[Sherlock Holmes] Also when 'tis cold and drear

Oct 15, 2011 12:30

Titolo: Also when 'tis cold and drear
Parte: 2 di 10 (già completa)
Autore: quest'autrice incredibile risponde al nome di garonne e io vi prego - laddove le capacità linguistiche ve lo consentano - di leggerla in originale (inglese) perché è il Bene. Seguitela, lurkatela, pedinatela, ma scoprirete fin troppo presto che non potrete più farne a meno ._.
Fandom: Sherlock Holmes, che razza di domande.
Rating: R (verso la fine)
Riassunto: Nei primi mesi della loro conoscenza Holmes e Watson si studiano l'un l'altro a distanza, osservandosi e ponendosi delle domande. Contiene lunatici poeti aristocratici, cene di Natale, un'imbarazzante quantità di nebbia e neve e altre amenità.
Note d'autore: POV alternati.
Note della traduttrice sclerata: Holmes e Watson sono due idioti con una spaventosa cotta l'uno per l'altro a cui far fronte. E tutto questo in un vittoriano impeccabile e perfetto che spero di aver reso anche solo a metà e... /o\ Oddio devo fangirlare quest'autrice, non ci posso far nulla ._.
Si tratta di una traduzione del testo originale (2 - One summer's evening (b)) - acconsentito a farmi tradurre qui.
Per il resto potrei darmi al fangirl più esasperato, perché non leggevo qualcosa in grado di farmi piangere amore in questo modo dai tempi dell'insuperabile e insuperata Katye (tradotta dalla altrettanto splendida Melina cosa aspettate a correre a leggere io non lo so) piange amore puro.
Angolino dello spam: qui per un fumetto idiota a base di Martin!John senza veli e LOL, e qui per una shot canonica a base di angst nel senso letterale di angoscia, giallo, death sparso qua e là e tanta ma tanta cattiveria.


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One Summer's Evening (b)

Holmes restò nei miei pensieri per tutto il tempo che avanzai lentamente lungo Knightsbridge, dal momento che avevo stabilito che la serata fosse clemente abbastanza da consentirmi di risparmiare sul prezzo di una carrozza o anche di una vagonetta.

Il mio percorso attraversava Hyde Park - che si presentava in tutta la sua bellezza nella tarda luce della sera - tappezzato di verdi alberi in fiore e gente nei colori sgargianti dell'estate che godeva dell'aria tiepida e del cielo terso. Il palco dell'orchestra era occupato persino a quell'ora, e le vie erano affollate di gente che si stava semplicemente godendo una passeggiata, fioraie che regalavano i loro sorrisi ai passanti e venditori ambulanti, accattoni, borseggiatori e mascalzoni di ogni genere.

Fu eccessivamente piacevole e sarebbe stato perfetto, se soltanto Holmes fosse stato al mio fianco passeggiando braccio a braccio con me. Sfortunatamente non aveva mai mostrato nessuna inclinazione di sorta circa lo spendere le sue serate in qualche locale buttando giù una pinta di birra e un pasticcio di carne e così mi ritrovavo a camminare da solo verso il mio appuntamento.

L'uomo che mi accingevo ad incontrare era un altro veterano afghano che rispondeva al nome di Wright, il quale era uscito dal conflitto addirittura meno bene del sottoscritto dal momento che, in aggiunta alla perdita dell'occhio destro, i suoi nervi non si erano mai ripresi dagli orrori della battaglia del Maiwand.

La nostra amicizia in oriente era stata piuttosto breve ed era consistita in nient'altro che diverse settimane di incontri casuali nello sconfinato campo dove entrambi risiedevamo, seguita da una piacevole, sebbene non particolarmente memorabile notte insieme, prima che i nostri reggimenti si separassero e noi ci augurassimo rispettivamente ogni bene senza nessun particolare rimpianto di sorta.

Incontrandoci nuovamente per caso al Royal Hospital Chelsea, intanto che sedevamo in fila con tutti gli altri veterani invalidi per sistemare i documenti circa la nostra pensione, fummo entrambi semplicemente molto lieti di vedere un volto familiare in mezzo a tutti quei miserabili e pietosi riflessi di noi stessi.

Ci incontrammo in diverse occasioni successivamente a quella, e fui sorpreso di trovare in Wright un uomo piuttosto diverso se preso fuori dall'ambiente militare. Ero felice di stare ad ascoltare i suoi discorsi - che denotavano una certa competenza - circa le condizioni dei quartieri peggiori, o i movimenti nelle Case del Parlamento; e trovavo altrettanto interessante prestare l'orecchio alle sue velleità meno intellettuali circa un bel poeta che aveva incontrato a qualche raduno politico o qualcos'altro.

Questa sera in particolare, il mio amico era inusitatamente silenzioso. Giocò col cibo, e sarebbe parso chiaro a chiunque che stava solo fingendo di ascoltare il mio racconto sull'eccitante caso di Lauriston Gardens e i mormoni dello Utah, prima di chiedermi senza cerimonie se avessi potuto prestargli cinquanta sterline.

Ne rimasi tanto stupito da scoppiare a ridere forte. «Volentieri, se avessi una somma del genere».

Si lasciò scappare un lungo sospiro. «Lo so, si è trattato di una domanda idiota. Suppongo che quello che avrei realmente dovuto chiedere fosse: non conosceresti un modo in cui una persona potesse ottenere cinquanta sterline in un caso di emergenza? Dopotutto, non è una grossissima somma di denaro, di questi tempi».

«E non può...» cercai nella mia memoria in cerca del nome del poeta, che conoscevo come un uomo di mezzi indipendenti, «il signor Faulkner non può venirti in soccorso?»

«Oh no, non vorrei davvero disturbarlo sulla questione,» ribattè Wright istantaneamente.

Misi giù la mia pinta e lo scrutai con attenzione. «Perché mai al mondo dovresti aver bisogno di cinquanta sterline?» domandai, per quanto le sue maniere imbarazzate mi avessero già fatto sorgere qualche dubbio. «Se non sono indiscreto».

Wright appariva piuttosto a disagio. «Mi sono comportato piuttosto da idiota, temo. Mi sono esposto a un'estorsione e...»

«Ricatto, naturalmente».

Gemette, e annuì. «Ho scritto una poesia su Faulkner. Una, ehm, piuttosto esplicita. Non è mai menzionato il suo nome, ma io... bene, come un idiota, l'ho firmata. Avevo una mezza idea di donargliela, sebbene sapessi perfettamente che non avrei mai raccattato il coraggio per fare una cosa del genere. Quindi il figlio della mia padrona di casa l'ha trovata e - beh, questa è la ragione per cui ho bisogno di cinquanta sterline».

«Non sta minacciando di denunciarti?»

Wright scosse il capo. «Non è un crimine scrivere, ahem, quel genere di poesia, sai, se non tenti di pubblicarla. Ma quando penso alle mie sorelle, e ai miei cognati, e--» si interruppe. «E tutto questo perché non riesco a trovare cinquanta dannate sterline! Non è neanche una gran somma».

«Non riesco a capire perché il signor Faulkner non dovrebbe desiderare di venirti in aiuto».

Arrossì violentemente e mormorò qualcosa col fiato.

«Chiedo scusa?»

«Ebbene, è un poeta - e si tratta di una poesia davvero pessima».

Sembrava che non ci fosse nulla da obiettare a quella replica. Restammo seduti in un silenzio denso per qualche tempo.

Ero davvero costernato per Wright, sebbene fosse stato certamente un incredibile sconsiderato. Riuscivo solamente a immaginare che l'accompagnarsi con un giovane poeta sognatore era stato deleterio per il suo buon senso. Non sarei mai stato capace di commettere un'indiscrezione del genere, quand'anche avessi avuto qualcuno che ispirasse questo genere di poesia su di me. C'era Holmes, certamente, mi sussurrò la mia irreprimibile voce interiore. Ad ogni modo, sarebbe stato quantomeno idiota scrivere poesie, firmate o meno, nei confroniti di qualcuno tanto sdegnoso delle emozioni più dolci quanto Holmes.

A quanto pareva non ero immune alle fantasticherie come mi piaceva ritenere, dal momento che mi ritrovai ben presto nel bel mezzo di un sogno ad occhi aperti nel quale Holmes fosse piacevolmente sorpreso di scorprire una qualche poesia su di lui, prima di essere interrotto da Wright.

«A proposito di quelle cinquanta sterline,» diceva. «Di certo puoi darmi qualche buon consiglio, vero vecchio mio? Sei sempre stato un tipo sportivo. Qualche dritta per le corse di Sabato, forse, o un levriero su cui hai messo gli occhi...»

Fui costretto a scuotere il capo. «Ho lasciato i giorni delle scommesse alle mie spalle, temo. Holmes tiene il mio libretto degli assegni sotto chiave».

Wright si raddrizzò e i suoi problemi parvero essere temporaneamente allontanati dalla mente. «E cos'è questa storia? Credevo avessi detto che questo Holmes fosse poco più che una conoscenza - un ragazzo piuttosto freddo e distante, avevi detto».

Lo avevo detto, per la verità, e dal momento che tutti i miei sforzi fino a quel momento erano stati tesi a non apparire perdutamente infatuato dell'uomo in questione, poteva darsi che gli avessi reso meno giustizia di quanto avrei dovuto.

«Quindi le cose sono cambiate in qualche modo?» mi domandò Wright.

«Non sono certo che la metterei così. Perché me lo chiedi?».

«Beh, occuparsi del libretto degli assegni di qualcuno... sembra più l'azione di un amico intimo».

Mi sovvenne della prima volta che Holmes mi aveva presentato come suo "collega e amico", appena qualche settimana prima, e la calorosa ondata di piacere che mi aveva investito. Talvolta poteva capitare che non mi rivolgesse la parola per giorni interi, e mi domandavo se si sarebbe addirittura accorto, fossi ritornato o no a casa una notte di quelle. Quindi mi sorprendeva con qualche parola o attenzione che io sapevo essere conferita e nient'altri che al sottoscritto e mi riempiva di soddisfazione per tutto il resto ella giornata.

Realizzai di stare sorridendo stupidamente al pensiero, e volsi il mio sguardo a Wright cogliendolo a sogghignare.

«Tiri costantemente in ballo il suo nome nella conversazione, e ugualmente non so nulla sul suo conto. È moro? Biondo? Loquace? Taciturno? Affascinante? Esasperante?»

«Tutte queste cose insieme,» mi arresi, impotente. «Intendo dire, tranne che biondo, ovviamente».

«E?»

«Beh, non so veramente immaginare quali parole potrei trovare per descriverlo. Si tratta di un uomo che sfida ogni categoria».

Wright sogghignava ancora. «Sai perfettamente bene che non era questo quello a cui mi riferivo».

Scossi il capo. «No davvero, vecchio mio, ti sei fatto l'idea sbagliata della situazione qui. Holmes non nutre il minimo interesse nei confronti di anima viva, uomo o donna che sia, per quello che ho potuto vedere, a meno che non abbia a che vedere col suo lavoro. Quanto a me, lo trovo un compagno piacevole con cui vivere, questo è quanto». Sentii le mie gote accalorarsi e fui sicuro di essere leggermente arrossito, ma per mia buona sorte Wright era troppo assorbito dai suoi stessi problemi per insistere sulla questione, come dimostrarono le sue parole successive.

«Penso che lui non saprebbe come potrei procurarmi cinquanta sterline?»

Il mio pensiero corse ad Holmes, e alla lista che feci di lui allo scopo di saziare in qualche modo la mia ossessione nei suoi confronti, lista che raccoglieva dettagliatamente la sua vasta conoscenza di certi argomenti e scioccante ignoranza di altri. «Non in modi legali,» dissi.

Wright sospirò e accoltellò brutalmente un pezzo di carota.

Era troppo in pena per contribuire alla conversazione quella sera, quindi non ci fermammo a bere una volta finito di cenare, come eravamo soliti fare. Lasciammo il locale non molto dopo le dieci, e io lo invitai nuovamente a domandare aiuto al suo ricco poeta. Lo feci con scarsa convinzione, ad ogni modo, giacché comprendevo la sua riluttanza. Io stesso, a dirla tutta, non riuscivo nemmeno a immaginare di osare confessare la mia idiozia a Holmes, mi fossi trovato in una circostanza simile. Con questo non intendevo certamente dire che la mia amicizia con Holmes sarebbe mai potuta essere dello stesso genere di quella di Wright e del suo amico. Non mi ero mai concesso di pensare ad Holmes in certi termini.

Io e Wright ci augurammo la buona notte fuori dal pub, non prima che mi estorcesse la promessa di inviargli un telegramma se mi fosse capitato in mente qualche buon consiglio prima del nostro prossimo incontro. Quindi presi una vagonetta per tornare a casa, dal momento che la mia gamba stava cominciando a dolermi piuttosto intensamente.

Trovai Holmes arricciato sul divano, il contenuto della carpetta del signor Pendleford sparso tutto intorno a lui. Mi salutò senza alzare gli occhi su di me, il suo sguardo che volava di pagina in pagina accuratamente scritta a mano dal vecchio candeliere. Presi posto in fronte a lui e raccolsi il giornale che Holmes era stato intento a leggere, prima. Vi prestai davvero poca della mia attenzione, ad ogni modo, ché preferivo di gran lunga ammirare Holmes all'opera. Le sue sopracciglia scure erano piegate in un'intensa smorfia di concetrazione e le sue labbra pallide erano serrate in una morsa, una mano sottile che raccoglieva già il fascicolo successivo intanto che il suo sguardo giaceva ancora su quello presente. Ero completamente soggiogato.

La pila di documenti non ancora letti si assottigliava di momento in momento, mentre l'opposta cresceva. A un certo momento Holmes raccolse quello che appariva in tutta evidenza essere una lunga lista di indirizzi, e la percorse con gli occhi nella sua interezza. Lo osservai irrigidirsi improvvisamente, e la sua bocca si strinse, e quindi si piegò in una strana espressione che avrei quasi potuto classificare come rabbia o disgusto.

Ripose nuovamente la lista nella carpetta, seguita da tutti gli altri documenti, quindi richiuse quest'ultima e la lanciò nel tavolinetto vicino. Si accorse che lo osservavo e disse, «dovrei mandare un telegramma al signor Pendleford domani per dirgli che non posso accettare il caso».

«Ma hai scoperto qualcosa!» protestai. «Sai qualcosa su questo caso».

«Sì, a quanto pare un crimine è stato veramente commesso. Ma Pendleford non ne è la vittima, e non posso fare nulla senza il consenso della vera vittima. È altresì probabile, a dirla tutta, che lui o lei preferirebbe di gran lunga che non intervenissi. Né il cognato di Pendleford è il vero criminale nella faccenda, piuttosto, sospetto, l'uomo in questione coltiva semplicemente la speranza di guadagnare qualcosa alle spalle del detestato cognato, avrei deluso le sue aspettative in ogni caso».

«Ma Holmes...»

Scosse una mano con impazienza, cacciando via le mie obiezioni. «Ti assicuro, amico mio, che non c'è nulla che io possa fare».

Raggiunse la sua pipa, la accese e si sedette nuovamente nella sua poltrona, stirando le lunghe gambe innanzi a lui.

Dal canto mio condussi un acceso dibattito interiore se sarebbe stato o non sarebbe stato proficuo provare a fare una qualche pressione sulla questione, ma sapevo che le mie esperienze pregresse in questa direzione erano state per la maggior parte scarsamente fruttifere. Dopo un minuto o due di silenzio, Holmes mi sorprese dicendo, «sono piuttosto curioso di sapere perché non hai girato una singola pagina dal momento in cui hai preso posto».

Sobbalzai, stupito, e abbassai lo sguardo al giornale che, in teoria, stavo leggendo. A dire il vero, era ancora aperto alla stessa identica pagina in cui Holmes lo aveva lasciato quella sera, quando gli avevo mosso esattamente la stessa osservazione.

Non vi avevo prestato alcuna attenizione allora, tranne che per il fatto di avere avuto una buona opportunità di dimostrare una qualche abilità nel campo dell'osservazione, ma adesso uno strano e inopportuno pensiero mi colse improvvisamente. Il giornale giaceva abbandonato nel mio grembo perché ero stato troppo intento ad osservare Holmes, e ragionare su di lui. Era davvero possibile che mi stesse guardando alla stessa maniera? No, era da escludere! Era di gran lunga più probabile che lo avesse dedotto dall'ora in cui mi ero rasato quella mattina, o dal luogo in cui avevo acquistato i fazzoletti per la tasca della mia giacca.

Alzai lo sguardo su di lui, per trovare Holmes ancora intento ad osservarmi, un sorriso quasi impercettibile librarsi agli angoli della sua bocca. Il mio cuore balzò un poco, e feci un tentativo di tranquillizzarmi, sebbene non riuscii a reprimere un sorriso a mia volta che sfuggì traditore dalle mie labbra.

Tenemmo lo sguardo fisso l'uno sull'altro per un lungo momento, e non so cosa avrei fatto per sapere se il suo cuore stesse battendo rapidamente quanto il mio.

Quindi un'ombra attraversò improvvisamente il suo volto, i suoi tratti assunsero un'espressione chiusa, e distolse lo sguardo.

Con riluttanza tornai al mio giornale, il battito del mio cuore che rallentava gradualmente e, sebbene il mio sguardo scorresse le colonne, ci volle un po' di tempo prima che il mio cervello tornasse a cogliere qualunque informazione sull'argomento in questione.

Trascorsi l'ora successiva alternando maledizioni alla mia immaginazione suscettibile, e leggendo con scarsa attenzione storie di leghe irlandesi e firme di nuovi accordi con il Trasvaal.

Infine riposi il giornale e mi alzai in piedi per ritirarmi per la notte.

«Sono a dir poso esausto,» dissi, accentuando la frase con uno sbadiglio. «Sai, questa sera ho camminato a piedi fino a Knightsbridge».

Ero piuttosto fiero della mia prodezza, ma Holmes si era accigliato.

«Al Queen's Head?»

Esitai prima di rispondere, tanta era la stranezza del suo tono. «Sì. Perché, lo conosci?»

«Conosco la sua reputazione. E devo dirtelo, Waatson, ritengo che tu sia un pazzo a frequentare un luogo del genere».

Rimasi di sasso, domandandomi se non avessi per caso frainteso ciò che intendeva dire. Il mio cuore cominciò a battere a un ritmo forsennato, e quasi mi sentii sul punto di avvampare di nuovo.

Proseguì, senza nemmeno degnarsi di guardarmi in faccia - piuttosto prestando la sua attenzione alla carpetta che giaceva sul tavolinetto fra di noi. «Perché prendere rischi del genere, Watson? Mi sembra una pratica innecessaria e piuttosto idiota, soprattutto dal momento che ti ho osservato e ti ho visto ugualmente a tuo agio in compagnia del gentil sesso. Allora perché non limitarsi a loro, mi domando?

Rimasi a bocca aperta, il mio cuore martellante, incapace di proferire verbo.

Holmes mi stava concedendo un sorriso strano e aspro. «Ho un certo talento per scovare tendenze criminali, sai».

Quello che mi sarebbe piaciuto era fornire una risposta composta e ragionata, tuttavia la mia mente era persa in un vortice caotico e quando aprii la bocca riuscii a stento a balbettare qualche pensiero sconnesso. «Ti assicuro che non - non ho infranto alcuna legge». Il mio senso dell'onore mi costrinse ad aggiungere: «Intendo dire, non da quando sono tornato dall'Afghanistan, almeno».

Con mio sommo sgomento, Holmes distolse improvvisamente il capo. «Ti domando scusa, Watson. La tua vita ti appartiene e hai il diritto di farne ciò che più ti aggrada. Ma sarei estremamente costernato di assistere a un tuo sfortunato epilogo. Buona notte, amico mio».

Si alzò all'impiedi e lasciò la stanza bruscamente, lasciandomi alla mercé della mia confusione e agitazione.

Salii le scale lentamente alla volta della mia stanza, domandandomi cosa mai avesse condotto la discussione a prendere una piega del genere, e che cosa dovesse essere passato nella mente di Holmes nel mentre. Si era trattato di uno scambio estremamente spiacevole, sebbene tentassi di trovare conforto riflettendo sul fatto che quanto meno non v'era stata minaccia o disgusto nella sua voce. In più, non era stato del tutto spiacevole ascoltare uscire dalla sua bocca parole di preoccupazione circa la mia sicurezza, e fu con questi pensieri che riuscii finalmente a trovare un po' di calma.

Soltanto, un altro quesito mi sorse spontaneo quando accesi la lampada a gas accanto a me. Come diavolo faceva Holmes a sapere del Queen's Head?

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