[Sherlock Holmes] Also when 'tis cold and drear

Nov 27, 2011 16:10

Titolo: Also when 'tis cold and drear
Parte: 9 di 10 (già completa)
Autore: quest'autrice incredibile risponde al nome di garonne e io vi prego - laddove le capacità linguistiche ve lo consentano - di leggerla in originale (inglese) perché è il Bene. Seguitela, lurkatela, pedinatela, ma scoprirete fin troppo presto che non potrete più farne a meno ._.
Fandom: Sherlock Holmes, che razza di domande.
Rating: R (verso la fine)
Riassunto: Nei primi mesi della loro conoscenza Holmes e Watson si studiano l'un l'altro a distanza, osservandosi e ponendosi delle domande. Contiene lunatici poeti aristocratici, cene di Natale, un'imbarazzante quantità di nebbia e neve e altre amenità.
Note d'autore: POV alternati.
Note della traduttrice sclerata: Holmes e Watson sono due idioti con una spaventosa cotta l'uno per l'altro a cui far fronte. E tutto questo in un vittoriano impeccabile e perfetto che spero di aver reso anche solo a metà e... /o\ Oddio devo fangirlare quest'autrice, non ci posso far nulla ._.
Si tratta di una traduzione del testo originale ( 9 - In the bleak midwinter (b)) - acconsentito a farmi tradurre qui.
Per il resto potrei darmi al fangirl più esasperato, perché non leggevo qualcosa in grado di farmi piangere amore in questo modo dai tempi dell'insuperabile e insuperata Katye (tradotta dalla altrettanto splendida Melina cosa aspettate a correre a leggere io non lo so) piange amore puro.
Chiedo scusa per il ritardo, ma la vita universitaria mi sta rapendo di nuovo e sto avando anche una crisi sentimentale con il mio fandom. Non escludo che alla fine di questa traduzione io e il fandom potremmo prenderci una pausa di riflessione, mettiamola così. Non che io lo lasci per sempre, no. Ma per un bel po', questo sì.

Avvertimento: Diciamo solo che Holmes e Watson non passano la serata facendo le parole crociate del Times... comunque, niente di troppo esplicito.

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In the bleak midwinter (b)

Restammo insieme accanto al camino scoppiettante nel soggiorno, il freddo di fuori che infine aveva vinto il nostro ardore e condotti all'interno. La signora Stroud aveva fatto la sua apparizione direttamente dopo il nostro ritorno all'appartamento, ma la mandammo nuovamente a casa - parimenti per l'intenso desiderio di restare soli che per la preoccupazione di un suo passaggio sicuro prima che la tempesta di neve andasse peggiorando. Manzo freddo e formaggio giacquero indisturbati nella credenza mentre Holmes mi afferrava le spalle e mi spingeva contro il suo corpo, sebbene io stesso ardessi dal desiderio di lui.

L'improvvisa vicinanza mi rese un perfetto idiota: le labbra sulle gote, i fianchi sui fianchi, le braccia strette le une attorno alle altre e senza gli strati di vestiti invernali a fungere da armatura tra i nostri corpi. Quasi stordito da questa ritrovata libertà di toccarlo, lasciai che la mia mano si trascinasse lentamente lungo la sua spina dorsale, fino al petto. Rabbrividì quando soffermai la mia mano sotto la parte inferiore della sua blusa, di modo che ci fossero solo pochi strati di cotone a separarmi dalla sua pelle nuda.

«Watson,» mormorò, lasciando cadere la sua mano a poggiarsi sul mio colletto. «Posso...?»

Per tutta risposta lo baciai, e sentii le sue dita disfare in fretta e furia la mia cravatta e quindi il bavero della mia camicia, e lanciarli in giro tutto intorno, prima di procedere contro il primo bottone della mia camicia. Piegò il capo e le sue labbra aggredirono l'adesso scoperta pelle del mio collo, facendo sì che fossi attraversato da scariche elettriche per tutto il corpo.

«Buon Dio, Holmes,» mormorai, con un tono di voce che mi sorprese per la sua instabilità.

Sollevò il capo e incontrò il mio sguardo. I suoi occhi brillavano di una strana luce - le labbra leggermente arrossate. Non potei resistere all'impulso di impossessarmene nuovamente nel mentre che seguivo il suo esempio disfacendo i bottoni delle sue stesse vesti.

Perdemmo in fretta l'iniziale timidezza, nell'ebbrezza del permesso di esplorare quelli che prima d'allora erano stati territori proibiti, nella vertiginosa sensazione di oltrepassare un confine che ci è stato così a lungo vietato. V'era qualcosa di intossicante nella visione di Holmes, della sua pelle nuda, quella di solito tanto coperta da strati e strati di vesti rigorosamente abbottonate. Quando le sue dita si allontanarono dalla mia cintura, non riuscii a trattenermi dallo gemere di protesta e premermi contro di lui. L'istante subito successivo, ad ogni modo, l'improvvisa consapevolezza del luogo in cui ci trovavamo mi costrinse a fare un passo indietro.

«Holmes, aspetta».

Un'ombra di timore gli attraversò il volto.

«No, tutto quello che intendevo dire era che forse dovremmo ritirarci al piano di sopra?»

Holmes lanciò una rapida occhiata al fuoco scoppiettante. «Avevo il tappeto in mente,» confessò, in un sorriso sghembo.

Ebbi un'improvvisa visione di Holmes disteso lungo il tappeto, i giochi di luce sul suo potto nudo. Ad ogni modo, seguitai ad esitare. «Non suona molto rispettabile».

A questa uscita sollevò un sopracciglio, i suoi occhi che brillavano di divertimento e desiderio. «E ci consideri rispettabili sotto tutti gli altri punti di vista?»

Non riuscii ad impedirmi di ridere. «Sai, non sono certo di poter sopportare di perdere tutto questo tempo per salire le scale, e accendere un fuoco e...»

«Io invece sono certo di non potere,» tagliò corto, e il tono della sua voce spazzò dalla via mia mente qualunque pensiero io avessi mai avuto di ritirarci di sopra.

Non avevo mai permesso alla mia immaginazione di speculare su un momento del genere con Holmes, sebbene diversi sogni - di fuori dal mio controllo - fossero stati di misura più espliciti. Sia come sia, il contenuto di qualsivoglia aleatoria fantasia da parte mia non poteva che essere del tutto inaccurato. Non c'era nulla di freddo o riservato nella mani che tiravano i bottoni del mio panciotto, niente di distaccato nelle labbra che si facevano strada nella nuda pelle che gli stava dinnanzi. Ad ogni modo, persi presto l'abilità di indulgere su analisi di questo genere - o a conti fatti su qualsivoglia pensiero razionale di sorta - come demmo libero sfogo ai frutti di anni di desiderio represso.

Infine collassammo l'uno accanto all'altro, le schiene accanto al fuoco, le nostre mani allacciate come i nostri respiri si regolarizzavano gradualmente. Dopo qualche tempo aprii gli occhi per trovare Holmes sollevato su un gomito - fissandomi con la più peculiare espressione nel volto.

«Holmes?»

Sorrise. «Non è niente. Soltanto... sei...» Si sporse e lasciò scorrere una mano tra i miei capelli, i quali senza dubbio alcuno dovevano svettare in tutte le direzioni. Capii senza il bisogno di ulteriori spiegazioni, dal momento che era stato anche un mio precipuo desiderio quello di poter vedere Holmes in queste circostanze. Il suo lungo, magro profilo era steso riverso sul tappeto, privo di colletto, maniche di camicia, i suoi abiti completamente sfatti. Quello che mi dava più alla testa, ad ogni modo, era il lieve rossore sulle gote e lo stato scomposto dei suoi capelli scuri, uno nel quale avevo scarsamente osato sperare di ammirarlo mai. Aveva un aspetto glorioso.

«Anche tu,» dissi piano.

Mi stesi nuovamente sulla coperta - una mano sul petto nudo di Holmes - godendo del calore delle fiamme. Avevo quasi cominciato ad assopirmi quando lo sentii agitarsi.

«Devo ammettere che questa tua idea è stata una eccellente, Watson».

«Mmh?»

Lo sentii ridacchiare. «È un tantino presto per addormentarsi, non ti pare?»

«È stata una lunga giornata!» protestai, forzando i miei occhi a restare aperti. «E ad ogni modo, direi che è normale per un uomo avere sonno dopo... cioè, dopo».

Holmes sembrava non conformarsi alla massa. Stava seduto diritto, le gambe incrociate, gli occhi che scintillavano e un sorriso a corprirne le labbra. «Quello che volevo dire è che è stata un'idea eccellente quella di venire qui».

Ero piuttosto d'accordo, ma le sue parole mi riportarono alla mente le paure di prima, che si facevano strada attraverso l'euforia delle ore precendenti. «E... quando non saremo più qui, cosa? Una volta di ritorno a Londra».

Non rispose, e il sangue mi si gelò nelle vene.

Ora perfettamente sveglio, mi misi a sedere io anche guardandolo fisso negli occhi. «Holmes, non credo che io potrei mai tornare a guardarti a distanza e mantenere il silenzio. Delle due l'una, o dovrei lasciare Baker Street o...»

Trovo degno di menzione a parte la rapidità con la quale la sua faccia perse ogni colore. «Vuoi lasciare Baker Street».

«No, certo che no. Tutto il contrario! Quello che sto cercando di dire è...» Non senza una certa disperazione, cercavo di richiamare le parole. «Quello che sto cercando di dire è che questo - noi - se tu non hai il desiderio che...»

Quando finalmente ebbe afferrato il senso delle mie parole, si sporse in avanti per restituirmi lo sguardo. «Caro amico mio, ti supplico di non considerarmi in maniera così spietata. Non è stato un gioco da parte mia, questo te lo posso assicurare».

Ben sapevo come i veri ostacoli da superare risiedessero a Londra, e non nei nostri cuori o nelle nostre menti. Nondimeno, non fui capace di impedire che l'euforia si impossessasse nuovamente di me. «Io nemmeno, come credo tu sappia già».

Holmes raggiunse la sua giacca, che giaceva in un groviglio qualche piede più in là, e agguantò il portasigarette dalla tasca. Me ne offrì una, e si avvicinò per accendermela. Non si trattava che di un gesto tranquillo, familiare, ma in quel momento tutto era infuso di nuovo significato.

Sentii la più leggera imitazione di una carezza che fosse possibile sulla mia spalla, prima che Holmes balzasse in piedi e cominciasse a vagare per la stanza in maniche di camicia, nervoso e colmo di energia, fumando furiosamente e frugando tra vari libri e cianfrusaglie. Potevo osservarlo dal mio posto accanto al fuoco, semplicemente godendo della vista. A un certo dato momento si fermò brevemente, e notai che aveva appena notato le spille dei nostri colletti, che giacevano insieme nella seggiola. Incontrò il mio sguardo e potei vedere la gioia riflessa nei suoi tratti.

Ralizzai d'improvviso di star morendo di fame. «Forse è il caso di mangiare qualcosa?»

Dopo aver raccolto e indossato bretelle, gilet, giacche, colletti e cravatte, ci concedemmo finalmente di sederci a tavola per cena. Alzando lo sguardo sull'uomo di fronte a me - il colletto perfettamente abbottonato - tanto elegante e ordinatamente vestito, era quantomai arduo riuscire a credere che fosse lo stesso che fino a mezzora prima mi si aggrappava, ansimando il mio nome.

«Salsa Worcester?» chiese.

«Ti ringrazio».

Quando le nostre dita si sfiorarono, non le allontanammo repentinamente come avremmo fatto in precedenza. A dire il vero, ero quasi convinto che Holmes si concesse addirittura di soffermare il tocco quel tanto in più che non fosse strettamente necessario.

Parlammo di ogni sorta di cose quella sera, di cantanti dell'opera e parassiti della malaria, dall'accordatura di pianoforti all'introduzione della scuola obbligatoria. La conversazione giunse finanche alla rappresentazione insolitamente realistica a priva di connotazioni romantiche della donna in qualche recente corrente francese, fino a quella scuola che amava farsi chiamare Impressionista.

Holmes sembrò divertito dalla mia descrizione entusiastica di un ritratto che avevo avuto modo di ammirare al National Gallery lo scorso anno, al momento del mio primo ritorno a Londra quando mi trovavo ancora a combattere con la lunghezza e la solitudine delle mie giornate. «Sei certamente tu l'esperto in faccende del genere, amico mio».

Sentii il mio volto imporporarsi. «Davvero, Holmes, non ho quasi per niente l'esperienza in fatto di donne che sembri credere. Intendo dire, a conti fatti la cosa non è così semplice...». Cominciai ad agitarmi.

Holmes sollevò un sopracciglio, invitandomi a continuare.

«Ebbene, intendo dire, il campo di gioco è uno piuttosto limitato. Nessuno vorrebbe corrompere una giovane signorina - o quantomeno, io non vorrei mai. Ed è altrettanto certo che le donne sposate siano parimenti fuori discussione».

«E dunque?»

«Beh, c'è stata qualche vedova,» mormorai.

Per qualche ragione, questo lo fece scoppiare in una sonora risata.

Mi sentii andare a fuoco. «Giovani vedove, Holmes!»

«Lo so, lo so». Con mio sommo sgomento si sporse per raggiungere la mia mano e darle una breve stretta. «Sei davvero una persona incomparabilmente buona, Watson». Prima che potessi reagire a questo inaspettato complimento, si era voltato per servirci un'altra fetta di manzo dalla credenza. «Sia come sia, non sono mai stato particolarmente appassionato all'idea di gironzolare per le gallerie».

A conti fatti ero molto più interessato ai suoi rapporti precedenti, ma non avevo la più pallida idea di come porre la domanda, e la conversazione finì per vertere sul National History Museum.

Una volta terminato di cenare, misi da parte le stoviglie nel mentre che Holmes estingueva le lampade ad olio e soffocava il fuoco. Quando feci ritorno al soggiorno, trovai Holmes all'impiedi, all'apparenza piuttosto a disagio.

«Si è fatto tardi,» dissi, lanciando un'occhiata al vecchio orologio all'angolo.

«A quanto pare,» disse Holmes

Dopo un istante di esitazione, avevamo entrambi preso una candela e salito le scale piccole e storte fino al piano superiore, il quale appariva costruito direttamente all'interno del tetto. Entrambe le nostre stanze di affacciavano su un corridoio stretto e buio. Mi fermai di fuori della mia porta e mi voltai a guardare Holmes. Trovai la mia stessa incertezza riflessa nella sua espressiione. Si voltò e per un istante ritenni che intedesse ritirarsi come se nulla si fosse passato. Poi si girò nuovamente di scatto a fronteggiarmi.

«Watson...»

Rischiai il tutto per tutto. «Credo che la mia stanza sia la più grande».

Si illuminò in un breve sorriso. Restai all'impiedi, leggermente da parte, e lui mi precedette nella mia camera.

Ero stranamente nervoso, molto più di quanto non lo fossi stato prima. Una cosa era condividere un breve incontro con qualcuno, una che non poteva essere più diversa era addormentarmi al suo fianco. Alla faccia di un numero considerevole di esperienze in tre diversi continenti - come dico di tanto in tanto a me stesso - non mi era mai capitato di passare l'intera notte con una persona. L'intera faccenda sembrava intrisa di significato.

Holmes sembrava condividere i miei sentimenti. Restò accanto alla porta - la candela ancora in mano - nel mentre che io prendevo posto nel letto, e ci lanciammo qualche occhiata imbarazzata. Rabbrividii, dal momento che la stanza era quasi insopportabilmente fredda. Tanto è vero che l'acqua della bacinella si era completamente congelata.

Anche Holmes tremava leggermente. «Sono abbastanza certo che non abbia mai fatto così freddo a Londra». Sogghignò improvvisamente. «Qualcuno potrebbe addirittura pensare che il tempo sia stato designato all'uopo per incoraggiare comportamenti licenziosi e condivisioni di letti».

Sghignazzammo entrambi, e improvvisamente ogni cosa era tornata normale.

Gli porsi una mano. «Vieni, dunque, prima di finire entrambi morti assiderati».

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