Titolo: I Was a Stranger you Took me In
Fandom: Supernatural.
Pairing: future!Castiel/future!Dean, Lucifer, Chuck + comparse varie sul finale.
Rating: NC17.
Charapter: 4/5.
Beta:
koorime_yu &
waferkya.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Missing Moment 5x04 - The End, Possibile OOC, Sesso descrittivo, Slash.
Words: 3726/26043 (
fiumidiparole).
Summary: Anno 2014; Dean è morto, Castiel è in fin di vita e non vuole altro che raggiungerlo, e Lucifer comincia a rendersi conto che il gioco che ha intrapreso non vale la candela. Quindi il Diavolo propone un patto al suo fratellino caduto: una seconda possibilità per lui e Dean, ma il cacciatore non ricorderà nulla, nemmeno il proprio nome. Così si ritroveranno su un’isoletta dei tropici senza nome, perché la formula due cuori e una capanna non tramonta mai.
Note: Il titolo della fic è una strofa di
“Miracle Drug” degli U2.
Note importantissime: Mi raccomando, prima di iniziare a leggere, andate
QUI e scaricate il BELLISSIMO - sì, ommiodio è PERFETTO - fanmix che
arial86 ha creato per questa storia ed ascoltatelo durante la lettura, perché l’aMMMore ♥
Capitoli precedenti: |
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DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù
I Was a Stranger you Took me In
Capitolo 4
Dormire supino non era affatto la sua posizione ideale, di solito Castiel preferiva dormire su un fianco o prono. Quello che abitualmente dormiva a pancia in su era Dean. Per questo non avrebbe dovuto stupirsi quando si svegliò con la testa sul suo petto e una gamba allacciata alle sue, anche se non aveva idea di come fossero finiti in quella posizione; gli sembrava di ricordare che quando si erano addormentati fosse specularmente opposta.
Il respiro del cacciatore era tranquillo e regolare, ma non abbastanza profondo per essere quello di un uomo ancora addormentato. E lui si rese conto solo in un secondo momento di stringerlo come se fosse stato un orsacchiotto, ma la mano che giocherellava con i suoi capelli non sembrava affatto seccata.
Alzò lo sguardo con circospezione, senza riuscire però ad incontrare quello di Dean, che fissava il soffitto con fare assorto, un braccio sotto la testa a fargli da cuscino ed un ginocchio piegato come se stesse prendendo il sole sulla spiaggia. Sopra di loro, la pioggia continuava a tamburellare dolcemente sul tetto. Era la prima mattina in assoluto che lo trovava al suo fianco.
Un sospiro gli sfuggì dalle labbra, a metà fra gratitudine e tensione. Non voleva ricominciare a pensare, o interrogarsi su cosa Dean stesse pensando, non voleva alzarsi, non voleva nemmeno muoversi. Soprattutto non voleva affrontare l’inevitabile discussione che sarebbe venuta fuori, con tutto il tipico imbarazzo del mattino dopo. E non voleva sentirsi dire che era stato un errore, un momento di debolezza, o semplice conforto reciproco, o qualunque altra cazzata la mente dell’amico stesse costruendo. No, non l’avrebbe retto.
Castiel non era un esperto di relazioni. Il sesso era una cosa, una gran bella cosa, ma una relazione? Non aveva idea di dove si cominciasse, proprio come Dean. Questo non implicava che all’improvviso avrebbe iniziato a chiamarlo con nomignoli melensi e profondersi in confessioni accorate, ma non voleva nemmeno essere il trastullo di una notte.
Dita dispettose gli tirarono una ciocca di capelli, costringendolo a rialzare lo sguardo, per incontrare finalmente gli occhi verdissimi dell’altro. Sembrava un po’ accigliato, ma ancora rilassato, perfino più di lui.
«Stai ricominciando» gli fece presente Dean.
«A fare cosa?» chiese lui perplesso, con la voce ancora roca di sonno.
Quella dell’altro non lo era, come se fosse sveglio ormai da un bel pezzo. «Sei qui, ma con la testa non ci sei» chiarì quindi questi.
Castiel pensò a mille modi di rispondergli, in primis spiegare semplicemente che si stava chiedendo cosa sarebbe successo da quel momento in poi, ma questo avrebbe portato a quel dannato discorso, perciò dopo qualche secondo mormorò semplicemente: «Scusa» azzardandosi ad accarezzargli un fianco. Dean non parve contrariato, così Castiel continuò, lasciando salire una mano sino al suo costato e poi giù, a ridisegnargli il profilo di un’anca.
Non era mai stato attratto dagli uomini. Non perché la trovasse una cosa sbagliata, ma semplicemente perché il suo tramite reagiva alle donne e lui non si era mai sentito spinto verso l’altra sponda. Ma Dean era una questione diversa. Era bello, veramente bello. Stando tra gli umani, Castiel aveva imparato che per loro la bellezza era una questione soggettiva, che quello che poteva apparire bello e perfetto per uno, spesso non lo era per un altro, e perfino che bello non significava necessariamente attraente o viceversa. Ma suo Padre - che l’avesse voluto Lui in persona o fosse solo il risultato di un patrimonio genetico straordinario - aveva donato a Dean Winchester una bellezza oggettiva, di quelle che rispettavano ogni canone di bellezza passato, presente e futuro. Era bello, senza se e senza ma. Questo Castiel lo riconosceva in maniera totalmente distaccata.
Eppure non era questo a fare la differenza. Se fosse stato un qualsiasi altro uomo, ne avrebbe riconosciuto il fascino senza soffermarsi a guardarlo una seconda volta, ma Dean… Dean era suo. E sussultò solo un momento nel rendersi conto di quanto quel pensiero fosse incredibilmente possessivo, mentre lasciava scivolare una mano lungo la sua coscia, sino a fermarla poco sotto il ginocchio piegato e posare un bacio impalpabile sulla rotula. Ma non l’aveva forse sempre pensato? L’impronta su quella spalla testimoniava tutt’oggi il desidero bruciante che aveva provato per lui fin dalla prima volta che lo aveva visto, fuori da questo corpo, semplicemente per quello che era, ancora prima di capire cosa stesse provando.
Tracciò il profilo della gamba, poi risalì, massaggiando il polpaccio e studiando con il pollice e lo sguardo l’articolazione, affascinato. Solleticò la pelle tenera sotto il ginocchio e graffiò con i denti l’osso rotondo.
«Che stai facendo?» gli domandò il ragazzo, alzandosi su un gomito per vedere cosa stesse combinando e riportando una mano tra i suoi capelli.
Castiel non sapeva cosa rispondergli. Come spiegargli la meraviglia che era quella porzione deliziosa? La perfezione che erano i corpi umani, macchine di carne e sangue in cui ogni cellula aveva il suo compito, ogni giuntura si piegava e dentro di essa vi erano vene, muscoli, ossa e tendini collegati, che lavoravano costantemente, anche durante l’incoscienza dell’anima che le occupava. Questo erano gli uomini, il culmine di una catena alimentare ed evolutiva in cui tutto aveva il suo scopo, tutto aveva il suo compito, tutto aveva il suo corso, come le api che nutrendosi di un fiore impollinavano il seguente che visitavano. Il culmine supremo dell’opera del Signore, che non aveva ancora smesso di cambiare. Questo era quello che Lucifer non vedeva. Questo era quello che non poteva spiegare ad un comune essere umano.
«Ti guardo?» replicò per rispondere alla sua domanda.
Dean ridacchiò. «Non lo definirei solo guardare» replicò, divertito.
«E cosa, allora?» chiese Castiel quietamente, riportando parte della propria attenzione sul suo ginocchio e assaggiando le infossature sotto la rotula, pur tenendo lo sguardo nel suo. Lo vide leccarsi le labbra, come faceva tutte le volte che era nervoso o imbarazzato, in un involontario invito, ed aspettò che riprendesse a parlare.
«Sembra che tu mi stia…» iniziò, ma gli mancò la parola quando lui soffiò sulla pelle umida. «… adorando» concluse, incerto.
«Ti sto mettendo a disagio?» lo interrogò Castiel, senza negare, accarezzando la peluria dorata di una coscia.
«Nessuno mi ha mai toccato così» ammise il ragazzo, accarezzandogli la nuca.
«Come lo sai?» ribatté lui, perplesso.
«Lo so e basta» asserì Dean attirandolo di nuovo a sé, alle sue labbra. Gli succhiò avidamente la bocca, prima di insinuarsi all’interno e circuire la sua lingua. Lo baciava come se volesse possederlo, catturarlo, e Castiel tremò, sentendo un bizzarro calore alla bocca dello stomaco.
Non si stupì di ritrovarsi con la schiena a terra in men che non si dica. O meglio, non si stupì che Dean lo stesse mettendo sotto, ma era abbastanza sorpreso che non stesse scappando, questo doveva ammetterlo.
Lui dovette leggere qualcosa sul suo viso, perché lo osservò incuriosito. «Cosa c’è?» gli domandò con un sorrisino storto.
«Sei qui…» soffiò Castiel incredulo. «Sei qui» ripeté, incorniciandogli il viso, come se non riuscisse a capacitarsi della cosa, prima di gettarsi di nuovo sulle sue labbra.
Il ragazzo rise sommessamente. «Non è che possa andare da qualche parte, con questo bel tempo» ironizzò, graffiandogli il mento con i denti. «E anche se fosse… perché dovrei farlo?» aggiunse, più serio, la risata che indugiava solo nei suoi occhi, rendendoli più luminosi.
Castiel serrò le palpebre e nascose il viso nel suo collo, celandosi alla sua vista. Si aggrappò a lui con forza, squassato da emozioni troppo violente per essere espresse a voce; sarebbero suonate troppo simili a singhiozzi.
Dean rimase una manciata di secondi immobile, sorpreso, poi lo strinse a sé concedendogli qualche attimo, ma infine lo scostò con gentilezza. «Non nasconderti» lo rimproverò, con il tono morbido che si usa con i bambini che si rifugiano tra le braccia dei genitori.
Lui si mordicchiò un labro, abbassando lo sguardo. Voleva Dean, voleva sentirlo di più, voleva sentirlo dentro, ne aveva bisogno. Lasciò che quella necessità affluisse ai suoi occhi, quando il cacciatore lo sollecitò di nuovo ad alzarli, e lo vide tremare e trattenere il fiato.
Stranamente, non ci fu bisogno di altre parole o di inviti più espliciti. Il ragazzo baciò ancora le sue labbra, ma stavolta non si trattenne e scivolò giù, a studiare il suo collo ed il suo petto con il gusto e con il tatto, soddisfacendo l’udito con i suoi gemiti e la vista con il suo corpo, che s’inarcava sotto di lui.
Mani gentili sospinsero Castiel a voltarsi, poi nuovi baci e morsi piovvero sulla sua nuca e sulle spalle, facendolo ansimare. Quelle stesse mani gli portarono le braccia in alto, lasciandole rilassate ai lati della testa ed accarezzandolo dai polsi alle scapole, lentamente, conquistando un suo sospiro, prima di scendere sulla schiena, accompagnate da una bocca calda.
Poggiò la guancia su un avambraccio, usandolo a mo’ di cuscino e cercò Dean con lo sguardo, per quanto gli riuscisse da quella posizione. Sentiva i suoi palmi premere ai lati della colonna vertebrale in un massaggio deciso e rilassante, le sue gambe forti ai lati dei fianchi, il sesso bollente pressato contro il solco delle natiche - era una sensazione incredibile; un brivido gli risalì la schiena fino ad incunearsi nella testa, tra paura e desiderio. Si sentiva rilassato e lo voleva così tanto che avrebbe voluto gridare: «Cazzo, scopami adesso, scopami e basta!» Solo la consapevolezza che il proprio corpo non era altrettanto pronto lo trattenne. Questo, però, non gli impedì di alzare i fianchi e strusciarsi contro il suo sesso, facendolo davvero passare tra le proprie natiche.
Il cacciatore imprecò aspramente e gli afferrò i fianchi così forte che probabilmente tra qualche ora sarebbero comparsi dei lividi. «Non farlo» ansò, prima di piegarsi in avanti per raggiungere il suo orecchio e leccare la porzione di pelle accaldata appena sotto di esso. «Ho bisogno di restare concentrato» soffiò sulla conchiglia.
«Ti faccio perdere il controllo?» domandò Castiel, lasciando che un pigro sorriso soddisfatto gli incurvasse le labbra.
«Cazzo, sì!» soffiò Dean, sfregandosi di nuovo contro di lui, forse involontariamente o forse per fargli sentire quanto già fosse eccitato, premendosi lungo tutta quella piega sensibile, dal perineo fino alle piccole infossature sopra le sue natiche e viceversa, strappandogli un gemito.
Quando si scostò da lui, scivolando più in basso e portando via ogni contatto, Castiel si ritrovò a mugugnare contrariato. Era dannatamente troppo presto per spostarsi, lo voleva ancora addosso, accidenti! Ma le mani che tornarono ad afferrargli la vita riuscirono a zittirlo.
«Voglio provare una cosa…» mormorò il ragazzo, spostando di nuovo la bocca a contatto con la sua pelle. Leccò i piccoli affossamenti alla base della schiena, poi afferrò saldamente le sue natiche e le separò, passandovi senza esitazione la lingua in mezzo.
Castiel sussultò, scattando in avanti, e sollevandosi sui gomiti per potersi voltare a guardarlo, ma quelle mani lo trattennero. Dean gli afferrò i fianchi, facendolo sollevare finché non fu puntellato sulle ginocchia e poi seduto sui talloni, quindi lasciò scorrere un palmo sulla sua colonna vertebrale, guidandolo di nuovo giù, fino a posare ancora una guancia sulle braccia.
«Bravo, resta così» ordinò, accarezzando fuggevolmente i suoi capelli, prima di riportare l’attenzione alla sua precedente occupazione. Morse una delle natiche, poi succhiò sotto la sua curva, dove il sedere di univa alla coscia, e risalì verso l’interno, sfiorando con il naso il suo inguine e respirandone l’odore intenso, prettamente maschile. Succhiò anche il perineo e risalì più su, circuendo la sua apertura, stimolando le terminazioni tutt’attorno, finché l’amante non ringhiò, infilandosi le mani tra i capelli, in mancanza di qualcos’altro a cui aggrapparsi.
«Mi stai torturando» sbottò ansante.
«Oh, non ho nemmeno cominciato» gli assicurò Dean, gustandosi il suo grido quando finalmente lo penetrò con la lingua.
Castiel tremò con violenza alla sensazione morbida e bollente di quella piccola intrusione. Oh cazzo, era fantastico, fantastico! Sentì il proprio corpo aprirsi spontaneamente e quella lingua arrivare ancora più a fondo, vincendo le sue resistenze senza fatica, eppure ancora troppo piccola per essere qualcosa di davvero significativo o doloroso. Era solo umida e calda, e si contorceva, stuzzicando terminazioni sensibilissime che non sapeva nemmeno di avere, concedendogli ogni tanto qualche secondo di pausa solo perché le labbra potessero baciarlo e succhiarlo come avrebbero fatto con la sua bocca. Soltanto in un secondo momento Castiel si rese conto di star urlando cose senza senso e supplicando per essere scopato a morte, quando - dopo un tempo che gli parve infinito - Dean si ritrasse e lui sentì qualcosa di decisamente più consistente premere contro di sé.
Il ragazzo portò una mano sotto il suo petto, facendolo sollevare sulle ginocchia tremanti e scendere lentamente su di lui. Il respiro di Castiel era rapido e sincopato, non ci fu paura o esitazione, solo un lieve bruciore mentre l’uccello di Dean si faceva strada tra i muscoli già rilassati ed arrivava a fondo, sempre più a fondo, riempiendolo, finché sentì le proprie natiche combaciare contro il suo inguine. Allora il cacciatore lo strinse più forte, facendogli poggiare la schiena contro il suo petto, e lui lasciò cadere la testa sulla sua spalla, mentre iniziavano a dondolare i fianchi, godendosi la sensazione.
Perse completamente il senso del tempo, fatto solo di sensazioni bollenti - fiato, carezze, spinte - che si rincorrevano ad altre sensazioni bollenti, finché Dean non torse i fianchi e toccò qualcosa dentro di lui che lo fece quasi saltare in aria. Allora questi lo spinse in avanti con gentilezza ed iniziò a scoparlo sul serio, forte, ed era così perfetto che tutto ciò che Castiel poté fare fu gemere e urlare.
Pensò che se avessero continuato così ancora per molto, il cuore gli avrebbe ceduto, eppure non si era mai sentito meglio; il suo corpo bruciava, preso e conquistato, ma qualcosa dentro di lui era già stato vinto da molto tempo e ora gridava con soddisfazione, perché Dean lo stava finalmente - oh, finalmente! - reclamando.
Una mano forte e callosa si chiuse sul suo sesso e, dopo pochi affondi furiosi, stava venendo, e Dean con lui. Crollarono sul pavimento, in posizione fetale, ancora allacciati come due virgole, ed il respiro del ragazzo gli riempiva le orecchie, mentre il suo cuore gli batteva contro la colonna vertebrale, come se volesse farsi spazio a forza nella sua cassa toracica e riempirgli il petto.
Ridacchiò, non riuscendo più a contenere la follia e la bellezza di quelle sensazioni, e presto l’amante lo seguì, stringendolo più forte.
*°*°*°*°*
Le piogge durarono altre due settimane, ininterrotte durante la prima e via via più rade durante la seconda, finché rimase solo una fitta cappa di nubi ad oscurare il cielo ed il vento sorse a diradarle.
Nel frattempo, Castiel e Dean raccolsero l’acqua e razionarono coscienziosamente il cibo, promettendosi d’impegnarsi a mettere da parte delle scorte, in vista del prossimo mese. Rimasero rinchiusi in quella capanna così a lungo, che tra loro maturò tutto un nuovo tipo d’intimità. Furono costretti ad inventare nuovi modi per trascorrere il tempo - oltre al sesso ovviamente, oh sì, quello era il loro preferito - e Castiel si trovò sempre più spesso in difficoltà nel dover aggirare le domande di Dean, che gli venivano poste sempre più di frequente ed erano sempre più precise.
In realtà, era un’intimità più spirituale che fisica, anche se, sì, di certo c’era anche quella. Effettivamente il loro rapporto non era cambiato poi molto, continuavano a litigare per sciocchezze, a prendersi in giro senza pietà e a fare tutte le cose come le avevano sempre fatte; l’unica differenza era che ora Castiel era consapevole di non volergli mettere le mani addosso solo per prenderlo a pugni e, soprattutto, non si sentiva costretto a trattenersi dal farlo.
Un pomeriggio si svegliò dopo un pigro sonnellino e trovò Dean mezzo nudo - ormai non indossavano mai molti vestiti - davanti al tavolaccio posto sotto la finestra, intento a curiosare nella ciotola dove lui raccoglieva le sue conchiglie. Aveva un’aria assorta, le prendeva in mano una per una e le soppesava, come se volesse memorizzarne la sensazione tra le dita o come se si domandasse perché lui le aveva conservate.
Castiel era piuttosto sicuro che non fosse a conoscenza del fatto che le conchiglie nascondevano la ricetta della bellezza ideale: la proporzione perfetta. Esattamente come il gioco di simmetrie che il corpo di quel ragazzo celava.
Scalzo, lo raggiunse a passi felpati e lo prese per i fianchi. Poi lo fece piegare sul tavolo sgangherato e lo scopò su di esso, finché Dean non fu ridotto ad un morbido concentrato di brividi e gemiti tra le sue braccia.
Anche gli incubi, come le nubi temporalesche, si erano diradati. Perlomeno i suoi; forse quella nuova situazione gli dava sicurezza, o almeno così supponeva. Quelli del cacciatore, invece, sembravano solo un po’ meno violenti. Continuava ad aggrapparsi a lui come se fosse la sua coperta di Linus, ma aveva smesso di lamentarsi e di svegliarsi di soprassalto - la maggior parte delle notti. Castiel avrebbe voluto poter passeggiare nel suo mondo onirico come faceva un tempo, aggirarsi in esso e scoprire se il compagno sognasse cose prive di senso o rivivesse il passato.
«Che hai da fissare?» borbottò Dean una mattina, socchiudendo gli occhi assonnati e scoprendolo ad osservarlo.
«Shhh… non ti muovere o perdo il conto» rispose lui distrattamente, con le dita tra i suoi capelli.
«Conto?» biascicò l’amico.
«Trentacinque. Hai trentacinque lentiggini sulla faccia» gli comunicò quindi Castiel. «Una per ogni anno di vita?» ironizzò poi.
«Non ne ho idea, ma alle ragazze piacciono» osservò il cacciatore, nascondendo il volto contro la sua spalla per sfuggire alla luce del giorno.
«Già, sono piuttosto adorabili» convenne l’altro. Gli davano un’aria da eterno monello, dipingendo innocenza su quel viso che l’aveva persa troppo presto.
«Piacciono anche a te, eh?» Dean sorrise sulla sua pelle.
«Mi hai scoperto, sono stato sedotto dalle lentiggini» confessò Castiel, posandogli un bacio sulla nuca.
Non si poteva dire lo stesso dei mal di testa, purtroppo. Anzi, quelli peggioravano di giorno in giorno. Poi c’erano i momenti in cui il vero Dean riemergeva. Lui lo riconosceva dagli occhi verdi che diventavano freddi ed acuminati come vetro, dalla piega amara della bocca, dal cipiglio che gli adombrava la fronte, dai muscoli rigidi come rami di un vecchio albero ostinato.
E allora Dean faceva l’amore con lui con violenza, quasi volesse punirlo, o dimenticare tutto di nuovo.
Dopo Castiel tremava, perché - che il Cielo lo perdonasse - amava il Dean che conosceva da sempre, ma aveva paura che tornasse davvero. Perché una parte di lui sapeva che lo avrebbe perso, che nulla sarebbe stato mai più come prima, o come in quel momento. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, gli aveva detto Bobby una volta, e ora capiva cosa intendesse.
«Cosa succede?» gli chiedeva quindi il ragazzo. «Ti ho fatto male?»
Quella volta non fece eccezione, Dean gli leccò il sale dalle labbra e Castiel sentiva la pelle escoriata dalla sabbia su cui erano ancora stesi, ma non era certo a causa di ciò che si sentiva il petto diviso a metà. L’acqua saliva sul bagnasciuga a lambire i loro fianchi ed il cacciatore gli scostò i capelli umidi dalla fronte, cercando la risposta nei suoi occhi; era un tocco così gentile, che lui percepì ancora più acutamente la differenza.
I ricordi non erano scomparsi, erano solo sepolti, anche se non si spiegava perché Lucifer avesse preferito fare una scelta simile. Aveva eretto un muro che impediva a Dean di accedervi, un muro che non sarebbe crollato per nessun motivo - perché il Diavolo non commette errori simili - se solo lui non fosse stato tanto ostinato da grattarlo e sbattervi continuamente contro. Dean era la persona più cocciuta che Castiel conoscesse, forse Lucifer non l’aveva calcolato, o forse perfino quello rientrava nei suoi piani e lui non riusciva a cogliere l’insieme, altra cosa che il Diavolo doveva aver previsto.
O magari era tutta colpa sua, perché cominciava ad avere l’impressione che più facevano sesso, più il vecchio Dean tornava presente. Era qualcosa nel contatto fisico, o con il tempo il muro stava semplicemente cedendo?
Ci rifletté una sera come tante, tracciando con la punta di un dito l’orlo dell’impronta sulla spalla del compagno. Aveva sempre voglia di toccarla, se ne sentiva continuamente attratto, ma cercava di non farlo, almeno quando era abbastanza cosciente da impedirselo. In quel momento avrebbe voluto ridisegnarla con la lingua e sentire su di essa il rilievo del marchio, più liscio e brunito del resto della pelle.
«Sei stato tu a farla» disse Dean fissandolo, steso su un fianco e puntellato su un gomito, il volto inespressivo, lo sguardo illeggibile. Non era una domanda.
«Non so com’è accaduto» rispose lui, e non era una bugia. Sapeva quando era accaduto, non come; non aveva avuto intenzione di farlo, ancora non capiva perché fosse successo.
Il ragazzo intrappolò la sua bocca e fu un bacio lento, profondo e amaro, come se Dean fosse consapevole che gli stava mentendo e volesse assecondarlo - per il momento.
Tra loro non c’erano smancerie, il loro rapporto era sempre il solito e di rado c’erano baci fini a se stessi o altre effusioni simili, anche se dormivano l’uno addosso l’altro come cuccioli in una scatola e il cacciatore sembrava un grosso gatto soddisfatto quando lui gli accarezzava i capelli, dopo aver fatto l’amore.
Non c’erano ruoli prestabiliti, di solito a tenere il comando era il primo che prendeva l’iniziativa, anche se qualche volta capitava che, durante il sesso, i ruoli si ribaltassero all’improvviso, seguendo l’ispirazione del momento.
Castiel non era nemmeno certo che avessero una relazione, o almeno che il compagno la definisse come tale. Gli piaceva immaginare che, se ci fossero state altre donne presenti, questi gli sarebbe stato comunque fedele - di solito Dean lo era verso le persone che amava, altrimenti preferiva non toccarle nemmeno -, ma… be’, Castiel non aveva modo di confermare la propria teoria, perciò era tutto molto vago e per ora gli andava bene così. Cercava di non pensarci troppo.
Dean glielo sussurrò una notte, mentre pensava che lui dormisse. Si chinò su Castiel, gli pressò le labbra su una tempia e mormorò: «Ti amo» così piano che se lui fosse stato solo un po’ meno sveglio non l’avrebbe sentito.
Continuò a fingere di dormire, anche se aveva trattenuto il fiato ed il cuore gli batteva così forte da sembrargli impossibile che il ragazzo non lo sentisse. Intanto questi scese dall’amaca, si vestì e uscì.
Castiel si domandò se dovesse seguirlo, poi si risolse a rimanere lì dov’era, era giusto lasciargli i suoi spazi - una cosa che aveva imparato a fatica nel corso degli anni.
Quando tornò, non era più lui. Sulla porta della loro capanna c’era il vero Dean.
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