favore dell’altra, decisamente più urgente.
«Dean…» lo chiamò scuotendolo, dapprima con gentilezza. «Dean, svegliati!» esclamò poi, dandogli qualche lieve schiaffetto su una guancia. «Mi stai facendo male!» sbottò infine, quando non ebbe ottenuto alcun risultato.
Il cacciatore aprì gli occhi di scatto, risucchiò l’aria in un singhiozzo, come ingoiando un grido, e deglutì pesantemente. «Cas…» gracchiò con voce ruvida, sbattendo un paio di volte le ciglia per metterlo a fuoco. «Che succede?» chiese confuso.
«Potresti lasciarmi?» replicò lui, prima di tutto, ed il ragazzo mollò la presa di colpo, quasi spaventato dal suo stesso gesto. «Stavi avendo un incubo» spiegò quindi, più gentilmente.
«Già, ottima deduzione, Sherlock» rispose l’amico sfregandosi una mano sul viso. «Scusa per… sai…» smozzicò poi, lasciando ricadere il braccio ed osservando il suo, su cui spiccavano i segni rossi delle sue dita.
«È tutto okay» gli assicurò lui.
Calò un silenzio pesante, interrotto solo dallo scrosciare della pioggia. La capanna era buia, così buia che sentiva Dean, più che vederlo.
Castiel avrebbe voluto tempestarlo di domande - cosa sognava? Perché era tanto spaventato? Era l’Inferno che vedeva ancora, dopo tutti quegli anni, o soltanto il passato che Lucifer aveva rimosso dalla sua mente e che ora tentava di riemergere? - ma non poteva, perché lui non gli avrebbe risposto e, anzi, con ogni probabilità lo avrebbe scacciato.
E fu in quel momento, quando Dean si voltò per guardarlo e lui percepì il suo respiro sulla propria spalla, che ricordò quanto fossero maledettamente vicini.
«Cas… noi siamo… siamo stati… amanti?» gli domandò questi all’improvviso, con una certa nervosa esitazione.
«Cosa?!» esclamò lui, allibito. Tutto si aspettava, meno che quello.
«Non farmelo ripetere» borbottò il ragazzo, imbarazzato.
«Cosa diavolo ti ha dato questa impressione?» domandò quindi, perplesso.
«Lo prendo come un no» asserì l’amico. «Ma allora perché diamine mi sali addosso ogni mattina? Non capisco. Il modo in cui mi guardi… in cui mi tocchi… E soprattutto, perché a me non dà fastidio?» continuò, confuso.
«Io… io non mi ero nemmeno accorto di… di… questo!» esclamò Castiel. «Aspetta… è per questo che sparisci sempre all’alba?» comprese, all’improvviso.
«Be’… tu che faresti, al posto mio?» replicò Dean, alzando gli occhi al cielo.
«Non lo so, ti sveglierei, ti butterei giù dall’amaca, di certo non fuggirei come se tu fossi un lebbroso. E in che razza di modo ti guardo, si può sapere? Ti guardo come sempre. E come ti tocco? Andiamo, mi fai sembrare una specie di maniaco!»
«Cioè… tu mi hai sempre guardato così e io non ho mai detto niente?» riepilogò il ragazzo. «Mi tocchi come… come una donna… sei tutto affettuoso e gentile e premuroso…» spiegò, come se fosse una cosa disgustosa.
«Sei il mio migliore amico e hai una cazzo di amnesia!» gli ricordò lui.
«Quindi è solo per questo?» si accertò il cacciatore.
«Sì!» sbottò l’altro.
«Bene» concluse Dean, ma più che soddisfatto sembrava piccato, quasi offeso.
«Bene» convenne Castiel nel medesimo tono.
Che… che… ingrato!, pensò dentro di sé. Dean non aveva idea, nemmeno la più pallida idea, di quanto avesse dato per lui e di quanto ancora fosse disposto a dare. Sapeva che non era colpa sua, e per questo cercò di calmarsi; aveva perso la memoria, non aveva colpe. Ma Dean era sempre stato così, ed era questo che ora gli faceva ribollire il sangue.
Odiò il monsone che si stava abbattendo su quella fottuta isoletta, perché al momento avrebbe soltanto voluto uscire per allontanarsi da lui. Uscire per trovare dell’alcool.
«Lo vedi? Lo stai facendo ancora!» esclamò il ragazzo, attirando la sua attenzione.
«Cosa?!» sbottò lui esasperato.
«Tu… tu mi guardi come se fossi la cosa che desideri di più al mondo e poi… poi… POOF! Abbassi lo sguardo e sparisci nella tua testa, o chissà dove. Come se io non fossi qui, Cristo!» asserì Dean in tono duro, esasperato, lasciandolo a bocca aperta. «Se vuoi qualcosa, perché cazzo non allunghi una mano e la prendi?!»
Fu la fantomatica secchiata d’acqua gelida. «Perché… perché non posso rischiare di perderti» sussurrò Castiel, ancora ad occhi sgranati, sotto shock, con quella che fu una rivelazione anche per se stesso.
«Mi fai girare le palle» ringhiò Dean. «Mi fai girare le palle ad elica» rincarò. «Certe volte ti guardo e so che potrei farti male. Potrei farti male in così tanti modi che mi spavento, capisci? Che razza di persona sono? Dove cazzo ho imparato tutto questo? E tu sai. Mi stai nascondendo qualcosa, lo so. E mi fa venire ancora più voglia di farti male. Ma non ci riesco. C’è qualcosa dentro di me che mi dice che non ti devo toccare, che non mi devo azzardare, non devo osare. Che te lo devo. Eppure sei mio. Nulla nel modo in cui mi tocchi e mi stai addosso mi da fastidio. E non è normale» si infilò le mani tra i capelli, tirandoli con forza. «Non ha senso. Tutto questo non ha senso. Quello che dico non ha senso» gemette, piegandosi sotto una nuova fitta d’emicrania.
Castiel agì immediatamente, prendendolo tra le braccia e attirandolo sul suo petto. «Shhh… shhh… va tutto bene… andrà tutto bene…» sussurrò con voce tranquillizzante e, per la prima volta, l’amico cercò di respingerlo, tentando di allontanarsi da lui.
«No. Basta. Non fare così» smozzicò, puntellando i palmi contro il suo torace per scostarsi, ma senza abbastanza forza.
«Silenzio» intimò Castiel accarezzandogli la fronte, e in quel momento desiderò avere anche solo un briciolo della Grazia che una volta gli avrebbe permesso di addormentarlo ed acquietare le sue sofferenze. «Mi dispiace» mormorò cullandolo, quando Dean lasciò crollare la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi, esausto. «Mi dispiace così tanto» bisbigliò, soffocando la voce tra i suoi capelli e serrando le palpebre per arginare le lacrime. Mi dispiace di non essere abbastanza.
«Fottiti» biascicò il ragazzo, ma strinse le braccia attorno ai suoi fianchi, aggrappandosi alla sua schiena quasi con disperazione. «Va’ al diavolo, Castiel Thursday…» rincarò, scostandosi appena il tanto da incontrare il suo sguardo «… chiunque tu sia» concluse, piantando un palmo sulla sua nuca ed attirando la sua bocca sulla propria.
Lui mugugnò sorpreso, ad occhi sbarrati. «Cosa… come…?» ansò, confuso.
«Sta’ zitto» ringhiò il cacciatore spingendolo giù, e l’amaca dondolò lievemente sotto il loro peso. «Non vado da nessuna parte. Quindi allunga quelle cazzo di mani e prendi quello che ti pare. Capito, Cas?» ordinò quasi, scendendo di nuovo a catturare le sue labbra, con un impeto che rasentava la violenza.
Castiel gli incorniciò il volto tra i palmi, frastornato, indeciso se respingerlo o meno. Non riusciva a pensare, blackout totale, ed il suo corpo sembrava aver preso il comando. La sua bocca si schiuse di propria volontà, avida, e - ancora prima di accorgersene - aveva le dita infilate tra i tra i capelli di Dean. Il suo cervello annaspava, stravolto, ma il resto di lui sembrava sapere esattamente ciò di cui aveva bisogno e lo pretendeva con la frenesia di un drogato in astinenza.
«Wow…» ansò Dean dopo qualche minuto «Niente male per un verginello» ironizzò, senza fiato.
«In un paio d’anni s’imparano un sacco di cose» rispose lui, poi lo scrutò seriamente. «Cosa stiamo facendo?»
«Devo raccontarti la favoletta delle api e dei fiori o preferisci un disegnino?» replicò l’altro, inarcando un sopracciglio.
«Tu non lo vuoi davvero» asserì Castiel.
«Ah, no? Ma pensa, credevo di sapere ancora cosa voglio, anche con il cervello spappolato» ironizzò il cacciatore.
«A te piacciono le donne» continuò l’amico.
«Sì. E mi piaci tu» scrollò le spalle Dean.
«No, non è vero» Di me non ti frega un accidenti, concluse tra sé, sgusciando via dalla sua presa.
Il ragazzo sbuffò. «Senti, non so che razza di cazzone fossi prima, ma… dico sul serio, okay?» asserì, afferrandogli un polso per trattenerlo, la voce che si affievoliva sulle ultime parole, carica d’imbarazzo.
Castiel scosse il capo, distogliendo lo sguardo, come a voler scacciare quella dichiarazione, ma non riuscì ad allontanarsi. Aveva troppo bisogno di tutto quello, di calore umano, e soprattutto di sentirsi importante per Dean.
«Cas…» lo chiamò gentilmente questi, inclinando il capo per cercare i suoi occhi, come aveva fatto tante volte, anni prima, quando davvero gli importava. E lui si morse ipnoticamente un labbro, tormentato.
Non posso, non posso, questo non è Dean, si disse, mentre lui gli accarezzava l’interno tenero del polso con il pollice. Non si torna indietro, nessuno torna indietro, sarà così per sempre, si rese conto poi. E non era quello che voleva? Avrebbe rinunciato a lui anche stavolta, ora che Dean lo considerava tutto il suo mondo e lo guardava come aveva sempre desiderato? Non avrebbe mai recuperato la memoria, non sarebbe mai più stato quello di un tempo.
«Devi solo… allungare la mano…» mormorò lui con voce soffocata, come se non volesse forzarlo, ma non riuscisse a fare a meno d’incitarlo, e al contempo se ne vergognasse a morte. Era una cosa così stupida, così Dean.
Castiel non allungò una mano, ma si sporse in avanti con il resto del corpo e posò le labbra sulle sue; un contatto impalpabile come un piuma. In un primo momento l’altro non rispose, preso in contropiede da quella delicatezza, però poi baciò il suo labbro superiore e chiuse gli occhi mentre faceva lo stesso con quello inferiore. Lui sentì lo stomaco contrarsi piacevolmente ed un lungo brivido rotolargli lungo la schiena, quando entrambi socchiusero la bocca, ed il primo accenno di lingua li fece sorridere.
«Sì, così…» bisbigliò Dean, attirandolo sopra di sé, il bacio che diventava più intimo, più caldo. Intrufolò le mani sotto la sua maglietta, accarezzandogli i fianchi sottili, e tirò su lentamente il tessuto, snudando la schiena liscia e il torace asciutto, sino a sfilargliela dalla testa arruffata, quando Castiel alzò le braccia per aiutarlo.
Lui tremò. Quello era diverso, completamente diverso da qualunque cosa avesse mai provato prima, e non solo perché la persona sotto di lui non era una donna, ma perché era Dean. Il Dean che aveva salvato dalla perdizione e per il quale aveva scelto una vita mortale, quello che aveva seguito in battaglia e per il quale era pronto sacrificarsi, pur consapevole che ad attenderlo ci fosse solo l’Inferno.
La sua bocca sul collo lo fece rabbrividire e zittì la sua testa. Castiel inclinò indietro il capo, infilò le dita tra i suoi capelli biondicci per incitarlo e gli lasciò campo libero, anche quando il cacciatore inverti le posizioni. Poi gli strattonò la maglietta con impazienza e gli accarezzò il petto, quando Dean se la levò con un movimento brusco, gettandola via lontano. Gli pizzicò i capezzoli e lui scattò con i fianchi, strusciandosi contro di lui.
«Te l’avranno detto milioni di volte, ma… sei veramente bello…» sospirò, accarezzando la “V” invitante formata dalle ossa iliache.
Il ragazzo trattenne il fiato. «Per quanto ne so, è la prima volta che me lo dicono» sussurrò, scendendo di nuovo a baciarlo. E lui gli accarezzò la schiena su e giù, fino alle spalle, attirandoselo di più addosso. Dean sussultò e s’irrigidì, spalancando gli occhi.
«Tutto okay?» gli domandò Castiel, perplesso.
Lui lo fissò per un momento come se non lo riconoscesse, poi scrollò la testa, quasi volesse schiarirsi la mente. «S… sì, mi hai solo… dato la scossa» asserì, accennando un sorriso.
«Elettricità statica?» replicò lui, sfiorandolo con la punta delle dita.
«Come diavolo fai a sapere tutte queste cose?» il cacciatore gli rivolse un sorriso storto e lui ammiccò divertito.
«Ho una mente superiore» ironizzò.
«Nerd» sbuffò Dean, mordicchiandogli un labbro.
Castiel chiuse gli occhi, cercando di non pensare a quante volte in passato lo avesse sentito chiamare Sam in quel modo, e si concentrò solo sul suo calore: sulla scia bollente che la sua lingua gli stava tracciando sul petto, sul fiato tiepido che gli solleticava la pelle umida, sulle mani calde che gli stringevano possessivamente i fianchi. Denti crudeli affondarono nella sua spalla e poi gli graffiarono i capezzoli, facendolo ansimare.
«Ti piace» sorrise il ragazzo, e lui si contorse nella sua presa salda.
«Non ti fermare» sospirò, a metà fra un ordine ed una supplica.
Il cacciatore si leccò nervosamente le labbra. «Non ho la più pallida idea di cosa sto facendo» ammise. «Non credo di aver mai scopato con un uomo e non ricordo nemmeno quello che ho fatto con una donna».
«Al momento, mi sembri abbastanza impegnato a farmi impazzire» ironizzò Castiel. «Lascia fare a me» propose poi, cercando d’invertire di nuovo le posizioni. Peccato avesse dimenticato di trovarsi su un’amaca, seppur gigante. Così, quando il peso si spostò, la rete s’inclinò e caddero a terra di schianto.
«Ouch! Cristo…» gemette Dean, che trovandosi sotto di lui aveva preso la botta peggiore.
Castiel, intanto, stava ancora cercando di capire cosa diavolo fosse successo e, quando si guardarono negli occhi, scoppiarono inevitabilmente a ridere.
«Sei un imbranato» lo apostrofò il cacciatore senza acredine, riprendendo a baciarlo.
«Oh, avanti! Le prime volte sono sempre un disastro… dobbiamo solo… prenderci la mano…» sostenne lui tra un bacio e l’altro.
«Dio, siamo due verginelli» gemette Dean, divertito.
«Uhm… ancora per poco» bisbigliò Castiel al suo orecchio, prima di iniziare a torturare il lobo. Sì tirò su con le ginocchia e portò le mani alla sua cintura, slacciandola con gesti decisi, tenendo lo sguardo fisso nel suo.
Il ragazzo allungò le mani per sfiorarlo fin dove poteva, mentre lui gli apriva i jeans e glieli sfilava insieme all’intimo. Lo vide rabbrividire, per la prima volta senza veli sotto i suoi occhi - non che Castiel non l’avesse mai visto nudo, quando era un angelo, ma preferiva che questo Dean non lo sapesse - e gli accarezzò lentamente le cosce, dando un’occhiata interessata al suo inguine.
«Va tutto bene?» domandò per scrupolo.
«Tu che dici?» replicò Dean afferrandosi il pene  duro ed iniziando a massaggiarlo, senza distogliere lo sguardo dal suo.
Castiel aggiunse una mano alla sua, accompagnando i suoi movimenti. «Così mi togli tutto il divertimento» osservò, ed il cacciatore spostò la propria, lasciandolo fare.
Gemette piano ed intrappolò un labbro tra i denti, mentre lui lo masturbava con un calcolato movimento avvolgente. Non era difficile, non molto diverso dal toccare se stesso - anche se Castiel non era mai stato un grande fan dell’autoerotismo -, seguendo semplicemente i propri gusti, sapeva cosa fare e come farlo, e questo gli diede un’idea.
Aspettò che l’amico serrasse le palpebre sotto una nuova ondata di piacere, poi si chinò e prese la punta in bocca, facendovi roteare la lingua attorno. Il sapore amarognolo gli aggredì la lingua, ma la risposta di Dean fu esaltante: gemette a voce alta e gli ghermì una spalla, sollevando inconsciamente i fianchi per averne di più.
Castiel rischiò quasi di soffocare, ma lo tenne giù con una mano e riprese con più calma, mentre l’altro - dopo l’iniziale sorpresa - riusciva a trattenersi abbastanza da restare fermo. Pian piano iniziò a prenderne un po’ di più, abituandosi alla sensazione, al peso sulla lingua. Dean non parve contrariato quando lo graffiò inavvertitamente con i denti, ma da quel momento lui cercò di essere più attento. Provò a succhiarlo, in via sperimentale, ed il ragazzo gli infilò le dita tra i capelli, senza tirare, solo scostandoglieli dalla fronte.
Castiel alzò lo sguardo su di lui e, quando lo sentì di nuovo ansimare, non riuscì più a resistere. Lo succhiò forte un’ultima volta, poi lo lasciò andare e risalì a catturare quelle labbra arrossate dai baci e dai morsi.
Lo voleva, cazzo, non aveva mai desiderato scoparsi qualcuno così tanto in tutta la sua millenaria vita. E forse Dean dovette intuirlo dal suo sguardo, perché i suoi occhi, illanguiditi dal piacere, tornarono vigili e, di nuovo, si strinse un labbro tra i denti.
Castiel sfiorò gentilmente la sua bocca, invitandolo a non farsi male. Avrebbe voluto supplicarlo, incitarlo a lasciarsi andare, ma non osava farlo. Il vero Dean non avrebbe mai fatto nulla di simile, figuriamoci lasciarsi scopare! Lo avrebbe ucciso se avesse saputo che lui anche solo pensava ad una cosa simile. Semplicemente non poteva insistere.
Poi Dean schiuse le labbra e risucchiò il suo pollice all’interno, e lui chiuse gli occhi, rabbrividendo.
«Sai cosa fare?» mormorò il ragazzo contro il suo polpastrello.
«Sì. L’ho già fatto, anche se solo con donne» ammise Castiel.
L’altro deglutì a fatica. «A-allora fallo» lo incitò poi.
Lui cercò di sopprimere la scarica di pura lussuria che gli rotolò lungo la schiena. «Sei sicuro?» chiese preoccupato.
«Diavolo, no» asserì il cacciatore. «Ma voglio farlo. Sento che va bene così, è la cosa giusta» cercò di spiegare.
«Perché?» domandò Castiel confuso.
Dean scrollò le spalle. Gli sollevò i capelli sudati dalla fronte, arruffando anche gli altri, e gli accarezzò le guance rese ruvide da un velo di barba. «Mi piaci così, sai?» asserì. «Con questa faccia da esattore delle tasse stravolto da una giornata troppo lunga» sorrise e lui trattenne il fiato.
La prima volta che aveva indossato quel tramite e si erano incontrati faccia a faccia, Dean gli aveva detto proprio che sembrava un esattore delle tasse e, da allora, lui aveva sempre portato la barba sfatta e i capelli spettinati dal vento, oltre a quel ridicolo trench troppo largo a cui si era quasi affezionato.
Il ragazzo coprì i suoi occhi con un palmo, come se volesse nasconderli, poi portò di nuovo le dita tra i suoi capelli e tirò quelli corti sulla nuca, senza fargli male. «Smettila di guardarmi come un disperato» sbuffò. «Prendi ciò che vuoi». E Castiel si prese la sua bocca, il suo fiato, la sua voce, quando si avventò su di lui.
Vide Dean rabbrividire, mentre lui si portava due dita alla bocca per inumidirle. «Sta’ tranquillo» mormorò, posando un bacio devoto sul suo petto, sopra il cuore, e scendendo a succhiare un capezzolo, mentre portava la mano tra le sue gambe. «Darà un po’ fastidio, ma se diventa troppo…»
«Sta’ zitto» ringhiò il cacciatore, nervoso, tirandolo di nuovo su di sé, e distraendosi con la sua bocca.
Lo coinvolse tanto in quel bacio, che per qualche secondo Castiel dimenticò cosa doveva fare. Poi iniziò a sfiorarlo piano con l’indice, all’esterno, stimolando quei recettori sensibilissimi, e solo dopo qualche minuto si spinse con delicatezza, ma decisione, all’interno. Dean si staccò dalla sua bocca per prendere un respiro profondo, storcendo le labbra in una piccola smorfia, che lui baciò subito via, trascinandolo in un altro bacio strappa-fiato, mentre muoveva quel dito con costanza, per abituarlo alla sensazione.
Quando gli parve abbastanza rilassato, sostituì quella singola intrusione con indice e medio, e non fece alcun cenno quando il ragazzo gli piantò le unghie nei fianchi. «Solo un po’… ancora un altro po’» si limitò a sussurrare contro il suo collo, muovendo con attenzione le dita per cercare quel punto che…
«Ah!» gemette all’improvviso Dean, alzando involontariamente i fianchi.
«Qui?» chiese conferma, ripetendo il gesto e sfiorando la piccola protuberanza che percepiva contro i polpastrelli.
«Cazzo! Cosa…?» biascicò l’amico.
«Già, ecco un buon motivo per farlo» confermò con un piccolo sorriso, continuando ad affondare in lui e stimolare quello stesso punto senza tregua, finché il volto di Dean non divenne paonazzo e questi gli morse con forza una spalla. Prima che potesse venire, Castiel si ritrasse con attenzione, guadagnandosi un aspro insulto.
Lo sentì solo in parte, distratto da questioni più pressanti. Nonostante quanto fosse eccitato, si rendeva conto che andare avanti in quel modo, con il solo aiuto della saliva, sarebbe stato ancora troppo doloroso per Dean, malgrado l’attenta preparazione. Dopo un attimo d’indecisione, gattonò sino al tavolaccio sotto la finestra e prese qualcosa.
Il ragazzo si accigliò, riconoscendo ciò che aveva tra le mani, non appena tornò da lui. «Che ne fai di quella schifezza?» domandò guardingo.
«Ti salvo il culo» spiegò lui, spezzando in due la foglia d’aloe e raccogliendo il gel in una mano.
«Preferirei di no» storse la bocca Dean.
«Più tardi mi ringrazierai» gli assicurò Castiel stendendo la linfa sul proprio uccello, ricoprendolo con attenzione.
Quando si fece di nuovo spazio tra le sue gambe, sollevandole per avere una visione migliore, il ragazzo si tese, attendendo il peggio. E lui si chinò ancora sul suo viso, baciandolo fuggevolmente.
«Rilassati, così andrà meglio» si raccomandò, ma non servi a molto quando strusciò la punta del suo pene contro il suo anfratto ed iniziò a spingere. Era tanto stretto da far quasi male.
Dean si morse le labbra a sangue e Castiel impugnò il suo sesso e lo masturbò lentamente, mentre affondava con attenzione dentro di lui. Fece violenza a se stesso e si fermò, continuando a dargli piacere con la mano, per permettergli di abituarsi alla sensazione estranea, e ricominciò solo quando lo vide riprendere a respirare normalmente - o quasi.
Gli afferrò i fianchi con forza, sollevandoli, un po’ per trovare un appiglio ed impedirsi di scoparlo senza riguardi, ed un po’ per trovare di nuovo quel punto che avrebbe reso le cose più semplici per entrambi.
Era fantastico. Voleva vedere quegli occhi verdi, ora serrati, spalancarsi e lacrimare per il piacere.
Si mosse con attenzione, ondeggiando i fianchi, e Dean sussultò e si lasciò sfuggire un flebile gemito, rivelando uno spicchio d’iride fra le ciglia dorate. Eccoci, sospirò Castiel, spingendo più forte. Mio, ora sei mio, realizzò, mentre l’altro s’inarcava contro di lui.
«Cas…» ansò il cacciatore, aggrappandosi alle sue braccia e lui si piegò sul suo corpo, in modo da riuscire a baciarlo e far si che il membro di Dean sfregasse contro il suo basso ventre. «Muoviti» lo incitò quest’ultimo e lui si sentì finalmente libero di lasciarsi andare ad un ritmo più tumultuoso.
Gli scostò i capelli umidi dalla fronte e leccò la linea sudata del suo collo. La sua espressione era così sfrenata e libera che solo quella sarebbe bastata a farlo venire, realizzò. Non aveva mai visto niente di più bello.
Di punto in bianco si ritrovò con la schiena sul pavimento e Dean a cavallo dei suoi fianchi, che si muoveva sopra di lui, piantandogli le mani sul petto. Castiel gli accarezzò il bacino, gli addominali, il petto, facendolo suo anche con il tatto, e chiuse gli occhi, perché tutte quelle sensazioni erano semplicemente troppo. Avere il suo corpo finalmente per sé, che lo accoglieva e desiderava in quel modo… Dio, non era lui ad avere il comando della situazione, neanche per sogno, e la cosa non gli importava affatto.
«Vieni qui…» ordinò il ragazzo con voce affaticata, stringendogli i polsi per invitarlo a tirarsi su. E fu quello che lui fece, accomodandosi meglio il suo corpo in grembo e spingendo contro di lui, mentre le gambe di Dean gli circondavano di nuovo la vita. S’impossessò della sua bocca come di tutto il resto, stringendolo di più a sé, senza lasciare nemmeno all’aria lo spazio di filtrare tra i loro corpi, adorando la sensazione dell’uccello bollente di Dean schiacciato tra i loro ventri.
Lo sentì ansimare contro il suo orecchio, il respiro che si trasformava in ansiti, gli ansiti in gemiti - suoni rudi che non aveva mai sentito provenire dalla bocca di una donna e che lo eccitarono due volte di più - e gli baciò con frenesia il collo, la nuca, la spalla, ogni punto a cui riuscita ad arrivare.
«Ti piace?» gli domandò con voce spezzata, mentre il cacciatore si aggrappava alla sua schiena.
«Sì…» soffiò lui senza fiato. «Più forte, Cas… scopami… scopami e basta» smozzicò, artigliando la sua pelle e i suoi capelli, affogando nella sua bocca. E questi non lo deluse, seguendo fedelmente i suoi ordini, si spinse in lui quasi con violenza. Bastarono pochi affondi secchi, poi sentì il suo corpo tremare tra le proprie braccia e un grido vibrare sulla propria lingua, mentre Dean veniva tra di loro.
La testa del ragazzo crollò sulla sua spalla e lui gli concesse qualche attimo per riprendere a respirare, ravviandogli le ciocche bionde scurite dal sudore. «Posso continuare?» chiese con voce così carica di bisogno da non riconoscerla lui stesso.
Dean socchiuse a malapena gli occhi stanchi, strusciando il naso contro la sua gola. «Prendi ciò che vuoi» sospirò, morbido e arrendevole come una coperta calda.
Castiel lo stese con attenzione a terra, perdendosi in lui ancora una volta, mentre le labbra di Dean premute contro la sua tempia, sussurrando incessantemente il suo nome, sembravano pregarlo di lasciarsi andare. E lui lo fece, abbandonandosi ad un lungo tremito che lo scosse da capo a piedi, premendo il viso sul suo petto per soffocare un lamento liberatorio.
Rimase lì immobile per qualche secondo, cercando di ricordare a cuore e polmoni che dovevano lavorare in tandem, poi dita gentili iniziarono a scorrere tra i suoi capelli ed alzò lo sguardo per incontrare quello sfinito ma soddisfatto del compagno. Solo allora si rese conto che avrebbe dovuto levarsi di mezzo per permettergli almeno di stendere le gambe, e si spostò con cautela al suo fianco.
Dopo un secondo di stasi, Dean ridacchiò e rotolò su di lui, posando la testa sul suo torace. «Facciamo schifo» osservò divertito punzecchiandogli la pancia, sporca quanto la sua.
Castiel sorrise. «Be’, l’acqua non ci manca» ironizzò, tornando ad ascoltare il rumore della pioggia, non più sopraffatto dai loro gemiti.
«Dimmi che non dobbiamo alzarci e tornare sull’amaca» lo pregò l’amico - amante? - che al momento non sembrava capace di fare nulla più che respirare.
«È troppo lontana» convenne lui, occhieggiando la rete a non più di un metro di distanza. «Stai comodo?» si accertò poi, passandogli un braccio attorno ai fianchi.
«Abbastanza» sbuffò Dean, spostando la testa poco più su. «Sei troppo magro, le tue ossa mi pungono in punti strani».
«Sono un maschio, niente curve, spiacente» replicò fintamente contrito.
«Ma pensa, mi era sfuggito!» ribatté il cacciatore sarcastico.
«Tu guardi ma non osservi, Watson» citò Castiel, soffocando uno sbadiglio assonnato con la mano.
«Io sarei Watson?» Il cacciatore sollevo appena la testa per scrutarlo, inarcando un sopracciglio.
«Se io sono Sherlock Holmes, tu sei il Dottor Watson» asserì l’altro convinto.
«Mi sembra giusto» ponderò Dean, stringendo le labbra, prima di poggiarsi di nuovo su di lui. «Ah, Cas…» lo chiamò poi, quando entrambi erano ormai sul punto di assopirsi. «… non farmi comunque più rivedere quella schifezza, uhm?» concluse, causando una risata sommessa che scosse tutto il torace su cui era accomodato.

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