Titolo: Also when 'tis cold and drear
Parte: 5 di 10 (già completa)
Autore: quest'autrice incredibile risponde al nome di
garonne e io vi prego - laddove le capacità linguistiche ve lo consentano - di leggerla in originale (inglese) perché è il Bene. Seguitela, lurkatela, pedinatela, ma scoprirete fin troppo presto che non potrete più farne a meno ._.
Fandom: Sherlock Holmes, che razza di domande.
Rating: R (verso la fine)
Riassunto: Nei primi mesi della loro conoscenza Holmes e Watson si studiano l'un l'altro a distanza, osservandosi e ponendosi delle domande. Contiene lunatici poeti aristocratici, cene di Natale, un'imbarazzante quantità di nebbia e neve e altre amenità.
Note d'autore: POV alternati.
Note della traduttrice sclerata: Holmes e Watson sono due idioti con una spaventosa cotta l'uno per l'altro a cui far fronte. E tutto questo in un vittoriano impeccabile e perfetto che spero di aver reso anche solo a metà e... /o\ Oddio devo fangirlare quest'autrice, non ci posso far nulla ._.
Si tratta di una traduzione del testo originale (
5 - December fog (a)) - acconsentito a farmi tradurre
qui.
Per il resto potrei darmi al fangirl più esasperato, perché non leggevo qualcosa in grado di farmi piangere amore in questo modo dai tempi dell'insuperabile e insuperata Katye (tradotta dalla altrettanto splendida
Melina cosa aspettate a correre a leggere io non lo so) piange amore puro.
Avvertenze: lol, sembra il foglietto illustrativo dei medicinali x'D L'aggiornamento di questa cosa meravigliosa, avverrà nella più rosea delle previsioni soltanto bisettimanalmente (tendenzialmente il Giovedì e nel fine settimana), quando altri impegni non me lo impediscano * si mette le mani avanti *. Pare che l'università mi stia per succhiare la vita di nuovo x'D
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December fog (a)
La nebbia si era già tramutata in una spessa coltre giallastra come lasciammo Whitehall alla ricerca di una carrozza. Dopo avere lasciato Scotland Yard, neanche cinque minuti prima - e non aver trovato niente che facesse al caso nostro - avevamo deciso di attraversare l'imponente viale dello Strand e tentare lì la sorte. Ma avevamo fatto i conti senza la nebbia invernale di Londra, che si faceva sempre più densa istante dopo istante. Quando raggiungemmo Trafalgar Square - che fosse per la nebbia, o per l'imminenza della notte - non vedevamo a un palmo dal naso.
Proseguimmo lungo la via, l'uno affianco all'altro, senza toccarci. Holmes - nessun dubbio in merito - stava rimuginando con grande soddisfazione del ladro di cani di razza che aveva consegnato a Lostrade, quel pomeriggio. Io, dal canto mio, rimuginavo su di lui.
Erano passate quasi quattro settimane da quel freddo, umido, meraviglioso bacio all'ombra della chiesa di St. Magnus dei Martiri; quattro settimane che Holmes aveva speso trincerato dietro una barriera difensiva composta da pile di libri e montagne di vetreria, nel mentre che io lo studiavo, nascosto a distanza, nel desiderio di poter possedere io anche i suoi stessi poteri di divinazione degli altrui pensieri. Il tocco delle sue labbra mi aveva garantito un breve scorcio sul suo cuore, permettendomi di leggervi dei sentimenti a cui non avrei mai potuto sperare che egli desse voce. Da allora, ad ogni modo, avevo passato moltissimo tempo a dubitare della mia memoria e dell'interpretazione che avevo dato di quel breve momento.
Realizzai d'un tratto di come Holmes non fosse più accanto a me, e mi fermai di botto.
«Holmes?» chiamai, voltandomi nella nebbia. Una figura alta e slanciata si stava avvicinando ma, quando la sua strada lo pose brevemente sotto la luce del lampione più vicino, notai che non si trattava d'altri che di un gentiluomo di mezza età, con indosso un paio di occhiali e una sciarpa a coprirne il volto per proteggerne i polmoni dalla nebbia. Ebbi il buon senso di pormi io stesso sotto la luce e Holmes mi apparve al fianco.
«Dove diavolo stai vagando, Watson?»
«Pensavo stessimo andando allo Strand».
«Infatti. E ho come l'impressione che tu stia andando interamente nella direzione opposta, a quanto pare. Da questa parte, amico mio». Con un fluido gesto della mano mi indicò una direzione che mi sembrava assolutamente identica a tutte le altre. «Andiamo, e vediamo di non perderci di nuovo».
Volsi il mio sguardo tutto intorno le figure dei londinesi immerse nell'ombra che sfuggivano alla nebbia di tanto in tanto, soltanto per poi ritornare inghiottite pochissimi istanti dopo, e quindi verso Holmes, che si era fermato qualche passo avanti a me aspettando che lo seguissi.
«Tutto questo è ridicolo,» dissi improvvisamente. Feci un passo avanti e afferrai deliberatamente il suo braccio, come sarebbe stata la più pratica e a conti fatti naturale cosa da fare, se i nostri rapporti non avessero preso una piega tanto imbarazzante. Holmes si irrigidì al mio tocco, per rilassarsi subito dopo, sebbene mantenne il silenzio per procedere attraverso la piazza.
Decisi di avvantaggiarmi di questa - oramai tristemente inabituale - vicinanza per porgli la domanda che più di tutte aveva dominato i miei pensieri, recentemente. «Holmes, io-». Di colpo realizzai di non avere idea di come approcciarmi alla questione. Schiarii la gola e ricominciai. «Quanto a quello che è successo nelle ultime settimane, io-».
Intuì all'istante a cosa mi stessi riferendo. «Sono desolato,» mi interruppe, volgendo lo sguardo alla strada buia piuttosto che a me. «Sono stato un pazzo. Ho rovinato la nostra amicizia».
«Forse. Ad ogni modo-» presi un respiro profondo, e trovai il coraggio di pronunciare le parole che erano vorticate nella mia testa per tutto il mese precedente. «Non pensi che potremmo recuperarla, e forse approfondirla?»
Holmes si fermò un istante, facendo sì che io smettessi di camminare con lui, e si voltò a fronteggiarmi. Non mi era mai parso tanto suggestivo e il respiro mi morì in gola. I suoi tratti erano illuminati in maniera inquietante dalla luce che penetrava attraverso la nebbia dietro di lui, il suo volto affilato accentuato, gli occhi immersi nell'ombra. Mi stava fissando intensamente, il capo inclinato, quand'anche leggermente, nella direzione del mio. Per un folle istante pensai che mi avrebbe baciato, sebbene sarebbe stata senza ombra di dubbio la cosa più idiota ed indiscreta da fare, nel bel mezzo di Trafalgar Square, quand'anche in mezzo alla nebbia.
Quindi il suo volto si piegò improvvisamente in una smorfia, e distolse lo sguardo. «Non è una cosa di cui ho intenzione di discutere, e di certo non in una strada pubblica».
Avevo orrore di lasciar cadere la questione così facilmente, ad ogni modo, e in particolare dal momento che nutrivo i miei forti dubbi circa l'eventualità che riuscissi a recuperare nuovamente il coraggio per approcciare l'argomento una seconda volta.
«Perché mai? Non c'è nessuno, nessuno può guardarci in faccia, e per di più la nebbia ovatta ogni sorta di suono».
«Non vedo una singola ragione per discutere ipotetiche situazioni per il sadico piacere di farci del male».
A conti fatti, ero più incoraggiato che scoraggiato da queste parole, dal momento che confutavano una delle innumerevoli possibilità che avevo considerato nell'ultimo mese: che semplicemente non gli importasse affatto del sottoscritto. «Ma, Holmes-»
«Davvero, Watson!» sbottò improvvisamente. «Se non altro date le tue competenze mediche, non potresti tenere in considerazione l'effetto cui parlare in una nebbia così densa espone il sistema respiratorio?»
Fui costretto a concedergli il punto. In più, con mio scorno e suo sollievo, una carrozza stava lentamente attraversando la strada proprio in quell'istante, il suo conducente scrutando attraverso la nebbia. Mezzora più tardi - dopo un viaggio lento e cauto - raggiungemmo Baker Street, dove scoprii che in mia assenza il mio amico Wright aveva chiamato, e lasciato una nota.
Ho chiamato due volte, ma non eri in casa. Devo vederti con ogni urgenza. Ho bisogno del tuo consiglio. Te ne prego, raggiungimi al Queen's Head alle otto di stasera, se ti è possibile. Se non sarai lì, riproverò a chiamare domani.
Servo tuo, Thaddeus Wright
Gettai un'occhiata alla stanza. Holmes sedeva nella sua poltrona, ogni singola fibra del suo corpo rigida come la pietra, scrutandomi con gli occhi ridotti a due fessure. Stava chiaramente aspettando che provassi a toccare nuovamente la conversazione di poco prima. Esitai, ma sapevo che non potevo ignorare la richiesta d'aiuto di un vecchio amico semplicemente per gratificare i miei desideri.
«Ceno fuori,» dissi, e qualche demonio malvagio mi convinse ad aggiungere, «al Queen's Head».
«Davvero?» rispose Holmes, nel tono del più grande disinteresse possibile, voltatosi già nell'altra direzione.
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Non avevamo nemmeno cominciato a mangiare quando Wright si lanciò in una spiegazione che giustificasse una richiesta tanto urgente.
«Piuttosto che il tuo consiglio, vecchio mio... ho un problema che dovrei urgentemente sottoporre al consulto del tuo amico, il signor Holmes. Ad ogni modo volevo sentire te per primo, dal momento che, beh, la faccenda è una piuttosto delicata e il tuo amico è praticamente un poliziotto, dopotutto».
Non riuscii a sopprimere un sorriso. «Se hai il desiderio di ottenere il suo aiuto, ti consiglierei di non cominciare col chiamarlo in questa maniera, o ti ritroverai prima di quanto pensi nel suo libro nero».
«Oh, no! Questo è tutto quello che non vorrei mai. Non mi viene davvero in mente cos'altro fare, non so più come spremermi le meningi, è un affare così complicato che-».
Pareva che fosse in grado di proseguire in questa direzione a tempo indefinito, pertanto approfittai dell'interruzione causata dall'arrivo della cena per riprendere nuovamente il controllo della conversazione.
«Prova a cominciare dall'inizio, vecchio mio, e raccontami tutta la storia in una maniera coerente. Presumo che sia qualcosa che abbia a che fare col figlio della tua padrona di casa e con quelle cinquanta sterline di cui avevi bisogno?»
«Oh, le cose sono talmente peggiorate, adesso! Quel giovane bastardo ha venduto quella maledetta poesia a uno specialista in questo genere di cose. Sai, documenti compromettenti di questo stampo. Un ricattatore di professione, in breve. Mi ha già costretto ad incontrarlo una volta, e debbo dirlo, è davvero un viscido della peggior specie. E adesso non so davvero cosa devo fare. Mi ha chiesto mille sterline!»
Mi soffocai con un pezzo di torta di carne. «Buon Dio!»
Adesso mi appariva se non altro chiaro la ragione per cui Wright fosse tanto pallido e il suo cibo giacesse intoccato davanti a lui.
«Ma è ridicolo,» proseguii per lui. «Dove si aspetta che un pensionato dell'esercito possa ottenere questo genere di cifra? È impensabile».
«Non esattamente,» rispose Wright, torvo.«La mia famiglia era una piazzata piuttosto bene, a conti fatti. Forse pensa che io abbia ereditato più di quanto non sia stato in realtà. Come se non bastasse, presumibilmente è a conoscenza dei circoli in cui mi muovo. Ho delle conoscenze piuttosto agiate, sai, sebbene siano tutti radicali. O forse semplicemente si aspetta che io mi rivolga a un usuraio».
«Mi sembra ormai che tu non possa fare altro che sottoporre l'intera faccenda al tuo amico,» cercai nella memoria il nome del soggetto del sonetto amoroso di Wright, «il signor Faulkner».
Wright non poteva essere più contrario all'idea. «Non ho più visto Faulkner da quando questa feccia mi ha contattato per la prima volta. E se mi avesse seguito e avesse spostato le sue attenzioni anche su di lui? No, sembra che la mia sola speranza sia consultare quel tuo amico. E se ho esitato fino a questo punto, è soltato perché si tratta di una questione tanto delicata».
«Posso assicurarti che Holmes è il più discreto e a modo dei gentiluomini. Non leggerebbe mai il contenuto di un documento sottratto a una persona della risma di questo ricattatore di cui hai parlato. Ad ogni modo, mi sento in dovere di avvisarti che è un osservatore infaticabile, oltre che probabilmente l'uomo più intelligente che io abbia mai incontrato. Puoi fare il tentativo di nascondergli una parte della verità, ma non ho dubbi circa il fatto che verrebbe a capo della sua interezza fin troppo velocemente».
Wright parve colto dall'orrore. «Ma è praticamente un poliziotto! Se mi salva dalla grinfie di questo farabutto soltanto per consegnarmi alla polizia per comportamenti indec-»
Sentii il tocco delle labbra di Holmes sulle mie. «Ritengo che tu possa nutrire la massima fiducia sul fatto che chiuderà un occhio su... questo aspetto della faccenda».
Le spalle di Wright - prima orribilmente in tensione - si rilassarono impercettibilmente nel momento in cui prese una decisione. «In questo caso, mi piacerebbe davvero consultarlo».
«Se provi a chiamare domani intorno alle due del pomeriggio, credo che tu possa trovarci entrambi a casa. Ti manderò un telegramma domani per confermarti l'appuntamento».
Quando fui di ritorno a Baker Street dopo la cena e un altro lungo e lento viaggio attraverso la nebbia, Holmes era ancora seduto in soggiorno, armeggiando con il giornale della settimana con un paio di forbici. Dopo che gli ebbi accennato qualcosa della difficile situazione di Wright, acconsentì a incontrare questo povero sventurato e sentire la sua storia di prima mano il giorno successivo.
Certamente non avevo affatto scordato il nostro - fallito - tentativo di conversazione avvenuto poco prima quel giorno, ma quella sera non mi parve il momento più adatto di tentare di persuadere Holmes a ignorare le sue paure riguardo l'esposizione allo scandalo.
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Il pomeriggio seguente, dopo aver congedato Wright - che ci lasciò tra mille ringraziamenti - mi voltai verso Holmes, piuttosto ansioso di assistere alla sua reazione.
Per tutta la conversazione con Wright aveva mantenuto i suoi soliti modi educati, allo stesso modo che con ogni cliente. Wright si era astenuto dallo specificare il preciso contenuto della sua imprudente poesia, o la natura della sua relazione con il soggetto di questa, ma non avevo il benché minimo dubbio che l'intera natura della faccenda fosse già perfettamente chiara ad Holmes. Avevo atteso ansiosamente qualunque reiterazione delle frecciate taglienti avesse precedentemente pronunciato nei confronti di quegli stupidi che esponevano se stessi al ricatto, ma se pensieri simili popolavano la sua mente, li tenne per sé. A conti fatti, credo che la sua rabbia in quell'occasione fosse stata più rivolta a se stesso, e a nessun altro, dal momento che lo avevo più volte osservato essere l'uomo più compassionevole che conocessi.
Una volta soli, lanciammo entrambi un'occhiata al biglietto da visita che ci aveva lasciato Wright. Esso recitava così:
Charles Augustus Milverton, Chilworth Street, Paddington. Agente.
Holmes alzò lo sguardo verso di me, il volto cupo. «Prega Dio di non avere mai la disgrazia di cadere nelle mani di questa feccia, Watson».
Improvvisamente si alzò in piedi e attraversò la stanza nella direzione dei suoi immensi archivi, ritornando qualche istante più tardi con una carpetta che non mi era del tutto nuova.
«Questa non è la raccolta di documenti che quel vecchio signore aveva messo insieme perché sospettava di suo cognato, l'estate scorsa?» Il caso non aveva portato a niente, quella volta, ma l'avevo ritrovato tra i miei appunti neanche una settimana prima. «Mi pare si chiamasse Pendleford».
«Esattamente».
Questo accese la mia curiosità, e mi avvicinai ad Holmes. Egli stava in ginocchio sul pavimento, scartabellando la pila di documenti. Alla fine lanciò un'esclamazione di soddisfazione e ritirò uno dei fogli di bassa qualità dalla carpetta. Sporgendomi dalla sua spalla, ebbi modo di notare che si trattava della stessa lista di indirizzi che lo aveva, per qualche ragione, persuaso a non accettare il caso dello scorso Agosto.
I miei occhi volarono al terzo indirizzo della lista, scritto nella larga e minuziosa grafia di Pendleford.
Lord C. A. Milverton, Appledore Towers, Hampstead, Middlesex
«Il suo indirizzo di casa,» disse Holmes, soddisfatto.
«Quindi il cognato di Pendleford aveva una corrispodnenza con... Milverton!»
Holmes annuì. «Come ho poc'anzi spiegato a te e al signor Wright, Milverton ha fatto sì di essere largamente conosciuto nel mercato dei documenti compromettenti. Presumibilmente il cognato di Pendleford era riuscito a scoprire qualche sordido dettaglio su uno dei suoi ospiti, o più d'uno, forse due persone conosciute che non fossero sposate, o quantomeno non sposate l'uno con l'altro, che avevano sperato nella discrezione di quell'albergo. Non c'è nulla che io possa fare a riguardo. La questione, tra le altre cose, si deve probabilmente essere già conclusa, in un modo o nell'altro, e ho orrore di immischiarmi nelle faccende private della gente senza un'esplicita richiesta di intervento. Ad ogni modo, questo mi fornisce l'indirizzo di casa di Milverton».
Ripose i documenti da dove li aveva presi e stese le gambe accanto al fuoco, dove rimase senza muoversi per la successiva mezzora, immerso nei pensieri. Non mi azzardai a disturbarlo, ma quando si alzò in piedi per scomparire in camera sua e poi ricomparire qualche istante più tardi travestito come un dissoluto giovane in cerca di lavoro, realizzai che aveva appena concepito un piano d'azione. Non avevo la più pallida idea, tuttavia, dell'immensa svolta che quell'avventura era destinata ad apportare alla nostra relazione.
Vidi pochissimo Holmes le settimane successive. Andava e veniva a tutte le ore, ma non mi privava mai di rendermi partecipe dei suoi progressi. Una sera, ad ogni modo, nel mentre che la pioggia dicembrina martellava contro le finestre e Holmes sedeva accanto al fuoco, asciugandosi dopo una giornata passata chissà dove, mi azzardai a fargli una domanda che non fosse direttamente collegata al caso.
«Quando sono tornato a casa dal Queen's Head quella sera, la scorsa estate, il giorno in cui Pendleford ti ha chiesto aiuto, mi hai fatto niente di meno che una lavata di capo per frequentare un posto del genere. Mi chiedevo se la cosa avesse a che fare con il fatto che avessi appena saputo di Milverton?»
Holmes alzò il capo di botto e fui colto alla sprovvista dalla rabbia dei suoi occhi. «Pensavo di aver già chiarito a sufficienza che il ricatto è una delle cose di cui ho più timore; ed esporsi da soli a qualcosa del genere è quanto di più idiota io disprezzi maggiormente».
L'asprezza del suo tono mi colpì, e senza che io potessi impedirmelo incaute parole mi uscirono fuori dalla bocca, mosse dalla frustrazione causatami dalla situazione insostenibile venutasi a creare tra me e Holmes.
«Non hai un minimo di compassione per casi del genere? Come puoi trattare questa gente come se non fossero altro che deboli e idioti? Non hai la minima comprensione per le cose che l'amore può portare un uomo a fare, ai rischi che uno correrebbe per questo, per la felicità che uno potrebbe trovarvi?»
Holmes mi guardò gelidamente dalla punta del naso. «Non ho tempo per certe sciocchezze».
Mi ero già pentito delle mie parole, dal momento che avevo visto io stesso gli sforzi in cui si stava producendo per conto di Wright, per quanto idiota potesse considerarlo, e certamente non avrei mai dovuto insinuare che fosse senza cuore.
«Sono desolato, Holmes, non avrei mai dovuto parlare in questo modo. Pure, non posso permetterti di insistere circa la tua ostinazione nel proclamarti insensibile a - a certe sciocchezze, come le chiami tu. Il mese scorso, nel London Bridge...»
Non mi lasciò terminare. «Credevo fossimo d'accordo nel dimenticare quell'incidente».
«E tu lo hai fatto?»
Non rispose.
Mosso da un impulso improvviso lo raggiunsi e ne afferrai la mano. Si ritrasse, ma non mi spinse via. Voltai la sua mano così che ne potessi vedere il palmo, quindi lasciai correre il dito indice della mia altra mano sul suo palmo calloso, esplorandone le innumerevoli piccole cicatrici delle bruciature da acido. La sua mano tremava leggermente nella mia. Lasciai che il mio dito corresse lentamente fino al suo polso, quindi pressai due dita sulla sua arteria radiale. Il suo battito era velocissimo.
Alzai gli occhi sui suoi. Sapevo perfettamente che Holmes capisse la mia posizione senza il benché minimo bisogno che io pronunciassi una singola parola, non c'era modo di negare l'effetto fisico che avessimo l'uno sull'altro
Improvvisamente ritrasse la sua mano dalla mia presa.
«Devo andare».
Scomparì nella sua stanza. Qualche minuto più tardi mi oltrepassò senza indirizzarmi una parola, addosso gli stessi abiti da lavoratore e la barbetta di pizzo che aveva indossato per tutta la settimana, e sparì dalla porta.
Spesi il resto della serata leggendo l'ultimo numero del The Lancet, al quale mi ero abbonato nella speranza che tornassi un giorno a praticare e avrei avuto bisogno di essere aggiornato su tutte le recenti scoperte in campo medico. Certamente c'era da sperare che nessuno dei miei sfortunati pazienti dovesse mai presentare qualcuna delle rare malattie di cui lessi quella sera, comunque, dal momento che i miei occhi si muovevano sulla pagina intanto che la mia mente era completamente assorbita nel suo abituale passatempo di pensare ad Holmes.
L'uomo in questione fu di ritorno qualche ora dopo, ancora una volta inzuppato fradicio. Come si sedette accanto al fuoco, si tolse di dosso il travestimento e il suo sguardò tornò su di me più di una volta. Quand'ebbe finalmente recuperato il suo aspetto reale, in qualche misura più asciutto e riscaldato, disse:
«Pare che io abbia delle notizie che dovrei probabilmente condividere con te, Watson. Mi sposo».
«Buon Dio!»
Era steso completamente nella sua poltrona, le lunghe gambe stese accanto al fuoco. Sarebbe apparso l'immagine della compostezza, ma mi stava fissando intensamente attraverso gli occhi socchiusi, cosa che smentiva l'apparente serenità della sua postura.
Fui capace chissà in che modo di riordinare i miei pensieri a sufficenza per riuscire a pronunciare una risposta appropriata. «Permettimi di congratularmi con te, mio caro Holmes».
Annuì distrattamente, quindi voltò il capo a fissare silenziosamente il fuoco.
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