[Sherlock Holmes] Also when 'tis cold and drear

Oct 27, 2011 14:51

Titolo: Also when 'tis cold and drear
Parte: 4 di 10 (già completa)
Autore: quest'autrice incredibile risponde al nome di garonne e io vi prego - laddove le capacità linguistiche ve lo consentano - di leggerla in originale (inglese) perché è il Bene. Seguitela, lurkatela, pedinatela, ma scoprirete fin troppo presto che non potrete più farne a meno ._.
Fandom: Sherlock Holmes, che razza di domande.
Rating: R (verso la fine)
Riassunto: Nei primi mesi della loro conoscenza Holmes e Watson si studiano l'un l'altro a distanza, osservandosi e ponendosi delle domande. Contiene lunatici poeti aristocratici, cene di Natale, un'imbarazzante quantità di nebbia e neve e altre amenità.
Note d'autore: POV alternati.
Note della traduttrice sclerata: Holmes e Watson sono due idioti con una spaventosa cotta l'uno per l'altro a cui far fronte. E tutto questo in un vittoriano impeccabile e perfetto che spero di aver reso anche solo a metà e... /o\ Oddio devo fangirlare quest'autrice, non ci posso far nulla ._.
Si tratta di una traduzione del testo originale (4 - Dark days of autumn rain (b)) - acconsentito a farmi tradurre qui.
Per il resto potrei darmi al fangirl più esasperato, perché non leggevo qualcosa in grado di farmi piangere amore in questo modo dai tempi dell'insuperabile e insuperata Katye (tradotta dalla altrettanto splendida Melina cosa aspettate a correre a leggere io non lo so) piange amore puro.
Avvertenze: lol, sembra il foglietto illustrativo dei medicinali x'D L'aggiornamento di questa cosa meravigliosa, avverrà nella più rosea delle previsioni soltanto bisettimanalmente (tendenzialmente il Giovedì e nel fine settimana), quando altri impegni non me lo impediscano * si mette le mani avanti *. Pare che l'università mi stia per succhiare la vita di nuovo x'D

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Dark days of autumn rain (b)

Una titolazione* è un procedimento estremamente delicato: essa richiede una gran dose di pazienza, e preferibilmente quantomeno una nozione preliminare della quantità che si abbia desiderio di ottenere. Il principio è uno piuttosto elementare: il manipolatore versa una soluzione chimica in un'altra, con particolare attenzione alla misura del volume versato, tanto quanto ne abbisogna per osservare un cambiamento di colore - generalmente con l'aiuto di una terza sostanza aggiunta all'uopo. Dalla quantità del liquido che è stato speso fino a quel momento, è possibile calcolare la concentrazione della soluzione, risolvendo qualche passaggio logico.

La seccatura subentra nei casi che richiedano risposte particolarmente accurate - nei quali il lavoro si rivela particolarmente lento e minuzioso - dal momento che si deve poter essere in grado di interrompere all'istante l'immissione del secondo liquido, laddove ce ne sia bisogno. È per forza di cose imperativo, dunque, che vi si impieghi la più totale concentrazione.

Per questa ragione, non mi fu assolutamente possibile alzare lo sguardo verso Watson quando fece il suo ingresso nel soggiorno, il mattino dopo la nostra disastrosa escursione a Southwark. Sono sufficientemente onesto con me stesso, ad ogni modo, per ammettere che questa fu esattamente la precisa ragione per cui scelsi quell'occupazione piuttosto che un'altra.

Watson aveva impiegato un'ora in più del sottoscritto per far ritorno a Baker Street, del cui fatto non potevo essere più cosciente dal momento che lo avevo aspettato in piedi, nascosto al sicuro dietro la porta della mia stanza. Nemmeno il mio intelletto straordinariamente esercitato, ad ogni modo, era stato in grado di dedurre quello che pensava dal suono che aveva prodotto il suo bastone quando lo aveva appoggiato alla porta, né poteva dedurre ciò che provava nei miei confronti dallo sfregolio del fiammifero quando accese la lampada sulle scale.

Nondimeno la mia immaginazione - sempre così fastidiosamente esente dai suoi soliti vincoli quando si trattasse anche solo alla lontana, del dottore - non esitò a colmare l'intollerabile insufficenza di informazioni.

Avevo speso il rimanente di quella notte giacendo supino, fissando il tetto della mia stanza illuminarsi gradualmente, il mio stomaco in una morsa di tensione e i pensieri inseguirsi vorticosamente l'un l'altro in cerchi. Mi ero rifiutato categoricamente di consentirmi di indulgere in qualsivoglia sentimento di autocommiserazione, dal momento che ero perfettamente cosciente di quanto la situazione fosse interamente un mio operato. Nondimeno, ero tormentato dal pensiero dell'angustia di cui temevo Watson essere preda.

Era una possibilità, certamente, che non fosse affatto in agitazione, e che in quel momento stesse dormendo pacificamente - l'incidente cui io sembravo dare una così grande importanza già rimosso dalla sua mente. Quindi ricordavo la sensazione della sua mano che afferrava la mia vita, e l'ardore del suo bacio, e ritenevo se non altro più plausibile che al momento fosse ferito, probabilmente in collera con me. Non ero certo di quale delle due possibilità mi tormentasse maggiormente.

Infine mi ero risolto ad alzarmi e andare a lavorare al mio ultimo esperimento, sedendo di spalle alle scale che Watson avrebbe sceso da camera sua. Con mia grande fortuna si alzò solo molto poco dopo di me, ragion per cui avevo cominciato a versare la mia soluzione da titolare per tenere lo sguardo occupato, sebbene ci fosse voluto di gran lunga più tempo per concentrare le mie riflessioni sulla natura della titolazione chimica e tenere occupato il mio disgraziato cervello.

Piegai la testa sul mio tavolo da lavoro, facendo particolare attenzione ad ascoltare il suo passo - sul pavimento, quindi il tappeto, e allora nuovamente il pavimento - nel mentre che avanzava per raccogliere il giornale dalla credenza, e infine lo strofinio della sedia quando prese posto per una colazione decisamente tarda. Non ebbi alcuna difficoltà a figurarmelo, senza nessun bisogno di voltarmi. Watson appariva sempre immacolato, al mattino. Sebbene non fosse ancora vestito i suoi capelli apparivano sempre perfettamente in ordine, e la barba corta e ispida - la stessa che avevo avuto modo di sfiorare per la prima volta la notte precedente - praticamente impercettibile. Desiderai ardentemente vederlo disordinato al mattino, prima che avesse modo di assumere quell'aspetto militare. Desiderai ardentemente osservare come appariva allorché si fosse appena svegliato.

Ancor di più, desiderai ardentemente essere io a rinderlo nel summenzionato stato, disordinare quei capelli così attentamente ordinati, essere io a disfare quel colletto candido e inamidato--

Il rumore di qualcosa che veniva raschiato interruppe il mio vaneggiamento. Watson stava spalmando della marmellata sul suo pane tostato.

Dopo qualche tempo, parlò. «Ti dispiace se prendo l'ultimo uovo?»

La banalità di tutto questo fu un duro colpo. «Per nulla».

Udii il tintinnio del metallo sulla ceramica, e quindi il suo cucchiaio rompere la superfice del guscio, disfacendolo in piccole parti.

Dopo qualche minuto, parlò di nuovo. Questa volta l'atto fu preceduto da un leggero schiarirsi di gola. «Holmes?»

Non risposi.

«Holmes, io-- ebbene, sai che--». Schiarì nuovamente la gola. «Al Diavolo! Non ho la più pallida idea da dove cominciare!»

Feci un immenso sforzo per costringermi a voltarmi nella sua direzione. Mi stava guardando con un'espressione che non avrei saputo leggere per tutto l'oro del mondo, accigliato, leggermente arrossato. Watson era sempre stato il tipo di persona da accaldarsi in fretta, qualcosa che ho sempre trovato piuttosto avvincente, una delle rare occasioni in cui mi concedessi di impiegare una parola talmente ridicola. Quel giorno, ad ogni modo, ero cosciente di non avere il diritto di prendermi del tempo per apprezzare una vista del genere. Era fuori di dubbio che la scelta migliore fosse qualcosa di il più possibile netto.

«Debbo scusarmi per aver fozato su di te le mie indesiderate attenzioni la scorsa notte, Watson. Non potrei essere più desolato per averti sconcertato in questa maniera».

«No, no, ti posso assicurare che erano tutto meno che-- Di nulla, intendo dire, amico mio».

Mio malgrado, il mio cuore mancò un battito. Erano tutto meno che cosa, le mie attenzioni? Non sgradite, forse? Era tutto quello che avevo ogni ansia di sentire, e terrore al contempo - dal momento che avere sicurezza che entrambi desiderassimo la stessa cosa impossibile sarebbe stato di gran lunga meno preferibile che essere il solo destinato a quel tormento.

Adesso mi stava fissando dalla punta della teiera, la sua espressione che conteneva un misto di imbarazzo e qualche altra emozione che non seppi indovinare. Mi domandai come avrebbe reagito se mi fossi alzato in piedi, avessi attraversato la stanza fino a lui, avessi preso la sua mano per trascinarlo lentamente a terra e quindi-- Interruppi il corso dei miei pensieri, e fui gloriosamente in grado di mettere su una frase di senso compiuto.

«Sono lieto di sentire una cosa del genere».

Restammo entrambi a fissarci pre qualche istante, circondati da un silenzio imbarazzante.

Incapace di tollerare oltre la tensione, mi voltai tornando ai miei attrezzi di laboratorio. Dietro di me, potei sentire Watson alzarsi, e quindi sedersi di nuovo bruscamente. Risolutamente concentrai la mia attenzione sulle gocce di liquido che cadevano nella mia provetta. Dopo qualche istante, sentii Watson alzarsi nuovamente, e cominciare a vagare senza sosta per la stanza, in un chiaro tentativo di risolversi all'azione. Infine decise di sorprendermi raggiungendomi e piazzandosi a una distanza inesistente dietro di me, schiarendosi la gola. A quel punto, non c'era modo in cui io potessi rifiutarmi di voltarmi e fronteggiarlo. Fatto ciò, quasi potei leggere la domanda che gli bruciava sulle labbra.

«Sono alquanto confuso, Holmes,» sbottò. «Mi era parso- o meglio, mi ero chiesto se tu anche... se tu anche...». Fece una pausa e si schiarì di nuovo la gola. «Ad ogni modo ricordo con esattezza la volta in cui mi hai dato del pazzo, qualche mese fa, per frequentare un posto come il Queen's Head. Il Queen's Head di Knightsbridge, intendo dire».

Certamente, mi era stato chiaro all'istante quale fosse il locale al quale si stesse riferendo, e per quale ragione. Mi alzai in piedi e lo affrontai direttamente.

«Sei un pazzo, e quantomeno lo sei stato. Infrangere la legge rendendosi passibili di umiliazione, ricatto e incarcerazione, e semplicemente per gratificare un impulso meramente fisico per di più, francamente mi sembra l'apoteosi dell'idiozia». Mi sentivo quasi che tutta la mia disperazione e il mio desiderio dovessero trasparire evidenti dalla mia voce, ma a conti fatti essa venne fuori fredda e composta come sempre. Non riuscii comunque a non distogliere lo sguardo al momento di aggiungere: «Fino alla notte scorsa, erano passati diversi anni da quando ero stato un pazzo del genere io stesso».

Il volto di Watson assunse la più peculiare e impenetrabile delle espressioni. In un primo momento lo ritenni giustificabilmente in collera con me, dal momento che di certo non mi ero trattenuto nella mia maniera di insultarlo. Quindi mi colse alla sprovvista: «E se ci fossimo incontrati in un altro luogo, in un altro momento... in una società con altre regole?»

Fui prosciugato da quella domanda. In che modo avrei mai potuto cominciare a rispondere? In che modo avrei potuto cominciare a immaginare la gioia di una tale circostanza, se fosse stata possibile? Eravamo all'impiedi, uno di fronte all'altro come la notte precedente, il volto di Watson a una distanza ridicola dal mio. Potevo notare addirittura l'impercettibile peluria bionda appena sotto il suo orecchio, che Watson mancava sempre al momento di radersi. I suoi occhi erano spalancati e intensi, e nel suo sguardo potevo leggere distintamente gli stessi sentimenti che dominavano il mio petto.

Quello fu il malaugurato momento in cui la signora Hudson scelse di fare la sua entrata in scena per ripulire la tavola dalla colazione. Ci separammo all'istante, nel mentre che la signora si muoveva per la stanza, mormorando fra sé circa giovani uomini che facevano colazione a mezzogiorno.

Una volta che se ne fu andata sembrava che non ci fosse maniera di ricreare il momento, e infatti giudicai cosa assai migliore non provarci nemmeno. Non avevo in me il minimo desiderio di tormentarmi venendo a sapere quale fosse la precisa natura dei sentimenti di Watson nei miei confronti - né in un senso né in un altro - ed era indubitabilmente la cosa migliore in ciascun caso che egli non sospettasse la profondità dei miei.

«Mi auguro soltanto che la mia idiozia non mi abbia fatto perdere un eccellente coinquilino,» dissi tranquillamente.

Watson era all'impiedi accanto al camino, le mani nelle tasche. «Certamente no. Sono lieto di metterci questa cosa alle spalle, se è questo che tu...» si interruppe, e distolse lo sguardo. «Come dicevo, sono lieto di metterci questa cosa alle spalle».

La sua voce aveva in sé una nota che mi portava a sospettare una certa mancanza di convinzione nell'asserzione. Mi costrinsi a ricordare a me stesso aspramente di tutte le risoluzioni cui mi ero impegnato già da che non ero che un giovane studente, quando avevo realizzato che le attività cui indulgevo erano incompatibili con una vita libera dal timore e dalla paranoia costante. Sarei stato un investigatore da quattro soldi, tra le altre cose, a infrangere io stesso le leggi in questo modo.

«Come me,» confermai.

«Eccellente».

«Sì, è vero».

Restammo in un silenzio imbarazzante per un lungo istante, evitando ognuno lo sguardo dell'altro.

Infine mi risolvetti io stesso a schiarirmi la gola. «Sto andando a mandare un telegramma a Lestrade che lo informi del mio desiderio che mi chiami per essere istruito affinché formi una squadra per Southwark, stanotte».

Avrei potuto chiamare Billy, ma preferivo di gran lunga essere io stesso ad occuparmi della questione. Si trattava di un impiego di neanche dieci minuti, ad ogni modo, allo scadere dei quali fui costretto a tornare a Baker Street, dove finsi di leggere il Daily Telegraph e sorpresi Watson a fissarmi di gran lunga troppo più spesso di quanto non fosse preferibile.

Abbandonai presto quell'imbarazzante soluzione per il compito di determinare il punto di fusione di alcuni cristalli che avevo coltivato, con ogni probabilità una delle occupazioni più tediose e intellettualmente meno stimolanti nella grazia di Dio. Per niente dissimile in qualità dal fissare la vernice mentre si asciughi, mansione che era forse a questo punto la punizione pe la mia stessa stupidità, e mi sento in dovere di specificare che avevo il beneficio aggiunto di poter fuggire con lo sguardo continuamente, incontrando quello di Watson di quando in quando.

Misi da parte il termomentro ed altri attrezzi, riflettendo che era solo quando avevo per le mani compiti come questi che quasi rimpiangevo la mia ostinazione a lavorare da solo, dal momento che sarebbe senza alcun dubbio stata un'incredibile comodità avere un qualche inutile assistente a cui delegare un lavoro del genere, che era come minimo uno spreco dell'enorme potenziale intellettuale del mio cervello. Watson era solito sghignazzare quando lo rendevo partecipe di considerazioni del genere, ma non vedevo ragione di professare falsa modestia. Ad ogni modo, avevo avuto modo di appurare che il suo stesso intelletto non era affatto di poco conto, sebbene lo sottovalutasse eccessivamente. Era una delle moltissime cose sul suo conto che a--

Senza alcun desiderio di pronunciare l'odiosa parola - quand'anche nel privato della mia stessa mente - costrinsi la mia concentrazione sul lavoro che avevo per le mani. Osservai con determinazione i cristalli che stavano progressivamente riscaldandosi, deliberatamente senza pensare al mio amico, sebbene i miei nervi saltassero ad ogni suo più piccolo suono. Quando lo udii borbottare nei confronti di qualcosa che doveva evidentemente aver letto sul giornale, fui costretto a chiudere gli occhi e scuotere il capo allo scopo di cacciar via dalla memoria la sua lingua che strofinavasi delicamente contro la mia.

La visita di Lestrade se non altro fu un benvenuto - per quanto breve - sollievo. Quando se ne fu andato, mancava poco a cena, ma non avevo in me la benché minima intenzione di sedermi in fronte a Watson, incapace di mandare giù un boccone, come un idiota alla prima cotta.

Non avevo pianificato di essere presente all'incursione della polizia al magazzino dei falsari a Southwark, quella sera, ma a quanto pareva avevo cambiato idea. Avevo ogni desiderio di stare lontano da Baker Street, e piuttosto me la sentivo di più a stare in mezzo ai latrati degli uomini di Scotland Yard. Ma se fossi andato, questo lo sapevo bene, sarebbe stata la più grande maleducazione possibile non invitare Watson a venire con me.

«Esco, e non sarò di ritorno prima di notte fonda,» annunciai comunque, fissando i guanti nel mentre che li indossavo. Non avevo il minimo desiderio di osservare la sua espressione che mi aspettavo in collera o ferita.

«Stai andando a Southwark?»

Fui costretto a dargli una risposta affermativa. Arrischiai uno sguardo nella sua direzione, e lo vidi mentre mi favoriva con uno dei suoi sorrisi più miti, il suo sguardo che esprimeva comprensione.

«Non sbagli a ritenere che la cosa migliore sia che io resti qui, mio caro Holmes, per ogni sorta di ragioni. Intendo aspettarti alzato, ad ogni modo, quindi sarà meglio per te ritornare tutto intero».

«Watson, sei indiscutibilmente qualcosa di raro,» sbottai, prima che potessi impedirmelo.

Il sorriso divenne più largo. «Comincio a pensare di essere stato contagiato da te, Holmes. Esagerazioni del genere sono certamente qualcosa con cui non smetterai mai di prenderti gioco di me».

Sia come sia sembrava contento come una pasqua.

«Buona notte, mio caro Watson,» dissi piano.

«Buona notte, Holmes. Fai attenzione».

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NdT:

*In chimica la titolazione è il rapporto in forma percentuale fra la quantità di un componente e quella complessiva del composto (Devoto-Oli).
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